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Autore: crimsontriforce    08/09/2010    1 recensioni
Catherine dimostra al suo compagno abilità sempre più eccezionali nel portarlo su un'Era diversa dalle sue passate creazioni, molto diversa, diversissima, talmente diversa che in effetti non l'ha scritta lei. Il primo impatto con l'isola di Myst, rivisto con gli occhi della memoria. Un diario.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Atrus, Catherine
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '2. In cerchio attorno a una voragine di stelle'
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Scritta per un concorso basato sulle citazioni di Einstein che trovate qui, con l'imbarazzo della scelta di situazioni adatte a Myst: si parla di problemi creati e risolti, di metodo scientifico e di meraviglia, dell'arte (maiuscola opzionale) e di tanto altro che non stonerebbe in bocca ad Atrus, Yeesha o, eventualmente, Gehn.
La giudice s'è sciroppata tutto il Book of Atrus apposta per questa storia... spero che per il lettore 'a secco' il romanzo sia piacevole almeno un quinto che per noialtri che “guarderemmo felici tre ore di film di Atrus che accarezza un gatto” (cit. Patrick&Adrian) ^^;


Disclaimer: Gli avvenimenti narrati sono frutto di fantasia. Non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere delle persone descritte né offenderle in alcun modo. Se possibile, anzi, il tutto è da intendersi come tributo di affettuosa stima.





Scrivere l'amore in prestito


Il segreto della creatività è saper nascondere le proprie fonti
(A. Einstein)




Atrus mi ha proposto di condividere i nostri ricordi di quei giorni. Come un ologramma, ha detto, con le nostre due immagini sfasate a dare profondità alla risultante. È un buon paragone e glielo dico. Amo il suo sorriso quando non risponde.
Ritrovo dunque il mio ricordo per porgerglielo, ma sento già che inizia a sgretolarsi sotto l'usura come pietra friabile e la paura mi coglie perché non posso perderlo, non voglio: 'quei giorni' furono un gradino, un punto di stacco, non più belli di quelli che li seguirono e ancor oggi proseguono (più difficili), ma furono i primi e perciò importanti. Ero ancora alla deriva, allora, ero Katran tenuta al largo delle coste natìe. Ma iniziavo a vedere la sua luce. Chiesi quindi una riva sicura: per farlo risplendere, per poter attraccare.
Anna rispose.
La chiamammo Myst, perché era il nostro segreto.

Atrus marca con cifre le sue pagine, giorno dopo mese dopo anno. I numeri hanno regole e non può rompere questa processione di cifre per tornare indietro a colmare i vuoti se non con brevi riflessioni.
A me è dato.
Torno all'oggi che è trecento giorni fa, in ogni dettaglio, fintanto che la memoria mi sostiene. Torno e lo fisso con radici d'inchiostro.

Torno a quando la sagoma di Atrus apparve sul molo, stagliandosi sugli azzurri del mare e del cielo. Dopo il buio di D'ni, sembrava che i colori gli si incollassero addosso come una buccia. Lo vidi muovere qualche passo, guardarsi attorno e sentivo che apprezzava le assi di legno salde sotto i suoi piedi, ancorate a della buona roccia. L'isola era stabile e il mare s'infrangeva docilmente sulle rive, come a salutare i nuovi visitatori. Era una pace che ancora oggi sento meno intensa della bellezza feroce della mia terra, ma che assieme ad Anna avevo modellato sull'animo di Atrus, su quiete e riserbo – non da ultimo, sulla sua solitudine.
Scambiammo parole che non ricordo. Ma prima di andarsene:
“Sì. Potrei vivere qui.”
Gli sorrisi. Ne ero certa.

Quando tornò passeggiammo lungo la riva sud, incontro al sole morente. C'era uno sguardo preciso che mi rivolgeva, quando si voltava verso di me dopo aver guardato a lungo i riflessi del mare. Atrus vedeva me e dietro di me vedeva quello che di me aveva conosciuto: le mie Ere e i miei sogni mi circondavano come una corona evanescente, che mal si adattava alle forme semplici dell'isola. Vedeva ancora le stelle. Una cascata infinita. Forme al di fuori di ogni geometria. Risplendevo quanto il sole, ma i miei colori stridevano, più simili a quelli di un punto che risucchi la luce circostante concentrandola su di sé. Ricordo la stessa impressione fin dall'infanzia, ripetuta più e più volte: sembra che sia tutto quello che so fare. Su Riven non ero nulla. Rimanevo sola. Lui invece non fuggiva. Mi aveva detto – sì, fu già in quell'occasione. Mi aveva detto che non avrei mai potuto spaventarlo.

