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Autore: Josie_n_June    06/09/2010    2 recensioni
Così l’aveva costruita. La Cattedrale. La sua ultima opera. Quando loro avevano capito, era troppo tardi. L’avevano tolto di mezzo, facendolo sembrare un incidente, pagando i testimoni, ma era tardi. Il segreto era custodito nel cuore del suo capolavoro, dove loro non l’avrebbero mai trovato. Ma lui, Andrés, sì.
Genere: Azione, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Andrés'
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I pinnacoli della Cattedrale s’innalzano vertiginosi fino al cielo; la torre più alta, Jesús*, si staglia con i suoi 170 metri fino al cielo opaco d’inizio Agosto.

I piccioni, per il momento, hanno il monopolio delle guglie in stile neogotico dell’ingresso occidentale,  la Passió i Mort de Crist, ma presto, l’area verrà invasa dall’usuale orda di turisti in calzoncini.

Andrés fissa la Sagrada Familia* come se la vedesse per la prima volta. Effettivamente, l’ultima volta che ci è stato l’ha accompagnato a suo padre. Quanti anni fa? Sedici, diciassette?

Ricorda ancora il caldo asfissiante, e la mano sudata che continuava a scivolargli da quella di Jabier, mentre si chiedeva perché cavolo suo padre avesse voluto portarlo a quella chiesa rotta, piena di impalcature e gru gialle.

In effetti, allora, era forse più interessato alle gru che al Tempio.

“Guarda, Andreu!” gli faceva Jabier, mentre la fila per entrare scorreva di qualche passo. Andrés obbediva sbuffando. Odiava quando lo chiamava così, alla catalana. Lui si chiamava Andrés, in castigliano. Ma tutte le volte –poche- che lo vedeva, Jabier si ostinava a concludere il suo nome con quella u maledetta. “Guarda i tratti sbozzati di quelle statue. Non esprimono perfettamente la crudezza, e il dolore del Cristo?”

Andrés si limitava a guardare inquieto quelle statue* senza volto appena sopra le porte d’entrata. Non capiva se esprimessero o no la crudezza o il dolore. Di sicuro gli facevano paura. Credeva che anche quelle fossero da finire, come il resto della chiesa.

Aveva valutato sorpreso lo sguardo rapito di suo padre. Jabier non era mai stato un fanatico della religione, ma davanti a quelle statue alte e spigolose aveva l’aria estasiata.

Avevano pagato il biglietto con le vecchie pesetas, e appena prima di entrare Jabier gli aveva riafferrato la mano, e gliel’aveva stretta forte.

Si era chinato alla sua altezza, e gli aveva indicato un punto sulla colonna a sinistra dell’entrata, accanto ad una brutta statua ammantata con la faccia storta e ad altre due che sembravano baciarsi.

Tutto ciò che Andrés aveva visto era un quadrato di numeri, come una specie di grossa tastiera.

“Il quadrato custodisce la risposta.”

Andrés, allora, non aveva capito cosa significasse. Ora, invece, pensa con un sorriso, è il solo a capirlo.

Chiude con uno scatto il minuscolo portatile che ha sulle ginocchia; deve muoversi, tempo un paio d’ore e la Cattedrale sarà piena di gente. Si alza dalla panchina e si spolvera velocemente i pantaloni, prima di attraversare il giardino di Place de Gaudí e la strada.

Sempre col portatile sottobraccio scavalca il cancello, con uno sguardo ironico al cartello ‘Alarma’, e sale di corsa la breve scalinata.

Si ferma un secondo ad ammirare i versi della Bibbia scolpiti vicini, nel ferro sopra la porta d’entrata. Una frase troneggia, dorata, in mezzo alle altre.

 

¿QUE’ ES LA VERITAT?*

 

Alla fine, Gaudí aveva scoperto la risposta. Ed era stato questo a porre inizio alla sua fine.

Andrés sposta velocemente lo sguardo sul quadrato magico che gli ha indicato suo padre tempo fa.

La soluzione, a una prima occhiata, sembra ovvia; sommando i numeri in orizzontale, verticale o diagonale, oppure dividendo il quadrato in quattro distinti e sommando i numeri al loro interno, il risultato è sempre lo stesso numero.

Trentatre.

