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Autore: Geneviev    06/09/2010    3 recensioni
"Io sono solo un capro espiatorio. E per quanto m’irriti l’ignoranza dell’umanità, non posso fare altro che amarla nella sua complessità quale creazione migliore di Dio. Dopo di me ovviamente" ricominciò lui riprendendo il tono dolce e muovendo le labbra in un perfetto e vanitoso sorriso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Fuoco di Strega

Il bacio del Diavolo

Piangeva ormai da ore. Aveva gli occhi gonfi e i capelli sporchi e arruffati attorno alla testa. Lunghi, mossi, castani. Capelli da strega. I suoi occhi azzurro pallido non brillavano più di quella luce che li faceva sembrare stelle. Era notte, ma non erano le tenebre a oscurarle l’animo. Gli interrogatori erano durati ore. Le torture erano durate giorni.

Rannicchiata contro una parete della cella, piangeva con le gambe strette al petto e il viso fra le braccia. Era scalza e sentiva freddo. Un ratto scorrazzava vicino alla porta di ferro, mangiava la poltiglia che le avevano portato. Singhiozzò come una bambina… ma lei era una bambina. Una bambina di sedici anni.

Non sopportava quei sudici animali come non sopportava le guardie, altrettanto sudice, che erano venute a prenderla a casa per arrestarla. Gerlando aveva dichiarato nella piazza che lei era figlia del maligno ed era stata cresciuta da una strega, aveva detto che gli uomini timorati dell’onnipotente non dovevano farsi ingannare dal suo aspetto delizioso, perché il demonio conosce molti sotterfugi per ingannare le sue vittime. Sua nonna le aveva detto che sarebbero venuti a prendere anche lei e che le avrebbero fatto del male, perché lei era bella. Gli uomini hanno paura delle belle fanciulle.

Sua nonna era morta, l’aveva vista morire con i suoi occhi nell’acqua gelida del lago. Mentre ci pensava, singhiozzò senza potersi trattenere. Era morta perché Gerlando la odiava, perché, sua nonna le aveva detto, sapeva cose che lui non avrebbe mai potuto nemmeno capire. E ora sarebbe morta anche lei.

"Io non sono una strega" bisbigliò fra le lacrime, rivolta a se stessa.

Era quello che aveva ripetuto agli inquisitori per tutte le ore dell’interrogatorio. Aveva detto che le streghe esistono e che sono cattive e che devono essere punite. Aveva detto che non era colpevole lei dell’epidemia che aveva colpito il bestiame, che era opera del maligno. Aveva detto che lei non aveva mai avuto nulla a che fare con lui e che mai fosse successo, se mai lui l’avesse toccata, sarebbe stato giusto bruciarla sul rogo. Aveva detto tutto quello che le aveva detto di dire sua nonna, anche se non ci credeva, perché quegli uomini volevano sentirsi dire quelle cose. Lei non era una strega, lo aveva ripetuto per giorni, ma non le credevano.

"Non sono una strega" singhiozzò ancora nel silenzio della cella.

L’aria gelida entrava dalla finestrella sbarrata insieme alla luce della luna piena. Lei si stringeva nella camicia di cotone grezzo che un tempo era stata bianca e intonsa, e cercava di nascondere i piedini gelati sotto la gonna marrone.

Alzò gli occhi arrossati e vide un pallido volto a meno di un braccio dal suo. Lo spavento fu tale da farle battere la nuca contro il muro. Un grido le salì rapido alla gola, ma più svelte furono le mani che si alzarono a tapparle la bocca prima che urlasse. Non voleva che tornassero le guardie.

Gli occhi terrorizzati fissavano la creatura inginocchiata che si era palesata davanti a lei, e che la osservava con i vitrei occhi grigi. Portava un mantello nero di lana sgualcita e impolverata, e il cappuccio largo gli copriva la testa. Il suo viso sembrava brillare come candida neve nel buio della cella, ed era tanto efebico da parer quello di un angelo. Era un angelo, ma c’era qualcosa nel suo sguardo...

"Chi siete?" domandò balbettando. Egli sorrise accondiscendente, piegando appena la testa di lato.

