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Autore: Rebecca_    10/09/2010    0 recensioni
La vita è ingiusta. E’ un concetto che impariamo troppo presto, sin da piccoli. Il nostro giocattolo preferito si rompe; il nostro migliore amico si trasferisce, ed improvvisamente siamo circondati da gente sconosciuta di cui non abbiamo mai veramente notato la presenza; per altri le difficoltà peggiori sono state causa di grandi sofferenza, come la scomparsa di qualcuno a noi caro.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Life is not fair

Life is not fair.

La vita è ingiusta. E’ un concetto che impariamo troppo presto, sin da piccoli. Il nostro giocattolo preferito si rompe; il nostro migliore amico si trasferisce, ed improvvisamente siamo circondati da gente sconosciuta di cui non abbiamo mai veramente notato la presenza; per altri le difficoltà peggiori sono state causa di grandi sofferenza, come la scomparsa di qualcuno a noi caro. Nessuno può osare contraddire questa verità, una verità sulla quale si basa la nostra intera esistenza. E’ per questo che bisogna amare le piccole cose buone di tutti giorni, anche quelle microscopiche. Perché quando arriva il dolore insopportabile, che ci fa credere di essere nelle viscere dell’inferno da dove forse non usciremo mai più, è in quel momento che tutto quello che c’è di buono nella nostra vita dovrà essere riesumato, esaminato, impreziosito dalla nostra volontà di farcela. Risaliremo, convinti di poter sopravvivere.

 

Cara Jenna,

 non sai quant’è difficile essere così lontani da casa, a volte. Non poter camminare per quella città che si conosce fino nel profondo, non vedere volti conosciuti, fermarti al solito bar dove il padrone ti accoglie come se fossi suo figlio. Forse è solo uno dei miei soliti momenti di nostalgia, sai come sono fatto, mi lascio trascinare dagli eventi. Oggi nell’ufficio dell’avvocato presso cui lavoro è venuta una donna. Sembrava aver sofferto tanto e, anche se non avrei dovuto, ho ascoltato la conversazione che hanno avuto. I suoi figli sono stati portati via dal marito e sono scappati in un’altra nazione. Deve essere stato terribile per lei, non oso immaginare cosa abbia passato. Il signor Mosby le ha assicurato che l’avrebbe aiutata, ma lo dici a tutti, e con pochi ci riesce, per quanto le sue intenzioni siano oneste.

Beh, tutta questa storia mi ha fatto pensare a mamma e a papà. Gli manco, non è vero? Digli che mi mancano anche loro. E mi manchi anche tu, sorellina. Non vedo l’ora arrivi quest’estate, ho già adocchiato una casetta perfetta per noi due. Domani firmerò il contratto. La mia prima vera casa, mi sento già vecchio.

Ora ti devo lasciare però, è arrivata l’ora dello studio. Prima però, devo rassicurarti: non sono così solo come sono sembrato qualche riga fa. Ho nostalgia di casa ogni tanto, sì, ma ho tanti amici qui e mi trovo benissimo. E poi ci sono le lettere che ci mandiamo ogni mese che mi tengono su il morale qualora dovessi sentirmi troppo lontano dalla mia famiglia. Quindi, per favore, non prendermi troppo sul serio. Ripeto: sai come sono fatto.

Il tuo fratellone, Johnny.

 

Jenna chiuse la lettera e se la portò al petto. Chiuse gli occhi per lavare via le lacrime che stavano iniziando a fare capolino. Sdraiata sul suo letto, con la porta rigorosamente chiusa, sola, voleva solo dimenticare. Voleva tornare a poche ore prima, quando ancora non aveva saputo niente, quando ancora credeva che suo fratello stesse ancora dormendo, o forse si era trattenuto in qualche pub fino a tardi con i suoi amici.

Tirò la lettera con tutta la forza che possedeva, colta da un momento d’ira. Ignorò come quella era tornata quasi al suo posto, si alzò e, come una bambina a cui hanno portato via il suo orsacchiotto, batté i piedi a terra. Le lacrime le scorrevano copiose sul volto e lei credé che mai avrebbero smesso. Il suo mondo era crollato, la realtà come la conosceva era cambiata d’improvviso. Era strano come poche parole potessero avere un effetto tanto devastante nella vita di una persona, ma così fu.

Suo fratello non stava dormendo, non era in qualche pub a spassarsela. Non lo sarebbe stato mai più. Suo fratello era chissà dove, e non sarebbe tornato indietro. Si chiese se fosse riuscito a leggere la sua ultima lettera. Odiava l’idea di non avergli potuto dire addio, ma almeno la lettera era il più recente pezzo di lei che avesse ricevuto. Sperò con tutto il cuore che almeno quel suo piccolo desiderio si rivelasse realtà, ma probabilmente non l’avrebbe mai saputo.

Quella notte, passata a chiedersi perché la vita dovesse essere così ingiusta, perché quella dannata macchina era passata con il rosso, perché non era andata da suo fratello prima di quel terribile incidente, fu per Jenna la prima notte completamente sola.

I suoi genitori erano distrutti quanto lei, fatti a pezzi da una semplice telefonata del Mercy Hospital. Jenna non poteva contare sul loro conforto, ma in fondo non fu un problema. Non voleva essere confortata da nessuno, non voleva essere abbracciata e rassicurata da nessuno se non dall’unica persona che non l’avrebbe fatto. La ragazza ricordò come i suoi genitori erano sempre stati preoccupati dal trasferimento del loro figlio maggiore in una città oltreoceano, nonostante fosse la loro città natale. Non volevano neanche che Jenna raggiungesse il fratello per seguire la propria strada, per poter studiare in una delle più importanti scuole d’arte dell’America. Ed ora? Ora non importava più. Probabilmente non sarebbe mai riuscita ad uscire da quella camera.

Il funerale del suo migliore amico si sarebbe tenuto dall’altra parte del mondo, ma per lui non sarebbe stato un grande problema. Avrebbe fatto di tutto per esserci, voleva dire addio a Johnny. Non mentì a sé stesso, sapeva che ciò che lo spingeva a comprare un biglietto aereo dal costo spropositato era anche il suo senso di colpa. La macchina che stava guidando Johnny quella sera era la sua, gliel’aveva prestata perché voleva tornare prima a casa. Lui, invece, sarebbe rimasto ancora un po’ in quel locale, qualcun altro lo avrebbe riaccompagnato. Doveva esserci anche lui in quella macchina, forse Johnny si sarebbe salvato, forse avrebbe scelto un’altra strada, forse non sarebbe successo quel tragico incidente. Eppure Eric non era quel tipo di persona. Credeva che niente sarebbe potuto andare diversamente, qualsiasi cosa lui stesso avesse fatto. E poi, era inutile distruggersi la vita per qualcosa che non poteva essere cambiato. Johnny era morto. Era una verità su cui avrebbe sfogato tutta la sua rabbia, la sua sofferenza, ma presto o tardi l’avrebbe dovuta accettare.

Uscì dalla stanza di quell’appartamento che aveva subaffittato con il suo migliore amico. Il vuoto che lo riempiva era insopportabile, così decise di andare a fare due passi. Arrivato nell’atrio del palazzo, però, si bloccò. Una lettera era infilata nella loro, anzi, sua casella postale. La sfilò, curioso di conoscere il mittente.

Jenna Newman, Bath, Inghilterra. Eric deglutì, mentre una strana sensazione gli riempiva i polmoni. O forse era semplicemente il suo cuore che si era frantumato di fronte a quella lettera. Una parte di lui gli stava urlando di lasciarla lì, di dimenticarla, di fare finta di non averla mai vista. Ma la sua coscienza era l’unica alla quale aveva imparato a dare retta. Infilò la lettera nella tasca interna del suo giaccone e iniziò a camminare per le vie di quella città. La città del vento, la chiamavano. Chicago non gli era mai sembrata più triste. Il grigio sembrava essere il colore predominante. La morte del suo migliore amico aveva sbiadito i colori, li aveva portati via con sé. Sorrise, ripensando all’amore che Johnny aveva per quella città. Passò davanti alla chiesa dove sapeva il suo amico si sarebbe voluto sposare, come i suoi genitori. Gliel’aveva dipinta come una delle più belle, convincendolo che fosse l’edificio più importante di tutta la città. Ora Eric quasi sperava che quella chiesa crollasse, insieme alle speranze del suo amico. Nessuno meritava di vivere la felicità che voleva vivere lui, tra quelle mura. Si sentì quasi infantile nel pronunciare quel desiderio, ma non gli importava. Per una volta, voleva semplicemente sfogarsi, non voleva dare un senso a quella vita tanto ingiusta. Voleva semplicemente vivere quel dolore, l’unica emozione che ancora lo teneva legato a Johnny.

 

 

- Ringrazio tutti per essere qui, riuniti di fronte…-

Jenna non voleva ascoltare le parole del pastore. Per lei non era facile essere lì, circondata da persone che piangevano per la morte di suo fratello. Non le dava fastidio, semplicemente si sentiva a disagio, perché lei non era più riuscita a versare neanche una lacrima. Le aveva consumate, aveva pianto per giorni. Era passata solo una settimana, ma lei desiderava andare avanti. Le mura abbellite da mosaici biblici non l’aiutavano in questo. Trovarsi di fronte alla tomba del fratello non poteva cambiare di molto le cose. Le mancava, terribilmente, ma non aveva più forze per combattere qualcosa che era già successo, qualcosa di irrimediabile. Si guardò intorno, in cerca dei suoi amici. Li trovò poco dopo, qualche fila dietro di lei. Pamela le sorrise, in segno d’incoraggiamento. Ricambiò a stento il sorriso. L’unico incoraggiamento che voleva ricevere era quello di andarsene da lì, il prima possibile.

Dall’altra parte della chiesa, c’era Eric. Versò qualche lacrima, ma anche lui le aveva ormai esaurite. Voleva solo che tutta quella cerimonia finisse. Qualcosa gli pesava terribilmente all’altezza del cuore: la lettera di Jenna. Aveva deciso di restituirgliela, apparteneva a lei e a lei doveva tornare.

Quando il funerale terminò, le persone iniziarono ad uscire dalla chiesa. C’era una gran folla e per Eric non fu facile localizzare una famiglia che non aveva mai visto di persona. Poi, notò qualcuno porgere le proprie condoglianze ad una coppia e alla loro figlia. La riconobbe dalle fotografie che Johnny gli aveva mostrato. Era sempre stato orgoglioso di quella ormai diciottenne, e non vedeva l’ora di presentargliela quando si sarebbe trasferita anche lei a Chicago. D’improvviso, gli mancò il coraggio. Forse Jenna pensava che la lettera fosse stata recapitata in tempo, o forse semplicemente ci sperava. Sarebbe stato troppo doloroso per lei averla indietro da uno sconosciuto? Sì, probabilmente sì. Eric non sapeva cosa fosse più giusto fare, e soprattutto quella lettera stava iniziando a diventare un fardello troppo grande. Rimase immobile ad osservare la ragazza mentre sorrideva cordialmente a chiunque si trovasse davanti, senza prestargli veramente attenzione. Stava soffrendo molto più di lui, era chiaro. Non poteva darle la lettera, non avrebbe retto un tale colpo, non in quel momento. Ci rinunciò, avrebbe trovato il modo e il tempo per consegnargliela.