Il numero perfetto. Il numero divisibile soltanto per se stesso, per tre, per undici e per uno. Tre accostato al tre, il numero magico. Il numero dei libri della Divina Commedia e del suo stile metrico, il numero della Trinità, delle Grazie, il posto della Terra nel Sistema Solare…

Il numero dei principi del Credo.

Solo che non è affatto ovvio come potrebbe sembrare. Pochi notano che quel quadrato magico non è affatto perfetto; sarebbe impossibile creare un quadrato magico di ordine quattro e costante trentatre. Nella prima linea, al secondo e terzo posto, è ripetuto lo stesso numero, il quattordici. E così nella terza linea, due dieci.

 

http://img810.imageshack.us/img810/1359/quasubirachs2.jpg

 

Un quadrato magico è magico soprattutto perché si riesce nell’impresa dell’addizione senza ripetere nessun numero, come nel quadrato magico di Dürer, altrimenti non vale.

Ora, si presenta il caso che Andrés ha appena scoperto che quel quadrato è stato costruito da Gaudí, che l’aveva fatto scolpire a Subirachs sulla facciata della Passiò su sua commissione. E’ stato un lavoro difficile dimostrarlo, un casino di indagini in rete e tra le collezioni private di qualche riccone che vantava manoscritti dell’architetto. Dopo numerose ricerche, Andrés ha trovato un foglio fitto di calcoli; in tutti i modi, a partire dal quadrato di Dürer, cercano di ottenere il trentatre utilizzando alcuni numeri specifici. Che, guarda caso, sono proprio quelli del quadrato magico di Subirachs*.

Coincidenza? Sì, forse. Peccato che Andrés abbia la brutta abitudine di non credere alle coincidenze.

A questo punto, viene facile intuire che Gaudí non ha sbagliato perché non era abbastanza intelligente da riuscire. Avrebbe potuto usare un quadrato di un altro ordine, per ottenere il risultato senza infrangere le regole.

No, molto più semplicemente, quei numeri ripetuti celano un messaggio.

Il quadrato custodisce la risposta.”

Andrés estrae il cellulare, un apparecchio full touch con lo spessore di un cracker, appena uscito, e che lui ha da almeno due mesi. E’ completamente irrintracciabile, e Andrés l’ha dotato di un sistema di scansione da far invidia a James Bond. Il tutto, ovviamente, agganciandosi di straforo a un satellite che gli invia le immagini direttamente alla comoda funzione della fotocamera*.

Andrés punta l’obbiettivo sul quadrato, e scatta una foto. Immediatamente, il volto gli si illumina con un nuovo sorriso.

Ripone in un gesto il cellulare nella tasca, il computer in una tracolla e si riavvia i lisci capelli neri.

E’ un po’ che non si lancia in un impresa così difficile. Ma dovrebbe farcela. Non è che, poi, possa chiedere aiuto a qualcuno.

Prende un respiro profondo, e si scrocchia le dita.

Poi si lancia di corsa verso il muro esterno.

La facciata di pietra e arricchita dalle sculture è ricca di appigli, e Andrés trova presto una strada da seguire per salire sempre più in alto.

Infila le dita nelle secche pieghe dei vestiti, e appoggia i piedi sui lineamenti di quelle statue squadrate che lo spaventavano da bambino, e pensa che sembrino fatte apposta per essere usate come scala.

In fretta ha risalito il portale, e adesso Andrés è aggrappato alle spalle di Gesù Cristo. Trova che la cosa abbia qualcosa di biblico.

Fa forza con le braccia e gli addominali, e riesce a puntare i piedi sulla croce che sporge dal muro in orizzontale, e alla quale Gesù è inchiodato solo per le mani.

A quel punto il salto è leggermente complicato.

Andrés sbuffa per togliersi in ciuffo di capelli dagli occhi, e poi tende i muscoli.

Si slancia all’indietro, e appena prima di cominciare a precipitare afferra con le braccia la cima dell’arco absidale. Rimane appeso per qualche secondo e poi, con un gemito, si tira su.

Ed è lì che comincia il difficile.

La superficie esterna del Tempio non è liscia, in nessun punto. Questo da un lato gli fa comodo, dall’altro lo ostacola. Non può semplicemente muoversi in orizzontale: deve salire e scendere, compiendo una traiettoria zigzagante sulla facciata.

