Capitolo
27
Il
male minore
Auguste
sbatté le palpebre sotto il cono di luce calda gli si era abbattuto sul volto,
forzando il suo risveglio.
L’intero
istante successivo fu dominato dalla visione di Fernand accoccolato lì accanto,
i capelli chiari che gli ruscellavano sulle spalle. Riposava al suo fianco, il
capo timidamente reclinato sulla sua spalla, e per un istante i suoi lineamenti
delicati che sfumavano davanti ai suoi occhi in un velo sottile di caligine, tra
il biancore abbagliante delle lenzuola e le curve dell’oblio che gli offuscavano
la mente.
Scosse
le ciglia, quasi a voler sottrarsi al magnete che continuava a proiettare il suo
sguardo su di lui, un velo sottile di penombra che si addensava intorno agli
occhi socchiusi e sotto le ciglia, inedita dolcezza raccolta nella piega delle
labbra.
Sospirò.
L’aveva sorretto tra le braccia e deposto sul letto come un fagotto estremamente
prezioso. Solo qualche ora prima. E Fernand aveva accostato la guancia umida
alla sua, offrendosi debolmente alla sua stretta.
Auguste
avvertì il suo essere collassare nelle scintille di quella
notte.
Un
istante. Fernand che gridava il suo piacere di fuoco liquido e si lasciava
andare alla deriva. Forse aveva davvero perso i sensi tra le sue braccia –
oppure era troppo stanco, stremato dall’ondata densa di piacere che gli si era
infranta addosso; troppo, per riprendere di coscienza e trascinarsi a letto con
la sola forza delle sue gambe.
La
lama di luce che lo aveva distolto dal suo sonno di piombo riprese a
solleticargli le ciglia. Il suo primo istinto fu di stringersi a Fernand,
braccia abbandonate lungo i fianchi e muscoli rilassati, il viso immerso nel
sonno simile ad uno strato di marmo sottile appena mosso in superficie. La trama
di un istante fissata in un sospiro leggermente
strascicato.
Auguste
sbatté le palpebre, mentre Fernand si allungava lentamente al suo fianco.
Sembrava… diverso, intimamente
diverso – solo rispetto a poche ore prima –, come se la frenesia di quella notte
si fosse adoperata a riempire una tela vuota. In silenzio, osservò i suoi
capelli allargarsi sul guanciale come una cascata, come il ricamo deliziosamente
cesellato delle sue giunture. Pelle bianca e muscoli tesi sotto la cute, e il
petto e le spalle ricettacoli di eburnea perfezione.
Mio
Ferdinand…
Era
stato con lui. I suoi capelli intrecciati fra le dita, labbra contro labbra, e
le loro intimità a sfiorarsi.
Si
strinse a lui: no, non l’avrebbe distolto dal suo torpore. Voleva solo sentirlo
caldo e vivo sulla propria pelle, strettamente allacciato a lui com’era stato
quella notte. Perché tutto era accaduto in una notte.
Spalancò
gli occhi nell’incertezza. Fernand si mosse nella nebbia del sonno che si
affievoliva dinnanzi a lui, e per qualche attimo si lasciò cullare dalle sue
braccia.
Auguste
gli scostò i capelli dal viso, scendendo poi a disegnare in punta di dita il
contorno nitido delle spalle. Serrò le palpebre, la confusione liquida e
mutevole del risveglio che gli scompaginava la mente.
Lo
amava. Era solo questo. Nient’altro, in fin dei conti.
Avvertì
un morso di tenerezza, un atavico istinto di protezione serrargli lo stomaco,
quando Fernand rotolò verso di lui, imprimendo un contatto più stretto fra loro.
E respirando contro il suo petto.
Un
bacio appena accennato sulla fronte fu sufficiente ad accelerare la sua ascesa
dall’oblio alla veglia. Fernand si riscosse.
-
Auguste, io… – biascicò con voce roca, come un gatto geloso d’attenzioni:
attenzioni che presto si affrettò a reclamare, piantandogli addosso i suoi occhi
di metallo e sussurrandogli obbedisci.
Auguste
immaginò la linea diritta dei suoi fianchi nell’atto di ruotare verso di lui, il
movimento morbido attutito dalle lenzuola. Non era ancora giunto il gelo della
consapevolezza a spezzare l’incanto, né la percezione nominale di ogni
implicazione esterna.
Un
lampo che gli esplodeva nella mente, repentino. Lucien, Emilie. Dorian. Ambrosie
e Raphäel che forse – chissà… – giocavano a farlo impazzire con i loro giochetti
d’astuzia, lei con l’intreccio ipnotico delle parole, lui con quegli occhi
ambigui e con la somministrazione di droghe a tradimento.
E
chissà quale altro conflitto nell’aria.
Ed
ora, era innocente ciò che era accaduto, oppure si trattava ancora una volta
d’imboccare la strada sbagliata con il più ampio margine di
rischio?
Fernand
scosse il capo, quasi a leggere i suoi dubbi.
-
Auguste, non serve dubitare ora. Mi basta quello che ho visto. Che ho sentito
sulla pelle. È reale. Siamo io e te.
Non
parlare in astratto, Fernand. Non recitare filastrocche imbastite sul momento.
Non tentare l’ennesima astuzia. Vuoi chiedermi se tutto questo, per me, ha
significato qualcosa?
-
Non vedo di cosa potrei dubitare,
Fernand. Abbiamo fatto l’amore, è piuttosto chiaro.
-
Abbiamo fatto l’amore… – gli fece eco
Fernand, la voce pericolosamente serpentina, per poi stringersi nelle
spalle.
Auguste
distolse lo sguardo. Avvertì l’impronta di un sorriso formicolargli sulle
labbra, al pensiero di conoscere ormai pressoché alla perfezione ciò che si
celava sotto le lenzuola. La pallida levigatezza della sua pelle, l’armonia
delle sue membra decise. Il calore palpitante del suo sesso mentre lo stringeva
a sé.
- E
questo non toglie che lo rifarei – si affrettò a
sottolineare.
-
Cosa succede, Auguste? – Fernand si tirò su, puntellandosi sui
gomiti.
Una
ciocca di capelli gli ricadde davanti al viso.
-
Succede che hai vinto.
-
Io non… – Fernand lasciò vagare lo sguardo intorno alla stanza, smarrendosi nei
suoi pensieri.
O,
chissà, forse voleva solo guadagnare tempo. Estirpargli le parole a tempo debito
con un paio di tenaglie affilate.
-
Credo di amarti, Fernand. È questo che ti getta nel
panico?
Fernand
aggrottò la fronte. Per un istante, Auguste fu certo di veder scorrere sul suo
viso un lampo quasi sofferente. E poi una sorta di sorriso – un’ombra sfuggente
sulle labbra, presto celata dalla massa arruffata dei suoi capelli –, mentre si
lasciava avvolgere dal suo abbraccio.
-
Quindi, Auguste… Era questo. Il tuo problema
impronunciabile!
-
Non si chiama problema e non è
soltanto questo, Fernand.
-
Si chiama gelosia, Auguste. Ti sei
ficcato in testa che per qualche strano motivo io avrei i requisiti per portare
a buon fine ciò che tu ti sei limitato a iniziare. E se questo da una parte ti
era sembrato utile per sollevarti delle tue responsabilità, dall’altra ti sta
portando all’ossessione. È così? Da quanto?
Auguste
si sforzò di mantenere lo sguardo fermo.
-
Dannazione, Fernand! Perché riesci sempre ad inquinare tutto a tutti i costi, a
vedere il marcio dappertutto e in qualsiasi momento?