Jenna non notò Eric neanche per un istante, neanche di sfuggita. Era accerchiata da persone che volevano metterla al corrente del loro dolore, mentre lei era solo alla ricerca disperata dei suoi amici.

Qualcuno le toccò una spalla per richiamare la sua attenzione. Lei si girò e non fu mai così contenta di vedere la sua migliore amica. L’abbracciò d’impulso, adagiandosi in quell’affetto di cui aveva veramente bisogno.

- Vuoi andare via? – le chiese poi Pamela, intuendo i desideri della ragazza.

Jenna annuì e si lasciò condurre sul marciapiede dove trovarono anche Adam e Victoria. Insieme, i quattro s’incamminarono verso il loro punto di ritrovo giornaliero, un bar che frequentavano da anni.

- E’ inutile dirti che siamo qui per qualsiasi cosa, vero? – le chiese Adam quando si furono accomodati ad uno dei tavoli più appartati.

- Sì ragazzi, grazie. Non so che farei senza di voi, veramente. Siete la mia ancora –

Victoria, che era seduta accanto a lei, le accarezzò una mano in segno di conforto.

Non c’era neanche bisogno di ordinare, il proprietario li aveva visti crescere, così come aveva visto crescere Johnny. Non era andato al funerale perché non poteva sopportarne l’idea, non amava andarci, ma aveva dimostrato il suo dolore in tanti altri modi in cui giorni. Ogni mattina si era presentato a casa di Jenna con la colazione, ovviamente offerta dalla casa. Conosceva i gusti di quei ragazzi alla perfezione e subito si presentò con i loro dolci preferiti.

- Grazie Al – Jenna gli sorrise e lui le accarezzò la testa. Si commosse, quella ragazza era come una figlia per lui e non avrebbe mai voluto che soffrisse tanto.

Quando si allontanò, nessuno sapeva cosa dire. Ma a Jenny non importava, la presenza dei suoi amici le bastava per rincuorarla almeno un po’.

- Cosa farai ora, Jen? Forse ti dà fastidio che ti sia chiesto, ma mi domandavo se partirai comunque o no – Adam l’aveva sempre incoraggiata ad inseguire i suoi sogni e non voleva che la sua amica ci rinunciasse. Aveva già perso troppo.

- Non lo so, non ci ho pensato granché. Non penso che i miei si aspettino che io parta lo stesso, non sappiamo neanche se la casa è stata pagata già o no –

- E se lo fosse? – s’interessò anche Victoria.                  

Jenna sospirò. Non sapeva davvero cosa avrebbe fatto della propria vita, ora le sembrava solamente un cumulo di rottami da cui difficilmente avrebbe ricavato qualcosa di funzionante.

- Non lo so, non so più niente ormai. Voi cosa ne pensate? Secondo voi dovrei partire lo stesso? –

- Se la casa è disponibile, sì – rispose a bruciapelo Adam.

Pamela lo fulminò, trovando quella frase troppo affrettata.

- Pam, tranquilla. Voglio davvero conoscere il vostro parere, mi sarebbe molto d’aiuto in questo momento –

- E allora ti dico che anche secondo me devi andare. Johnny non avrebbe voluto che sprecassi un’opportunità del genere. Sei entrata nell’Art School di Chicago! Non è una cosa da poco, devi approfittarne – affermò Victoria.

Jenna annuì. Sentire il nome di suo fratello l’aveva colpita, e sapeva che Victoria aveva ragione. Lui non glielo avrebbe mai permesso, non l’avrebbe lasciata sprecare la sua vita così.

- Pam? – chiese poi alla sua migliore amica.

Pamela giocherellò nervosamente con le sue mani, in cerca di una risposta che non aveva. Non aveva desiderato neanche che la sua amica partisse prima di quella tragedia, ed ora averla lontana e non poterle essere accanto in un momento tanto delicato era insopportabile. Ma non importava quello che voleva lei, doveva pensare a cos’era meglio per Jenna. E poi, lei stessa aveva in progetto di raggiungerla appena avrebbe potuto. Così, annuì.

- Anche secondo me dovresti andare, casa o non casa. Trova un appartamento, qualcuno cercherà pure un coinquilino –

Jenna sorrise, sapendo di aver preso finalmente una decisione. Sperò che Johnny la guidasse in quell’avventura che si accingeva ad intraprendere.

 

La sera stessa, Jenna comunicò la notizia ai suoi genitori. Loro ne furono da prima sconvolti, poi iniziarono ad ascoltare la figlia, le sue idee, i suoi progetti. Si convinsero che era la cosa migliore per Jenna. Si sarebbe distratta, avrebbe cambiato ambiente e non sarebbe stata più legata al ricordo del fratello. Per loro, invece, era un duro colpo essere lontani da lei, soprattutto dopo la perdita del loro figlio. Ma sapevano che il bene di Jenna era più importante del loro.

La famiglia scoprì che la casa che Johnny voleva comprare non era stata ancora pagata. Ne furono tutti e tre felici, perché per Jenna sarebbe stato difficile vivere in quella casa da sola, in compagnia del fantasma del fratello. Così, la ragazza iniziò la ricerca di un appartamento, possibilmente vicino alla scuola che avrebbe frequentato. Niente fu più semplice: una ragazza cercava disperatamente una coinquilina e l’affitto non era neanche tanto elevato. Anche lei frequentava l’Art School, quindi Jenna avrebbe avuto compagnia anche nella scuola. Tutto iniziò a prendere una piega migliore di quella che si era preannunciata. La diciottenne sarebbe partita a tre soli giorni di distanza dal funerale, lasciandosi alle spalle una città che ormai era troppo piena di ricordi dolorosi.

Eric prolungò la sua permanenza in quella città dell’Inghilterra più che poté. Ogni giorno, era una sfida contro sé stesso. Non aveva ancora trovato il modo per consegnare la lettera a Jenna e gli sembrava sempre che fosse troppo presto. Ma non poteva resistere ancora per molto, sentiva l’impellente bisogno di togliersi quel peso dalla coscienza. Si era incaricato di un compito troppo gravoso, ma ormai lo doveva portare a termine. Sapeva che non sarebbe stato facile, ma doveva essere fatto.

Così, finalmente il ragazzo trovò il coraggio di andare a trovare la famiglia del suo migliore amico. Chiese l’indirizzò ad Al, il proprietario del bar dove sapeva Johnny aveva passato la sua adolescenza. Poi, armato di coraggio, si diresse verso l’unica padrona di quella lettera.

Di fronte al portone della casa, Eric iniziò a perdere quella sicurezza che lo caratterizzava sempre e a cui Johnny si era aggrappato in più di un’occasione. Era incredibile come quella casa, dove il suo miglior amico era nato e cresciuto, nonostante non l’avesse mai vista prima, glielo ricordasse. Era come se i muri gli parlassero di lui, gli narrassero ogni dispetto che Johnny aveva fatto alla sorella e di cui raccontava con nostalgia e un pizzico di vergogna.

Eric sospirò, chiedendosi cosa avesse fatto di male quel ragazzo per morire. Poi suonò il campanello e la signora Newman lo accolse in casa.

- Mi fa piacere che sia venuto a trovarci, Eric. Johnny ha sempre parlato di te come un ottimo amico – le disse la donna facendolo accomodare in salotto.

- Grazie signora. Johnny era veramente un bravo ragazzo, anche troppo buono – disse sorridendo mentre si sedeva su un divano.

- Già. – un velo di tristezza riempì gli occhi della signora Newman, ed Eric si morse un labbro. – Vuoi un po’ di the? –

- Sì, magari grazie –

Eric si guardava intorno. Foto di Johnny e Jenna da piccoli lo circondavano, e i suoi occhi iniziarono a pungergli. Ricacciò indietro le lacrime appena se ne accorse e si maledisse per aver prestato attenzione all’arredamento.

- Allora, come vanno le cose a Chicago? – tentò di fare un po’ di conversazione la madre di Jenna mentre metteva sul fuoco l’acqua.

- Diciamo che vanno. I corsi che sto frequentando non sono dei più facili, ma non mi lamento –

- Bravo, non serve a niente lamentarsi. Lo dico sempre a… ai miei figli – la donna si bloccò improvvisamente.

Eric si alzò e le si avvicinò in quello che sembrava un angolo cottura troppo ordinato. Di sicuro Johnny non aveva preso i geni della madre.

- Signora, tutto bene? –

- Sì, scusa. E’ solo che è ancora molto difficile accettare l’idea… - la signora Newman si asciugò una lacrime e poi sorrise ad Eric.

Lui ricambiò il sorriso, poi si fece coraggio.

- Senta, per caso c’è Jenna in casa? –

- Perché cerchi Jenna? – la donna era confusa.

- Perché ecco, le dovrei ridare una cosa che le appartiene –

- Ah, - era chiaro che la donna non aveva ancora capito a cosa si riferisse – mi dispiace, ma Jenna non c’è. E’ partita ieri sera per Chicago. Magari riesci a rintracciarla lì, tanto dovrai tornare anche tu no? –

- E’ partita lo stesso? – chiese il ragazzo sconcertato, senza rendersi conto delle parole che gli uscivano dalla bocca.

- Sì, è partita lo stesso. Ha avuto una borsa di studio per frequentare l’Art School, non poteva rinunciarvi –

Eric annuì. Nella sua mente era già alla ricerca di un modo per scoprire dove abitasse e come fare per rivederla. Poi, una lampadina si accese ed elaborò il piano perfetto.

Rimase per un po’ a fare compagnia alla madre di Johnny. Il marito era a lavoro e si capiva perfettamente che si dovesse sentire sola, portando il peso di quel lutto.

Tornato nel suo albergo, Eric iniziò a fare i bagagli e chiamò un’agenzia per il biglietto di ritorno. Ora non vedeva l’ora di tornare a Chicago.

 

L’arrivo segnò per Jenna un nuovo inizio. Sentiva di poter andare finalmente avanti, ma sarebbe sempre stata accompagnata dalla presenza del fratello. Ma non erano più ricordi dolorosi quelli che invadevano la sua mente, non era più colta all’improvviso da momenti passati a giocare con Johnny. Ora lo vedeva in quella città, a crearsi una vita. Una vita che aveva lasciato, ma che lei avrebbe ripreso, fatta di speranze e sogni. Fatta di nuove avventure e nuovi incontri.