In fondo, sarà divertente.

Raggiunge dopo un buon quarto d’ora, leggermente ansimante, quello che nel progetto di Gaudí era la parete occidentale della navata principale.

Lì i lavori sono ancora in corso, e le vetrate non sono ancora finite. Gli è facile infilarsi in una di quelle orbite vuote, ed entrare.

Si trova immediatamente su una delle balconate che corrono parallele alla navata. Subito, la volta arborea della Cattedrale lo colpisce con il suo splendore.

Non c’era ancora quando ci era entrato da bambino, o meglio, non era finita. Sfiora con la mano una delle grandi colonne colorate che s’innalzano imponenti fino al soffitto, e uno dei rami che sfiorano la volta dorata.

Pensa a suo padre che gli afferrava ancora una volta la mano.

“Proprio come una foresta, non è vero, Andreu?”

Il ragazzo sorride.

Esatto. Come una foresta.

Come la Selva Oscura di Dante.

Il cammino arboreo che dall’ombra conduce…

Alla luce.

Le vetrate splendono di mille colori, nel basso sole mattutino. Toni di blu, verde, giallo, rosso, porpora e arancio s’irradiano dalle finestre curvilinee, rotonde o ovali, e corrono sulle colonne e sui pavimenti creando una sorta di mediterranea aurora boreale.

Gaudí era sempre stato ossessionato dall’idea della luce, e dal trovare il modo di trasmettere tutto attraverso di essa.

La Sagrada Familia è il suo più grande capolavoro.

Andrés non riesce quasi a staccarne lo sguardo.

Luz.

L’intreccio delle vetrate, e i riflessi di luce sono indescrivibili. I blu delle vetrate ovest sembrano mobili. I riflessi che proiettano sono come quelli del mare di Barcellona, quando osservi la tua pelle sotto il pelo dell’acqua, o come le cascate del fiume Arazas nel parco di Ordesa, cala a picco verso il basso. E alla base, i toni di verde e marrone sono il frutto, la vita che nasce dall’acqua. Da qualche parte, Andrés lo sa, c’è scritto:

Yo soy la fuente de agua viva.             

La vetrata di destra invece colpisce con i suoi toni contrastanti, cupi e allo stesso tempo così luminosi. Rosso, verde, azzurro in un trama così stretta da essere in districabile, però cucita insieme perfettamente.  

Ma è la centrale che gli serve.

Andrés si appende al balcone, e si lascia cadere finché, all’improvviso, è abbastanza vicino alla colonna-albero, si volta e vi si lascia scivolare sopra.

Il rumore delle sue All Star che colpiscono il suolo rimbomba sulle navate.

Andrés, camminando tra le due file di colonne, canticchia:

“Nel mezzo del cammin di nostra vita…”

La Divina Commedia. Quella Divina Commedia che Gaudí aveva preso a studiare alacremente nei suoi ultimi decenni di vita*.

E il mezzo del cammin è…

Trentatre anni.

Ancora il tre. Alcuni credono che Dante intendesse i trentacinque*. Ma le sue trentatre cantiche, e la vicinanza della sua Selva a Gerusalemme

Gaudí aveva capito.

Trentatre.

Gli anni di Gesù quand’era morto. E risorto.

“Mi ritrovai per una selva oscura…”

Continua Andrés, alzando gli occhi verso la volta di foglie, arrivando in fondo alla navata.

Sposta lo sguardo sulla grande vetrata di fronte a lui.

Resurrecciò.

I toni di marrone e rosso cupo salivano via via a dei gialli sempre più brillanti, per culminare sulla cima con un colore così luminoso da sembrare luce pura.

Yo soy la luz, la verdad y la vida.  

“Ché la diritta via era smarrita.”

Via. Come a dire strada. Come a dire linea.

Nella sua vita, Gaudí aveva sempre di più preferito le linee curve a quelle spigolose. Era insolito per un architetto, che ricerca sempre la stabilità, prima dell’estetica.