-
Oh, era una piccola constatazione. Ed è qualcosa che ora riguarda me e te a
pieno titolo, stavolta. Avrò forse il diritto di sapere perché improvvisamente
vuoi che stia con te?
-
Che razza di domanda idiota…!
-
Cos’ha riacceso il tuo interesse nei miei confronti, Auguste? Fino a ieri mi
guardavi come se mi odiassi. Poi sei diventato… strano.
Auguste
soffocò l’impulso di scoppiare a ridere.
-
Sei bello, Ferdinand. Come dovrei guardarti, scusa?
-
‘fanculo!
-
Sei terribile! – Auguste si svincolò lentamente dall’abbraccio, un misto
d’ironia e perplessità – Ti rendi conto almeno un po’? Mi abbracci e al tempo
stesso cerchi di ferirmi… Dannata lingua tagliente!
-
Quindi – Fernand sorrise, sibillino – Sarei una specie di demone tentatore… È
corretto?
-
No. Penso solo che tu sia un po’ troppo abile a confondere le idee. Non
marciarci sopra a lungo, Fernand. Pensi che non stia giocando a carte
scoperte?
- È
che… non è chiaro dove tu voglia arrivare. Solo questo – Fernand si ravviò
nervosamente i capelli.
- E
dove vorrei arrivare…? Sentiamo un po’ dove vorrei
arrivare.
-
Oh, questo dovresti saperlo tu. A indorare la pillola fino a portarmi sui tuoi
propositi, naturalmente. È la logica del male minore, Auguste: meglio quella
gran testa calda del Laroche… di qualcuno tipo Dorian, magari – un sorrisetto sagace
gli increspò le labbra, gli occhi stretti a fessura.
Auguste
fece appello a tutta la propria volontà per mascherare la sensazione di gelo che
gli aveva attanagliato le ossa, non appena il nome di Dorian gli era rimbalzato
nella testa.
-
Mi fido di te, Fernand – si limitò a sussurrargli.
-
Non ti fidi di Dorian.
-
Dorian non c’entra nulla. Si parla di me e di te, in questo
momento.
-
Già. Però, se permetti, vorrei essere sicuro di meritare davvero la fiducia
dell’ultima persona che mi sarei aspettato. E della persona con cui ho appena
fatto l’amore.
Auguste
stirò le labbra in un mezzo sorriso spazientito: adesso era guerra
aperta.
-
Immagino che il tuo amico dai riccioli biondi ti abbia riempito la testa a
dovere. Della sua versione,
naturalmente. Sai, Fernand: sono meno sprovveduto di quanto voi pensiate. È
difficile immaginare che lui non si sia mai lasciato andare a qualche
confessione al suo miglior amico davanti a un bicchiere di vino. Sbaglio? –
sorrise, condiscendente.
Giocare
sulle reazioni di Fernand stava diventando un’allettante caccia al tesoro. E, se
fosse stato abbastanza cauto, sarebbe persino riuscito a non sconfinare nella
lite.
-
Questo non è importante, Auguste – Fernand scosse il capo, le braccia incrociate
sul petto – Io vorrei… poter fare qualcosa, davvero.
-
No – lo interruppe Auguste – Tu non farai un bel niente. Lascia stare. Non
parlarne. Fai conto di non aver mai sentito nulla.
-
Non posso fingere di non sapere nulla. Pensi che io sia… venuto a letto con te
per perorare la sua
causa?
-
Non è neanche questo – Auguste si sforzò di sorridere, rassicurante – No,
Fernand… Dannazione! Penso che il signor Desgrais abbia messo un po’ troppo di
suo dentro questa testolina – gli soffiò, le dita che correvano ad arruffargli i
capelli sulle tempie.
-
Il signor Desgrais che non è il
signor Desgrais? – puntualizzò Fernand, caustico.
-
Dio…! – Auguste sollevò gli occhi al cielo, il fianco scoperto di fronte alla
stoccata improvvisa.
Per
un istante si domandò quanto sarebbe stato lecito e conveniente impacchettare
ben stretti in catene quei due sciagurati e spedirli in qualche posto lontano e
sicuro senza colpo ferire.
-
Fernand, non sono affari che ti riguardano!
-
Pardon, io credevo che mi riguardassero eccome… – un bagliore luciferino gli
lampeggiò in fondo alle iridi – Sono o non sono il nuovo… capo? Avrò diritto di sapere come
diavolo muovermi nel marasma che ti sei lasciato alle
spalle?
-
Innanzitutto, tu non sei a capo di nulla e non sei il capo di nessuno – si
affrettò a redarguirlo Auguste – Come se non bastasse, le cose a cui ti
riferisci non hanno niente a che vedere con te né con ciò che ti chiedo di
fare.
-
D’accordo, come vuoi tu… –Fernand annuì, lo sguardo scettico fisso in un punto
imprecisato in fondo alla stanza – Anche se non sono sicuro di aver
capito.
-
Hai capito, Ferdinand! – Auguste lo scosse per le spalle, lo sguardo fermo –
Lascia fuori Dorian da questa faccenda. Non metterti e non farlo mettere in
situazioni di pericolo. E dato che il tuo amico ti sta molto a cuore, la cosa
migliore che puoi fare per lui è fare in modo che se ne stia il più possibile
alla larga. Lontano, esposto il meno possibile… Non lasciare che agisca in prima
linea. Che si avvicini a Palazzo du Lac.
-
Insomma… – Fernand arrotolò distrattamente una ciocca di capelli tra le dita –
Dovrei tramutarmi né più e né meno in ciò che tu sei stato per mesi nei nostri
confronti. Dovrei recitare la mia parte. Trattarvi tutti da bambini scemi e
imbastire segreti uno dopo l’altro. Sai che noia…!
-
Proprio così. Non c’è nulla di divertente – replicò Auguste, secco – E
assecondare Dorian è quanto di più imprudente possa fare.
-
Dove vuoi arrivare? – Fernand spalancò le palpebre,
interdetto.
-
Non voglio vedervi giocare a viso aperto.
-
Tipo?
-
Tipo scatenare tumulti in città… Perché lo so, Fernand, vi conosco, non sono un
ingenuo: è la prima cosa che cerchereste di fare, che state caldeggiando da
secoli, non è così? Vi dareste alla pazza gioia. Ed è ciò che temo più di tutto
il resto. Soprattutto per Dorian… non è mai stato troppo ragionevole da questo
lato. Pensa che uccidendo il duca risolverebbe ogni
problema.
-
Auguste, parla chiaro! – Fernand scosse la testa, spazientito – Perché non provi
a… parlare con lui? Con Dorian, anziché con me?
Auguste
chinò lo sguardo. Per un attimo fremette nel desiderio bruciante di aggredirlo
con parole abbastanza dure da cancellare in lui ogni velleità d’infilare il naso
nelle faccende tra lui e Dorian. E, con Fernand, sapeva che sarebbe stata una
scommessa persa in partenza: avrebbe finito soltanto per esacerbare il desiderio
di Fernand di agire di testa sua.
Sospirò:
era chiaro come il sole che la piccola serpe aveva agito in modo da far pendere
l’ago della bilancia dalla propria parte, a fare di Fernand un suo alleato
prezioso. E doveva averlo imbottito per bene di chiacchiere, rifletté,
mordendosi nervosamente il labbro.
E
ora era necessario contrapporre qualcosa a proprio favore. Ad esempio,
snocciolargli la sua versione dei
fatti, la sua campana – ma era quanto
di più avventato avesse potuto fare.
-
Ferdinand… – gli sussurrò alla fine – Basta così. Non ne verresti a
capo.
-
Ma Dorian… sta male. Non si fida di te, non si fida più di
nessuno.