Prese un taxi e si diresse all’appartamento dove la sua nuova coinquilina la stava aspettando. La scuola non sarebbe iniziata prima di metà settembre, ed erano ancora agli inizi. Avrebbero avuto tutto il tempo di conoscersi, di imparare a convivere.

Arrivata sotto al palazzo, citofonò e la ragazza la rassicurò che l’avrebbe aiutata con le valigie. Così, dopo qualche secondo, Jenna si ritrovò davanti una biondina minuta dagli occhi azzurri. Com’era evidente che venisse dalla California! Le, invece, non aveva nessun tratto particolare che la distinguesse dagli altri. Certo, i capelli corvini che contornavano un viso decorato da un paio di occhi verdi non passavano inosservato, ma non aveva nulla a che fare con l’essere inglese. Anche se, in fondo, si era considerata sempre un po’ più americana, come anche Johnny.

- Finalmente, non vedevo l’ora di conoscerti! – disse la ragazza abbracciandola.

- A… Anche io! Serena, giusto? –

- Giustissimo! E tu sei Jenna, me lo ricordo perfettamente. Le altre valigie sono nel taxi? –

Jenna annuì, sconvolta dall’esuberanza della ragazza. La quale subito si diresse verso l’automobile per prendere le due valigie rimaste. Insieme, salirono le scale che conducevano all’appartamento.

Non era nulla di particolare, ma a Jenna bastava, non chiedeva di meglio. Aveva la sua stanza, e quindi un po’ di privacy che non guastava mai. Avrebbero condiviso il bagno, questo sì, ma non le dava fastidio. Poi Serena sembrava una persona tanto cordiale che seppe da subito che ci si sarebbe trovata bene.

- Ho organizzato tanti di quei giretti per la città! Prima di andare a scuola avrai scoperto un mondo nuovo, te lo assicuro – aveva detto Serena quando stavano cenando con della semplice pizza.

- Mi farebbe molto piacere visitarla. Mio fratello mi parlava continuamente di questa città, l’amava molto. Soprattutto una chiesetta, dove i nostri genitori si sono sposati –

- La troveremo, non ti preoccupare. Non ce ne sono molte qui, non sarà difficile. Ah, e volevo dirti che mi dispiace molto per tuo fratello. Non siamo ancora in una tale confidenza, ma per qualsiasi cosa sappi che ci sono –

Jenna la ringraziò. Fu felice di sapere di poter contare su qualcuno e fu ancora più contenta che l’argomento fosse tirato fuori con il giusto tatto, ma non evitato completamente. Le faceva ancora male parlare del fratello, ovviamente, ma da una parte sapeva che pretendere che non fosse mai esistito le avrebbe fatto solo peggio.

 

Passarono le due settimane che dividevano Jenna dall’inizio delle lezioni. La diciottenne era entusiasta di cominciare, soprattutto dopo che Serena le aveva raccontato come funzionavano le cose, visto che lei era già all’ultimo anno. Jenna, nonostante l’età, avrebbe dovuto cominciare dal secondo anno. Era una ballerina dotata, ma lì gli standard erano piuttosto alti e non poteva pretendere di essere subito ammessa all’ultimo anno. Alla ragazza non pesava, le dava solo fastidio di essere la più grande in una classe di sedicenni. Ma aveva Serena, che le aveva promesso di passare con lei ogni minuto libero, di introdurla ai suoi amici e che mai e poi mai l’avrebbe lasciata nelle mani di ragazzine impertinenti.

E così fu. Serena l’accompagnava ad ogni lezione e a pranzo sedevano insieme. Per Jenna era iniziata l’avventura che da tempo desiderava vivere ed era meglio di come l’aveva sognata. Non tardò a farsi degli amici e si trovò subito a suo agio con tutti. Quasi le faceva male tutta quella gioia che la circondava, perché di notte il pensiero di Johnny le riempiva i sogni e cadeva di nuovo in una sofferenza insopportabile. Si sentiva in colpa, nonostante sapesse che la sua vita non si sarebbe mai potuta fermare. Una parte di lei era morta insieme al fratello, ma non era l’unica che la componeva. Ora Jenna vedeva la sua vita quasi completa, nonostante quella parte mancasse. Ma sapeva che non l’avrebbe mai riempita.

 

- Eric, muoviti, o faremo tardi! –

- Sì, arrivo. Tu intanto scendi e metti in moto la macchina –

Il ragazzo si era ritrasferito nella casa di sua madre ed ora aveva il compito di accompagnare la sorella a lezione di danza. Non gli gravava, perché era parte del suo piano per rivedere Jenna, ma odiava dover tornare a vivere con la sua famiglia. Si era creato un minimo d’indipendenza trasferendosi nell’appartamento con Johnny, ma l’affitto per lui era troppo alto da pagare da solo e non c’erano state altre possibilità. Si rincuorava solamente al pensiero che sua sorella di soli undici anni non sarebbe stata più costretta a passare la maggior parte del tempo da sola dentro quella casa, mentre la loro madre era a lavoro. Così, ora guidava verso la famosa Art School di Chicago, di nuovo con quella lettera nella tasca della giacca. Questa volta, però, non era la sola che ospitava.

Arrivarono a destinazione dopo soli dieci minuti. Il ragazzo parcheggiò e scese dalla macchina, subito raggiunto dalla sorellina.

- Eric, non c’è bisogno che mi accompagni eh –

- E invece io ti voglio accompagnare –

- Perché? –

- Sono curioso di vedere com’è la tua scuola all’interno –

- Sarà – la ragazzina non era soddisfatta della risposta, ma non fece più domande ed entrò all’interno dell’edificio.

Eric la seguì a ruota e fu subito estasiato dall’immensità dell’atrio. Poi, però, si accorse dei numerosi studenti che popolavano quella scuola e la sua impresa gli sembrò più ardua del previsto.

- Che fai? – gli urlò la sorellina mentre saliva le scale diretta alla sua classe.

- Niente, niente – e iniziò a salire anche lui.

Eric iniziò a guardare all’interno di ogni aula, alla ricerca di Jenna, ma non la vide in nessuna di quelle.

- Ehi, fratellone, questa è la mia aula. Ora puoi andare, la visita è finita –

Il ragazzo si girò per rispondere alla sorella, quando fu attirato da un paio di ragazze che stavano attraversando il corridoio proprio in quel momento. La riconobbe subito, i suoi occhi erano inconfondibili. La guardò girare l’angolo, poi saluto sbrigativo la sorella e seguì Jenna in quell’intrigo di corridoi. Per sua fortuna, la ragazza si dovette fermare al suo armadietto per prendere la borsa. Aspettò che se ne andasse, un po’ vergognandosi di quel pedinamento. Appena ci fu via libera, si avvicinò all’armadietto e vi infilò la lettera che Jenna aveva spedito al fratello. Poi aggiunse l’altra.

- Ehi, mi hanno detto che oggi Miss Ludwige ti ha distrutta a dovere – Serena aveva raggiunto Jenna, entrambe appena uscite dalle rispettive lezioni.

- Già, quella donna è crudele – sospirò la ragazza.

- Non dirlo a me, sono quattro anni che la sopporto –

Le due ragazze erano arrivate alla fine della giornata e non vedevano l’ora di andare a casa a rilassarsi.

Jenna si diresse verso il suo armadietto, e quando lo aprì due fogli caddero a terra.

- Che roba è? – chiese Serena incuriosita.

Jenna si chinò a raccoglierle e quando si accorse che erano lettere, ebbe un colpo al cuore. Il ricordo di Johnny le invase la mente, soprattutto quando lesse il suo nome su una delle due.

- Sono lettere. Una è mia, ma l’altra non so di chi possa essere –

Per Jenna Newman. Questo c’era scritto sul retro della busta. Nessun dettaglio, nessun mittente. Niente di niente. Ma Jenna capì che chiunque fosse stato a scrivergliela, doveva avere a che fare con suo fratello.

- Che vuol dire che una è tua? Ti scrivi lettere da sola? –

- No, l’ho scritta a mio fratello più di un mese fa. Speravo gli fosse arrivata prima… prima dell’incidente, ma evidentemente non è stato così –

Serena si morse un labbro, e odiò l’espressione addolorata dell’amica.

- Qui l’ufficio postale fa schifo, mi dispiace. Ma è ancora chiusa almeno, sì? –

- Sì, lo è. Sono curiosa di sapere che l’abbia messa nel mio armadietto però –

- Leggi l’altra lettera, magari lì c’è scritto –

Jenna annuì.

- Sì, ma voglio leggerla a casa. Sento che non sarà facile – la ragazza sorrise all’amica, in cerca di conforto.

- Capisco, allora sbrighiamoci a tornare – Serena cinse le spalle di Jenna per farle forza.

Si sentiva impotente, ma quel minimo che poteva fare lo faceva sempre. Ogni tanto a Jenna capitava di urlare il nome del fratello di notte, e si risvegliava con le lacrime agli occhi. Serena odiava quei momenti, perché non poteva far altro che correre da lei e abbracciarla, e le sembrava inutile. Voleva solo che la sua nuova amica stesse bene, non era giusto che passasse quel periodo d’inferno, per di più così lontana da casa. Ma lei diceva di stare bene dov’era, anzi, preferiva non rivivere i vecchi ricordi che la assillavano quando era in Inghilterra. Serena le credeva, ma sapeva anche che non avere accanto amici che la conoscevano più di lei non sarebbe stato un male, probabilmente l’avrebbero saputo aiutare, avrebbero potuto fare di più di quello che stava facendo lei.

 

Arrivarono a casa in un battibaleno. Il loro appartamento era giusto a cinque minuti dalla scuola, e quel giorno più di tutti fu una cosa conveniente.

Jenna si chiuse in camera, sperando di non dare dispiacere a Serena. Doveva farlo da sola, doveva aprire quella lettera in silenzio.

 

Ciao Jenna,

so che noi due non ci conosciamo, ma io qualcosa su di te la so. So che hai abbandonato tutte le cose che conoscevi per venire in una grande metropoli ed inseguire il tuo sogno, esattamente come fece tuo fratello. So che sei stata terribilmente male per Johnny e, per quanto possa valere, anch’io ho condiviso un po’ del tuo dolore. Ero molto affezionato a lui, lo consideravo come un fratello. Abbiamo condiviso tante di quelle esperienze, non penso che ci sarà mai nessuno come lui.