Ma era stato lui stesso ad affermare, riguardo la facciata della Passione: “Qualcuno troverà questa porta troppo stravagante. Ma io voglio che faccia paura, e per riuscirci non risparmierò il chiaroscuro, i tratti pressanti e salienti, e tutto ciò che risulterà avere il più tetro effetto. E per di più, sono disposto a sacrificare la costruzione stessa, a distruggere archi e a tagliare colonne, pur di dare l’idea della crudezza del Sacrificio.”

Quindi Gaudí, sebbene i suoi edifici rispettassero perfettamente, dopo il suo attento studio, le esigenze degli uomini, aveva sempre preferito le forme naturali, non sempre regolari, come era evidente dalle torri più basse di quella Cattedrale, sormontate di frutta, o dalla forma stessa delle torri, simili a nidi di formichieri.

Perciò, ad ogni modo, si può dire che lui ha perso la linea dritta.

L’ha smarrita.

La Sagrada Familia ha all’interno la forma di croce latina. Il pavimento, diversamente dalle pareti, è piuttosto regolare.

Tranne che in un punto.

Dove si esce dalla Selva e cade la luce della Resurrezione.

Un cerchio si apre esattamente al centro dell’altare*. La diritta via si perde.

Andrés si ferma esattamente al centro del cerchio, e guarda su.

Quella è l’unica parte di Cattedrale che Gaudí ha costruito personalmente, prima di morire travolto da un tram nel 1926. Non aveva costruito il Tempio per livelli, ma per parti, così da dare un’idea generale del suo progetto a coloro che avrebbero completato la sua opera, sicuro che non avrebbe avuto il tempo di concluderlo.

C’è una grossa impalcatura accostata lungo l’altare. Stanno ristrutturando qualcosa, la pietra del Montjuïc tende ad essere friabile.

Andrés comincia a scalarla, mentre il cuore prende a pompare più forte.

E’ quasi in cima. Dopo ottantasei anni, la verità di Gaudí sta per essere riscoperta.

Deve averlo trovato da giovane, durante i suoi viaggi nei Pirenei, o nella Francia del sud. L’ha tenuto per sé. E in breve tempo, sono arrivate le visioni.

Da allora, ha cominciato a farsi delle domande. Che cos’era veramente? Da che cosa derivava il suo potere? Le visioni, intanto, le trasponeva in architettura.

Casa Battlò, la Pedrera, il parc Güell... Vengono tutti da lì, dal genio e dall’incredibile fantasia di Gaudí nel renderle realtà.

Il suo successo… Il seguito degli altri, la rivalità di alcuni. Tutto merito soltanto della sua bravura?

Gaudí non capiva. Ma non era pronto a rinunciare al suo potere.

Le visioni erano divenute nel frattempo insistenti, continue.

Alla fine, circa vent’anni prima della sua morte, era incappato nella vecchia copia della Divina Commedia nella sua libreria.

Il mio disir dee aver fine

in questo miro e angelico templo,

che solo amore e luce ha per confine”

Paradiso, XXVIII, 52-54. E’ l’iscrizione sulla Porta de la Coronaciò d’Espines, sulla facciata della Passione.

Gaudí aveva capito.

Le croci sulla cima di Casa Battlò, e anche in molte altre sue costruzioni, compresa quel Tempio. Quattro braccia uguali. Ispirate al frutto del cipresso, el arbre de la vida. Croci templari.

Sapeva che lo seguivano. Erano anni che lo tenevano d’occhio, ma la sua scomparsa, per via della sua fama, sarebbe stata troppo eclatante.

Aspettavano. Attendevano la sua vecchiaia. Allora, nessuno avrebbe pensato all’omicidio.

Ma Gaudí sapeva. E sapeva che non poteva lasciare che loro lo prendessero.

Così l’aveva costruita. La Cattedrale. La sua ultima opera.

Quando loro avevano capito, era troppo tardi. L’avevano tolto di mezzo, facendolo sembrare un incidente, pagando i testimoni, ma era tardi.

Il segreto di Gaudí era custodito nel cuore del suo capolavoro, dove loro non l’avrebbero mai trovato.

Ma lui, Andrés, sì.

Raggiunge la cima dell’impalcatura, esattamente all’altezza della vetrata.

Si sente circonfuso da un alone divino, e la cosa lo diverte molto. Il suo sguardo segue rapido il raggio di luce dell’anello centrale, che cade su un balcone davanti a lui. E’ una minuscola nicchia, proprio al di sopra del cerchio sull’altare, quasi invisibile.

