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Autore: Cassandra Morgana    06/09/2010    0 recensioni
Un tiranno ed una città a un soffio dalla guerra civile.
Un gruppo di ragazzi improvvisati ribelli, persi nelle sfuggenti sfaccettature del loro essere e del loro ruolo, fra le trame di un complesso interagire nel mondo.
Una minaccia soffusa che aleggia nell'aria...
Un luogo immaginario e un momento storico immaginario, "riconducibile" al XVIII secolo europeo.
Benvenuti a Noir Trésor!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Noir Trésor ~'
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Capitolo 27

Il male minore

 

 

Auguste sbatté le palpebre sotto il cono di luce calda gli si era abbattuto sul volto, forzando il suo risveglio.

L’intero istante successivo fu dominato dalla visione di Fernand accoccolato lì accanto, i capelli chiari che gli ruscellavano sulle spalle. Riposava al suo fianco, il capo timidamente reclinato sulla sua spalla, e per un istante i suoi lineamenti delicati che sfumavano davanti ai suoi occhi in un velo sottile di caligine, tra il biancore abbagliante delle lenzuola e le curve dell’oblio che gli offuscavano la mente.

Scosse le ciglia, quasi a voler sottrarsi al magnete che continuava a proiettare il suo sguardo su di lui, un velo sottile di penombra che si addensava intorno agli occhi socchiusi e sotto le ciglia, inedita dolcezza raccolta nella piega delle labbra.

Sospirò. L’aveva sorretto tra le braccia e deposto sul letto come un fagotto estremamente prezioso. Solo qualche ora prima. E Fernand aveva accostato la guancia umida alla sua, offrendosi debolmente alla sua stretta.

Auguste avvertì il suo essere collassare nelle scintille di quella notte.

Un istante. Fernand che gridava il suo piacere di fuoco liquido e si lasciava andare alla deriva. Forse aveva davvero perso i sensi tra le sue braccia – oppure era troppo stanco, stremato dall’ondata densa di piacere che gli si era infranta addosso; troppo, per riprendere di coscienza e trascinarsi a letto con la sola forza delle sue gambe.

 

La lama di luce che lo aveva distolto dal suo sonno di piombo riprese a solleticargli le ciglia. Il suo primo istinto fu di stringersi a Fernand, braccia abbandonate lungo i fianchi e muscoli rilassati, il viso immerso nel sonno simile ad uno strato di marmo sottile appena mosso in superficie. La trama di un istante fissata in un sospiro leggermente strascicato.

Auguste sbatté le palpebre, mentre Fernand si allungava lentamente al suo fianco. Sembrava… diverso, intimamente diverso – solo rispetto a poche ore prima –, come se la frenesia di quella notte si fosse adoperata a riempire una tela vuota. In silenzio, osservò i suoi capelli allargarsi sul guanciale come una cascata, come il ricamo deliziosamente cesellato delle sue giunture. Pelle bianca e muscoli tesi sotto la cute, e il petto e le spalle ricettacoli di eburnea perfezione.

Mio Ferdinand

Era stato con lui. I suoi capelli intrecciati fra le dita, labbra contro labbra, e le loro intimità a sfiorarsi.

Si strinse a lui: no, non l’avrebbe distolto dal suo torpore. Voleva solo sentirlo caldo e vivo sulla propria pelle, strettamente allacciato a lui com’era stato quella notte. Perché tutto era accaduto in una notte.

Spalancò gli occhi nell’incertezza. Fernand si mosse nella nebbia del sonno che si affievoliva dinnanzi a lui, e per qualche attimo si lasciò cullare dalle sue braccia.

Auguste gli scostò i capelli dal viso, scendendo poi a disegnare in punta di dita il contorno nitido delle spalle. Serrò le palpebre, la confusione liquida e mutevole del risveglio che gli scompaginava la mente.

Lo amava. Era solo questo. Nient’altro, in fin dei conti.

Avvertì un morso di tenerezza, un atavico istinto di protezione serrargli lo stomaco, quando Fernand rotolò verso di lui, imprimendo un contatto più stretto fra loro. E respirando contro il suo petto.

Un bacio appena accennato sulla fronte fu sufficiente ad accelerare la sua ascesa dall’oblio alla veglia. Fernand si riscosse.

- Auguste, io… – biascicò con voce roca, come un gatto geloso d’attenzioni: attenzioni che presto si affrettò a reclamare, piantandogli addosso i suoi occhi di metallo e sussurrandogli obbedisci.

Auguste immaginò la linea diritta dei suoi fianchi nell’atto di ruotare verso di lui, il movimento morbido attutito dalle lenzuola. Non era ancora giunto il gelo della consapevolezza a spezzare l’incanto, né la percezione nominale di ogni implicazione esterna.

Un lampo che gli esplodeva nella mente, repentino. Lucien, Emilie. Dorian. Ambrosie e Raphäel che forse – chissà… – giocavano a farlo impazzire con i loro giochetti d’astuzia, lei con l’intreccio ipnotico delle parole, lui con quegli occhi ambigui e con la somministrazione di droghe a tradimento.

E chissà quale altro conflitto nell’aria.

Ed ora, era innocente ciò che era accaduto, oppure si trattava ancora una volta d’imboccare la strada sbagliata con il più ampio margine di rischio?

Fernand scosse il capo, quasi a leggere i suoi dubbi.

- Auguste, non serve dubitare ora. Mi basta quello che ho visto. Che ho sentito sulla pelle. È reale. Siamo io e te.

 

Non parlare in astratto, Fernand. Non recitare filastrocche imbastite sul momento. Non tentare l’ennesima astuzia. Vuoi chiedermi se tutto questo, per me, ha significato qualcosa?

 

- Non vedo di cosa potrei dubitare, Fernand. Abbiamo fatto l’amore, è piuttosto chiaro.

- Abbiamo fatto l’amore… – gli fece eco Fernand, la voce pericolosamente serpentina, per poi stringersi nelle spalle.

Auguste distolse lo sguardo. Avvertì l’impronta di un sorriso formicolargli sulle labbra, al pensiero di conoscere ormai pressoché alla perfezione ciò che si celava sotto le lenzuola. La pallida levigatezza della sua pelle, l’armonia delle sue membra decise. Il calore palpitante del suo sesso mentre lo stringeva a sé.

- E questo non toglie che lo rifarei – si affrettò a sottolineare.

- Cosa succede, Auguste? – Fernand si tirò su, puntellandosi sui gomiti.

Una ciocca di capelli gli ricadde davanti al viso.

- Succede che hai vinto.

- Io non… – Fernand lasciò vagare lo sguardo intorno alla stanza, smarrendosi nei suoi pensieri.

O, chissà, forse voleva solo guadagnare tempo. Estirpargli le parole a tempo debito con un paio di tenaglie affilate.

- Credo di amarti, Fernand. È questo che ti getta nel panico?

Fernand aggrottò la fronte. Per un istante, Auguste fu certo di veder scorrere sul suo viso un lampo quasi sofferente. E poi una sorta di sorriso – un’ombra sfuggente sulle labbra, presto celata dalla massa arruffata dei suoi capelli –, mentre si lasciava avvolgere dal suo abbraccio.

- Quindi, Auguste… Era questo. Il tuo problema impronunciabile!

- Non si chiama problema e non è soltanto questo, Fernand.

- Si chiama gelosia, Auguste. Ti sei ficcato in testa che per qualche strano motivo io avrei i requisiti per portare a buon fine ciò che tu ti sei limitato a iniziare. E se questo da una parte ti era sembrato utile per sollevarti delle tue responsabilità, dall’altra ti sta portando all’ossessione. È così? Da quanto?