"Io sono... l’Accusatore, il Principe delle Tenebre, il Signore dell’aldilà, la Stella del Mattino... ". Una voce profonda e vellutata, paradisiaca, che fece schiudere le labbra della ragazza per lasciar uscire un gemito venato di disperazione.

"Voi... ".

"Il Serpente".

"... siete... ".

"Il tentatore".

"... il Diavolo". Lui sorrise.

"E’ uno dei miei tanti nomi" disse affabile, alzando una mano per cercare di carezzare la sua guancia con delicatezza. La ragazza si schiacciò contro la parete coprendosi il viso con le mani.

"Andatevene via subito" esclamò terrorizzata.

"Shhh, Ariel... non voglio farti niente di male".

"E’ colpa vostra se sono chiusa qui... voi non sapete cosa mi hanno fatto... " sbottò tornando a fissarlo. Stava parlando con il Diavolo, stava impazzendo. Ormai piangeva istericamente.

"So bene con quanta violenza hanno percosso il tuo volto, so dove hanno insinuato le loro luride mani e i loro nauseabondi membri. So quanto hai urlato quando ti hanno versato la cera calda sui seni. Credi che sia stato io a sussurrare al loro orecchio di tirare i tuoi capelli e seviziarti ridendo delle tue lacrime? Credi sia stato io a far morire il bestiame?" la interruppe, con voce accondiscendente, allungano una mano verso la sua camicia strappata per scostarne un lembo e mostrare la pelle ustionata del suo piccolo seno. Ariel si ritrasse ritardata, spaventata, ammutolita. Il Diavolo le sfiorò il mento con le dita, in una carezza, obbligandola a tornare a fissare i suoi occhi magnetici e profondi come l’abisso.

"Ho visto mia nonna morire di crepacuore nel lago! Lei non era malvagia. Faceva nascere i bambini, lei portava la vita! Loro invece uccidono le persone innocenti! Solo perché credono che voi doniate loro i vostri poteri oscuri, perché le vacche muoiono malate con la bava alla bocca! Perché i lupi affamati sbranano i viandanti o perché una tosse diventa tanto forte da soffocare una persona!" esclamò arrabbiata, la voce bassa per non richiamare le guardie e il volto rigato dalle lacrime.

"Mi stai accusando del normale ciclo naturale favorito dall’ignoranza dell’uomo?" domandò lui con un sorriso affabile, lievemente divertito come un padre davanti alla sua buffa bambina. La bambina con gli occhi lucidi scosse energicamente il capo.

"Credi che metta i miei straordinari poteri nelle mani delle donne e degli uomini perché passano portare la carestia e la guerra? Quale giovamento ne trarrei?". Ariel si sentì costretta a tornare a guardare i suoi occhi.

"Quale piacere si potrebbe mai provare nel vedere una povera donna con le mani legate che affoga nell’acqua ghiacciata? Chi esulta nel vedere un bellissimo fiore appassire soffocato dal fumo, nel sentire lo sfrigolare della sua carne nel fuoco e le sue urla di dolore?". Aveva perso la sua amabilità, era serio e crudele come la lama fredda di un pugnale e Ariel aveva ricominciato a piangere silenziosamente.

"L’uomo bigotto e ignorante. Lui gioisce nell’uccidere crudelmente i suoi simili ed io sono accusato delle sue infamie. Chi è la bestia allora?" s’infervorò lui, tanto da far rabbrividire la ragazza. Lei singhiozzò e il Diavolo si chetò, accarezzandole la guancia con il dorso delle dita per calmarla.

"Io sono solo un capro espiatorio. E per quanto m’irriti l’ignoranza dell’umanità, non posso fare altro che amarla nella sua complessità quale creazione migliore di Dio. Dopo di me ovviamente" ricominciò lui riprendendo il tono dolce e muovendo le labbra in un perfetto e vanitoso sorriso.

"Voi... non siete... non...?". Era deliberatamente scossa da quelle parole. Avrebbe voluto domandare cosa significassero, se era lui che personificava il male, se non era forse vero che sussurrava all’orecchio della gente cose malvagie.

"Tu non lo credi davvero".

"Loro non credono che io sia una strega, ma mi bruceranno" balbettò lei piangendo.

"Tu sei una strega?".

"Io non sono una strega" si difese lei con enfasi. Quanto lo aveva ripetuto?