Ma non ti sto scrivendo questa lettera per dirti quanto meraviglioso fosse Johnny, questo già lo sai. Ti scrivo per ridarti indietro una cosa che ho trovato, una lettera che ti appartiene. Ho aspettato parecchio tempo, e per questo mi scuso, ma non trovavo mai il momento giusto per dartela. Al funerale mi sei sembrata veramente distrutta e ho pensato che avrei solo peggiorato le cose. Così, quando ho scoperto che ti eri trasferita qui a Chicago, ho colto l’occasione per dirti qualcosa che sento di doverti dire.

Mi dispiace, mi dispiace per tutto. Mi dispiace che la lettera non sia arrivata in tempo a Johnny, mi dispiace che lui se ne sia andato così e ti abbia lasciato sola. Ti sembrerà impossibile, ma io ti capisco. So che significa perdere qualcuno che ha una tale importanza. Un pezzo di te, una parte importante del tuo cuore se ne è andata con lui, non è vero? E ti sembrerà di non poter mai essere in grado di riempire quel vuoto che ha lasciato. Non ti mentirò, Jenna, non ci riuscirai per parecchio tempo, o forse per tutta la vita. Ma imparerai ad apprezzare tutto il resto, capirai che la vita va vissuta nonostante sia così dannatamente ingiusta. Non angustiarti con tutti quei perché, non serve a niente. Nessuno ti risponderà mai, comunque, perché nessuno conosce la risposta. Io neanche.

Spero di averti donato un po’ di tranquillità, o semplicemente di averti fatta riflettere un po’. Non so se vorrai rispondermi, ma mi farebbe molto piacere leggere anche solo una frase per sapere se ti sono arrivate le lettere. Mia sorella minore frequenta un corso alla tua scuola, quello di Miss Parker, ha undici anni e la potrai riconoscere perché ha un portachiavi a forma di farfalla attaccato allo zaino.

Il tuo, forse, nuovo amico.

Jenna si asciugò le lacrime. Quella lettera l’aveva commossa. Come aveva immaginato, era di un amico di Johnny, ma chi? Non le aveva scritto il suo nome. Sentì che voleva rispondergli, però. E non voleva dirgli semplicemente grazie. Aveva bisogno di qualcuno che la capisse, e lui sembrava lo facesse alla perfezione. Aveva descritto i suoi dubbi e, seppur con poche parole, le aveva dato una speranza per un futuro migliore. Le aveva rivolto quelle parole che lei aveva bisogno da tempo di sentirsi dire. Non era riuscita a confidarsi con nessuno, neanche con Pamela, riguardo quello che stava passando in quel periodo. Aveva sperato, aveva creduto che lì la vita sarebbe stata più facile, che il ricordo del fratello non l’avrebbe più tormentata, ma aveva sbagliato. Ogni notte, ogni dannata notte, i suoi sogni erano popolati da ombre scure che le giuravano che avrebbero ucciso suo fratello. Ed ogni volta, lei urlava, dicendogli di andarsene, di prendersi lei e di lasciar vivere Johnny. E poi si svegliava. Le ombre avevano vinto, come tutte le volte precedenti. Le ombre si erano portate via su fratello e l’unica cosa che riusciva a chiedersi era il perché.

 

L’indomani, Jenna era alla ricerca dalla ragazzina di undici anni, sorella dell’anonimo ragazzo che le aveva scritto la lettera. Chiese aiuto anche a Serena, la quale non capì l’importanza che aveva assunto quella storia per l’amica, ma non fece domande.

La ragazza non ci impiegò molto a trovare quel portachiavi. In mezzo alla folla dei corsi pomeridiani, si fece strada verso la bambina.

- Ehi tu – la ragazzina si girò, spaventata.

- Sì? –

- Hai un fratello maggiore, magari di circa vent’anni? –

- Sì, perché? –

- Non è che potresti dargli questa? Lui sa chi gliela manda – e le fece l’occhiolino.

- Okay… - la bambina prese la lettera e se la mise nello zaino.

- Come ti chiami? – le chiese poi Jenna, sperando di tranquillizzarla.

- Liza –

- Piacere di conoscerti, Liza. Io sono Jenna e sono al secondo anno qui a scuola. Per qualsiasi cosa, puoi venire da me, va bene? –

Liza annuì e se ne andò in classe.

- Allora, era lei? – Serena aveva notato l’amica dall’altra parte del corridoio.

- Sì, almeno credo –

- Le hai chiesto come si chiama? –

- Sì, Liza –

Serena le diede una botta sul braccio.

- Ma non lei, scema! Il fratello! –

- Ehm, veramente no… - Jenna si mise a ridere. Come poteva non averlo fatto?

- Grande, sei veramente una geniaccia. Glielo chiederai la prossima volta che la vedi, magari –

- Sì, glielo chiederò. E’ solo che mi è sfuggito di mente, non mi sembrava importante al momento –

- Ma sì, facciamo amicizia con gli sconosciuti! –

- Non è uno sconosciuto. Era un amico di mio fratello –

- E tu ti fidi? –

- Sì –

Non sapeva perché, ma si fidava ciecamente. Quelle righe che le aveva scritto erano diventati importanti, avevano segnato l’inizio di qualcosa che Jenna non sapeva ancora ben definire. Si sentiva in grado di rinascere, davvero questa volta. Quello sconosciuto la stava aiutando più di chiunque conoscesse.

 

Eric tornò a casa più tardi del solito quella sera. Non doveva andare a prendere la sorella perché la madre di un’amica l’avrebbe accompagnata, e sua madre non sarebbe andata a lavoro fino a notte fonda. Poteva godersi un po’ la sua giovinezza, per quanto gli sembrasse inutile in quel periodo. Si dice che, quando veniamo posti di fronte alla morte, la nostra voglia di vivere aumenti improvvisamente. Per  lui, invece, non era stato così. La morte l’aveva fatto ricredere su parecchie cose e sentiva di sprecare la sua vita appena metteva piede in un pub. Ma aveva bisogno di un po’ di svago, non poteva rimanere tutto il giorno chiuso dentro casa a studiare. Non c’erano esami in vista, quindi poteva tranquillamente concedersi un po’ di relax. Aveva quindi deciso di uscire con qualche amico, niente di particolarmente stravagante. Solo un po’ di birra e qualche battuta che tendeva al volgare. Era un ragazzo come tanti altri, dopotutto.

Prima di andare a dormire, passò davanti alla camera della sorella e lei lo chiamò.

- Ehi piccola, che c’è? Non riesci a dormire? – le chiese preoccupato, mentre si sedeva sul letto accanto a lei.

- No, in realtà sto morendo di sonno –

- E allora mettiti a dormire, che aspetti? – poi gli occhi del ragazzo caddero su quello che Liza aveva tra le mani.

- Una ragazza oggi si è avvicinata a me e mi ha detto di darti questa – e gli porse la lettera.

Eric la prese, e notò che le sue mani tremavano. Sorrise tra sé e sé, colto di sorpresa da quell’emozione.

- Grazie –

Liza sbadigliò e il fratello le rimboccò le coperte, poi le diede un bacio sulla fronte e se ne andò.

Finalmente in camera sua, aprì quella lettera con inaspettata delicatezza. Aveva paura ad aprirla, come fosse un cimelio prezioso che conteneva chissà quali segreti.

 

Ciao sconosciuto,

mi ha fatto molto piacere ricevere la tua lettera. Non solo perché mi hai ridato indietro la mia, le tue parole mi hanno profondamente colpita. Non so come, ma tu riesci a capirmi, più di chiunque altro mi sia mai stato accanto. E non so neanche chi tu sia, ironico no? Beh, almeno per me lo è.

Mi sono spremuta il cervello per capire chi tu fossi, mio fratello non amava parlarmi della sua vita quotidiana, dei suoi amici, preferiva scrivermi di come si sentiva, non di quello che faceva. Chissà perché, non l’ho mai capito. Oltretutto, voleva sapere tutto quello che facevo io. Forse entrava in gioco la sua gelosia da fratello maggiore, in quelle occasioni. Non che gli abbia mai dato qualche grattacapo, sono una ragazza molto a modo, per tua informazione. Ho avuto solo un paio di ragazzi e con entrambi è durata un anno, se non di più. Non so perché te lo stia dicendo, ma ho bisogno di parlare. Ne ho un assurdo bisogno, mai mi era capitato prima. Scrivere mi riesce bene, è per questo che mi scambiavo molte lettere con mio fratello, ma forse questo già lo sai. Forse è proprio per questo che hai deciso di scrivermi tu stesso. Devo dire che non scrivi affatto male, oggigiorno sono pochi i ragazzi che conservano l’arte del parlare. E tu ce l’hai, mi piace questo di te. Vorrei che questa corrispondenza continuasse, se per te non è un problema. Forse ti sembrerà strano, detto così, ad una persona che non conosco per di più, ma ho bisogno di te. Ho bisogno di qualcuno che mi capisca, ho bisogno di non sentirmi più sola. Tu ci riesci, con poche parole, ma importanti. Non so come tu faccia, forse hai un’abilità particolare. Hai mai pensato di prendere la strada della psicologia? O forse già lo sei, uno psicologo? Mi piacerebbe sapere di più su di te, magari a partire dal tuo nome. Forse riuscirei ad associarti ad uno dei pochi discorsi di mio fratello sui suoi amici, visto che eravate così uniti.

La tua nuova amica, ormai è deciso.

Il ragazzo chiuse la lettera. Fu sorpreso di ritrovarsi a sorridere. Aveva mantenuto quell’espressione per tutto il tempo, divertito dalla sensibilità che quella ragazza stava dimostrando. Ma, più di tutto, dal suo bisogno di lui. Non lo aveva ammesso neanche a sé stesso, ma la prima lettera l’aveva inviata soprattutto perché lui aveva bisogno di qualcuno che lo capisse. Nessuno era stato così legato a Johnny come lo era stato lui, in quei due anni in cui si erano conosciuti. Ma lei, lei era Jenna, la piccola Jenna. Quella ragazzina che rideva sempre, a cui il fratello era tanto legato. Johnny ne parlava spesso, e lui era sempre stato affascinato dalle descrizioni che proliferava. Più di una volta aveva espresso il desiderio di conoscerla, ma l’amico lo frenava sempre. “Non provare ad avvicinarti a lei.”, gli diceva scherzosamente, ma con un pizzico di serietà, “Lei è sacra, intoccabile. E’ un angelo, ed io lo devo proteggere”. E cosa avrebbe detto Johnny ora? Come avrebbe preso quelle lettere che si stavano scambiando? Eric non avrebbe saputo dirlo. Poi un pensiero gli attraversò la mente, e fu come un peso sullo stomaco. E se Johnny avesse parlato a sua sorella di lui? Se le avesse detto che si era dimostrato interessato e adesso lei lo avrebbe scambiato per un maniaco? Il suo nome doveva rimanere un segreto. Non poteva perderla così, non adesso che l’aveva appena trovata.