Auguste si sforzò di mantenere lo sguardo fermo.

- Dannazione, Fernand! Perché riesci sempre ad inquinare tutto a tutti i costi, a vedere il marcio dappertutto e in qualsiasi momento?

- Oh, era una piccola constatazione. Ed è qualcosa che ora riguarda me e te a pieno titolo, stavolta. Avrò forse il diritto di sapere perché improvvisamente vuoi che stia con te?

- Che razza di domanda idiota…!

- Cos’ha riacceso il tuo interesse nei miei confronti, Auguste? Fino a ieri mi guardavi come se mi odiassi. Poi sei diventato… strano.

Auguste soffocò l’impulso di scoppiare a ridere.

- Sei bello, Ferdinand. Come dovrei guardarti, scusa?

- ‘fanculo!

- Sei terribile! – Auguste si svincolò lentamente dall’abbraccio, un misto d’ironia e perplessità – Ti rendi conto almeno un po’? Mi abbracci e al tempo stesso cerchi di ferirmi… Dannata lingua tagliente!

- Quindi – Fernand sorrise, sibillino – Sarei una specie di demone tentatore… È corretto?

- No. Penso solo che tu sia un po’ troppo abile a confondere le idee. Non marciarci sopra a lungo, Fernand. Pensi che non stia giocando a carte scoperte?

- È che… non è chiaro dove tu voglia arrivare. Solo questo – Fernand si ravviò nervosamente i capelli.

- E dove vorrei arrivare…? Sentiamo un po’ dove vorrei arrivare.

- Oh, questo dovresti saperlo tu. A indorare la pillola fino a portarmi sui tuoi propositi, naturalmente. È la logica del male minore, Auguste: meglio quella gran testa calda del Laroche… di qualcuno tipo Dorian, magari – un sorrisetto sagace gli increspò le labbra, gli occhi stretti a fessura.

Auguste fece appello a tutta la propria volontà per mascherare la sensazione di gelo che gli aveva attanagliato le ossa, non appena il nome di Dorian gli era rimbalzato nella testa.

- Mi fido di te, Fernand – si limitò a sussurrargli.

- Non ti fidi di Dorian.

- Dorian non c’entra nulla. Si parla di me e di te, in questo momento.

- Già. Però, se permetti, vorrei essere sicuro di meritare davvero la fiducia dell’ultima persona che mi sarei aspettato. E della persona con cui ho appena fatto l’amore.

Auguste stirò le labbra in un mezzo sorriso spazientito: adesso era guerra aperta.

- Immagino che il tuo amico dai riccioli biondi ti abbia riempito la testa a dovere. Della sua versione, naturalmente. Sai, Fernand: sono meno sprovveduto di quanto voi pensiate. È difficile immaginare che lui non si sia mai lasciato andare a qualche confessione al suo miglior amico davanti a un bicchiere di vino. Sbaglio? – sorrise, condiscendente.

Giocare sulle reazioni di Fernand stava diventando un’allettante caccia al tesoro. E, se fosse stato abbastanza cauto, sarebbe persino riuscito a non sconfinare nella lite.

- Questo non è importante, Auguste – Fernand scosse il capo, le braccia incrociate sul petto – Io vorrei… poter fare qualcosa, davvero.

- No – lo interruppe Auguste – Tu non farai un bel niente. Lascia stare. Non parlarne. Fai conto di non aver mai sentito nulla.

- Non posso fingere di non sapere nulla. Pensi che io sia… venuto a letto con te per perorare la sua causa?

- Non è neanche questo – Auguste si sforzò di sorridere, rassicurante – No, Fernand… Dannazione! Penso che il signor Desgrais abbia messo un po’ troppo di suo dentro questa testolina – gli soffiò, le dita che correvano ad arruffargli i capelli sulle tempie.

- Il signor Desgrais che non è il signor Desgrais? – puntualizzò Fernand, caustico.

- Dio…! – Auguste sollevò gli occhi al cielo, il fianco scoperto di fronte alla stoccata improvvisa.

Per un istante si domandò quanto sarebbe stato lecito e conveniente impacchettare ben stretti in catene quei due sciagurati e spedirli in qualche posto lontano e sicuro senza colpo ferire.

- Fernand, non sono affari che ti riguardano!

- Pardon, io credevo che mi riguardassero eccome… – un bagliore luciferino gli lampeggiò in fondo alle iridi – Sono o non sono il nuovo… capo? Avrò diritto di sapere come diavolo muovermi nel marasma che ti sei lasciato alle spalle?

- Innanzitutto, tu non sei a capo di nulla e non sei il capo di nessuno – si affrettò a redarguirlo Auguste – Come se non bastasse, le cose a cui ti riferisci non hanno niente a che vedere con te né con ciò che ti chiedo di fare.

- D’accordo, come vuoi tu… –Fernand annuì, lo sguardo scettico fisso in un punto imprecisato in fondo alla stanza – Anche se non sono sicuro di aver capito.

- Hai capito, Ferdinand! – Auguste lo scosse per le spalle, lo sguardo fermo – Lascia fuori Dorian da questa faccenda. Non metterti e non farlo mettere in situazioni di pericolo. E dato che il tuo amico ti sta molto a cuore, la cosa migliore che puoi fare per lui è fare in modo che se ne stia il più possibile alla larga. Lontano, esposto il meno possibile… Non lasciare che agisca in prima linea. Che si avvicini a Palazzo du Lac.

- Insomma… – Fernand arrotolò distrattamente una ciocca di capelli tra le dita – Dovrei tramutarmi né più e né meno in ciò che tu sei stato per mesi nei nostri confronti. Dovrei recitare la mia parte. Trattarvi tutti da bambini scemi e imbastire segreti uno dopo l’altro. Sai che noia…!

- Proprio così. Non c’è nulla di divertente – replicò Auguste, secco – E assecondare Dorian è quanto di più imprudente possa fare.

- Dove vuoi arrivare? – Fernand spalancò le palpebre, interdetto.

- Non voglio vedervi giocare a viso aperto.

- Tipo?

- Tipo scatenare tumulti in città… Perché lo so, Fernand, vi conosco, non sono un ingenuo: è la prima cosa che cerchereste di fare, che state caldeggiando da secoli, non è così? Vi dareste alla pazza gioia. Ed è ciò che temo più di tutto il resto. Soprattutto per Dorian… non è mai stato troppo ragionevole da questo lato. Pensa che uccidendo il duca risolverebbe ogni problema.

- Auguste, parla chiaro! – Fernand scosse la testa, spazientito – Perché non provi a… parlare con lui? Con Dorian, anziché con me?

Auguste chinò lo sguardo. Per un attimo fremette nel desiderio bruciante di aggredirlo con parole abbastanza dure da cancellare in lui ogni velleità d’infilare il naso nelle faccende tra lui e Dorian. E, con Fernand, sapeva che sarebbe stata una scommessa persa in partenza: avrebbe finito soltanto per esacerbare il desiderio di Fernand di agire di testa sua.

Sospirò: era chiaro come il sole che la piccola serpe aveva agito in modo da far pendere l’ago della bilancia dalla propria parte, a fare di Fernand un suo alleato prezioso. E doveva averlo imbottito per bene di chiacchiere, rifletté, mordendosi nervosamente il labbro.

