Il giustiziere della notte
Vampiro.
Essere
mitologico che si nutre di sangue umano per mantenersi in forze, un essere
privo di imperfezioni, una macchina creata per uccidere, fredda e spietata come
l’uomo.
Sole. La mia
prigione in questo momento.
Una stella così
vicina al nostro pianeta da essere fondamentale per gli esseri umani; senza di
lui, cesserebbero di esistere.
Troppo freddo
per loro. Un pianeta in cui la vita non potrebbe avere luogo.
Vita. Cos’è la
vita se non un processo che richiede una nascita, un cambiamento, una
procreazione, una discendenza di quella razza, invecchiamento ed infine morte.
Un processo
evolutivo, insomma. Di cui io, non faccio parte già da un bel po’.
Il sole per me
è il nemico, un essere vivente che mi impedisce di fare ciò che la mia natura
mi spinge a fare: togliere la vita agli esseri umani.
La mia natura
umana è così lontana nei miei ricordi da sembrare un sogno, una realtà che
forse, a causa del troppo tempo passato, sembra non essermi mai appartenuta.
Ero un bambino, non un uomo, quando sono diventato così. Come posso affermare
di essere un uomo se non conoscevo nulla della vita?
Il mio unico
obiettivo era quello di partecipare alla guerra, una guerra che ritenevo mia
nel mio piccolo, una guerra che aveva colpito la mia terra ed io la volevo
proteggere.
Una malattia a
sconvolgere i miei piani, la febbre spagnola.
Nessuno in
quell’epoca riusciva a guarire, non c’erano le medicine giuste.
Eppure io sono
qui, per merito di un essere che ho odiato i primi tempi.
Per colpa sua
io sono un non-morto, un essere dannato per l’eternità, un mostro. Eppure lui
ha trovato nella sua dannazione una via di fuga, un modo per placare il mostro
interiore.
Gli ho creduto
i primi tempi, ho cacciato animali con lui, ho ritrovato una parvenza di
un’umanità perduta, ma pur sempre un’illusione.
Un’illusione a
cui io ho rinunciato adesso, perché non mi appartiene più.
Non sono un
uomo, non posso cambiare il mio aspetto, non posso diventare padre, non posso
più fare ciò che l’uomo reputa parte del suo essere.
Il mio aspetto
è quello di un eterno diciassettenne, una carnagione bianca come la neve a
sottolineare il fatto che in me non scorre sangue, ma qualcos’altro: veleno. Il
veleno è l’unica cosa in grado di lasciare un segno tangibile e visibile sulla
mia pelle, come un marchio, un acido che ti entra dentro ed è capace di
dilaniarti. Per noi è solo un pizzico, non è capace di fare altro.
Ma rappresenta
il principio, quello che ti conduce lentamente verso l’inferno più oscuro e
tetro, un dolore che dura tre giorni. Questa è la durata della trasformazione,
una trasformazione irreversibile.
Il periodo
della trasformazione è quello più ricordato da quelli della nostra specie. È un
periodo di transizione, secondo me. Un periodo in cui non sei né vivo né morto,
ma entrambe le cose. Perciò è la prima sensazione che ti apre, ti conduce a
nuova vita, se così si può definire una vita perfetta per la maggior parte
degli esseri umani, una vita infinita che durerà finché la terra esisterà. Una
vita che assisterà ai cambiamenti del clima atmosferico, ai cambiamenti che
l’uomo apporterà nella sua vita, nel bene e nel male.
Nel bene e nel
male. L’uomo non è perfetto, come non lo sono io. Eppure in questo connubio, in
questa perfetta mescolanza riesce a convivere, a restare in equilibrio. Un
equilibrio che in certi casi io non riesco a tollerare.
Come si può
accettare che nel mondo esistano esseri che uccidono, fanno del male ai propri
simili per scelta?
Io uccido per
necessità, perché fa parte della mia natura e forse questa necessità nasce dal
male che risiede nell’uomo.
Io potevo
scegliere di cacciare animali insieme al mio creatore, una via alternativa,
così la definisce Carlisle. La sua compassione è stata, a mio parere, la sua
salvezza dal mostro che lo divorava giorno dopo giorno, nei giorni successivi
alla trasformazione. Invece io, ottenebrato dalla sete, ho cercato di placare
il mio mostro, agendo con raziocinio.
Mi sono
trasformato in un giustiziere della notte.
Un essere che,
grazie alle sue capacità, libera la terra da esseri ignobili e vili che
macchiano con il sangue versato la terra a cui dovevano essere riconoscenti.
Una terra che li ha accolti, ma che loro hanno disprezzato, nutrendola del
sangue delle creature che con fatica è riuscita a creare.
Ora sono qui,
in questo vecchio palazzo abbandonato che mi fa da scudo ai raggi solari, raggi
che fra non molto scompariranno, per dare spazio alla pallida luce lunare che è
testimone delle mie sentenze e dei miei misfatti. So per certo che qualunque
strada io percorra, non cambierà il mio destino. Se un giorno io riuscissi a
morire, le porte dell’inferno si spalancherebbero per accogliere un altro
demone.
Un demone che
sotto mentite spoglie agisce sulla terra, mietendo vittime. Le mie vittime
però, sono scelte con cura: metto a tacere il mio mostro solo con il sangue di
delinquenti, non rubo la vita agli innocenti, non potrei fare un torto simile a
loro che nella loro innocenza affrontano un mondo ricco di pericoli. Io sono il
loro angelo custode dalle sembianze demoniache.