Si sdraiò sul letto e chiuse gli occhi. Rievocò alla mente le immagini delle due uniche volte in cui aveva incrociato Jenna. Era così bella, meglio di ogni descrizione che Johnny avesse mai fatto. Non aveva esagerato, anzi, si era trattenuto. Un angelo non sarebbe mai potuto essere paragonato a tanta bellezza, a tanta perfezione. Eppure, una parte di lui fu ferito dal non poterla avvicinare, dal non poterle dire a parole quello che pensava. Ma non era necessario, non doveva lasciarsi sfuggire niente che potesse farlo riconoscere agli occhi di lei, né in un modo né nell’altro. Forse aveva anche visto una foto, non poteva mostrare il proprio volto. Un sorriso amaro gli si disegnò sul volto. Il suo migliore amico gli aveva imposto una delle prove più dure che avesse mai dovuto affrontare, un’altra volta.

 

- Allora, da quant’è che non si fa sentire? – chiese Serena mentre si accomodava sul divano accanto all’amica.

- Tre, o quattro giorni. Non è una tragedia, non fare quella faccia –

- Non sto facendo nessuna faccia, dico solo che dovresti prendere in considerazione l’idea che magari non è chi credevi fosse. Non sarebbe poi così strano –

- E’ un amico di mio fratello, mi basta per fidarmi. Dovresti leggere come lo descrive, gli era molto affezionato –

- Sei tu che non mi fai leggere quella dannatissima lettera –

- E’ personale, non posso –

Serena le fece una smorfia e Jenna le lanciò un cuscino. Poi, iniziarono a vedere il film che Serena aveva affittato quel pomeriggio.

- Stai scherzando vero? – Jenna fulminò l’amica con lo sguardo.

- Cosa c’è? E’ un film come un altro! –

- Un film come un altro?! Hai preso Dear John, tra tutti i film che potevi scegliere! –

- Beh, mi sembrava in tema. E’ bello che qualche volta i film possano essere collegati con la vita vera, o no? –

- Ma smettila! – Jenna le lanciò un popcorn.

- Cambiamo film? –

- No, ormai va bene questo. E poi non mi dispiace vederlo, non l’ho mai visto –

- Vedi? Giudichi prima di conoscere –

Serena si beccò un’altra occhiataccia, prima che la visione del film iniziasse senza un’ulteriore interruzione.

Jenna, lentamente iniziò a perdersi nei propri pensieri. Le voci degli attori erano solo un’eco che le rimbombava nella testa, flebile. Pensò a quel ragazzo misterioso che l’aveva contattata e che ora era sparito. Sperava che Serena non avesse ragione, perché ne sarebbe rimasta distrutta, lo sapeva. Aveva iniziato a contare troppo su un perfetto sconosciuto, ma soprattutto troppo presto. Una sola lettera non le avrebbe dovuto dare tutta quella sicurezza, non era affidabile, non ancora. Ma ogni ragionamento era inutile. Non poteva comandare le proprie emozioni, non poteva ordinare a sé stessa di non essere nervosa ogni volta che vedeva la piccola Liza, nonostante ci provasse.

Il giorno dopo a scuola, Jenna combatté con tutte le sue forze contro la sua voglia di vedere la piccola Liza. Si concentrò sugli studi, a lezione di pratica diede il massimo e si spostava da una classe all’altra con insolita velocità, tanto da non dare tempo nemmeno all’amica di raggiungerla. A pranzo, si sedette da sola, e si mise le cuffie del suo mp3 per non sentire chi la chiamava. Era concentrata sul cibo, e Serena capì cosa aveva in mente. Nonostante la trovasse una maniera sciocca di imporsi di non pensare a lui, dovette ammettere che almeno stava funzionando. Jenna sembrava serena, senza pensieri inutili per la testa.

La giornata scorse velocemente per entrambe, e all’uscita Serena decise che l’amica l’aveva ignorata abbastanza, così richiamò la sua attenzione appena prima che fosse fuori dall’edificio.

- Ehi, Jenna! –

- Ehi! Scusa se non ti ho rivolto molto la parola oggi, ma ero concentrata…-

- A non pensare, sì lo so, tranquilla. Basta che torniamo insieme, non ce la faccio più a parlare da sola –

- Sì, va bene –

Le due uscirono fuori, dove si ritrovarono davanti Liza. Serena fece cenno all’amica di andarsene velocemente, ma Jenna si era già bloccata. La ragazzina aveva in mano una lettera.

- Liza, ciao – le disse, visto che la piccola non l’aveva vista.

- Ciao, finalmente! E’ tutto il giorno che ti cerco. Mio fratello mi ha detto di darti questa –

Jenna prese la lettera tra le mani, emozionata e fremente di leggerla.

- Ti posso chiedere una cosa? – le disse poi.

- Certo –

- Come si chiama tuo fratello?-

- Oh, ehm… mi dispiace, ma mi ha chiesto di non dirtelo. Non so perché, ma se vuoi chiedilo a lui –

- Sì, glielo chiederò nella prossima lettera. Spero non ti sia di troppo disturbo tutto questo scambio –

- No, figurati. Ma io intendevo ora, chiediglielo ora. E’ laggiù –

Jenna alzò lo sguardo, mentre il cuore le batteva forte in petto. Non si spiegava quel nervosismo, quell’emozione nel ricevere la lettera e ora nel cercarlo tra i passanti.

Notò poi un ragazzo quasi alla fine della via, in piedi accanto ad una macchina. Lui le fece un cenno con la mano, e anche se non poteva vederlo bene in volto, Jenna giurò che le stava sorridendo. Ricambiò, mentre metteva un piede dietro l’altro per avvicinarsi. Ma lui entrò velocemente nell’automobile e si dileguò.

Jenna rimase allibita di fronte a quella scena che non riusciva a spiegarsi. Si girò di nuovo verso Liza.

- Perché se n’è andato? Non ti riaccompagna a casa? –

- No, oggi torno con un’amica – le rispose la piccola prima di salutarla e di allontanarsi.

Jenna rivolse uno sguardo interrogativo a Serena, che aveva assistito muta alla scena.

- O quel ragazzo ama fare il misterioso, o ha dei seri problemi mentali. Io opterei per la seconda –

- Forse non vuole semplicemente farsi riconoscere –

- E perché non dovrebbe? –

Jenna alzò le spalle, incapace di rispondere. Il suo pensiero tornò alla lettera che aveva in mano e, dimentica dell’accaduto, divenne ansiosa di tornare a casa e aprirla.

 

Cara Jenna,

penso che ormai possa permettermi di scriverti “cara”. Sembra normale, in una lettera, ma secondo me serve una certa familiarità, che penso sia ormai anche nostra. Forse non ci siamo mai visti, forse non ci vedremo mai, ma ormai mi sento legato a te indissolubilmente. Non so se per te è lo stesso.

Mi hai detto che vuoi sapere qualcosa di me, ma non credo di poterti accontentare appieno. Posso dirti che studio, frequento l’università, e la maggior parte del mio tempo la passo con il naso immerso in qualche libro. Posso dirti che ho una sorella minore, Liza, che però conosci già. Posso dirti che mio padre è passato a miglior vita quando lei aveva solo un anno, ed io dieci. Non è stata una situazione facile, mia madre ancora oggi non fa nient’altro che lavorare per mantenerla, ma finalmente io posso dare una mano, anche se lei mi implora di concentrarmi solo sugli studi. Ecco perché so come ti senti e so cosa significa ospitare quel vuoto nel proprio cuore. Non penso mi abbandonerà mai, ma nel tempo ho imparato a conviverci. La morte di Johnny ha riaperto un mucchio di altre ferite e quel vuoto mi si è presentato più profondo di prima, ma non so perché, questa volta sono sicuro di riuscire a riprendermi prima.

Vedi, tu dici che senti il bisogno di avermi accanto, anche se solo tramite queste poche righe. La verità è che io ho bisogno di te ed è per questo che ti ho contattata. L’ho appena ammesso a me stesso, e non è stato facile. E’ già complicato accettare una persona nella propria vita, imparare a condividere con lei i tuoi pensieri più segreti, pensa quanto può rivelarsi difficile se questa persona non la si conosce neanche personalmente. Ma questa è anche una mia decisione, quindi non posso lamentarmene. Se vuoi, fallo tu per entrambi. Ti sto chiedendo di accettarmi così, come della semplice carta stampata, riempita da caratteri battuti sulla tastiera del mio computer. Io sono pronto ad accettare te, se vuoi. Sarò qui, per qualsiasi cosa. Ricordatelo sempre.

Il tuo nuovo amico.

Jenna non si curò di asciugarsi le lacrime che le stavano solcando il viso. L’aveva commossa. Uno sconosciuto era appena riuscito ad entrare nel suo colore, a scompigliare i suoi sentimenti. Perché non voleva mostrarsi? Si considerava forse troppo brutto e pensava che non l’avrebbe accettato? Quello dimostrava che non la conosceva affatto. Eppure non le era sembrato brutto, per quanto fosse lontana. E poi non sembrava quello il problema, sentiva che era qualcos’altro. Forse collegato a suo fratello. Ci pensò su per tutta la notte, ripetendosi i pochi discorsi che lui le aveva fatto sui nuovi amici che aveva a Chicago. Per un momento pensò anche di rileggere le vecchie lettere, ma poi capì che non avrebbe retto. I sogni avevano da poco iniziato ad essere meno terrificanti, non poteva  nutrirli lei stessa di nuovi ricordi dolorosi.

Nessuno di quei ragionamenti la portò, però, ad una conclusione. Così, decise di scrivergli un’altra lettera, in cui lo informava della sua decisione di accettarlo nella sua vita, nonostante quell’assurda decisione di non rivelarle il suo nome. La trovava sciocca, e glielo disse. In fondo aveva detto che poteva dirgli qualsiasi cosa, era per questo che quella strana corrispondenza era iniziata. Con lui poteva aprirsi, chiunque fosse. Si ripromise di riprendere l’argomento più avanti, promettendogli che prima o poi gli avrebbe fatto sputare il rospo.

 

E così i due iniziarono a scambiarsi lettere sempre più frequentemente. La povera Liza era arrivata a consegnare due lettere al giorno, una a Jenna ed una a suo fratello. Si rispondevano nel giro di ventiquattro ore, non potendo fare a meno di parlarsi, anche solo per dirsi ciao. Non potevano incontrarsi, e dovevano compensare quell’assurda distanza con dei fogli che racchiudevano tutta la loro vita.