E ora era necessario contrapporre qualcosa a proprio favore. Ad esempio, snocciolargli la sua versione dei fatti, la sua campana – ma era quanto di più avventato avesse potuto fare.

- Ferdinand… – gli sussurrò alla fine – Basta così. Non ne verresti a capo.

- Ma Dorian… sta male. Non si fida di te, non si fida più di nessuno.

- Me ne ero reso conto anche da solo. Ed è il male minore – concluse, serrando le labbra.

Era quasi ipnotico il modo in cui Fernand giocherellava con il bordo del lenzuolo. Distrattamente. Qualcosa gli suggeriva che il piccolo intrigante numero due avesse qualche altra carta consistente da giocare.

- Allora, mettiamola così – Fernand mosse di nuovo lo sguardo su di lui, i palmi in bella vista come a dire non c’è trucco e non c’è inganno – Io non metterò il naso nelle tue… nelle vostre faccende personali. Non farò domande. Questo però non toglie che esiga chiarezza almeno da parte tua – chinò lo sguardo, colpevole – Io non c’entro nulla, siamo d’accordo. Però credo che tu sia l’unico, in questo momento, a dover aiutare Dorian. Soltanto questo.

Auguste sorrise, accondiscendente.

- Temo ti stia chiedendo se ciò che ho fatto finora, qualunque cosa sia, abbia avuto lontanamente a che fare con il bene di Dorian: è questo il dubbio che ti rode?

Fernand gettò il capo all’indietro, soprappensiero, un misto di stupore e sollievo a pervadergli i lineamenti.

- Esatto… – cinguettò, sornione – Riesci a leggermi nel pensiero?

Ad Auguste parve pressoché doveroso regalargli un breve sorriso. Si sporse verso di lui. Non è stato difficile, stavolta.

- Perché avrei scelto te, se non fosse così? – gli sussurrò – In ogni caso, la risposta è . Per Dorian sarebbe il danno minore.

- Il danno minore? Devastarlo di dubbi? Tenerlo all’oscuro… di se stesso, del suo passato… della stessa causa per cui sta lottando? È… meglio?

Auguste fu tentato di domandargli a bruciapelo fino a che punto Dorian l’avesse introdotto alla conoscenza di cose che non avrebbe dovuto sapere. Fino a che punto si fosse spinto in là con le sue confidenze da ubriaco – perché doveva essere stato senz’altro ubriaco, Dorian, per lasciarsi andare a confessioni da perfetto incosciente.

Tuttavia, qualcosa, ancora una volta, gli disse che ancora una volta tacere sarebbe stata la scelta migliore. Barcamenarsi a stento, in bilico su un filo di lana, basandosi sulla semplice intuizione e sulle mezze verità che galleggiavano in quel delizioso cervello in fermento.

- Non è il momento, Fernand. La posizione di Dorian è delicata, e vorrei che tu mi aiutassi a… proteggerlo da quello che potrebbe fare – Auguste sentì la testa girargli, la sua stessa richiesta come una spada arroventata a un soffio dalla sua pelle – Per favore.

- E da cosa dovrei proteggerlo? – Fernand inarcò un sopracciglio, dubbioso.

 

Legittimo, dannazione. Dubbio legittimo. E legittimo, a questo punto, chiedersi se la persona con cui ha appena condiviso il letto non sia completamente pazza o in preda a strane visioni.

 

- Da se stesso, Fernand. Da certi gesti avventati pienamente nel suo stile. Ora, se permetti, preferirei chiudere la questione. Almeno… per adesso – tentò di risolvere.

E poi tacque. In silenzio, osservò Fernand, raggomitolarsi sotto il velo sottile delle lenzuola, meditabondo, un velo di tristezza incollato alle palpebre. Per un istante gli si figurò nella mente il suo corpo nudo, le braccia nervose tese ad abbracciarsi le ginocchia e i brividi sulla sua cute, sotto quell’unico schermo di stoffa sottile che li divideva, celandogli il suo corpo – e la loro notte di cristallo fragile, splendido nei suoi bagliori mutevoli.

Fu colto da un fremito di dolcezza. Era lì accanto a lui, una barriera sottilissima a separarli, e solo un istante per squarciare l’intrico dei dubbi che continuavano a rincorrersi, interponendosi tra loro.

Fernand si fissò le mani, quasi a evitare i suoi occhi.

- Perché hai scelto me, Auguste? – domandò di colpo, riaccendendo come per magia l’enfasi di un discorso che si era sforzato di ricacciare nel limbo del non detto.

- Mi pare di avertene parlato. Mi fido di te, Fernand.

Lo vide trattenere a stento una risatina beffarda.

- Tu ti fidi di me?! Del Fernand impulsivo, scavezzacollo e menefreghista? – sogghignò.

- È ovvio che non lo sei – Auguste s’impose la calma – Dannazione: vuoi costringermi a riprendere da capo fottutissimi discorsi, visti cento e mille volte? Vuoi che ricominci a elencarti per filo e per segno tutto ciò che penso? Credevo di essere stato esaustivo. Possibile che trovi divertente rifugiarti ancora in vecchi pregiudizi?

Fernand sollevò gli occhi al cielo.

- Non eri in te quella sera, Auguste. Stavi andando a seppellire Lucien, non eri lucido e l’unica cosa che desideravi era sbarazzarti del tuo fardello.

- Io voglio sbarazzarmi di un fardello, Fernand. Ma vorrei anche lasciarlo in buone mani. Se possibile, migliori di quelle che le hanno precedute.

Era così. Sputò fuori la mezza rivelazione che si teneva annodata alla gola da giorni o forse da mesi, come un veleno covato troppo a lungo, come una pallottola conficcata nella ferita, da rimuovere al più presto.

Fernand si dondolò su se stesso, gli occhi semichiusi.

- Voglio tornare al borgo… – mormorò sul filo di un pensiero espresso a voce alta, le labbra malferme – Preferisco gli occhi di mio padre che mi guardano con sufficienza, come il ragazzino viziato e troppo schizzinoso per sporcarsi le mani…

- Questo non è vero – Auguste alzò la voce senza quasi rendersene conto, interrompendolo – Tu non desideri tornare a casa, Fernand.

- Perché proprio me, Auguste? – Fernand gli scoccò un’occhiata implorante.

Auguste chinò lo sguardo. La verità bruciava. Era sufficiente anche un solo brandello.

- Perché io ho sbagliato, Ferdinand – proruppe – Ho sbagliato sin dal primo istante. A guardarti come un ragazzo petulante e vanaglorioso… Troppo freddo e concentrato su se stesso per portare avanti qualcosa non finalizzato alla propria autoaffermazione. Invece no, non è stato così. Ho scelto te perché era la cosa più giusta – deglutì, a disagio – Perché sei la sintesi delle qualità che mi mancano per portare tutto a compimento come dovrei. Perché io… non sono come te, Fernand. C’è bisogno di qualcuno a cui non tremi la mano, che non si porti addosso il fango di troppe sconfitte e incertezze.

- Questo non è corretto, Auguste… Ti stai dando del vigliacco da solo – Fernand cercava di tergiversare con un’enfasi che gli riempì il cuore di nostalgia – Che diavolo avrei io di speciale?

- Fa’ come ti ho detto, Fernand. Sono domande inutili. Ti basti sapere che c’è bisogno di Fernand e non di Auguste. Io non ho il tuo coraggio. Sei giovane, sai come stanno le cose, ed io ho stima e fiducia per te. Cosa manca?

- Una motivazione che stia in piedi.