-
Me ne ero reso conto anche da solo. Ed è il male minore – concluse, serrando le
labbra.
Era
quasi ipnotico il modo in cui Fernand giocherellava con il bordo del lenzuolo.
Distrattamente. Qualcosa gli suggeriva che il piccolo intrigante numero due
avesse qualche altra carta consistente da giocare.
-
Allora, mettiamola così – Fernand mosse di nuovo lo sguardo su di lui, i palmi
in bella vista come a dire non c’è trucco
e non c’è inganno – Io non metterò il naso nelle tue… nelle vostre faccende personali. Non farò
domande. Questo però non toglie che esiga chiarezza almeno da parte tua – chinò
lo sguardo, colpevole – Io non c’entro nulla, siamo d’accordo. Però credo che tu
sia l’unico, in questo momento, a dover aiutare Dorian. Soltanto
questo.
Auguste
sorrise, accondiscendente.
-
Temo ti stia chiedendo se ciò che ho fatto finora, qualunque cosa sia, abbia
avuto lontanamente a che fare con il bene di Dorian: è questo il dubbio che ti
rode?
Fernand
gettò il capo all’indietro, soprappensiero, un misto di stupore e sollievo a
pervadergli i lineamenti.
-
Esatto… – cinguettò, sornione – Riesci a leggermi nel
pensiero?
Ad
Auguste parve pressoché doveroso regalargli un breve sorriso. Si sporse verso di
lui. Non è stato difficile,
stavolta.
-
Perché avrei scelto te, se non fosse
così? – gli sussurrò – In ogni caso, la risposta è sì. Per Dorian sarebbe il danno
minore.
-
Il danno minore? Devastarlo di dubbi? Tenerlo all’oscuro… di se stesso, del suo
passato… della stessa causa per cui sta lottando? È… meglio?
Auguste
fu tentato di domandargli a bruciapelo fino a che punto Dorian l’avesse
introdotto alla conoscenza di cose che non avrebbe dovuto sapere. Fino a che
punto si fosse spinto in là con le sue confidenze da ubriaco – perché doveva
essere stato senz’altro ubriaco, Dorian, per lasciarsi andare a confessioni da
perfetto incosciente.
Tuttavia,
qualcosa, ancora una volta, gli disse che ancora una volta tacere sarebbe stata
la scelta migliore. Barcamenarsi a stento, in bilico su un filo di lana,
basandosi sulla semplice intuizione e sulle mezze verità che galleggiavano in
quel delizioso cervello in fermento.
-
Non è il momento, Fernand. La posizione di Dorian è delicata, e vorrei che tu mi
aiutassi a… proteggerlo da quello che potrebbe fare – Auguste sentì la testa
girargli, la sua stessa richiesta come una spada arroventata a un soffio dalla
sua pelle – Per favore.
- E
da cosa dovrei proteggerlo? – Fernand inarcò un sopracciglio,
dubbioso.
Legittimo,
dannazione. Dubbio legittimo. E legittimo, a questo punto, chiedersi se la
persona con cui ha appena condiviso il letto non sia completamente pazza o in
preda a strane visioni.
-
Da se stesso, Fernand. Da certi gesti avventati pienamente nel suo stile. Ora,
se permetti, preferirei chiudere la questione. Almeno… per adesso – tentò di
risolvere.
E
poi tacque. In silenzio, osservò Fernand, raggomitolarsi sotto il velo sottile
delle lenzuola, meditabondo, un velo di tristezza incollato alle palpebre. Per
un istante gli si figurò nella mente il suo corpo nudo, le braccia nervose tese
ad abbracciarsi le ginocchia e i brividi sulla sua cute, sotto quell’unico
schermo di stoffa sottile che li divideva, celandogli il suo corpo – e la loro
notte di cristallo fragile, splendido nei suoi bagliori
mutevoli.
Fu
colto da un fremito di dolcezza. Era lì accanto a lui, una barriera sottilissima
a separarli, e solo un istante per squarciare l’intrico dei dubbi che
continuavano a rincorrersi, interponendosi tra loro.
Fernand
si fissò le mani, quasi a evitare i suoi occhi.
-
Perché hai scelto me, Auguste? – domandò di colpo, riaccendendo come per magia
l’enfasi di un discorso che si era sforzato di ricacciare nel limbo del non
detto.
-
Mi pare di avertene parlato. Mi fido di te, Fernand.
Lo
vide trattenere a stento una risatina beffarda.
-
Tu ti fidi di me?! Del Fernand impulsivo,
scavezzacollo e menefreghista? – sogghignò.
- È
ovvio che non lo sei – Auguste s’impose la calma – Dannazione: vuoi costringermi
a riprendere da capo fottutissimi discorsi, visti cento e mille volte? Vuoi che
ricominci a elencarti per filo e per segno tutto ciò che penso? Credevo di
essere stato esaustivo. Possibile che trovi divertente rifugiarti ancora in
vecchi pregiudizi?
Fernand
sollevò gli occhi al cielo.
-
Non eri in te quella sera, Auguste. Stavi andando a seppellire Lucien, non eri
lucido e l’unica cosa che desideravi era sbarazzarti del tuo
fardello.
-
Io voglio sbarazzarmi di un fardello,
Fernand. Ma vorrei anche lasciarlo in buone mani. Se possibile, migliori di
quelle che le hanno precedute.
Era
così. Sputò fuori la mezza rivelazione che si teneva annodata alla gola da
giorni o forse da mesi, come un veleno covato troppo a lungo, come una
pallottola conficcata nella ferita, da rimuovere al più
presto.
Fernand
si dondolò su se stesso, gli occhi semichiusi.
-
Voglio tornare al borgo… – mormorò sul filo di un pensiero espresso a voce alta,
le labbra malferme – Preferisco gli occhi di mio padre che mi guardano con
sufficienza, come il ragazzino viziato e troppo schizzinoso per sporcarsi le
mani…
-
Questo non è vero – Auguste alzò la voce senza quasi rendersene conto,
interrompendolo – Tu non desideri tornare a casa, Fernand.
-
Perché proprio me, Auguste? – Fernand gli scoccò un’occhiata
implorante.
Auguste
chinò lo sguardo. La verità bruciava. Era sufficiente anche un solo
brandello.
-
Perché io ho sbagliato, Ferdinand – proruppe – Ho sbagliato sin dal primo
istante. A guardarti come un ragazzo petulante e vanaglorioso… Troppo freddo e
concentrato su se stesso per portare avanti qualcosa non finalizzato alla
propria autoaffermazione. Invece no, non è stato così. Ho scelto te perché era
la cosa più giusta – deglutì, a disagio – Perché sei la sintesi delle qualità
che mi mancano per portare tutto a compimento come dovrei. Perché io… non sono
come te, Fernand. C’è bisogno di qualcuno a cui non tremi la mano, che non si
porti addosso il fango di troppe sconfitte e incertezze.
-
Questo non è corretto, Auguste… Ti stai dando del vigliacco da solo – Fernand
cercava di tergiversare con un’enfasi che gli riempì il cuore di nostalgia – Che
diavolo avrei io di speciale?
-
Fa’ come ti ho detto, Fernand. Sono domande inutili. Ti basti sapere che c’è
bisogno di Fernand e non di Auguste. Io non ho il tuo coraggio. Sei giovane, sai
come stanno le cose, ed io ho stima e fiducia per te. Cosa
manca?
-
Una motivazione che stia in piedi.
Auguste
lasciò che sulle sue labbra affiorasse un sorriso tirato.