Serena iniziò ad apprezzare il buon umore che quel misterioso ragazzo donava a Jenna, ma rimaneva sempre sospettosa a riguardo. Si chiedeva in continuazione perché non si facesse vedere e, soprattutto, perché rifiutasse di dire il suo nome. Jenna non sapeva rispondere a quelle domande, ma in realtà non le importava. Scoprì che iniziava a desiderare che non si incontrassero mai, perché il vedersi avrebbe potuto rovinare quei piccoli momenti di felicità che aveva nell’aprire la busta che profumava di un misterioso ragazzo pronto a donarle il cuore attraverso la scrittura.

Eric, invece, non riusciva più a sopportare quella situazione. Lui conosceva Jenna, sapeva che tipo di ragazza fosse, in tutti i suoi aspetti, da quello fisico a quello più intimo e segreto. Quando la vedeva uscire da scuola, voleva solo poterla avvicinare e stringerla a sé. Sognava il momento del fatidico incontro e si chiedeva perché non fosse già avvenuto. Sapeva che la scelta stava solo a lui, ma Jenna non aveva più tirato fuori quella storia di segretezza che lo avvolgeva, e forse lei ora preferiva così. Forse non valeva la pena rovinare tutto.

- Eric! –

Il ragazzo sussultò, mentre una mano gli sfiorava la spalla. Sapeva esattamente chi l’avesse chiamato così entusiasticamente: Savannah, forse l’amica allo stesso tempo più vicina e lontana che avesse.

- Ehi, S, non farmi prendere più questi colpi –

- Non dirmi che ti ho distratto da chissà quale pensiero profondo –

No, l’aveva semplicemente distratto dal suo appostamento quotidiano. Si posizionava lì, all’angolo della strada che portava alla scuola frequentata dalla sorella, con un caffè in mano mentre guardava da lontano la ragazza che gli aveva rapito il cuore e a cui non si poteva avvicinare.

- Non proprio. Ma come hai fatto a sapere che ero qui? –

- Sono appena tornata dopo mesi che non ci vedevamo e tu mi accogli con quel tono e per di più mi chiedi cosa ci faccio qui? Mi dispiace dirtelo, ma non sei affatto gentile –

Per un attimo Eric temette di aver veramente ferito l’amica, ma il suo sguardo truce si trasformò subito in una spensierata allegria. Trascinato da quel ritorno ad una vita passata, fatta di caramelle e giochi come guardie e ladri, il ragazzo abbracciò la rossa.

- Scusa, è che ultimamente non sono di buon umore. Ma tu dimmi, rossa? Veramente? Ti preferivo bionda, lo devo ammettere –

Savannah gli fece una linguaccia.

- Non sta a te decidere, a me piacciono così. Sai quanto mi piace sperimentare – e gli strizzò l’occhio.

- Già, quasi quanto a me piace rimanere con i piedi per terra –

- Eppure mi è giunta voce che la tua mente è stata piuttosto impegnata, ultimamente –

Eric la guardò confuso, non capendo come potesse sapere di Jenna e delle lettere.

- Come…-

- La tua sorellina ama chiacchierare, dovresti saperlo meglio di me –

 - Giusto – commentò il ragazzo annuendo.

I due rimasero in silenzio per un po’, ed Eric ne approfittò per rivolgere lo sguardo verso l’uscita della scuola d’arte. Come sempre, uno strano sentimento gli riempì il petto quando la vide. Quel sorriso fresco, semplice, anche con la lontananza riusciva a colpirlo.

- E’ la mora? –

Eric annuì, gli era impossibile anche solo fiatare in quel momento.

Savannah la guardò con interesse e un po’ di preoccupazione. Il suo miglior amico non si era mai innamorato e le sembrava strano tutte le attenzioni che Jenna stava improvvisamente ricevendo da lui, senza neanche saperlo.

- Non parlerai finché non ti racconterò tutto, vero? –

- Ovviamente –

A malincuore, Eric le fece strada verso il bar più vicino che conoscesse, troppo lontano però per poterla vedere ancora. Seduti e ordinato qualcosa, il ragazzo iniziò il racconto della sua vita degli ultimi tempi. Aveva creduto che il suo migliore amico sarebbe rimasto sempre un mistero per lui, ma Jenna gli aveva narrato di qualcuno che non conosceva, un Johnny piccolo che amava correre, un Johnny che si era trovato in un mondo troppo stretto per lui, un Johnny che aveva preferito scappare e crearsi una vita da zero. Gli sembrava incredibile come avesse scoperto di non averlo mai conosciuto davvero, e questo gli faceva male. Rimpiangeva ancora di più la sua morte, e gli mancava la sua costante presenza.

Parlò a Savannah per ore, cominciando dal principio, da come tutta quella storia delle lettere fosse cominciata. Una storia assurda che non capiva nemmeno lui, ma ogni parola che aveva scritto era un pezzo del suo cuore che aveva donato a Jenna, ed ogni parola che lei gli donava avevano iniziato a riempire quei piccoli vuoti che l’inchiostro portava via. Jenna era un mondo da scoprire, ma non aveva la possibilità di vederlo con i suoi occhi, di bearsi della sua bellezza. Conosceva solamente una descrizione dettagliata di tutto ciò di cui quel mondo era fatto, ma poteva solo immaginarselo. Ma quella ragazza era anche qualcos’altro, ed era ciò che l’aveva portato a lei. Era l’ultimo legame che poteva avere con Johnny.

La rossa ascoltò ogni parola con estrema serietà, senza interrompere il suo miglior amico neanche una volta. Liza le aveva raccontato quella storia da un altro punto di vista, più semplice, più innocente. Ma c’era tanto altro dietro, ora lo poteva vedere chiaramente. Savannah entrò in quell’intrigo, s’immedesimò prima in Eric ed ora in Jenna. Sfruttò la sua obbiettività al meglio, tentando di ricavare una soluzione semplice da quel problema che erano riusciti a creare quei due ragazzi senza neanche rendersene conto.

- Devi incontrarla –

Eric sbuffò.

- Questo lo sapevo già, ma sai perché non posso. Chissà cosa sa di me, chi pensa che Eric Sandman sia –

- Lei sa benissimo chi è Eric Sandman, lo sa meglio di me probabilmente –

- Non puoi sapere cosa Johnny le abbia raccontato dei suoi amici –

- Ma so cosa tu le hai raccontato in tutto questo tempo. So che ti conosce per quello che sei realmente, indipendentemente da quello che pensava suo fratello. Jenna è ovviamente legata a te come tu sei legato a lei, e te lo ripete lei stessa in ogni singola lettera, almeno da quello che mi hai detto –

- Sì, dice che pensa che questo nostro rapporto sia particolare… Lo ha definito addirittura mistico, predestinato, o qualcosa del genere –

- E allora cosa aspetti? Sei uno stupido, dovresti esserti fatto vedere già da tempo! –

- Non lo, S. Non so se sia una buona idea, soprattutto arrivati a questo punto. Non credo sia nel suo interesse conoscermi, probabilmente le è più conveniente parlarmi tramite delle lettere –

- Oddio, sei veramente un cretino! Se un ragazzo mi scrivesse lettere del genere vorrei correre tra le sue braccia, che sia passata una settimana, un mese o un anno. Evidentemente lei non te ne ha più parlato perché tu non sembravi voler cedere, come infatti è –

- Dici sul serio? –

- E perché dovrei mentirti? Sai di poter contare su di me per qualsiasi cosa, ma mi rendo conto che questa ragazza significa molto più di me. Non so come tu faccia ad essere ancora qui seduto – Savannah scosse la testa in segno di disapprovazione.

Eric rifletté sulle parole dell’amica. Non aveva tutti i torti, aveva solamente esposto ciò che lui aveva segretamente pensato per diversi giorni.

- Okay, mi hai convinto –

- Meno male! Non ce la facevo più a trattenermi, ancora una parola e ti avrei preso a parolacce –

Eric ignorò quel commento.

- Domani accompagnerò mia sorella fino in classe, e questa volta mi farò vedere. La cercherò per tutta la scuola se necessario –

- Bravo, così ti voglio – quasi gridò Savannah sbattendo un pugno sul tavolo.

- Sì, ma non c’è bisogno che tutto il locale sappia come mi vuoi –

I due risero, e passarono quel poco che era rimasto del pomeriggio per parlare d’altro, di cose futili una volta tanto.

Eric passò la notte ripetendosi il discorso che avrebbe fatto a Jenna per convincerla ad accettarlo anche così, nonostante la sua opera di convincimento per non incontrarsi. Non le scrisse, non le avrebbe consegnato una lettera l’indomani. Le avrebbe mostrato sé stesso, così com’era.

 

Quella notte, anche Jenna non dormì molto. Aveva bisogno di parlare, perché improvvisamente aveva iniziato a vedere tutto nero. Avrebbe voluto scrivere al suo nuovo amico, chiedergli consiglio, ma era lui la causa di tutto il suo malumore. Così, si rivolse a quella che per lei era stata come una sorella ultimamente.

Serena era sdraiata sul suo letto, mentre Jenna sedeva sulla sedia della scrivania.

- E quindi vorresti chiedergli di incontrarvi? –

La mora annuì.

- Non ce la faccio più ad andare avanti così. Sai anche tu che allontano ogni ragazzo che prova dell’interesse verso di me perché non riesco a fare a meno di paragonarlo a lui. Mi sono accorta di essere solamente in attesa del momento in cui avrebbe deciso di rivelarsi completamente –

- Ma gli hai scritto una lettera giusto ieri, perché non gliel’hai detto allora? –

- Perché non ero sicura ancora. Poi oggi mi è capitato di vedere un ragazzo allontanarsi, giusto in fondo alla via di scuola, e il mio cuore ha iniziato a battermi talmente forte…-

- Hai creduto fosse lui? –

- Sì, ma poi l’ho visto andarsene con una ragazza –

Serena si morse un labbro vedendo gli occhi dell’amica iniziare ad inumidirsi.

- Mi dispiace Jen, ma sono d’accordo con te. E’ ora di prendere il toro per le corna –

Jenna sospirò, tentando di ricacciare indietro le lacrime.

- Domani parlerò con Liza –

- Cosa le dirai? –

- Le chiederò di invitare il fratello per me, e che se non si fa vivo non scriverò più lettere. Deve capire come mi sento, odio tutta questa segretezza –

- Beh, un po’ di mistero in una storia non ci sta mai male – azzardò la bionda.

L’amica la fulminò con lo sguardo, per poi sorriderle scoraggiata. Serena le si avvicinò e l’abbracciò, rassicurandola che sarebbe andato tutto bene. Se lo meritava, quell’amore che ora sembrava impossibile. Meritava di avere qualcuno accanto non solo dietro uno stupido foglio. E forse lui si sarebbe accorto di avere lo stesso bisogno.