Auguste lasciò che sulle sue labbra affiorasse un sorriso tirato.

- Rigirala come vuoi, ma non hai molta scelta. Se io abbandono il campo, dopo di me resti tu. Pensi che mi sia divertito, in tutto questo tempo…? Ciò che fa male, Fernand, è che io l’ho sempre saputo. E bruciava, maledizione. Pensare che in casa mia esistesse qualcuno più adatto di me e che io mi stessi semplicemente rifiutando di vederlo, di ammetterlo a me stesso, mentre usurpavo qualcosa che non mi apparteneva più da tempo… Questa era la mia causa, Fernand. Poi sei arrivato tu… è arrivato qualcuno migliore di me. Eri la persona giusta, ed io non avevo più senso. Specie dopo quel che è successo. O io o te, Fernand.

- Sei geloso…

- Di cosa? Del fatto che tu abbia dieci anni in meno di me, che non ti trascini certi errori dietro le spalle e che abbia ancora i nervi sani? Non c’è nulla di cui essere gelosi né di andare fieri, Fernand. La tua presenza è un dono del cielo.

- Non adularmi, ora. È che non vuoi Dorian tra i piedi. E ti sei tirato elegantemente fuori dalla questione al momento giusto.

- Hai indovinato – Auguste si costrinse a fissarlo negli occhi – Non voglio Dorian tra i piedi per la sua incolumità personale. Ma chissà, volendo potrei estendere lo stesso discorso a chiunque altro. A te, o a tua sorella.

- Che cosa diavolo ti ha fatto Dorian?

Auguste ebbe l’illuminazione, tanto che per un momento temette di esplodere in una risata inarrestabile. Cosa gli aveva fatto Dorian… La tentazione di prenderlo in giro, di metterlo definitivamente nel sacco era più forte che mai.

- Nulla di personale, Fernand… A parte questo – gli soffiò, sfiorandogli la gola nel punto in cui un segno rosso campeggiava in tutta la sua evidenza.

Il chiarore del mattino, sempre più esteso nella stanza, giocò a suo favore.

Un’espressione di trionfo gli stirò i muscoli del volto, quando vide Fernand avvampare di colpo. E poi si rese conto che era meglio di mettere fine al suo giochetto nel momento stesso in cui era iniziato, e prima che Fernand equivocasse sul serio.

- Queste sono sciocchezze, Auguste…

- Scusa… Non ho potuto resistere.

- Bravo, Auguste. Sei riuscito a farmi sentire in imbarazzo.

- Non si può dire sia stata una passeggiata.

Silenzio. Fernand fece saettare lo sguardo su di lui, le labbra che si dischiudevano in un sorriso indecifrabile.

- Non puoi farlo, Auguste.

- Che cosa non posso fare? – Auguste trasalì; una parte di lui fu tentata di scoccargli un’occhiata divertita.

- Confondere le due cose, mischiarle fra loro. La fiducia che sembri volermi accordare, e il fatto che…

Auguste indietreggiò d’istinto, puntellandosi i gomiti, mentre Fernand accostava il viso al suo, con noncuranza.

- Beh. Che ti sia invaghito di me, no? Io ti piaccio… – scandì con tutta naturalezza, un lungo miagolio che gli s’incuneò sottopelle.

- Sei terribile… – Auguste scosse il capo, scettico, evitando lo sguardo.

A tentoni, allungò la mano oltre il bordo del letto, verso il pavimento, alla ricerca della propria camicia abbandonata da qualche parte intorno al letto.

Poi Fernand si sporse verso di lui, il volto punteggiato da una viva enfasi ironica e, sfrontato, gli catturò le labbra con le sue.

- Così diventi prevedibile, mon ami… – gli sibilò, a un filo della superficie ultrasensibile della sua bocca.

Auguste lasciò scorrere una mano sul suo petto – contorni da tracciare dolcemente, in punta di dita –, vana ambizione di cancellare dai suoi occhi quell’espressione sfacciatamente padrona di sé, da burattinaio astuto.

- Non c’entra nulla, Fernand – tentò di rassicurarlo – Sono due cose separate, e questa è l’insinuazione più fantasiosa che abbia mai sentito.

E poi, qualcosa lo costrinse a socchiudere gli occhi. Trattenne il fiato. Non vedeva Fernand in volto, ma poteva sentirlo ridacchiare sommessamente, mentre si piegava su di lui e lo attaccava di sorpresa alla gola in un tripudio di leggeri sfioramenti. Il suo respiro pareva uno spasimo di gioia all’idea di farlo fremere sotto di sé, di calibrare dolcemente ogni sua sensazione. Illudersi di tenerlo per qualche istante in proprio pugno.

- Non del tutto, Auguste – Fernand sollevò il capo, piantandogli nuovamente addosso le iridi azzurre – Questo… baciarmi, toccarmi, fare sesso con me, ti dà motivo di conoscermi nel suo significato più completo. E forse di manipolarmi in futuro, chissà… Sono un foglio bianco ben mappato.

- Che sciocchezze, Fernand! Come puoi prendere per buone delle assurdità simili? Mi accusi di… sfruttarti? Di manipolarti usando il mio corpo? Mi dai della puttana? – Auguste sentì uno sgradevole formicolio stringergli la gola come un senso di strangolamento: era la vertigine che gli provocavano le velate provocazioni di Fernand, in sospeso tra la convinzione sentita e il ragionamento astruso – Allora potrei dire la stessa cosa di te: perché abbiamo appena fatto l’amore e tu mi parli di Dorian? Dopotutto, sei stato anche con lui…

Fernand impallidì, scostandosi da lui come alla ricerca di una boccata d’aria, di una via di fuga. Tanto che per un attimo Auguste credette che fosse davvero sul punto di scappare, lasciandolo in pasto ai dubbi che lui stesso gli aveva spinto a forza nella testa.

- Mi stai umiliando… – Fernand tirò su con naso, i capelli buttati sulla faccia come a voler schermare gli occhi lucidi – Ti giuro che non lo farei mai.

- Fernand – cautamente, Auguste gli prese il volto tra le mani, stringendolo in una carezza – Non… dubitavo di te. Davvero. Non mentivi stanotte né in questo momento. Non l’ho pensato nemmeno per un istante.

Fernand sbatté le ciglia. Una patina di fiducia fece capolino nei suoi occhi come un alone appena percettibile.

- Allora sarò sincero. È come dici. È vero: sono stato con Dorian. Abbiamo parlato a lungo, e lui… mi ha raccontato la sua storia.

- Cosa sai di lui, adesso? – Auguste temette di cedere all’impulso di vacillare o di compiere qualche passo falso.

E poi il viso di Fernand si indurì in un sorriso astuto.

- Le stesse identiche cose che dovresti sapere tu, Auguste. Tranne ciò che non dici. E che riguarda lui.

- Mi dispiace.

Auguste trattenne il fiato. Osservò Fernand inarcare un sopracciglio, scettico, un mesto scuotimento del capo.

- Devi parlare a Dorian, non a me – ripeté, quasi una nenia.

- D’accordo. Allora parliamo di noi – azzardò.

Nel silenzio carico che seguì, Auguste avvertì distintamente le labbra di Fernand serrarsi, le ciglia ondeggiare lentamente. Le sue braccia lo circondarono, il viso tornò a nascondersi nell’incavo della sua spalla, come a rivolgergli una domanda a cui neppure lui stesso avrebbe voluto dare voce.