-
Rigirala come vuoi, ma non hai molta scelta. Se io abbandono il campo, dopo di
me resti tu. Pensi che mi sia divertito, in tutto questo tempo…? Ciò che fa
male, Fernand, è che io l’ho sempre saputo. E bruciava, maledizione. Pensare che
in casa mia esistesse qualcuno più adatto di me e che io mi stessi semplicemente
rifiutando di vederlo, di ammetterlo a me stesso, mentre usurpavo qualcosa che
non mi apparteneva più da tempo… Questa era la mia causa, Fernand. Poi sei
arrivato tu… è arrivato qualcuno migliore di me. Eri la persona giusta, ed io
non avevo più senso. Specie dopo quel che è successo. O io o te,
Fernand.
-
Sei geloso…
-
Di cosa? Del fatto che tu abbia dieci anni in meno di me, che non ti trascini
certi errori dietro le spalle e che abbia ancora i nervi sani? Non c’è nulla di
cui essere gelosi né di andare fieri, Fernand. La tua presenza è un dono del
cielo.
-
Non adularmi, ora. È che non vuoi Dorian tra i piedi. E ti sei tirato
elegantemente fuori dalla questione al momento giusto.
-
Hai indovinato – Auguste si costrinse a fissarlo negli occhi – Non voglio Dorian
tra i piedi per la sua incolumità
personale. Ma chissà, volendo potrei estendere lo stesso discorso a chiunque
altro. A te, o a tua sorella.
-
Che cosa diavolo ti ha fatto Dorian?
Auguste
ebbe l’illuminazione, tanto che per un momento temette di esplodere in una
risata inarrestabile. Cosa gli aveva
fatto Dorian… La tentazione di prenderlo in giro, di metterlo
definitivamente nel sacco era più forte che mai.
-
Nulla di personale, Fernand… A parte questo – gli soffiò, sfiorandogli la gola
nel punto in cui un segno rosso campeggiava in tutta la sua
evidenza.
Il
chiarore del mattino, sempre più esteso nella stanza, giocò a suo
favore.
Un’espressione
di trionfo gli stirò i muscoli del volto, quando vide Fernand avvampare di
colpo. E poi si rese conto che era meglio di mettere fine al suo giochetto nel
momento stesso in cui era iniziato, e prima che Fernand equivocasse sul
serio.
-
Queste sono sciocchezze, Auguste…
-
Scusa… Non ho potuto resistere.
-
Bravo, Auguste. Sei riuscito a farmi sentire in imbarazzo.
-
Non si può dire sia stata una passeggiata.
Silenzio.
Fernand fece saettare lo sguardo su di lui, le labbra che si dischiudevano in un
sorriso indecifrabile.
-
Non puoi farlo, Auguste.
-
Che cosa non posso fare? – Auguste trasalì; una parte di lui fu tentata di
scoccargli un’occhiata divertita.
-
Confondere le due cose, mischiarle fra loro. La fiducia che sembri volermi accordare, e il fatto
che…
Auguste
indietreggiò d’istinto, puntellandosi i gomiti, mentre Fernand accostava il viso
al suo, con noncuranza.
-
Beh. Che ti sia invaghito di me, no? Io ti piaccio… – scandì con tutta
naturalezza, un lungo miagolio che gli s’incuneò
sottopelle.
-
Sei terribile… – Auguste scosse il capo, scettico, evitando lo
sguardo.
A
tentoni, allungò la mano oltre il bordo del letto, verso il pavimento, alla
ricerca della propria camicia abbandonata da qualche parte intorno al
letto.
Poi
Fernand si sporse verso di lui, il volto punteggiato da una viva enfasi ironica
e, sfrontato, gli catturò le labbra con le sue.
-
Così diventi prevedibile, mon ami… –
gli sibilò, a un filo della superficie ultrasensibile della sua
bocca.
Auguste
lasciò scorrere una mano sul suo petto – contorni da tracciare dolcemente, in
punta di dita –, vana ambizione di cancellare dai suoi occhi quell’espressione
sfacciatamente padrona di sé, da burattinaio astuto.
-
Non c’entra nulla, Fernand – tentò di rassicurarlo – Sono due cose separate, e
questa è l’insinuazione più fantasiosa che abbia mai
sentito.
E
poi, qualcosa lo costrinse a socchiudere gli occhi. Trattenne il fiato. Non
vedeva Fernand in volto, ma poteva sentirlo ridacchiare sommessamente, mentre si
piegava su di lui e lo attaccava di sorpresa alla gola in un tripudio di leggeri
sfioramenti. Il suo respiro pareva uno spasimo di gioia all’idea di farlo
fremere sotto di sé, di calibrare dolcemente ogni sua sensazione. Illudersi di
tenerlo per qualche istante in proprio pugno.
-
Non del tutto, Auguste – Fernand sollevò il capo, piantandogli nuovamente
addosso le iridi azzurre – Questo… baciarmi, toccarmi, fare sesso con me, ti dà
motivo di conoscermi nel suo
significato più completo. E forse di manipolarmi in futuro, chissà… Sono un
foglio bianco ben mappato.
-
Che sciocchezze, Fernand! Come puoi prendere per buone delle assurdità simili?
Mi accusi di… sfruttarti? Di manipolarti usando il mio corpo? Mi dai della
puttana? – Auguste sentì uno sgradevole formicolio stringergli la gola come un
senso di strangolamento: era la vertigine che gli provocavano le velate
provocazioni di Fernand, in sospeso tra la convinzione sentita e il ragionamento
astruso – Allora potrei dire la stessa cosa di te: perché abbiamo appena fatto
l’amore e tu mi parli di Dorian? Dopotutto, sei stato anche con
lui…
Fernand
impallidì, scostandosi da lui come alla ricerca di una boccata d’aria, di una
via di fuga. Tanto che per un attimo Auguste credette che fosse davvero sul
punto di scappare, lasciandolo in pasto ai dubbi che lui stesso gli aveva spinto
a forza nella testa.
-
Mi stai umiliando… – Fernand tirò su con naso, i capelli buttati sulla faccia
come a voler schermare gli occhi lucidi – Ti giuro che non lo farei
mai.
-
Fernand – cautamente, Auguste gli prese il volto tra le mani, stringendolo in
una carezza – Non… dubitavo di te. Davvero. Non mentivi stanotte né in questo
momento. Non l’ho pensato nemmeno per un istante.
Fernand
sbatté le ciglia. Una patina di fiducia fece capolino nei suoi occhi come un
alone appena percettibile.
-
Allora sarò sincero. È come dici. È vero: sono stato con Dorian. Abbiamo parlato
a lungo, e lui… mi ha raccontato la sua storia.
-
Cosa sai di lui, adesso? – Auguste temette di cedere all’impulso di vacillare o
di compiere qualche passo falso.
E
poi il viso di Fernand si indurì in un sorriso astuto.
-
Le stesse identiche cose che dovresti sapere tu, Auguste. Tranne ciò che non
dici. E che riguarda lui.
-
Mi dispiace.
Auguste
trattenne il fiato. Osservò Fernand inarcare un sopracciglio, scettico, un mesto
scuotimento del capo.
-
Devi parlare a Dorian, non a me – ripeté, quasi una nenia.
-
D’accordo. Allora parliamo di noi – azzardò.
Nel
silenzio carico che seguì, Auguste avvertì distintamente le labbra di Fernand
serrarsi, le ciglia ondeggiare lentamente. Le sue braccia lo circondarono, il
viso tornò a nascondersi nell’incavo della sua spalla, come a rivolgergli una
domanda a cui neppure lui stesso avrebbe voluto dare voce.