 

Ed il fatidico giorno arrivò. Un giorno che avrebbe portato ad un incontro, a nuove sensazioni, sconosciute e temute, ma allo stesso tempo affascinanti e meravigliose.

La campanella della scuola d’arte più famosa di Chicago suonò. Eric era ancora davanti alla classe della sorella, e si guardava intorno freneticamente. Le mani gli sudavano smodatamente e lui a stento riusciva a controllarsi.

- Ehi, tutto bene? – gli chiese la sorella.

Lui annuì, senza smettere di controllare attentamente ogni persona che gli passava accanto.

- Se lo dici tu, - commentò Liza non troppo convinta – io vado. Ci vediamo all’uscita, oggi devi riaccompagnarmi tu –

- Sì, lo so. A dopo – disse lui, senza muoversi di un passo.

Liza lo guardò confusa, ma non gli fece nessuna domanda, semplicemente entrò in classe e la porta si chiuse.

Il ragazzo non sapeva più cosa fare, ora. Non c’era stata traccia di Jenna da nessuna parte, ed era anche riuscito a convincere la sorellina a passare davanti il suo armadietto. Si sentiva quasi scoraggiato dalla piega che avevano preso gli eventi. Sapeva che se non le avrebbe parlato quella mattina, c’era sempre il pomeriggio, e al massimo avrebbe potuto tranquillamente rimandare al giorno dopo. Eppure, non riusciva a non pensare che forse quello era un segno. Non doveva parlare, forse non era la scelta migliore.

Deluso, iniziò a tornare indietro per i corridoi di quell’immensa scuola, senza però lasciare del tutto l’impresa. Faceva attenzione ad ogni ragazza vedesse, anche se era bionda ed era evidente che non potesse essere Jenna. Si sentiva un perfetto idiota, ma non riusciva a farne a meno. Temeva il momento del confronto, ma allo stesso tempo ci contava talmente che voleva avvenisse quella mattina stessa, a tutti i costi.

 

Eric si ritrovò, prima di quanto avesse voluto, nell’atrio della scuola. Jenna non era da nessuna parte, ne aveva la certezza. Così, decise di rinunciarci definitivamente, ed aprì il portone per uscire in strada, ma qualcosa bloccò il suo passaggio. Aveva colpito qualcuno dall’altra parte.

- Cavolo che male! – gridò Jenna toccandosi la fronte su cui era certa stesse già crescendo un bernoccolo.

- Oddio, scusa, non ti avevo vista. Cioè, è ovvio che non ti avevo vista, però… mi dispiace – Eric ancora non l’aveva riconosciuta, ma quando la ragazza si tolse la mano dal viso per scusarsi lei stessa e dire che era tutto apposto, il ragazzo rimase senza parole.

- C’è qualcosa che non va? – chiese lei, preoccupata per l’improvviso silenzio del giovane.

Non l’aveva riconosciuto. Jenna non aveva visto nessuna foto, non aveva mai visto che aspetto aveva. Eppure, non poteva giurare che Johnny non le avesse parlato di lui.

- Ehi, va tutto bene? – chiese di nuovo Jenna, scuotendolo delicatamente per un braccio.

- Sì, scusa, è che per un attimo… No, niente, lascia perdere –

Jenna lo guardò confusa.

- Okay. Mi dispiace per la confusione –

- No, figurati, dispiace a me che ti ho colpita –

- Non è niente, non ti preoccupare –

- Ti ho sentita chiaramente dire “cavolo, che male” – disse divertito il ragazzo.

Jenna sentì le proprie guancie arrossire, e sorrise timidamente.

- Oh, beh, è solo che mi hai sorpreso. Stavo correndo perché ero in ritardo… oddio! Devo andare! Mi dispiace, mi dispiace. Magari ci ribecchiamo, non lo so. Ciao! – e in tutta fretta Jenna si dileguò.

Una parte di Eric avrebbe voluto fermarla. Un’altra parte avrebbe voluto urlarle la sua vera identità. E poi c’era la parte a cui diede retta, quella che gli diceva di starsene fermo e muto. Il ragazzo aveva avuto un’idea, forse rischiosa, forse ingiusta, ma gli sembrò la migliore che avesse mai concepito.   

 

- Perché cavolo non mi hai svegliata stamattina? –

Ora di pranzo. Jenna si era avvicinata al tavolo di Serena e i suoi amici, evidentemente alterata con l’amica.

- Ti ho chiamato per più di un’ora, e non davi cenno di volerti alzare. Continuavi a mugugnare “voglio dormire, mamma, lasciami dormire” e ho deciso di lasciarti lì dov’eri. Prima o poi ti saresti svegliata da sola –

L’intera compagnia scoppiò a ridere e Jenna li fulminò ad uno ad uno con lo sguardo.

- Scusaci, ma l’immagine di te che mugugnavi è fantastica – commentò Paul, uno dei migliori amici di Serena.

- Immagino – rispose acida Jenna, addentando il suo panino.

- Perché te la prendi tanto? Non avevi neanche Miss Ludwige in prima ora! –

- E’ che per colpa tua un ragazzo mi ha sbattuto la porta in faccia – e la mora mostrò il punto dove si vedeva ancora un po’ di rossore, nonostante il fondotinta che ci aveva diligentemente spalmato sopra.

Serena trattenne una risata.

- Beh, almeno era carino? – tentò di cambiare argomento.

- Sì, penso di sì –

- Che vuol dire che “pensi di sì”? O lo trovavi carino, o no –

- Sì, lo trovavo carino, ma è inutile parlarne – disse Jenna facendo sottintendere il discorso della sera prima.

- Non è mai inutile parlare di ragazzi carini – commentò sapientemente Serena.

- L’avevo intuito dopo tutti i tuoi discorsi su Will, sai? –

Serena le fece la linguaccia e le intimò di abbassare la voce.

- Non pensare di sviare il discorso così facilmente. Voglio sapere tutto su di lui, chi è? Frequenta questa scuola? –

- Non credo, se ne stava andando. E per di più non mi pare di averlo mai visto qui in giro –

- Bene, almeno non lo avresti troppo tra i piedi. Altre informazioni? –

- E’ alto, con i capelli scuri mi pare. Credo fossero castani… -

Mentre masticava una patatina, Serena alzò gli occhi al cielo.

- Possibile che non fai mai caso ai dettagli più importanti? Qui sto tentando di decidere se era abbastanza sexy per te, o no. Almeno in apparenza, deve battere l’immagine mentale che ti sei fatta del tuo “nuovo amico” –

- Molto divertente, davvero – disse sarcasticamente l’amica.

La bionda non lasciò comunque perdere. Per l’intera durata del pranzo iniziò a tartassare Jenna con domande dopo domande, e approfittava di ogni cambio d’ora per ritirare fuori l’argomento.

 

Ben presto arrivò l’orario di uscita sia di Jenna, che di Liza. Eric si fece accompagnare da Savannah, e le fece parcheggiare la macchina il più lontano possibile dall’entrata della scuola, e si posizionò in modo che chi ne uscisse non lo potesse vedere subito, così che avrebbe avuto il tempo di intercettare la sorellina. Per sua fortuna, la piccola uscì quasi subito dopo il suono della campanella.

- Liza, sono qui –

- Perché ti nascondi dietro un albero? –

- Non fare domande, vai in macchina. Io ho da fare, ti riaccompagna Savannah –

Liza si guardò attorno.

- Dov’è la macchina? –

- Laggiù – disse il ragazzo indicando un punto indefinito alle sue spalle.

Quando finalmente la ragazzina focalizzò quanto fosse lontana l’automobile, strabuzzò gli occhi e sciorinò al fratello una serie di preghiere per fargliela portare un po’ più avanti. Lui l’azzittì senza troppa attenzione e alla fine Liza dovette prendere le chiavi e, a malincuore, dirigersi verso la fine di quella lunga strada.

In quel momento, Jenna uscì dall’edificio. Eric non poté essere più felice di tale tempismo, e subito sbucò fuori dal suo nascondiglio.

- Ehi – la chiamò.

Jenna si girò, dapprima non riconoscendo il ragazzo che quella mattina le aveva dato una porta in faccia, e poi diventando rossa per l’imbarazzo di tale ricordo.

- Ciao – disse.

Serena lo guardò a bocca aperta, tentando di captare dall’amica un segnale che le dicesse che era lui il ragazzo di cui avevano parlato per tutto il giorno.

- Ciao – Eric sperò che il tono con cui aveva pronunciato quel saluto facesse intendere all’amica di Jenna che doveva allontanarsi.

- Okay, io vado Jen. Ti aspetto a casa, – Serena aveva capito. Poi si avvicinò all’orecchio di Jenna e le sussurrò – E’ sexy – abbastanza forte che Eric la poté sentire benissimo.

Il ragazzo sorrise, un po’ imbarazzato da quel commento.

- Scusala, è fatta così – tentò di spiegare Jenna.

- Non c’è problema. Senti, volevo solo sapere come stavi. Ti ho dato una bella botta oggi, e mi scuso ancora –

- Ti ho detto che non è colpa tua, e poi sto già meglio, vedi? –

In realtà tutto il trucco che Jenna si era accuratamente messa in fronte se n’era completamente andato. Al suo posto, era spuntato un bernoccolo piuttosto evidente.

- Secondo me hai bisogno di un po’ di ghiaccio – commentò Eric trattenendo a stento una risata.

- Mi sa che hai ragione –

- Perché non andiamo ad un bar? Ti offro qualcosa e tu potrai chiederne un po’ –

- Non so se sia il caso, ti conosco a malapena…-

Eric non riuscì a trattenersi dal ridere a quella battuta che Jenna non riusciva a cogliere.

- Sei una ragazza alla vecchia maniera – tentò di spiegare.

- Direi di sì. E’ un male? – chiese la ragazza sempre più imbarazzata.

- No, assolutamente no, anzi, – il ragazzo le sorrise dolcemente e Jenna sentì il suo cuore accelerare il battito – è una cosa che ammiro –

Catturata da quel complimento, ma soprattutto dal fascino di quel ragazzo, Jenna accettò di prendere qualcosa con lui. Dopo essersi presentati, momento in cui Eric temette che la ragazza potesse avere qualche indizio sulla sua identità, paura che si rivelò infondata, i due si diressero verso quello che Eric stimava il miglior bar del quartiere.

Il ragazzo la fece accomodare al suo tavolo preferito, e i due furono subito raggiunti da una cameriera.

- Eric, è da tanto che non ti vedevo qui –

- Già, mi è mancato questo posto. Come stai? –

Jenna lanciò un’occhiata furtiva a quella ragazza di cui subito non si sentì all’altezza. Notò come i due fossero in sintonia e la cosa le diede insensatamente fastidio. L’aveva appena conosciuto quel ragazzo, come poteva sentirsi irritata dalla presenza di una sua amica?