Non vi era l’ansia di baciarlo, di accostarsi a lui e poi ritirarsi fulmineo in uno scatto sornione e sensuale. C’erano i suoi lunghi capelli ondulati a nascondergli il volto, e quella stretta, quella vicinanza quasi ossessiva che gli impediva di mettere a fuoco i contorni, l’espressione rivelatrice del suo viso.

- Fernand – riprese, un sussurro – Decidi tu cosa fare. Se restare o andare via. Se fidarti di me oppure no. Se… sei con me o con Dorian.

E, prima che lui stesso se ne rendesse conto, le sue dita corsero a sfiorare di nuovo la piccola impronta arrossata sulla gola di Fernand. Il segno delle labbra di Dorian. Si ritrasse, di colpo.

Perché, no, stavolta non aveva diritto di pretendere una risposta, di sentirsi infelice o messo da parte, di avanzare velate pretese o rivolgergli sorrisini caustici sotto cui celare il suo profondo, irrazionale senso di abbandono. Non aveva il diritto di raffigurarsi nella mente Fernand e Dorian stretti l’uno all’altro sotto lo stesso cielo, né domandarsene la ragione. O sentire il proprio cuore vacillare pericolosamente all’idea.

- Devo rispondere adesso? – Fernand gli affondò il viso nella spalla, respirando contro i suoi capelli.

Lasciandogli, come strascico imprevisto, un brivido lungo la spina dorsale.

- No, Fernand. Perdonami… – si morse il labbro.

 

Non ho diritto di domandare, di pretendere, di dichiararmi parte in causa, di stabilire un ultimatum.

Non c’ero, per te, Fernand. Non ci sono mai stato.

Tutto quello che ci ha uniti a doppio filo, fino a questo momento, si riduce a qualche occhiata in tralice dal significato incerto, all’ostilità reciproca, alla volontà di sbranarsi alla prima occasione pur di cancellare l’incubo di non riuscire a sfiorarsi. La paura di dover lasciare i sentimenti a giacere sul fondo, di sentire la loro morsa appena attutita, la rabbia che ribollisce sotto le macerie. Come un malefico sostrato con cui confrontarsi costantemente.

Meglio evitare di estinguere le fiamme e rischiare dopo di morire nel gelo.

Meglio urlarsi addosso ad armi snudate, se necessario, piuttosto che reprimere la tensione, smorzare il grido, lasciarlo spegnere nella polvere, e nel mentre posare le pietre per innalzare un muro sempre più alto.

 

Fernand si prese il capo fra le mani, soprappensiero.

- Cosa vuoi che faccia, adesso? – squittì, angosciato, capitolando.

Come se le sue braccia fossero l’unico rifugio disponibile nell’intero perimetro della stanza – l’unico angolo strategico che non lo costringesse a guardarlo negli occhi per l’eccessiva vicinanza –, proprio accanto alla fonte dei timori che gli rimestavano nella testa.

- Niente, Fernand. Niente che tu non vorrai. Non sei obbligato a scegliere se restare o andartene… Non è a me che devi rendere conto – Auguste si ritrovò a pronunciare le ultime parole come una sorta di maledizione in punta di lingua – Parla con tua sorella. Con Dorian… Con chi ritieni necessario. Se vuoi.

Fernand annuì distrattamente, uno strofinio di capelli sulla spalla nuda. L’espressione di chi non vede l’ora di abbandonare un discorso troppo fumoso e denso di pericoli. Un’arma a doppio taglio.

In silenzio, avvolto da una sorta di momentaneo torpore, Auguste si ritrovò a tracciare distrattamente con le dita una linea lungo il torace di Fernand. Dalla grazia nervosa della fossetta giugulare alla linea dello sterno, dove lasciò morire la sua carezza palpitante. Fernand sussultò a quella vibrazione sottile – la cute si costellò di brividi. Intrecciò le dita alle sue, cercando di lenire in un gesto dal sapore fraterno la scintilla di libidine residua che inavvertitamente aveva scatenato il contatto dei loro corpi.

- È strano, Auguste – Fernand socchiuse gli occhi – Abbiamo fatto l’amore, e tu sai pensare solo alla tua adorata congrega… A cosa faremo adesso.

Ecco un’altra stoccata in pieno petto.

- Shh… – Auguste pensò che intrappolare le labbra di Fernand sotto le sue fosse un sistema sicuro e collaudato per allisciare la piega difficile che il discorso stava per riprendere.

Fernand che tornava alla carica, disarmante e senza peli sulla lingua.

- Devo chiederti se ti è piaciuto? – proseguì.

- Domanda banale e scontata – Fernand gli piantò addosso un’occhiata sarcastica, la voce strascicata – E conosci anche la risposta. Io e te non potremmo… barare, neanche volendo, credimi.

Auguste pensò che l’ideale sarebbe stato starsene così in eterno – con Fernand stretto tra le braccia, e lui tra le sue, il volto accostate al suo – e tutto il resto chiuso fuori da quella porta. Senza angosce.

Fu l’unico pensiero che gli attraversò la mente, mentre Fernand aderiva con tutto il suo corpo a lui, il desiderio di assaporare la sua pelle che danzava nel sangue. Si umettò le labbra, sornione, a metà strada tra un felino selvatico e dispettoso e un soldato ribelle.

Ed era inutile continuare a logorare quegli istanti con la barriera fuorviante della parola. Auguste distolse lo sguardo, sorridendo, ogni tassello che tornava magicamente a posto.

Dopotutto, lì di fronte a sé non vi era che lui, Fernand. Il ragazzo inaffidabile e imprevedibile che, a poche ore dalla morte sospetta di uno di loro, diffondeva libelli vergati di suo pugno e tentava di convertire in fiamma di dissenso la noia degli avventori di un’osteria. Il ragazzo che gli sferrava un pugno sul naso, per poi presenziare pallido e avvilito, il giorno seguente, al funerale del compagno caduto. E poi, ancora, eccolo di nuovo tentare di infrangere la sua armatura di dolore. Con una parola aspra e provocatoria o con una carezza.

Sospirò: era come se a un certo punto si fosse spezzato un tramite fra prima e dopo. E ora Fernand non era che l’amante. L’uomo del destino.

E lui, Auguste, ci avrebbe riflettuto all’infinito, si sarebbe cullato nel suo enigma di miele – pensieri sin troppo palesi addensati nelle pieghe della fronte, destinati ad esaurirsi in un’eco –, se solo quattro colpi secchi, come un bussare impaziente, non avessero frantumato il suo idillio.

 

* * *

 

Gli ultimi residui del livore della notte adombravano ancora il cielo, quando il vampiro si trovò a rimettere di nuovo piede nelle sue stanze.

Un appartamento nel piano seminterrato di un quartiere tranquillo sarebbe ancora stato un rifugio solido e dignitoso. Congedò il suo giovane compagno con un gesto stanco della mano, prima di tornare a liberare nella sua mente il ribollire dei pensieri, reso impenetrabile dalla maschera gelida del volto. Una piccola finestra sbarrata, dinnanzi a lui, proiettava la sua vista direttamente sulla via retrostante, il piano dell’acciottolato irregolare in linea con i suoi occhi. Sorrise: quella pallida apertura ignorata dagli stanchi passanti sarebbe stato l’ultimo pertugio in cui i raggi del sole avrebbero osato penetrare.