Non
vi era l’ansia di baciarlo, di accostarsi a lui e poi ritirarsi fulmineo in uno
scatto sornione e sensuale. C’erano i suoi lunghi capelli ondulati a
nascondergli il volto, e quella stretta, quella vicinanza quasi ossessiva che
gli impediva di mettere a fuoco i contorni, l’espressione rivelatrice del suo
viso.
-
Fernand – riprese, un sussurro – Decidi tu cosa fare. Se restare o andare via.
Se fidarti di me oppure no. Se… sei con me o con Dorian.
E,
prima che lui stesso se ne rendesse conto, le sue dita corsero a sfiorare di
nuovo la piccola impronta arrossata sulla gola di Fernand. Il segno delle labbra
di Dorian. Si ritrasse, di colpo.
Perché,
no, stavolta non aveva diritto di pretendere una risposta, di sentirsi infelice
o messo da parte, di avanzare velate pretese o rivolgergli sorrisini caustici
sotto cui celare il suo profondo, irrazionale senso di abbandono. Non aveva il
diritto di raffigurarsi nella mente Fernand e Dorian stretti l’uno all’altro
sotto lo stesso cielo, né domandarsene la ragione. O sentire il proprio cuore
vacillare pericolosamente all’idea.
-
Devo rispondere adesso? – Fernand gli
affondò il viso nella spalla, respirando contro i suoi
capelli.
Lasciandogli,
come strascico imprevisto, un brivido lungo la spina
dorsale.
-
No, Fernand. Perdonami… – si morse il labbro.
Non
ho diritto di domandare, di pretendere, di dichiararmi parte in causa, di
stabilire un ultimatum.
Non
c’ero, per te, Fernand. Non ci sono mai stato.
Tutto
quello che ci ha uniti a doppio filo, fino a questo momento, si riduce a qualche
occhiata in tralice dal significato incerto, all’ostilità reciproca, alla
volontà di sbranarsi alla prima occasione pur di cancellare l’incubo di non
riuscire a sfiorarsi. La paura di dover lasciare i sentimenti a giacere sul
fondo, di sentire la loro morsa appena attutita, la rabbia che ribollisce sotto
le macerie. Come un malefico sostrato con cui confrontarsi
costantemente.
Meglio
evitare di estinguere le fiamme e rischiare dopo di morire nel
gelo.
Meglio
urlarsi addosso ad armi snudate, se necessario, piuttosto che reprimere la
tensione, smorzare il grido, lasciarlo spegnere nella polvere, e nel mentre
posare le pietre per innalzare un muro sempre più alto.
Fernand
si prese il capo fra le mani, soprappensiero.
-
Cosa vuoi che faccia, adesso? – squittì, angosciato,
capitolando.
Come
se le sue braccia fossero l’unico rifugio disponibile nell’intero perimetro
della stanza – l’unico angolo strategico che non lo costringesse a guardarlo
negli occhi per l’eccessiva vicinanza –, proprio accanto alla fonte dei timori
che gli rimestavano nella testa.
-
Niente, Fernand. Niente che tu non vorrai. Non sei obbligato a scegliere se
restare o andartene… Non è a me che devi rendere conto – Auguste si ritrovò a
pronunciare le ultime parole come una sorta di maledizione in punta di lingua –
Parla con tua sorella. Con Dorian… Con chi ritieni necessario. Se
vuoi.
Fernand
annuì distrattamente, uno strofinio di capelli sulla spalla nuda. L’espressione
di chi non vede l’ora di abbandonare un discorso troppo fumoso e denso di
pericoli. Un’arma a doppio taglio.
In
silenzio, avvolto da una sorta di momentaneo torpore, Auguste si ritrovò a
tracciare distrattamente con le dita una linea lungo il torace di Fernand. Dalla
grazia nervosa della fossetta giugulare alla linea dello sterno, dove lasciò
morire la sua carezza palpitante. Fernand sussultò a quella vibrazione sottile –
la cute si costellò di brividi. Intrecciò le dita alle sue, cercando di lenire
in un gesto dal sapore fraterno la scintilla di libidine residua che
inavvertitamente aveva scatenato il contatto dei loro
corpi.
- È
strano, Auguste – Fernand socchiuse gli occhi – Abbiamo fatto l’amore, e tu sai
pensare solo alla tua adorata congrega… A cosa faremo
adesso.
Ecco
un’altra stoccata in pieno petto.
-
Shh… – Auguste pensò che intrappolare le labbra di Fernand sotto le sue fosse un
sistema sicuro e collaudato per allisciare la piega difficile che il discorso
stava per riprendere.
Fernand
che tornava alla carica, disarmante e senza peli sulla
lingua.
-
Devo chiederti se ti è piaciuto? – proseguì.
-
Domanda banale e scontata – Fernand gli piantò addosso un’occhiata sarcastica,
la voce strascicata – E conosci anche la risposta. Io e te non potremmo… barare,
neanche volendo, credimi.
Auguste
pensò che l’ideale sarebbe stato starsene così in eterno – con Fernand stretto
tra le braccia, e lui tra le sue, il volto accostate al suo – e tutto il resto
chiuso fuori da quella porta. Senza angosce.
Fu
l’unico pensiero che gli attraversò la mente, mentre Fernand aderiva con tutto
il suo corpo a lui, il desiderio di assaporare la sua pelle che danzava nel
sangue. Si umettò le labbra, sornione, a metà strada tra un felino selvatico e
dispettoso e un soldato ribelle.
Ed
era inutile continuare a logorare quegli istanti con la barriera fuorviante
della parola. Auguste distolse lo sguardo, sorridendo, ogni tassello che tornava
magicamente a posto.
Dopotutto,
lì di fronte a sé non vi era che lui, Fernand. Il ragazzo inaffidabile e
imprevedibile che, a poche ore dalla morte sospetta di uno di loro, diffondeva
libelli vergati di suo pugno e tentava di convertire in fiamma di dissenso la
noia degli avventori di un’osteria. Il ragazzo che gli sferrava un pugno sul
naso, per poi presenziare pallido e avvilito, il giorno seguente, al funerale
del compagno caduto. E poi, ancora, eccolo di nuovo tentare di infrangere la sua
armatura di dolore. Con una parola aspra e provocatoria o con una
carezza.
Sospirò:
era come se a un certo punto si fosse spezzato un tramite fra prima e dopo. E
ora Fernand non era che l’amante. L’uomo del destino.
E
lui, Auguste, ci avrebbe riflettuto all’infinito, si sarebbe cullato nel suo
enigma di miele – pensieri sin troppo palesi addensati nelle pieghe della
fronte, destinati ad esaurirsi in un’eco –, se solo quattro colpi secchi, come
un bussare impaziente, non avessero frantumato il suo
idillio.
* *
*
Gli
ultimi residui del livore della notte adombravano ancora il cielo, quando il
vampiro si trovò a rimettere di nuovo piede nelle sue
stanze.
Un
appartamento nel piano seminterrato di un quartiere tranquillo sarebbe ancora
stato un rifugio solido e dignitoso. Congedò il suo giovane compagno con un
gesto stanco della mano, prima di tornare a liberare nella sua mente il
ribollire dei pensieri, reso impenetrabile dalla maschera gelida del volto. Una
piccola finestra sbarrata, dinnanzi a lui, proiettava la sua vista direttamente
sulla via retrostante, il piano dell’acciottolato irregolare in linea con i suoi
occhi. Sorrise: quella pallida apertura ignorata dagli stanchi passanti sarebbe
stato l’ultimo pertugio in cui i raggi del sole avrebbero osato
penetrare.