Sento ancora la sua curiosità sfiorarmi. Certo aveva già visto molti alberi in vita sua, ma il fitto bosco di pini che ricopriva il lato occidentale dell'isola gli stava riportando alla memoria un ricordo ben preciso. Lo intuii dal modo in cui si fermò a saggiarne la corteccia e, soprattutto, perché l'aneddoto mi era già stato raccontato: Atrus non aveva mai visto un pino, una simile vegetazione era impensabile nel deserto in cui era cresciuto, ma Anna portava nelle sue memorie più lontane un caro ricordo di quegli alberi, tramandato da suo padre. Nessuna sorpresa dunque, per me, nel vederla tentare di ricrearli qui, ma Atrus vedeva solo la mia mano dietro a quest'Era. Come potevo aver scritto un'illustrazione dei libri di quand'era bambino? Non sapeva come parlarmene – io ero ancora costretta al silenzio. Mi limitai a riscuoterlo con un tocco sulla spalla e a condurlo oltre. Ma se non erano i pini erano i fiori sul prato, bianchi e minuti, o i gabbiani, così diversi dai nostri uccelli marini di Riven e per lui, ancora una volta, forse un'eco di storie fantastiche. Un'eco della superficie sopra D'ni.

Parlammo ancora, seduti sul promontorio. Discorsi gravi come nebbia pesante all'orizzonte. Il contatto delle nostre mani ci rassicurava – un bacio sulla punta del naso – ma non poteva esserci una gioia completa. Erano giorni difficili. Se guardo a Riven, lo sono ancora. C'è nebbia all'orizzonte. Pesa. Sono così stanca.
Forse, un giorno––
Non importa. Sentivo ancora il calore delle sue labbra e non volevo cederlo all'incertezza. Cambiai discorso.
“So così poco di te. Tua nonna Anna, per esempio”, gli chiesi quasi per gioco. “Te la ricordi?”
Tacque, ma gli lessi in volto: “Era come te.”

No, Atrus. Anna in quei giorni era la mia ombra, le mie spalle ed era quello ciò che vedevi. Ero aliena, ma ero anche casa, in un alternarsi di dati contrastanti che non riuscivi a definire. Dover tenere te all'oscuro di tutto mi graffiava il cuore, ma non potevamo rischiare che Gehn scoprisse, per un qualunque imprevedibile artificio, che a combatterlo eravamo in tre. Quanto avrei desiderato gettarti le braccia al collo e sussurrarti: mio amato, posso donarti le stelle, ma la terra sotto i tuoi piedi non è opera mia; Anna è viva, ti manda il suo amore e ti aspetta?
Ma dovevo mantenere i nostri segreti. Finsi ignoranza, giacché la nostra isola semplice e sensata non ci aveva tradite ai tuoi occhi, come avevo temuto. Vedevi solo me e ti lasciai fare (lei non me ne vuole per questo piccolo furto: il vostro legame dura da una vita).
Tanta ammirazione sarebbe dovuta appartenere a due persone: sentirla concentrata su di me mi spaventò. Ma ebbi la sensazione, per la prima volta, di una realtà più netta dei miei sogni.


~/~




Riflessi, specchiati attraverso l'immagine di collegamento: a nostra insaputa, la stessa storia accadeva dall'altra parte del libro.
Anna mi racconta che in quei giorni era solita parlare con i suoi affetti. Ancora oggi è sua abitudine, quando il cielo è nero e la nostalgia la coglie, ed è persa su mondi che abbiamo chiuso alle nostre spalle.
Dice con certezza che c'è chi non l'ha mai abbandonata, attraverso gli anni, le Ere e la morte. Viene facile crederle: nemmeno io lo farei, e la conosco da così poco.
Così, mentre noi camminavamo, lei si prendeva cura del libro che ci ospitava. Lo sfogliava. Cercava i dettagli fuori posto in quell'architettura sobria, i fondali oceanici illuminati a giorno, o la nebbia viva oltre l'orizzonte: dettagli tratti da un sogno e offerti alla sua creazione. Leggeva ad alta voce le immagini che vedeva oltre le parole del libro e nel buio di K'veer Ti'ana, la narratrice, evocava quei luoghi come se fossero veri. Come me, chiedeva al suo pubblico: “Continuo a sorprenderti, amore mio?”



















Note:
@ 'Myst' come abbreviazione per 'mystery': buh, mi è venuto spontaneo scrivendolo qua, ma... visto che è stata pensata come una sorpresa congiunta per Atrus, che è nata come progetto segreto delle due comari, in fondo perché no? Le alternative sono che sia una parola D'ni o Rivenese dal significato che non conosciamo o che rappresenti la nebbia. Non so, a me sembra che pensarla così abbia senso, poi magari no...
@ rispetto al Book of Atrus: la fanfic si dovrebbe inserire nelle due paginette ambientate su Myst, soprassiede alle parti non rilevanti (dialoghi, visita alla capannuccia...) ma lascia intendere che sono accadute.
@ “Era come te”: Caro signor Wingrove, cordialmente, la pianti. Secondo il Book of Atrus, Catherine è come Anna e Atrus è come Keta. ...anche no! °_° Se per la prima similitudine può essere semplicemente Atrus mammone che proietta, la seconda no, per carità! Ma che l'avete sentita Keta? Sdilinquevolmente innamorata persa di Gehn? Vi pare che assomigli ad Atrus in un qualunque aspetto? °_°

   
 
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