E lui era stanco: tremendamente stanco, e il rischio sfiorato troppo grande, quando aveva preso Dorian tra le sue braccia, per permettersi di dissipare le sue preziose energie offrendo il proprio volto ai capricci del chiarore diurno che di lì a poco sarebbe sopraggiunto. Soprappensiero, scrutò il proprio volto nello specchio, il colorito rosa soffuso sulle guance che per almeno qualche ora avrebbe reso il suo aspetto quello di un comune ventenne, piacente anche se non esattamente bello, i riccioli scuri tirati indietro sulla fronte pallida e vagamente inclinata, il profilo tagliente. Lo sguardo facile ad ammorbidirsi o a diventare di pietra. Il ragazzo ingenuo che era stato. L’ossessione di non accettare fino in fondo la sua natura era forse l’ultima traccia tangibile del suo passato, del suo spirito generoso, delle antiche utopie.

Era stanco della sua crudele follia, dell’illusione di continuare a condurre la vita che per un uomo mortale sarebbe stata la norma. Di rivelare a se stesso la propria natura soltanto la notte, quando la sete sopraffaceva ogni altra percezione, e allora diveniva belva senza altro scrupolo se non quello di trarre dalla carne e dal sangue il suo piacere e la sua sussistenza.

Aveva subito la sua seconda metamorfosi: da uomo mortale a bevitore di sangue che vorrebbe volgere verso un fine benevolo il suo potere sovrumano; a eclettico mago della sorte, capace di procedere il bilico su un filo troppo sottile, di giocare tra vita e morte, renderle entità interscambiabili. Lui, che aveva salvato la vita di quello che ora era il suo novizio e compagno immortale, bevendo la sua vita e donandogli lui stesso la morte. La morte per beffare la morte stessa.

 

Perché ridevi, sciocco? Pensi possa esserci ancora del bello, del buono, del nobile e misericordioso, in ciò che ho fatto quando ti ho reso uguale a me?

Ho voluto mostrarti l’altro lato della scomoda medaglia che portiamo appesa al collo senza averlo scelto. Ti insegnerò il poco che conosco, che ho appreso col dolore delle lacrime e del sudore di sangue.

Ti insegnerò a volgere al bene il tuo potere sotto la luce del sole. E ti insegnerò a diventare belva e a cibarti di sangue e di vita, prima che l’Aurora rosata porti con sé il sollievo di un dolce tepore e ci schiaffeggi crudelmente il male che abbiamo fatto, l’orgia mostruosa grazie alla quale siamo ancora in piedi, sanguisughe dalle guance brillanti e gli occhi accesi di vita. Di qualche vita rubata durante la notte.

 

- Che cosa succede, adesso? – lui.

Ancora lui. Sogghignava, sardonico nella sua parziale ignoranza. Accarezzava distrattamente le pesanti tende rosso cupo.

- Sei triste. È il senso di colpa per ciò che hai fatto.

- Taci, figlio. Non era una provocazione né un compendio dei vantaggi dell’essere vampiri. E prima imparerai quanto occorre, meno dovrò ripetermi.

- Sono tuo figlio, adesso? – arrotolò una ciocca di capelli lisci tra le dita di marmo, voluttuoso.

- Non puoi capire. Ti ho mostrato il lato crudele. Quello di cui non potrai mai fare a meno e che ti manterrà in vita fino ai tuoi ultimi giorni. Non devi biasimare tutto ciò né lasciarti andare ad una scandalosa ironia. Non sottovalutare la vita.

- È un male necessario.

- Potrebbe non esserlo.

- Quindi, adesso che cosa farai? Trascorrerai cinque giorni e cinque notti ignorando il morso della sete, fino a quando non sarai troppo debole per sollevarti dalla tua cassa e mi implorerai di procurarti il sangue che ti occorre?

- Potrei resistere all'impulso – dichiarò, petulante – Si tratterebbe solo di trovare l’alternativa.

E, per un istante, vide gli occhi del giovane oscurarsi minacciosamente.

- Ti reputavo saggio. Non ho mai sentito che un vampiro abbia prosperato  andando contro la propria natura e rifiutando il sangue, e nonostante ciò restare in vita. Devi essere disperato... È la disperazione e il rimorso per ciò che hai fatto. È il pianto per le perdite che hai provocato notte dopo notte. Non sei saggio, amico. Non sarà meglio, dopo.

- Non ce la faccio. Sto... male. Stavo per uccidere Dorian. E gli avrei chiuso gli occhi per sempre, se avessi perso il controllo anche solo per un istante.

- Sei un vampiro.

- Nemmeno tu ne eri felice. Sembravi inorridito. Mi hai odiato, è così? Hai visto la belva divoratrice, l’assassino che non si ferma di fronte a nulla.

- Ma poi ho compreso la lezione nuda e cruda, senza spiegazioni di sorta. È il male necessario.

- Piccolo ingenuo! Credi sia finita qui? Pensi che io sia un mostro, un essere maledetto. Ed è così. Io sono quell’essere. È solo che grazie alla mia maledizione tu sei scampato alla morte. Forse non era ciò che desideravi veramente, ma in quel momento hai visto in me l’eroe della fiaba. Una specie di dio luminoso che ti restituiva la vita con lo scotto di una menzogna. Invece non hai visto altro che un essere immondo. Che non ti ha reso la vita.

- Vorresti morire? Mandare tutto all’aria? - il vampiro giovane sembrava smarrito, terrorizzato.

Buon per te, mio giovane amico.

- Non potrei. Neanche se lo volessi.

- Potresti gettarti nel fuoco.

- Ma tu me lo impediresti. Non è una soluzione. Io devo trovare la soluzione. Non capisci? Abbiamo il segreto dell’immortalità tra le mani. Potremmo... rinnovare quest’esistenza. Il significato stesso di esistere. Creare una nuova stirpe. Trasformare la nostra condizione di demoni in quella di divinità benevole. Abbiamo un grande potere.

Il giovane sollevò gli occhi al cielo come di fronte ai deliri di un vecchio pazzo.

- E allora, sentiamo: come concilieresti la tua santa volontà di cambiare il mondo con il fatto che non riesci neppure a scacciare il piccolo tiranno di una cittadina da nulla? È questo che ti suggerisce il tuo nobile animo volto al bene?

- Infatti è l’ennesima menzogna... Non dicevo neppure sul serio. Non siamo divinità, ed è orribile anche solo ritenerlo possibile. Siamo due cadaveri mantenuti in vita da sangue innocente che accresce il loro potere con l’andare del tempo. E non ci rendiamo conto di essere irrimediabilmente sconfitti sin dal primo momento in cui iniziamo a nutrirci di sangue, a mietere le prime vittime.

Il giovane si accucciò ai suoi piedi. Fiducioso, come anche lui era stato a suo tempo.

- Cosa vuoi che faccia?

- Voglio che impari tutto ciò che avrò da insegnarti. Da questo momento in poi. Che faccia gelosamente tuo tutto ciò che apprenderai e che da qui cercherai una nuova strada.

- Ma sono un dannato cadavere strappato alla tomba! Sono uguale a te.

- Sei un vampiro. Sei felice?

- Sei stato tu a volerlo. Non io.

- E per questo mi serberai rancore a vita? Un giorno impazzirai, mi darai la caccia e cercherai di annientarmi? Oppure mi amerai, perché come una seconda madre ti ho restituito una vita che non è propriamente vita?

- Basta sofismi da quattro soldi! Io sto in piedi. Penso, vedo, sento. Osservo il mondo da angolature che non avrei mai immaginato. Vedo con occhi di vampiro. Posso assaporare la bellezza, la gioia. Ridipingerla di nuovi colori.

- La bellezza, già. La gioia. E il dolore. Non dimenticarlo. Cento volte tanto.