Alcuni della
mia specie portano con sé dopo la trasformazione delle capacità extra, dei
poteri che cambiano da individuo ad individuo, e non sempre è molesto quanto il
mio.
Io leggo nel
pensiero, nel profondo interiore che è presente in ognuno di noi, anche in noi
vampiri. Ogni essere, umano e non, non ha segreti per me. Può mentire agli
altri sulla sua vera natura, ma non a me. Io so ogni cosa, e questo mi rende
uno dei vampiri più temuti della storia della nostra specie; nessuno può
cogliermi di sorpresa.
Ora il sole è
completamente tramontato, e mi preparo per affrontare un’altra notte
all’insegna della giustizia che io voglio attuare. Una giustizia effimera,
falsa, perché so benissimo che quello che faccio ogni notte è sbagliato. I loro
pensieri intrisi di paura, disperazione, mi lacerano ogni volta e mi fanno
dubitare delle mie azioni.
Ho lasciato
Carlisle perché tutta la sua compassione, il suo essere orgoglioso di aver
trovato un compagno come me, mi tormentano in ogni istante. I suoi occhi
dispiaciuti, quando me ne andai, non potrò mai dimenticarli. Sono occhi che mi
distruggono dentro, mi fanno disprezzare il mio essere, perché lui mi ama come
se fossi suo figlio, un figlio di cui non dovrebbe andare fiero, un figlio che
dovrebbe disprezzare.
Esco in strada e
apro la mia mente per accogliere i pensieri degli stupratori. Mi trovo in una
zona della città in cui è frequente questo genere di violenza che io reputo
disgustoso.
“Ecco! La
mia nuova preda, davvero carina. Ci sarà da divertirsi!”
I pensieri
rivoltanti di un uomo a pochi metri da me sono in grado di destare la voglia
del mio mostro, che non vede l’ora di far cessare il battito ritmico del suo
cuore, ed io voglio accontentarlo. Lo seguo per le vie anguste dei bassifondi
di Chicago, luogo della mia nascita. Appena entra in un vicolo per seguire
quella ragazza, lo afferro da dietro e con un po’ di forza lo sbatto contro il
muro e scompaio alla mia velocità dalla sua vista, osservandolo dalle scale
anti-incendio dell’edificio dietro le sue spalle.
L’uomo che non
si capacita dell’accaduto, si volta a destra e a sinistra, alla ricerca del suo
avversario. In lui leggo rabbia e paura, che cela malamente.
«Chi sei?!
Mostrati!» dice con voce tremante e afferrando un coltellino svizzero che usa
sicuramente per deturpare le sue vittime. Un ringhio feroce parte dalla mia
gola e l’uomo, in tutta risposta, si accuccia contro il muro, tremando
spaventato. Purtroppo per lui, il mio mostro è più assetato che mai e lo
reclama. Così mi piazzo velocemente di fronte a lui e con voce glaciale gli
rispondo:
«Sono colui che
ti conosce più di chiunque altro, perché sono in grado di leggerti dentro. Se
non ti avessi fermato, tu avresti violentato quella donna, ed io non potevo
permetterlo. Non è la prima volta che compi un gesto simile, perciò meriti una
punizione adeguata ai tuoi delitti: la morte» e mi avvento sul suo collo,
affondando i canini nella sua carne, morbida come il burro. Subito il sapore
del sangue mi entra e mi manda in estasi, facendomi perdere nel piacere dei
sensi. È come se fossi drogato, perdi ogni barlume di lucidità, è il mostro a
comandare su di te in questo momento, non tu. Ma i suoi pensieri non mi
abbandonano mai, e mentre la vita lo abbandona, rivedo attraverso i suoi
ricordi il mio volto: un essere bellissimo all’occhio umano, con occhi rossi,
senza profondità, senza spessore, occhi vuoti e freddi, quelli di un assassino.
Prendo il
corpo, ormai esanime, e lo nascondo per bene per non lasciare tracce del mio
passaggio, e una nuova consapevolezza si fa strada in me: io sono un assassino. Un mostro, alla stregua degli esseri abbietti
che uccido.
Un volto mi
appare, a contrastare il mio volto freddo e oscuro: Carlisle.
I suoi occhi
sono diversi dai miei: pieni di luce, di speranza, nonostante la sua natura sia
uguale alla mia. Occhi profondi e pieni di quei sentimenti che mi mancano,
sentimenti che voglio provare anch’io, per quanto mi sia possibile, dopo la
scia di morte che mi sono lasciato alle spalle. Anime che rivedrò come i miei
demoni interiori per ricordarmi delle sciagure che mi hanno visto protagonista
e regista degli eventi che avrei potuto cambiare.
Con questi
pensieri pieni di speranza e rimorso, mi incammino verso la persona che reputo
un punto fermo, la mia ancora nei periodi di burrasca, la mia luce nel periodo
più cupo, oscuro, della mia esistenza: Carlisle.
Perdonami,
papà, sto tornando da te.
Questa
one shot è riferita ai pensieri di Edward nel periodo di ribellione, quando ad
un certo punto si rende conto dei suoi errori e decide di tornare da Carlisle.
Spero che vi piaccia. Non so se è coerente con il personaggio in quel periodo,
non essendo stato menzionato nel profondo nei libri, perciò spero vi piaccia la
mia interpretazione. Fatemi sapere cosa ne pensate. Grazie.