Ma sa che è il posto giusto.

Senza esitare si lancia, e ne afferra il bordo con le mani. Si tira su. Deve stare un po’ piegato, nella nicchia, ma non importa. E’ perfetto.

Sfiora con le dita la superficie irregolare, finché non incontra qualcosa di strano. Sembra quasi una maniglia, modellata su misura per la mano umana.

Andrés la spinge verso il basso, ma non succede nulla. Così, la tira verso di sé.

Con un grande rumore stridente, un pannello scorre all’interno della superficie, e lascia visibile un quadrato di pietra, che viene spinto verso l’esterno.

Andrés sorride, eccitato come un bambino.

E’ un quadrato di numeri. Non è “magico” come quello di fuori, è semplicemente un quadrato di ordine tre con i numeri da 0 a 8 incisi sopra, e tutta l’aria di essere irremovibile. Un meccanismo al di sotto di esso testimonia, con due piccole leve, che è una combinazione di due numeri. Un altro, invece, che non è possibile sbagliare più di una volta.

Andrés lo fissa per qualche secondo.

Poi tira fuori il cellulare dalla tasca, va alla galleria e scorre velocemente le immagini.

Quando trova quella che gli interessa la seleziona, e mentre la foto si allarga sullo schermo, un mezzo sorriso si allarga sul viso di Andrés.

E’ la scansione a raggi x del quadrato magico di Gaudí, sotto il porticato all’esterno del Tempio. Gli occhi di Andrés si soffermano sui due numeri attaccati. Quattordici e quattordici.

Zooma in quel punto.

Proprio dietro ai due numeri, incise nella pietra, ci sono semplici parole in castigliano.

 

http://img408.imageshack.us/img408/6046/immaginehc.png 

 

 [Es El que solo es y el que es nada]*

Andrés sbatte le ciglia, confuso.

Non ha senso.

La risposta è chiara. Diós. Colui che soltanto è, e che cioè è immutabile nel tempo ed eterno, e che è nulla, poiché niente del mondo terreno, il solo che l’uomo conosce, può essere paragonabile a Lui.

Ma questa è una risposta che non può essere data con una tabella di nove numeri. Somma mentalmente le lettere della parola Diós utilizzando il loro posto nell’alfabeto spagnolo, e inserisce rapidamente il numero 47 nella tastiera di pietra. Con un rumore assordante, un ingranaggio del meccanismo di sicurezza gira all’indietro, e poi si blocca.

Andrés impreca. Ha sbagliato, ed era l’unico errore che si poteva permettere.

Si corruccia, cercando di capire.

Ma non ha senso. Continua a non avere senso. Allora suo padre si sbagliava?

Il quadrato custodisce la risposta.”

Forse non è niente. Quel quadrato di numeri non è niente di più che un quadrato magico, che Gaudí ha creato soltanto per glorificare Dio e Suo Figlio con il numero perfetto, il trentatre.

Forse la risposta è da tutt’altra parte, nelle carte e nella vita di Gaudí, un numero qualsiasi che ha significato qualcosa per lui, o forse neanche quello.

Ci vorranno anni per scoprirlo, vale a dire che non lo scopriranno mai.

Andrés stringe i denti, e fa per scaraventare il cellulare a terra.

Poi, però, qualcosa lo colpisce.

Aggrotta di nuovo le sopracciglia, e si avvicina il cellulare agli occhi.

Quando si rende conto di avere ragione, un’espressione stupita gli si disegna sul viso.

Non c’è alcun accento sul ‘solo’. Questo significa che Gaudí non intendeva l’avverbio, ma l’aggettivo.

Es El que solo es… y  El que es nada.

Il fiato di Andrés si blocca da qualche parte tra la trachea e le corde vocali.

Possibile… possibile che sia così semplice?

Il suo sguardo scivola sulla ‘y’ in mezzo alle due frasi.

E sorride.

Gli era sembrato strano che Gaudí d’improvviso utilizzasse il castigliano, quando in tutta la sua vita aveva usato la lingua della Catalunya.

Ed ecco spiegato il motivo. Non aveva potuto usare il catalano perché la congiunzione ‘e’ si scrive ‘i’, e non ‘y’.