- Non ti ringrazio. E non ti odio. Le tue intenzioni non erano malvagie. Hai disposto della mia vita, ma fino all’ultimo hai tentato quanto fosse in tuo potere per salvarmi.

- Cosa avresti fatto, se fossi stato al mio posto?

- Non lo so. Non sono al tuo posto. Non ho la tua anima, il tuo cuore. Né i tuoi occhi, le tue mani. I tuoi capelli... – e, con un guizzare fulmineo, la sua mano corse ad accarezzargli il viso.

Scivolò veloce sul suo collo, lisciandogli i capelli e radunandoli in una coda sulla nuca.

- Potresti apprenderlo, piccolo, lo sai? Potresti bere da me, aprire le tue vene e la tua mente e accogliermi in te. Penetrare la mia anima, scandagliare la mia mente, i miei pensieri. Essere una cosa sola.

- È come fare l’amore?

- Non altrettanto intenso. Non altrettanto... umano. Sai qual è il tuo difetto peggiore, figlio? Pensi ancora come un uomo. E non sei un uomo.

- Devi insegnarmi tu.

- Bugiardo. Ti stai ingannando. O mi stai ingannando... Chi potrà dirlo? Tutto ciò che vedi davanti a te, è come se fosse stato riscritto da capo. Vedi e percepisci ciò che prima non potevi vedere né percepire con facoltà sensoriali limitate. Ora sono cambiate le categorie con cui osservi e assapori tutto ciò che ti svolazza intorno. Pensa a un prisma, a un caleidoscopio attraverso cui puoi guardare la realtà. È cambiato. Diverso. Tutto più intenso, amplificato, le sfaccettature moltiplicate all’infinito, in un modo che si avvicina sempre più intimamente all’essenza ultima delle cose. E tu invece no: continui a inciampare, a ingannarti. A parlare come se potessi ancora servirti delle stesse categorie mentali di quando eri mortale. Non è così. Lo sai, ma parli come se il sottoscritto non avesse ancora capito che la tua è una scherzosa ripicca.

E poi, improvvisamente, si accorse di avere il volto fradicio di lacrime. Un ricamo rosso sangue sulle ciglia e giù lungo gli zigomi.

- Perdonami.

- Io... Ho assalito Dorian! Non m’importava nulla, in quel momento. E se avessi premuto un po’ più intensamente sulla giugulare, lui a quest’ora si dibatterebbe tra la vita e la morte, sfiancato e prosciugato.

- Ma ti sei trattenuto. Dorian sta bene. Te ne sei accertato tu stesso. Sul momento, non mi sono neppure fidato sulla tua parola. Ho preferito assicurarmene personalmente.  Ammetto di averti odiato, in quell’istante. Di aver desiderato spazzarti via. Sembravi... diverso. Freddo, insensibile persino al dolore.

- Bravo. Ed è ciò che sono. Ciò che siamo veramente… La nostra versione più autentica. È il momento solenne in cui si esplicita la nostra natura nella sua pura accezione. E fai bene a disprezzare tutto ciò.

- Ma non l’hai fatto. Hai avuto rispetto per la vita di Dorian. Vuoi tornare alla locanda e controllare che stia bene? – azzardò il vampiro giovane.

- Potrei. Ma è superfluo.

E poi, per un attimo, fu quasi certo che il suo novizio l’avesse preso in parola e, goffamente, cercasse di affinare i suoi nuovi poteri per potergli leggere nell’animo, oltre il filtro mobile delle iridi. Per un attimo temette quasi di potersi commuovere. Il suo piccolo… Così adorabile, ingenuo e puro!

- Lo ami – domandò il più giovane – È così? Ami Dorian?

E lui decise che era giunto il momento di interrompere il breve legame mente con mente, spirito e spirito. Accavallò le gambe, distogliendo lo sguardo e abbozzando un sorriso di labbra sanguigne.

- Può anche darsi. Non lo so. L’amore come l’hai inteso in questo momento è concetto tipicamente umano. Ma può essere qualcosa che si avvicina, qualcosa in grado di eguagliarlo. Sì. Amo te. Amo Dorian. Ma vorrei che lui non ricambiasse mai il legame. Ed io stavo quasi per legarlo a me. Non potevamo rischiare.

- Cosa farai adesso?

- Nulla, figliolo. Aspetterò che si svegli e dimentichi tutto. Tutto ciò che ricorderà avrà lo stesso valore di un sogno frutto dell’ebbrezza.

Il vampiro giovane sorrise.

- È strano pensare che... Un ragazzo poco più che ventenne, sia mio padre.

Lui si strinse nelle spalle.

- Sono colui che ti ha creato. Non basarti sul mio aspetto, sulle poche rughe della mia faccia. Ho sei anni in più di te.

- Eri un ragazzo, allora, quando qualcuno ti ha reso come sei ora.

- Non è passato molto tempo. Sono tra i più giovani e deboli della mia razza. Avevo ventun anni, quando sono stato fatto vampiro.

 

* * *

 

Fernand avvertì un sibilo stupefatto morirgli in gola, le braccia di Auguste scioglierlo dalla loro stretta.

Qualcuno che bussava giù in strada. Quattro tocchi taglienti, nocche ossute sul legno.

Quasi si catapultò giù dal letto, coprendosi distrattamente con il lenzuolo e affrettandosi a indossare pantaloni e camicia. Per un istante quasi maledì se stesso e la fastidiosa, imprevedibile tonalità vermiglia che gli aveva incendiato le guance, quando gli occhi impertinenti di Auguste, laghi perfettamente calmi in superficie, gli si erano riversati addosso, scorrendo su di lui quasi fosse un’interessante suppellettile. Sui riquadri di pelle lasciata nuda dalla foga di rivestirsi alla meno peggio e di dare un nome a quelle insistenti, fastidiose percosse sulla porta.

Distolse lo sguardo: una parte della sua mente, quella lucida e assai più disincantata, gli diceva che non c’era alcun bisogno di comportarsi come una fanciullina pudica, e che Auguste aveva già avuto modo e tempo, quella notte, di concentrarsi vista e tatto sulle sue intimità generosamente scoperte. Neppure la sua sorellina Ambrosie aveva battuto ciglio o dato segni di chissà quale profondo sconvolgimento, quando le aveva rivelato di essere stato con Dorian, con un altro ragazzo ovvero con il suo miglior amico.

L’altra parte, invece, gli sussurrava che qualcosa nell’aria si era spezzato.

Infastidito, si mosse in direzione della finestra.

- Ti piace quello che vedi, Auguste? – gli sibilò a bruciapelo.

Vagamente inacidito.

- Sei vestito, Fernand. Cosa potrei vedere che non abbia già visto? Sei bello in ogni possibile declinazione.

Fernand si ritrasse con un soffio inferocito. E infilò lo sguardo oltre la finestra. Pentendosi subito dopo, quando una fitta al petto, qualcosa a metà fra la gelosia e il timore di essere miseramente scoperto, contribuì a rendere il suo decisivo risveglio una scudisciata in pieno volto.

- Visite per te, Auguste – sussurrò, gelido, senza spiegarsi quella sfumatura di rabbia impotente che gli serpeggiava nella voce e nel tremore delle dita.

- Emilie?

Fernand si vergognò solo un po’ del proprio fremito di trionfo, quando vide Auguste sbiancare.

- Proprio così – sogghignò – È venuta a chiedere la tua testa, suppongo. Sei un… marito? Compagno? Irresponsabile. Inaffidabile, lunatico e completamente fuori di testa. Cosa pensi che voglia, ancora, da te?