E
lui era stanco: tremendamente stanco, e il rischio sfiorato troppo grande,
quando aveva preso Dorian tra le sue braccia, per permettersi di dissipare le
sue preziose energie offrendo il proprio volto ai capricci del chiarore diurno
che di lì a poco sarebbe sopraggiunto. Soprappensiero, scrutò il proprio volto
nello specchio, il colorito rosa soffuso sulle guance che per almeno qualche ora
avrebbe reso il suo aspetto quello di un comune ventenne, piacente anche se non
esattamente bello, i riccioli scuri tirati indietro sulla fronte pallida e
vagamente inclinata, il profilo tagliente. Lo sguardo facile ad ammorbidirsi o a
diventare di pietra. Il ragazzo ingenuo che era stato. L’ossessione di non
accettare fino in fondo la sua natura era forse l’ultima traccia tangibile del
suo passato, del suo spirito generoso, delle antiche
utopie.
Era
stanco della sua crudele follia, dell’illusione di continuare a condurre la vita
che per un uomo mortale sarebbe stata la norma. Di rivelare a se stesso la
propria natura soltanto la notte, quando la sete sopraffaceva ogni altra
percezione, e allora diveniva belva senza altro scrupolo se non quello di trarre
dalla carne e dal sangue il suo piacere e la sua
sussistenza.
Aveva
subito la sua seconda metamorfosi: da uomo mortale a bevitore di sangue che
vorrebbe volgere verso un fine benevolo il suo potere sovrumano; a eclettico
mago della sorte, capace di procedere il bilico su un filo troppo sottile, di
giocare tra vita e morte, renderle entità interscambiabili. Lui, che aveva
salvato la vita di quello che ora era il suo novizio e compagno immortale,
bevendo la sua vita e donandogli lui stesso la morte. La morte per beffare la
morte stessa.
Perché
ridevi, sciocco? Pensi possa esserci ancora del bello, del buono, del nobile e
misericordioso, in ciò che ho fatto quando ti ho reso uguale a
me?
Ho
voluto mostrarti l’altro lato della scomoda medaglia che portiamo appesa al
collo senza averlo scelto. Ti insegnerò il poco che conosco, che ho appreso col
dolore delle lacrime e del sudore di sangue.
Ti
insegnerò a volgere al bene il tuo potere sotto la luce del sole. E ti insegnerò
a diventare belva e a cibarti di sangue e di vita, prima che l’Aurora rosata
porti con sé il sollievo di un dolce tepore e ci schiaffeggi crudelmente il male
che abbiamo fatto, l’orgia mostruosa grazie alla quale siamo ancora in piedi,
sanguisughe dalle guance brillanti e gli occhi accesi di vita.
Di qualche vita rubata durante la notte.
-
Che cosa succede, adesso? – lui.
Ancora
lui. Sogghignava, sardonico nella sua parziale ignoranza. Accarezzava
distrattamente le pesanti tende rosso cupo.
-
Sei triste. È il senso di colpa per ciò che hai fatto.
-
Taci, figlio. Non era una provocazione né un compendio dei vantaggi dell’essere
vampiri. E prima imparerai quanto occorre, meno dovrò
ripetermi.
-
Sono tuo figlio, adesso? – arrotolò una ciocca di capelli lisci tra le dita di
marmo, voluttuoso.
-
Non puoi capire. Ti ho mostrato il lato crudele. Quello di cui non potrai mai
fare a meno e che ti manterrà in vita fino ai tuoi ultimi giorni. Non devi
biasimare tutto ciò né lasciarti andare ad una scandalosa ironia. Non
sottovalutare la vita.
- È
un male necessario.
-
Potrebbe non esserlo.
-
Quindi, adesso che cosa farai? Trascorrerai cinque giorni e cinque notti
ignorando il morso della sete, fino a quando non sarai troppo debole per
sollevarti dalla tua cassa e mi implorerai di procurarti il sangue che ti
occorre?
-
Potrei resistere all'impulso – dichiarò, petulante – Si tratterebbe solo di
trovare l’alternativa.
E,
per un istante, vide gli occhi del giovane oscurarsi
minacciosamente.
-
Ti reputavo saggio. Non ho mai sentito che un vampiro abbia prosperato andando contro la propria natura e
rifiutando il sangue, e nonostante ciò restare in vita. Devi essere disperato...
È la disperazione e il rimorso per ciò che hai fatto. È il pianto per le perdite
che hai provocato notte dopo notte. Non sei saggio, amico. Non sarà meglio,
dopo.
-
Non ce la faccio. Sto... male. Stavo per uccidere Dorian. E gli avrei chiuso gli
occhi per sempre, se avessi perso il controllo anche solo per un
istante.
-
Sei un vampiro.
-
Nemmeno tu ne eri felice. Sembravi inorridito. Mi hai odiato, è così? Hai visto
la belva divoratrice, l’assassino che non si ferma di fronte a
nulla.
-
Ma poi ho compreso la lezione nuda e cruda, senza spiegazioni di sorta. È il
male necessario.
-
Piccolo ingenuo! Credi sia finita qui? Pensi che io sia un mostro, un essere
maledetto. Ed è così. Io sono quell’essere. È solo che grazie alla mia
maledizione tu sei scampato alla morte. Forse non era ciò che desideravi
veramente, ma in quel momento hai visto in me l’eroe della fiaba. Una specie di
dio luminoso che ti restituiva la vita con lo scotto di una menzogna. Invece non
hai visto altro che un essere immondo. Che non ti ha reso la
vita.
-
Vorresti morire? Mandare tutto all’aria? - il vampiro giovane sembrava smarrito,
terrorizzato.
Buon
per te, mio giovane amico.
-
Non potrei. Neanche se lo volessi.
-
Potresti gettarti nel fuoco.
-
Ma tu me lo impediresti. Non è una soluzione. Io devo trovare la
soluzione. Non capisci? Abbiamo il segreto dell’immortalità tra le mani.
Potremmo... rinnovare quest’esistenza. Il significato stesso di esistere. Creare
una nuova stirpe. Trasformare la nostra condizione di demoni in quella di
divinità benevole. Abbiamo un grande potere.
Il
giovane sollevò gli occhi al cielo come di fronte ai deliri di un vecchio
pazzo.
- E
allora, sentiamo: come concilieresti la tua santa volontà di cambiare il mondo
con il fatto che non riesci neppure a scacciare il piccolo tiranno di una
cittadina da nulla? È questo che ti suggerisce il tuo nobile animo volto al
bene?
-
Infatti è l’ennesima menzogna... Non dicevo neppure sul serio. Non siamo
divinità, ed è orribile anche solo ritenerlo possibile. Siamo due cadaveri
mantenuti in vita da sangue innocente che accresce il loro potere con l’andare
del tempo. E non ci rendiamo conto di essere irrimediabilmente sconfitti sin dal
primo momento in cui iniziamo a nutrirci di sangue, a mietere le prime
vittime.
Il
giovane si accucciò ai suoi piedi. Fiducioso, come anche lui era stato a suo
tempo.
-
Cosa vuoi che faccia?
-
Voglio che impari tutto ciò che avrò da insegnarti. Da questo momento in poi.
Che faccia gelosamente tuo tutto ciò che apprenderai e che da qui cercherai una
nuova strada.
-
Ma sono un dannato cadavere strappato alla tomba! Sono uguale a
te.
-
Sei un vampiro. Sei felice?
-
Sei stato tu a volerlo. Non io.
- E
per questo mi serberai rancore a vita? Un giorno impazzirai, mi darai la caccia
e cercherai di annientarmi? Oppure mi amerai, perché come una seconda madre ti
ho restituito una vita che non è propriamente vita?
-
Basta sofismi da quattro soldi! Io sto in piedi. Penso, vedo, sento. Osservo il
mondo da angolature che non avrei mai immaginato. Vedo con occhi di vampiro.