Perché quella ‘y’ non è una ‘y’.

E’ un più.

La Divina Commedia di Dante, tutta la tradizione mistica dall’epoca medievale fino ad oggi, tutto quanto si riconduce alla Cattedrale di Gaudí, e a quel semplice quadrato di numeri.

Ecco spiegata l’inesattezza del quadrato magico di Gaudí, e le parole di suo padre.

Il quadrato custodisce la risposta.

Quei due quattordici lo fanno.

Trentatre. Il numero perfetto, ma non la perfezione. Non la totalità. Anche il trentatre di Dante… Il poeta sapeva che non era perfetto. E infatti, ai suoi trentatre Canti per tre, Inferno, Purgatorio e Paradiso, aveva aggiunto un ultimo Canto. Il suo prologo.

Il centesimo.

14 y 14. 14 + 14. Uno più quattro più uno più quattro.

Andrés abbassa di nuovo lo sguardo sul cellulare, e sul quadrato magico della fotografia. Terza linea. Secondo e terzo posto. Così… evidente? E allo stesso tempo incomprensibile.

Con il cuore a mille all’ora, Andrés allunga la mano, e spinge con forza le caselle dell’uno e dello zero.

El que solo es, y El que es nada.

Dieci.

Il pannello scatta all’indietro con un assordante rumore di pietra e ingranaggi che sembra far tremare tutta la Cattedrale.

Andrés sente il rumore riecheggiare dalla nicchia per tutta la colonna, fino a terra.

Quando tutto si ferma, ha il fiato corto.

Si affaccia ansimando, e lo vede.

Il cerchio nell’altare si è aperto, e un piedistallo conico si è levato dalle fondamenta. Lentamente, Andrés si lancia di nuovo sull’impalcatura. Nel silenzio ritrovato del Tempio, ha ancora la sensazione che tutto tremi. O forse è lui a tremare, ma non sarebbe dignitoso ammetterlo.

A una certa altezza si lascia semplicemente cadere a terra, e le sue scarpe protestano con una specie di barrito. E’ un rumore indecente in quel silenzio sacro e solenne.

Andrés si rialza in piedi con lentezza, senza riuscire a staccare lo sguardo dal piccolo altare di fronte a lui.

Ogni vetrata della Cattedrale sembra proiettare i suoi riflessi magici su di esso.

E la cosa luccica dorata, ma di luce propria, come una stella.

Con una deferenza che, personalmente, non si riconosce, Andrés si avvicina all’altare a passi lenti.

Quando vi è davanti, una cosa, oltre a quella dorata, attira il suo sguardo.

Andrés lo prende con delicatezza: è un fogliettino di carta spiegazzato e rovinato dal tempo. Su di esso, c'è una sola, semplice parola.

 

Gràcies.

 

Andrés sorride e s’infila il foglietto in tasca. Poi, senza indugiare oltre, agguanta il segreto di Gaudí e lo sistema nella tracolla insieme al portatile.

Immediatamente, il pavimento si richiude con un fragoroso toc.

 

 

Fuori dalla Cattedrale e dal cancello, nella caritatevole brezza proveniente dal mare, Andrés sospira profondamente.

Si scosta un ciuffo di capelli dagli occhi. Eva ha ragione per davvero; sarebbe il caso di tagliarli.

Un bel gruppo di turisti provenienti da Passeig de Gracia – deducibile dalle numerose buste firmate ai loro piedi – sono seduti in Place de Gaudí, proprio sulla panchina su cui lui stava poco prima, in attesa dell’apertura della Sagrada, prevista per le nove.

Dopo una rapida occhiata alle gambe di una tedesca in pantaloncini, Andrés tira fuori il cellulare dalla tasca ed entra nella funzione e-mail.

Le sue dita sono rapide a digitare sulla tastiera qwerty sullo schermo il messaggio in inglese:

 

Trovato. Sarò là domani nel pomeriggio.

Mi devi cento dollari, cazzone.

Andrés

 

Una frazione di secondo, e sullo schermo appare la scritta:

 

 

Mail inviata a

Shaun Hastings

 

 

Bloccata la tastiera, Andrés rificca il cellulare nella tasca. Solo allora si tira su il cappuccio.