Auguste inarcò un sopracciglio con quel modo di fare flemmatico che finiva sempre per dargli sui nervi.

- Hai esaurito la lista dei titoli onorifici, Fernand? Io credo che Emilie sia qui per mandarmi all’inferno una volta per sempre. Sai, qualcosa mi dice che non abbia alcuna intenzione di stare ancora con me.

- Oh, alleluia! Però, ecco, c’è una conseguenza a cui non avevo pensato…

Fernand avrebbe voluto imporsi di tacere, ma un nodo d’amarezza stretto alla gola gli impediva di tener ferma la lingua. Si passò una mano sulle labbra, meditabondo.

– Se Emilie ti ha lasciato – sputò fuori – Quale migliore occasione per mandare al diavolo ogni scrupolo del caso e divertirti con uno scemo disposto ad assecondarti?

- Fernand, sei una serpe! Vuoi provocarmi ignorando che sono stato sincero e mi sono confidato con te? Mi reputi tanto stupido? Mio Dio… Ti butterei fuori a calci, se fossi sicuro che è ciò che pensi veramente e che non siano stupidi giochetti di parole, bugie per cavar fuori verità! È così? E allora ripeto che non ho nulla da nasconderti; che ho una sola faccia, ed è quella che vedi in questo momento e la stessa che hai visto stanotte.

- Va bene, Auguste, hai ragione… – Fernand si impose di annuire, esasperato, senza riuscire tuttavia a scacciare quel cattivo presentimento che assumeva i contorni di un magone strisciante - È meglio che vada – si risolse, stringendosi nelle spalle.

E, mentre si accingeva a sciacquarsi il viso nel catino d’acqua che Auguste gli aveva porto, per un attimo sperò gli tornasse utile a dissipare almeno un po’ il sospetto e la nebbia dagli occhi.

- Cerca di fare in fretta – gli ingiunse Auguste, un velo di risentimento nella voce.

Fernand si diresse verso la porta, zoppicando su uno stivale solo e lottando per infilare l’altro, quando il volto bianco di Emilie s’impose sul suo campo visivo come un miraggio di folti capelli scuri finemente acconciati. Trattenne il fiato.

Così poco tempo a disposizione per schiarire le idee e tentare di far tornare ogni cosa al proprio posto… Di imbastire una storia verosimile. Fernand, l’idiota sentimentale, e gli squilibri ormonali di casa de la Garde.

E poi, deglutendo con fatica, i lineamenti del volto modellati in una specie di smorfia, si costrinse ad abbozzare un sorriso forzato. Anche se lo svantaggio di saper arricciare il naso in un moto di istintivo disprezzo fu sufficiente a rendere vano lo sforzo.

- Salve, Ferdinand.

Che diavolo ci fai qui, maledetto impiastro? Maledetta testa calda che insieme ad altre vipere hai rischiato di mandare il mio Auguste in rovina… Ecco, se Emilie l’avrebbe detto a voce oltre che con gli occhi, se non altro le sue parole sarebbero suonate un po’ più sincere.

- Io… stavo andando via – riuscì a biascicare, sillaba dopo sillaba trascinate controvoglia una dietro l’altra.

 

Grazie, signori, ma preferirei non essere presente, quando volerà qualche oggetto contundente che, data la mia fortuna nel capitare tra incudine e martello, potrebbe colpirmi in pieno.

 

E, solo quando fu sicuro di aver oltrepassato la porta, il battito impazzito del suo cuore cominciò ad acquietarsi lentamente, suggerendogli che forse ora era al sicuro, all’aperto a respirare l’aria tersa del mattino. Un cenno di saluto lasciato in sospeso dietro a sé e il rischio non calcolato, nella fretta, di prendere male le misure e ritrovarsi lungo disteso sul pavimento dell’anticamera, vittima di un incontro ravvicinato tra la propria fronte e lo spigolo della porta.

Lontano dai fumi dell’ira di casa de la Garde, prima che l’ordigno delle menzogne e del rancore gli esplodesse in faccia. Prima di ritrovarsi a piangere lacrime amare, lì, come un bambino lasciato solo al buio. Erano forse un po’ meno aspre, quelle che gli infuriavano giù per le guance bollenti, mentre si precipitava all’altro capo della via?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buonasera a tutti!^^

Ventisettesimo capitolo concluso, quasi non ci credo. Poiché lo studio e gli appelli di settembre incombono, passo subito ai ringraziamenti dovuto, ossia i lettori abituali e non, nonché coloro che hanno aggiunto NT tra i preferiti e le seguite.

Il mio ringraziamento va in particolare a Witch e Yami che mi hanno lasciato il loro commento, perciò passo subito a rispondere alle recensioni.

 

Witch: carissima, grazie innanzitutto del tuo commento^^. Nonostante se ne sia parlato tantissimo in chat… Piccoli spoiler annessi, XD. Sono contenta che il pezzo sui due vampiri, che finalmente cominciano a svelare la loro maschera (uhm… ma forse no: diciamo che ci hanno fatto l’onore mostrarsi sulla scena, nel bel mezzo dell’azione, ecco), ti sia piaciuto. Abbia raggiunto il livello di tensione che desideravo, ecco. Dorian è un cucciolo, povero… Inizialmente il capitolo mi sembrava un po’ confuso… I nomi per il momento non vanno svelati (XD), anche se le eventuali *ipotesi* lettori mettono sempre una certa curiosità!

 

Yami: ciao, carissima, ti ringrazio per aver recensito questo capitolo, nonché per continuare a seguire NT, nonostante le attese tra un aggiornamento e l’altro, XD. Dunque: ammetto di essere stata un po’ cattivella nell’aver accuratamente evitato di svelare nemmeno in parte l’identità dei due vampiri… Come sempre, le ipotesi del lettore mettono sempre una certa curiosità! Chissà, forse in questo capitolo ci sarà qualche tassello in più sulle motivazioni del vampiro più anziano, del suo modo di vivere la propria condizione, della sua personalità. E qualche piccolo indizio all’orizzonte. La lemon Auguste/Fernand era nell’aria sin dal primo capitolo (XD)… E sono contenta di essere riuscita a rendere il fatto che Auguste si fosse curato più di Fernand che si se stesso. Insomma, tendo a rifuggire un po’ dalla lemon meccanica fine a se stesse, un po’ stereotipata. O, almeno, spero di essere riuscita a rendere questo. In questo capitolo vedremo un po’ le reazioni dei due la mattina dopo, al risveglio. Ovviamente entrambi hanno ben pensato di fare le bizze, e poco mancava che litigassero. Insomma, hanno caratteri che s’infiammano facilmente e di tanto in tanto rischiano persino di rovinare in un battito di ciglia ciò che hanno appena faticosamente costruito. Terribili, insomma, XD. Dorian… Penso che a questo punto ciò che prova per Fernand vada molto, molto più in là della semplice amicizia con contatto fisico annesso (e che contatto!). Io stessa ho tirato quasi un sospiro di sollievo al fatto che il vampiro non sia intenzionato a fargli del male. Sì, perché ormai, naturalmente, sono loro a comandare, a decidere le trame.

 

Okay. Penso di aver concluso. Ringrazio ancora tutti, ricordando ancora una volta che i commenti sono l’Amore, e sperando che quest’ultimo capitolo sia di vostro gradimento.^^

Un abbraccio, alla prossima! =(^.^)=

 

 

   
 
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