Posso assaporare la bellezza, la gioia. Ridipingerla di nuovi
colori.
-
La bellezza, già. La gioia. E il dolore. Non dimenticarlo. Cento volte
tanto.
-
Non ti ringrazio. E non ti odio. Le tue intenzioni non erano malvagie. Hai
disposto della mia vita, ma fino all’ultimo hai tentato quanto fosse in tuo
potere per salvarmi.
-
Cosa avresti fatto, se fossi stato al mio posto?
-
Non lo so. Non sono al tuo posto. Non ho la tua anima, il tuo cuore. Né i tuoi
occhi, le tue mani. I tuoi capelli... – e, con un guizzare fulmineo, la sua mano
corse ad accarezzargli il viso.
Scivolò
veloce sul suo collo, lisciandogli i capelli e radunandoli in una coda sulla
nuca.
-
Potresti apprenderlo, piccolo, lo sai? Potresti bere da me, aprire le tue vene e
la tua mente e accogliermi in te. Penetrare la mia anima, scandagliare la mia
mente, i miei pensieri. Essere una cosa sola.
- È
come fare l’amore?
-
Non altrettanto intenso. Non altrettanto... umano. Sai qual è il tuo difetto
peggiore, figlio? Pensi ancora come un uomo. E non sei un
uomo.
-
Devi insegnarmi tu.
-
Bugiardo. Ti stai ingannando. O mi stai ingannando... Chi potrà dirlo? Tutto ciò
che vedi davanti a te, è come se fosse stato riscritto da capo. Vedi e
percepisci ciò che prima non potevi vedere né percepire con facoltà sensoriali
limitate. Ora sono cambiate le categorie con cui osservi e assapori tutto ciò
che ti svolazza intorno. Pensa a un prisma, a un caleidoscopio attraverso cui
puoi guardare la realtà. È cambiato. Diverso. Tutto più intenso, amplificato, le
sfaccettature moltiplicate all’infinito, in un modo che si avvicina sempre più
intimamente all’essenza ultima delle cose. E tu invece no: continui a
inciampare, a ingannarti. A parlare come se potessi ancora servirti delle stesse
categorie mentali di quando eri mortale. Non è così. Lo sai, ma parli come se il
sottoscritto non avesse ancora capito che la tua è una scherzosa
ripicca.
E
poi, improvvisamente, si accorse di avere il volto fradicio di lacrime. Un
ricamo rosso sangue sulle ciglia e giù lungo gli zigomi.
-
Perdonami.
-
Io... Ho assalito Dorian! Non m’importava nulla, in quel momento. E se avessi
premuto un po’ più intensamente sulla giugulare, lui a quest’ora si dibatterebbe
tra la vita e la morte, sfiancato e prosciugato.
-
Ma ti sei trattenuto. Dorian sta bene. Te ne sei accertato tu stesso. Sul
momento, non mi sono neppure fidato sulla tua parola. Ho preferito assicurarmene
personalmente. Ammetto di averti
odiato, in quell’istante. Di aver desiderato spazzarti via. Sembravi... diverso.
Freddo, insensibile persino al dolore.
-
Bravo. Ed è ciò che sono. Ciò che siamo veramente… La nostra versione più
autentica. È il momento solenne in cui si esplicita la nostra natura nella sua
pura accezione. E fai bene a disprezzare tutto ciò.
-
Ma non l’hai fatto. Hai avuto rispetto per la vita di Dorian. Vuoi tornare alla
locanda e controllare che stia bene? – azzardò il vampiro
giovane.
-
Potrei. Ma è superfluo.
E
poi, per un attimo, fu quasi certo che il suo novizio l’avesse preso in parola
e, goffamente, cercasse di affinare i suoi nuovi poteri per potergli leggere
nell’animo, oltre il filtro mobile delle iridi. Per un attimo temette quasi di
potersi commuovere. Il suo piccolo… Così adorabile, ingenuo e
puro!
-
Lo ami – domandò il più giovane – È così? Ami Dorian?
E
lui decise che era giunto il momento di interrompere il breve legame mente con
mente, spirito e spirito. Accavallò le gambe, distogliendo lo sguardo e
abbozzando un sorriso di labbra sanguigne.
-
Può anche darsi. Non lo so. L’amore come l’hai inteso in questo momento è
concetto tipicamente umano. Ma può essere qualcosa che si avvicina, qualcosa in
grado di eguagliarlo. Sì. Amo te. Amo Dorian. Ma vorrei che lui non ricambiasse
mai il legame. Ed io stavo quasi per legarlo a me. Non potevamo
rischiare.
-
Cosa farai adesso?
-
Nulla, figliolo. Aspetterò che si svegli e dimentichi tutto. Tutto ciò che
ricorderà avrà lo stesso valore di un sogno frutto
dell’ebbrezza.
Il
vampiro giovane sorrise.
- È
strano pensare che... Un ragazzo poco più che ventenne, sia mio
padre.
Lui
si strinse nelle spalle.
-
Sono colui che ti ha creato. Non basarti sul mio aspetto, sulle poche rughe
della mia faccia. Ho sei anni in più di te.
-
Eri un ragazzo, allora, quando qualcuno ti ha reso come sei
ora.
-
Non è passato molto tempo. Sono tra i più giovani e deboli della mia razza.
Avevo ventun anni, quando sono stato fatto vampiro.
* *
*
Fernand
avvertì un sibilo stupefatto morirgli in gola, le braccia di Auguste scioglierlo
dalla loro stretta.
Qualcuno
che bussava giù in strada. Quattro tocchi taglienti, nocche ossute sul
legno.
Quasi
si catapultò giù dal letto, coprendosi distrattamente con il lenzuolo e
affrettandosi a indossare pantaloni e camicia. Per un istante quasi maledì se
stesso e la fastidiosa, imprevedibile tonalità vermiglia che gli aveva
incendiato le guance, quando gli occhi impertinenti di Auguste, laghi
perfettamente calmi in superficie, gli si erano riversati addosso, scorrendo su
di lui quasi fosse un’interessante suppellettile. Sui riquadri di pelle lasciata
nuda dalla foga di rivestirsi alla meno peggio e di dare un nome a quelle
insistenti, fastidiose percosse sulla porta.
Distolse
lo sguardo: una parte della sua mente, quella lucida e assai più disincantata,
gli diceva che non c’era alcun bisogno di comportarsi come una fanciullina
pudica, e che Auguste aveva già avuto modo e tempo, quella notte, di
concentrarsi vista e tatto sulle sue intimità generosamente scoperte. Neppure la
sua sorellina Ambrosie aveva battuto ciglio o dato segni di chissà quale
profondo sconvolgimento, quando le aveva rivelato di essere stato con Dorian,
con un altro ragazzo ovvero con il suo miglior amico.
L’altra
parte, invece, gli sussurrava che qualcosa nell’aria si era
spezzato.
Infastidito,
si mosse in direzione della finestra.
-
Ti piace quello che vedi, Auguste? – gli sibilò a
bruciapelo.
Vagamente
inacidito.
-
Sei vestito, Fernand. Cosa potrei vedere che non abbia già visto? Sei bello in
ogni possibile declinazione.
Fernand
si ritrasse con un soffio inferocito. E infilò lo sguardo oltre la finestra.
Pentendosi subito dopo, quando una fitta al petto, qualcosa a metà fra la
gelosia e il timore di essere miseramente scoperto, contribuì a rendere il suo
decisivo risveglio una scudisciata in pieno volto.
-
Visite per te, Auguste – sussurrò, gelido, senza spiegarsi quella sfumatura di
rabbia impotente che gli serpeggiava nella voce e nel tremore delle
dita.