Cammina invisibile tra la folla ancora rada, la mano destra serrata sulla tracolla di cuoio al suo fianco e la sinistra pronta a scattare all’indietro col polso al minimo segno di pericolo.

Si lascia la Sagrada Familia alle spalle.

Con la speranza –chissà- di tornare a vederla finita, un giorno.

Forse. 

 

 

____________________________________________________________________________

 

 

 

*1.In realtà non è ancora stata costruita, ho immaginato –cosa molto improbabile, effettivamente- che nel 2012, anno in cui è ambientata questa one-shot, fosse finita. Sperare non costa nulla, no?

*2.Il Tempio Espiatorio della Sagrada Familia a Barcellona, progetto dell’architetto Antoni Gaudì che, a 84 anni dalla sua morte, è ancora in costruzione.

*3.Le statue della facciata della Passione e Morte di Cristo, all’entrata ovest, di J. Subirachs.

*4.“Qual è la verità?” in catalano.

*5.Non è vero XD Me lo sono inventato di sana pianta; per quello che ne so, e penso se ne sappia, il quadrato è di Subirachs. La mia è semplicemente un’interpretazione fantasiosa.

*6.Non sono un hacker, è evidente XD Se ne passa uno di qui e impallidisce, perdoni la mia ignoranza.

*7.Altra interpretazione fantasiosa. E’ dovuta all’affermazione che in AC II Shaun fa riguardo a Dante; era sicuramente un Assassino, o almeno un loro alleato.

*8.Ennesima invenzione. Lo so, le affermazioni che faccio in questa fan fiction sono spesso prive di fondamento, ma sono quasi sempre idee che mi sono spuntate in mente mentre mi aggiravo per le colonne della Cattedrale, quindi tutte frutto della mia fantasia. E nella mia testa sembravano quadrare così bene che non me la sono sentita di ricacciarle al loro posto XD

*9.Ne ho visto soltanto alcune riproduzioni, era chiuso da alcune impalcature quando sono andata, quindi non sono capace di darne una descrizione precisa. Da quello che ho potuto vedere, però, sembra proprio circolare.

*10.E’ Colui che solo è, e Colui che è niente.

  ____

Questa one-shot voleva essere una specie di omaggio alla Sagrada Familia di Gaudì, una delle cose più belle che abbia mai visto. Probabilmente più che un omaggio risulterà un insulto, ma ho voluto scriverla lo stesso.

E’ insolita per il mio stile; mi sono stupita anche del fatto che abbia deciso di usare il presente, non ci sono abituata, e ci sta che troviate qualche cambio di distrazione al passato remoto XD Ma mi piaceva di più in questa situazione.

Molte cose quadrano perché le faccio quadrare io, ed è evidente, ma mi sono divertita a cercare collegamenti impossibili tra quello che vedevo e quello che conosco. In realtà, mentre già mi immaginavo un Assassino appollaiato su una delle guglie, è stato quel rompiscatole di mio fratello –che ogni tanto è utile- a farmi venire l’illuminazione. Ci siamo fermati davanti al quadrato magico, e lui ha detto: “Fa molto Tomba dell’Assassino; secondo me è una tastiera a combinazione.” XD E da lì è partito il mio trip mentale. Per ringraziarlo, ho battezzato Andrés il mio Assassino hacker spagnolo (lui si chiama Andrea) e sto pensando ad altre one-shot incentrate su di lui. Insomma, con i suoi capelli troppo lunghi e le sue manie di divinità comincia ad essermi simpatico.

Quello che ha trovato era pensato per essere uno dei Frutti dell’Eden (no, nel caso non si fosse capito XD) ma visto che non si sa ancora che fine abbiano fatto la Mela o il Bastone, e che poco si sa degli altri, ho preferito rimanere sul vago. Ora se vi faccio anche l’analisi logica vi ho spiegato tutto XD Sono sempre ossessionata dall’idea che quello che scrivo sia poco chiaro, si vede?

Beh, alla prossima. Ci vedremo presto, con Andrés oppure con la long-fic che sto faticosamente mettendo su con un’amica dal titolo Assassin’s Creed Revolution. Ora mi faccio un po’ di auto pubblicità XD Ecco il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=CFJY5Hl9mEk

 

See you,

Elisa

 

 

  
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