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Autore: Il Romanticismo Perduto    07/09/2010    4 recensioni
[Pittura]
L'arte di imprimere l'anima su una superficie immutabile, che sgorga grafite. Elisa tenta, concentrandosi sul tessuto e non sul cuore, di imprimere il corpo dell'amata sulla tela.
[tratto dal capitolo]
Sapeva che era una cosa impossibile, disegnare ogni suo piccolo anfratto. Era troppo perfetto il suo corpo, per essere trattenuto tutto dentro un foglio bianco, per quanto grande fosse.
E gli occhi scuri scorrevano veloci tra la sua calda pelle e il freddo foglio, accarezzava quella carne ogni volta e poi con un lieve tremore, solo nella mente, disegnava, cercando di riprodurre la meraviglia che osservava da ormai mezz’ora.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Shoujo-ai, Slash, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Le Vie dell'Arte'
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Dolce capolavoro

 

Sapeva che era una cosa impossibile, disegnare ogni suo piccolo anfratto. Era troppo perfetto il suo corpo, per essere trattenuto tutto dentro un foglio bianco, per quanto grande fosse.

Eppure Elisa ci provava, voleva riuscirci. Perché quel corpo, quelle forme eleganti, quelle nudità si mostravano a lei nella sua pura perfezione. La sua modella. Con fatica glielo aveva chiesto, a lei. Sapeva quanto le dava fastidio, mettersi a nudo, in ogni sua forma.

Eppure ci era riuscita. Quel giorno, lei aveva vinto.

E gli occhi scuri scorrevano veloci tra la sua calda pelle e il freddo foglio, accarezzava quella carne ogni volta e poi con un lieve tremore, solo nella mente, disegnava, cercando di riprodurre la meraviglia che osservava da ormai mezz’ora.

Lei rimaneva ferma, nella posizione che avevano predisposto, entrambe amanti dell’arte. Anche se in forma diversa. Lei usava le mani, per modellare la sua arte. Elisa preferiva il carboncino, la matita o, in alcuni casi, la penna.

Si passò la mano veloce nei capelli, tenuti fortemente corti. Gli occhi volavano, passavano da uno scenario ad un altro, dal divano di casa sua, a quello del disegno. Dalla luce artificiale creata da una lampada e da quella immaginaria del foglio. Solo una cosa era immutata nelle due: il battito accelerato di entrambe.

«Scusami, Artemiya, potresti lievemente spostare il braccio? Esatto così. Adesso, sta ferma.» le sue labbra che veloci parlano a lei, mormorare il suo nome la faceva letteralmente impazzire. Non c’era bisogno di urlare, avrebbe fatto scappare l’ispirazione da quel posto, da quella stanza, da quel divano… da quegli occhi verde prato.

E la modella, completamente nuda sul divano, spostò la mano, cercando la posizione che la pittrice voleva.

I capelli biondi si mossero leggermente, cadendo ancora di più dalla schiena diafana. La luce, nel buio di quella stanza dava un colore strano alla sua pelle, la rendeva più scura, più morbida, più… calda.

Elisa non la smetteva di mettere quel doppio senso nei suoi occhi, in quel momento, alle nove passate, di notte, con solo una fetta di pizza nello stomaco, lei. Elisa Santoro, artista in erba, negli occhi aveva due luci differenti: luce d’arte e luce di passione.

Quando era venuta in quella scuola prestigiosa si era prefissata di rimanere single e senza distrazioni fino alla fine. Ma bastò il primo giorno di scuola per mandarli entrambi in fumo.

Quando scorse lei, Artemiya.

Un brivido corse giù per la schiena e si fermò un secondo, ammirando il capolavoro che lentamente stava nascendo davanti a lei, con le sue mani.

«A che punto siamo?» chiese la ragazza sul divanino. Lo sguardo curioso, acceso.

«Manca poco. Veramente.» e con quelle parole, riprese in mano il carboncino.