-
Emilie?
Fernand
si vergognò solo un po’ del proprio fremito di trionfo, quando vide Auguste
sbiancare.
-
Proprio così – sogghignò – È venuta a chiedere la tua testa, suppongo. Sei un…
marito? Compagno? Irresponsabile. Inaffidabile, lunatico e completamente fuori
di testa. Cosa pensi che voglia, ancora, da te?
Auguste
inarcò un sopracciglio con quel modo di fare flemmatico che finiva sempre per
dargli sui nervi.
-
Hai esaurito la lista dei titoli onorifici, Fernand? Io credo che Emilie sia qui
per mandarmi all’inferno una volta per sempre. Sai, qualcosa mi dice che non
abbia alcuna intenzione di stare ancora con me.
-
Oh, alleluia! Però, ecco, c’è una conseguenza a cui non avevo
pensato…
Fernand
avrebbe voluto imporsi di tacere, ma un nodo d’amarezza stretto alla gola gli
impediva di tener ferma la lingua. Si passò una mano sulle labbra,
meditabondo.
–
Se Emilie ti ha lasciato – sputò fuori – Quale migliore occasione per mandare al
diavolo ogni scrupolo del caso e divertirti con uno scemo disposto ad
assecondarti?
-
Fernand, sei una serpe! Vuoi provocarmi ignorando che sono stato sincero e mi
sono confidato con te? Mi reputi tanto stupido? Mio Dio… Ti butterei fuori a
calci, se fossi sicuro che è ciò che pensi veramente e che non siano stupidi
giochetti di parole, bugie per cavar fuori verità! È così? E allora ripeto che
non ho nulla da nasconderti; che ho una sola faccia, ed è quella che vedi in
questo momento e la stessa che hai visto stanotte.
-
Va bene, Auguste, hai ragione… – Fernand si impose di annuire, esasperato, senza
riuscire tuttavia a scacciare quel cattivo presentimento che assumeva i contorni
di un magone strisciante - È meglio che vada – si risolse, stringendosi nelle
spalle.
E,
mentre si accingeva a sciacquarsi il viso nel catino d’acqua che Auguste gli
aveva porto, per un attimo sperò gli tornasse utile a dissipare almeno un po’ il
sospetto e la nebbia dagli occhi.
-
Cerca di fare in fretta – gli ingiunse Auguste, un velo di risentimento nella
voce.
Fernand
si diresse verso la porta, zoppicando su uno stivale solo e lottando per
infilare l’altro, quando il volto bianco di Emilie s’impose sul suo campo visivo
come un miraggio di folti capelli scuri finemente acconciati. Trattenne il
fiato.
Così
poco tempo a disposizione per schiarire le idee e tentare di far tornare ogni
cosa al proprio posto… Di imbastire una storia verosimile. Fernand, l’idiota
sentimentale, e gli squilibri ormonali di casa de
E
poi, deglutendo con fatica, i lineamenti del volto modellati in una specie di
smorfia, si costrinse ad abbozzare un sorriso forzato. Anche se lo svantaggio di
saper arricciare il naso in un moto di istintivo disprezzo fu sufficiente a
rendere vano lo sforzo.
-
Salve, Ferdinand.
Che
diavolo ci fai qui, maledetto impiastro? Maledetta testa calda che insieme ad
altre vipere hai rischiato di mandare il mio Auguste in rovina… Ecco,
se Emilie l’avrebbe detto a voce oltre che con gli occhi, se non altro le sue
parole sarebbero suonate un po’ più sincere.
-
Io… stavo andando via – riuscì a biascicare, sillaba dopo sillaba trascinate
controvoglia una dietro l’altra.
Grazie,
signori, ma preferirei non essere presente, quando volerà qualche oggetto
contundente che, data la mia fortuna nel capitare tra incudine e martello,
potrebbe colpirmi in pieno.
E,
solo quando fu sicuro di aver oltrepassato la porta, il battito impazzito del
suo cuore cominciò ad acquietarsi lentamente, suggerendogli che forse ora era al
sicuro, all’aperto a respirare l’aria tersa del mattino. Un cenno di saluto
lasciato in sospeso dietro a sé e il rischio non calcolato, nella fretta, di
prendere male le misure e ritrovarsi lungo disteso sul pavimento
dell’anticamera, vittima di un incontro ravvicinato tra la propria fronte e lo
spigolo della porta.
Lontano
dai fumi dell’ira di casa de
Buonasera
a tutti!^^
Ventisettesimo
capitolo concluso, quasi non ci credo. Poiché lo studio e gli appelli di
settembre incombono, passo subito ai ringraziamenti dovuto, ossia i lettori
abituali e non, nonché coloro che hanno aggiunto NT tra i preferiti e le
seguite.
Il
mio ringraziamento va in particolare a Witch e Yami che mi hanno lasciato il loro
commento, perciò passo subito a rispondere alle
recensioni.
Witch:
carissima, grazie innanzitutto del tuo commento^^. Nonostante se ne sia parlato
tantissimo in chat… Piccoli spoiler annessi, XD. Sono contenta che il pezzo sui
due vampiri, che finalmente cominciano a svelare la loro maschera (uhm… ma forse
no: diciamo che ci hanno fatto l’onore mostrarsi sulla scena, nel bel mezzo
dell’azione, ecco), ti sia piaciuto. Abbia raggiunto il livello di tensione che
desideravo, ecco. Dorian è un cucciolo, povero… Inizialmente il capitolo mi
sembrava un po’ confuso… I nomi per il momento non vanno svelati (XD), anche se
le eventuali *ipotesi* lettori mettono sempre una certa
curiosità!
Yami:
ciao, carissima, ti ringrazio per aver recensito questo capitolo, nonché per
continuare a seguire NT, nonostante le attese tra un aggiornamento e l’altro,
XD. Dunque: ammetto di essere stata un po’ cattivella nell’aver accuratamente
evitato di svelare nemmeno in parte l’identità dei due vampiri… Come sempre, le
ipotesi del lettore mettono sempre una certa curiosità! Chissà, forse in questo
capitolo ci sarà qualche tassello in più sulle motivazioni del vampiro più
anziano, del suo modo di vivere la propria condizione, della sua personalità. E
qualche piccolo indizio all’orizzonte. La lemon Auguste/Fernand era nell’aria
sin dal primo capitolo (XD)… E sono contenta di essere riuscita a rendere il
fatto che Auguste si fosse curato più di Fernand che si se stesso. Insomma,
tendo a rifuggire un po’ dalla lemon meccanica fine a se stesse, un po’
stereotipata. O, almeno, spero di essere riuscita a rendere questo. In questo
capitolo vedremo un po’ le reazioni dei due la mattina dopo, al risveglio.
Ovviamente entrambi hanno ben pensato di fare le bizze, e poco mancava che
litigassero. Insomma, hanno caratteri che s’infiammano facilmente e di tanto in
tanto rischiano persino di rovinare in un battito di ciglia ciò che hanno appena
faticosamente costruito. Terribili, insomma, XD. Dorian… Penso che a questo
punto ciò che prova per Fernand vada molto, molto più in là della semplice
amicizia con contatto fisico annesso (e che contatto!). Io stessa ho tirato
quasi un sospiro di sollievo al fatto che il vampiro non sia intenzionato a
fargli del male. Sì, perché ormai, naturalmente, sono loro a comandare, a
decidere le trame.
Okay.
Penso di aver concluso. Ringrazio ancora tutti, ricordando ancora una volta che
i commenti sono l’Amore, e sperando che quest’ultimo capitolo sia di vostro
gradimento.^^
Un
abbraccio, alla prossima! =(^.^)=