"Ma lo vorresti essere... ". Rimase sbalordita.

"No". Il Diavolo si abbandonò a una sommessa e garbata risata.

"Che candida e innocente creatura... " disse con voce dolce, abbassando la mano sul suo petto. Ariel lo fissava in viso con le guance bagnate e le labbra socchiuse, mentre lui sfiorava delicatamente la sua pelle con la stessa piacevolezza di un balsamo.

"Non voglio bruciare sul rogo".

Lui le sorrise intenerito, fissando i suoi occhi lucidi. Lentamente si avvicinò al suo volto. La mano scese con altrettanta flemma fino al suo interno coscia. La ragazza chiuse gli occhi inorridita, con le labbra a pochi millimetri da quelle del Diavolo, e cercò la sua mano per fermarla.

"Peccato. Lussuria. Blasfemia" mormorò sconvolta.

"Ariel non ascoltare quello che ti hanno detto da quando sei nata".

"Devo ascoltare voi?". Lucifero scosse il capo.

"Devi ascoltare solo te stessa. Tu sei migliore degli altri".

Fu lei a scuotere il capo, ma sentiva il tepore delle sue labbra vicino alle guancie paralizzarle i sensi. Era irruento e deciso nella sua crudele lentezza, fintanto da obbligare la ragazza a sfiorarlo a sua volta, e Ariel sentì le loro bocche incontrarsi, sentì la sua forza cedere e la mano del Diavolo scivolare fra le sue gambe. Allora vide tutto come un lampo.

Il villaggio era in fiamme e il cielo tuonava cupo come la morte. Urla disperate spezzavano quel ritmo funesto e infinite lacrime di disperazione scorrevano come fiumi di sangue. I campi stavano bruciando e il fumo che si levava verso l’alto era più nero delle stesse nuvole minacciose, l’aria si riempiva di soffocante annientamento. Cenere asciutta e oscura pioveva su ogni cosa, corrodendo ogni speranza. C’erano corpi carbonizzati dal fuoco disseminati per strada e corpi che correvano come torce impazzite contorcendosi dal dolore, i corpi delle guardie. La bocca di Gerlando imbellettata di sangue, spalancata a rigettar una lingua bluastra, gli occhi sbarrati nello sbigottimento e uno sperone appuntito ad attraversargli l’addome gocciolando rossa escrescenza.

"Datemelo!" esclamò la ragazza d’improvviso staccandosi da lui, senza che nemmeno si fosse accorta di essersi avvinghiata famelica al suo corpo. Non si era accorta che sotto le sue mani c’era il torace nudo, in tutto uguale a quello di un uomo, attraversato da profonde cicatrici e piaghe, porzioni di serafica pelle scorticata e ustionata. Non si era resa conto di essersi quasi spogliata mentre si muoveva contro di lui, mentre tremava in preda all’estasi che le donava con il suo tocco. Era affamata dei suoi baci peccaminosi come se non potesse fare a meno. Voleva vendetta, e voleva il suo potere.

"Questo è l’Inferno, mio splendore" le sussurrò lui all’orecchio.

"Datemelo" ripeté lei con voce roca, gli occhi carichi di una nuova luce. Lucifero sorrise e si alzò. Terribilmente magnifico sovrastava il corpo inginocchiato e immobile della ragazza, fissandola in viso, tenendo una mano misericordiosa poggiata alla sua testa pronto a espiare la sua purezza.

"Baciami". Il bacio del Diavolo. Ariel ricambiava quello sguardo rapita, gli occhi carichi di un languore ubbidiente. Era pronta ad assetarsi dei poteri oscuri, a sigillare con le labbra un patto eterno con il male.

Quando fu sorto il sole, il fuoco, invece di divorare il suo corpo legato al palo, si era propagato per il villaggio fino ai campi, distruggendo dapprima coloro che l’avevano frustata e molestata, poi quelli che l’avevano schernita e bersagliata con ogni sorta d’insulti e cibi marcescenti. Il suo inquisitore trafitto da un puntello che sporgeva da un carro, morto come una bestia. Il cielo ruggiva ma non riversava che cenere.

Lei piangeva. Si sentiva vuota. Si sentiva immensamente potente.

   
 
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