Ma seppe fin da subito che non avrebbe avuto possibilità, troppi fustacchioni dai muscoli pompati e dai capelli cotonati giravano intorno a lei, per poter sperare che la osservasse. Così decise di parlarvi, di farsela amica e basta, di riferirle che il suo amore per le donne era solo per l’arte, e non per la carne.

Quante bugie, menzogne elaborò ogni giorno per lei.

Dolce donna che lentamente rubò il capolavoro dentro il suo cuore, rendendola un’artista a metà. Perché solo con lei di fianco vedeva la bellezza in ogni cosa, persino un cestino dei rifiuti, con lei vicino sprizzava bellezza da ogni singola buccia di banana marcia.

Frequentavano corsi troppo differenti per poter fare i compiti insieme, ma almeno i giorni a fare shopping, o a girare per la città erano abbastanza per Elisa.

Quando lei osservò le sue mani modellare la cera e formare vasi, tazzine o sculture stupende, si era immedesimata lei, in quei vasi. Essere accarezzata con tanto amore e pazienza da quelle mani lunghe e delicate, mani da pianista ed artista.

Ma poi, un giorno, tutto questo finì.

«Cos’hai, Elisa?» la sua voce la destò dai suoi pensieri, che l’avevano fermata dal disegnare.

«Eh? No, niente… stavo pensando… scusami.» e riprese a spingere la matita sul pezzo di carta.

Un nuovo tratto si formò, e gli occhi scuri ritornarono concentrati. Spenti sì, ma concentrati.

 

«Mi sono messa con Edward!» urlò trionfante.

«Ah! Davvero?» mormorò Giulia, mentre Elisa assimilava la notizia con dolore. Quel pomeriggio fuggì da loro, fingendo un malore. Ma seppe, con assoluta certezza, che gli occhi di Artemiya si colorarono dolcemente di dolore, mentre lei scappava in lacrime.

 

«Elisa, smettila di disegnare, se ti senti stanca.» mormorò poi la modella, accennando ad alzarsi.

«Non muoverti di lì! Finirò questo disegno, e non c’è stanchezza che tenga!» detto quello riprese a disegnare con più foga, mettendoci del finto impegno. Ma lo sapeva, lo sapeva, che lei, in quel foglio, non ci sarebbe mai entrata. Almeno non completamente.

Gli sarebbe mancato il pezzo più importante, quello di cui tutti gli artisti hanno bisogno: il cuore.

 

«Sai, mi sono lasciata con Edward.» la ragazza bionda lanciò la bomba in mezzo al campo, sperando che Elisa non si ferisse troppo nello scoppio. Sapeva gli sguardi che gli lanciava. Sapeva tutto. Ma non aveva il coraggio di parlarne.

«Ah… davvero? Come mai? Non eri felice, con lui?» domande, domande, domande. Quello che farebbe un’amica curiosa, un’amica pettegola… un’amica e niente più.

«Mi sono accorta di non amarlo affatto… anzi, mi sono accorta di non amarli affatto…» mormorò poi, aspettando che la curiosità di lei predominasse la sua frase.

«Di non amare affatto chi?» chiese Elisa innocente, continuando il disegno rapita. Non capiva dove l’amica volesse andare a parare, il disegno adesso aveva tutte le sue attenzioni, sia fisiche che mentali.

«… gli uomini.» e il silenzio divenne tomba. Soffocante. Deprimente. Doloroso. Pesante.

Fermò la matita a mezz’aria, perché il disegno non fu più al centro di Elisa, perché adesso, al centro, c’era lei.

Lei, che l’azzannava con dolci sguardi desiderosi.

Lei, lentamente mosse il dito a richiamarla.

Lei, che comandò il corpo di Elisa fino al divano, abbandonando la matita sul treppiedi.

Lei, che sapeva di rose e lillà.

Lei, che modellava il corpo di Elisa.

Lei, che in quel disegno adesso ci poteva entrare.

Con ogni fibra del corpo e dell’anima.

   
 
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