Dopo i convenevoli, Eric ordinò per entrambi la “miglior cioccolata che esisteva al mondo”.

Appena l’assaggiò, la ragazza non poté non essere completamente d’accordo.

- Ci venivi spesso qui? – azzardò poi.

- Sì, quand’ero piccolo. Amo questo posto, e come vedi mi conoscono tutti – Eric guardò quel piccolo locale con un po’ di malinconia.

- Conosco quello sguardo, - il ragazzo la guardò incuriosito – è lo stesso che ho io in un vecchio locale nella mia città natale –

Eric sorrise. Jenna riusciva a comprenderlo anche così. Sembravano davvero fatti l’uno per l’altra.

- Ti manca casa? – le chiese poi. Era una delle poche cose di cui non avevano parlato nelle loro lettere, e di cui si sentiva in diritto di poter parlare.

- Un po’. Più che altro, mi mancano i miei amici. Per i miei genitori sarei stata solo un peso in questo periodo, e loro lo sarebbero stati per me. Non regnava una buona aria ultimamente, ci sono stati un po’ di problemi –

- Capisco – e capiva veramente, solo che Jenna non poteva saperlo.

Eric lesse nei suoi occhi quello sguardo di chi nasconde qualcosa, di chi è sicuro che il suo interlocutore non potrà mai capirlo veramente.

- Tu, invece? Sei nato qui? –

- Sì, sono nato e cresciuto a Chicago. Amo questa città, non penso la lascerò mai –

- Anche mio fratello l’amava molto – commentò con un po’ di malinconia Jenna.

Eric la guardò, confuso sul da farsi. Doveva chiederglielo, fingendo di non sapere niente su Johnny? O forse era meglio rimanere in silenzio e sembrare un insensibile?

- E’ morto qualche mese fa – Jenna aveva frainteso la sua indecisione, interpretandola come una domanda sull’uso del passato nel verbo che aveva usato.

- Mi dispiace, so cosa significa perdere qualcuno che ami – Eric si pentì subito delle parole che aveva usato, così simili a quelle della sua prima lettera.

Ma Jenna non comprese, lei era entrata in quel tunnel di ricordi che la perseguitavano. Eppure, ora sembrava che non facesse più così male, ora era sopportabile quella sensazione nello stomaco, quel senso di solitudine al quale ci aveva fatto l’abitudine ormai.

- Grazie, è difficile trovare qualcuno che ti capisca certe volte –

Eric le sfiorò una mano delicatamente, temendo una sua reazione. Jenna fu colta impreparata, e non si mosse. Quel contatto le aveva dato una scossa, come se ci fosse qualcosa di strano in quel ragazzo che l’attirava.

 Gli sorrise, e lui si sentì morire. Quante volte aveva sognato che lei gli rivolgesse lo sguardo in quel modo? Troppe.

- Forse ti sembrerà strano, ma mi piacerebbe cenare con te uno di questi giorni –

- E’ un appuntamento? – chiese Jenna, insicura sulla risposta che avrebbe dato.

Eric rise.

- Sì, se accetti –

- Accetto – disse Jenna senza neanche pensarci troppo.

C’era qualcosa che la attirava in quell’Eric. Qualcosa a cui non sapeva dare un nome, qualcosa che era spuntato dalla mattina in cui si erano scambiati il primo sguardo.

Eric non ci poteva credere, era stato così semplice, quasi naturale. Lei e lui, seduti a chiacchierare, come due persone qualunque. Gli sembrava surreale, impossibile. Un sogno che si avverava. Ed ora lei aveva anche accettato di vederlo, di passare un’intera serata con lui.

La riaccompagnò a casa qualche minuto dopo. Si misero d’accordo per il giorno a seguire, lui la sarebbe venuta a prendere e avrebbero mangiato ad un ristorante. Non c’era niente di più normale, ma a lui sembrava un evento straordinario. Ed anche per Jenna non fu facile convincersi che quello che era appena successo e quello che lo sarebbe stato, era realtà. Appena salita in casa, lo raccontò all’amica, per renderlo più vero anche a sé stessa. Pronunciava le parole attentamente, soppesandole e facendo attenzione ad attenersi il più possibile alla realtà. Voleva rivivere ogni momento senza dargli troppa importanza, ma allo stesso tempo assicurandosi che fosse tutto vero, dalla prima parola fino allo sfiorarsi.

Serena fu eccitata per l’amica, e la incoraggiò in tutti i modi. Allo stesso modo, Savannah accolse la notizia di quell’appuntamento, ma non poté non tentare di convincere Eric a finirla con quella pagliacciata. Doveva dirle la verità, anche se non voleva. Eric era convinto che quello sarebbe stato il modo migliore per averla accanto, più di quanto l’avesse avuta tramite le lettere che si erano scambiati. Considerava tutta quella storia una stupidaggine, qualcosa che sarebbe stato facile dimenticare sia per lei che per lui. Jenna non gli avrebbe più scritto, ne era sicuro. Doveva solo farle capire che lui non era da meno, poteva darle tutto quello che il contenuto di quelle pagine le avevano dato, e anche di più. Poteva farsi amare, finalmente, e poteva amarla. Senza dover affrontare la verità, che non sarebbe mai uscita fuori. Come poteva? Troppe poche persone ne erano a conoscenza. E forse, un giorno, gliel’avrebbe anche detto. Ma a quel punto il loro sentimento sarebbe cresciuto talmente, che non avrebbe più avuto importanza. Non le stava mentendo, stava semplicemente facendo finta che quelle lettere non fossero mai esistite. Non gli sembrava di ingannarla, perché le sue ragioni erano talmente innocenti. Il fine giustificava i mezzi, giusto?

 

Tra vari sentimenti, ora di ansia e paura, ora di felicità, anche l’ora dell’appuntamento di Jenna ed Eric arrivò. Tutto andava secondo i piani del ragazzo. La passò a prendere puntuale, lei salì sulla sua macchina senza problemi. Jenna si meravigliava di sé stessa, riusciva a fidarsi di quel ragazzo come si era fidata ciecamente del suo corrispondente di lettere, dal primo momento.

Eric la portò in un ristorante del centro. Niente di troppo elegante, sapeva che a lei non sarebbe piaciuto. I due iniziarono a mangiare e a chiacchierare e passarono una serata molto piacevole per entrambi. Il problema più grande, però, arrivava al ritorno. Il ragazzo non sapeva cosa fare, se aspettare in macchina che entrasse nel palazzo, o accompagnarla fino al portone.

- Allora ciao – le disse lei, facendo per uscire dalla macchina.

- Aspetta – Jenna si girò, guardandolo dritto negli occhi.

Di nuovo, il batticuore arrivò. Inconsciamente, si ritrovò a sperare che la distanza tra i loro volti diminuisse e che lui la baciasse.

- Cosa c’è? –

- Stavi dimenticando la borsa – ed Eric gliela porse.

- Ah, giusto – le guancie le si fecero rosse tutto ad un tratto.

Il ragazzo le sorrise e la vide scendere dalla macchina. L’avrebbe fatta andare via così? Certo che no.

Scese anche lui dall’automobile, e la fermò prendendole il polso.

Jenna si voltò verso di lui, confusa da quel gesto.

- Stavo dimenticando anch’io qualcosa – ed Eric la baciò.

La ragazza ricambiò quel bacio timidamente. Non durò più di pochi secondi, ma a lei sembrò un’infinita di tempo, fino a che non si allontanarono, e allora desiderò che non fosse finito mai.

- Scusa, forse non dovevo farlo così – ora era lui ad essere imbarazzato.

- No, non ti devi scusare –

Lui la guardò, speranzoso e lei gli sorrise. Un sorriso che a lui parve bellissimo, angelico. Era il più bel sorriso che avesse mai visto, che qualcuno gli avesse rivolto. Avrebbe voluto baciarla ancora, ma si bloccò. Improvvisamente, si sentì un verme. Capì cosa c’era di sbagliato in quello che stava facendo, rivalutò ogni parola che Savannah gli aveva detto riguardo quella storia.

- C’è qualcosa che non va? – gli chiese Jenna, che aveva notato il cambiamento nella sua espressione.

Eric scosse la testa.

- No, è solo che vorrei parlarti –

- Non è quello che abbiamo fatto tutta la serata? – disse la ragazza ridendo.

Eric la guardò e a Jenna non servirono parole per capire che c’era qualcosa di serio che quel ragazzo nascondeva.

Il telefono della ragazza squillò, interferendo con la loro conversazione. Jenna rispose, non capendo perché Serena la chiamasse a quell’ora. Sarebbe dovuta essere già a casa.

Eric vide gli occhi di Jenna spalancarsi, e lacrime iniziare a solcarle il volto. Si spaventò, ansioso di sapere chi l’avesse chiamata, ma soprattutto cosa le avessero detto.

- Serena è all’ospedale – disse la ragazza in un soffio.

- Andiamo subito, ti accompagno – non perse tempo. La fece salire velocemente in macchina e poi andò al volante.

Jenna era sotto schock, non riusciva a parlare. In un attimo, aveva rivissuto la morte del fratello. Le sembrò che non potesse essere felice, neanche per una serata. Qualcosa di brutto accadeva alle persone a cui teneva, e iniziò ad avere pensieri assurdi. Pensieri che Eric temeva, perché sapeva quanto potessero essere distruttivi.

 

Arrivarono all’ospedale in circa un’ora. Un’ora durante la quale Eric aveva tentato di tranquillizzare Jenna in mille modi, che si rivelarono tutti inutili. La ragazza era in una terribile ansia per l’amica, e quei minuti di attesa non facevano altro che farle tornare alla memoria la sofferenza che aveva patito dopo aver ricevuto la notizia della morte del fratello. Niente faceva più male di quello. Non ascoltava Eric, non riusciva a comprendere le sue parole. Voleva solo che si sbrigasse, che arrivassero in ospedale più presto possibile.

Quando varcarono le porte dell’edificio, Jenna era in lacrime. Così, il ragazzo prese in mano la situazione e cercò in lungo e in largo Serena. L’amica aveva dato come primo numero di riferimento in caso di bisogno quello di Jenna, visto che i genitori abitavano in un altro stato. Saputa la stanza, Eric non era convinto che Jenna fosse pronta per affrontare qualcosa forse più grande di lei, quindi si accertò delle condizioni della ragazza. Per fortuna, era totalmente fuori pericolo. L’avevano investita, perché aveva attraversato la strada dove non c’erano le strisce, ed una macchina non l’aveva vista. Aveva frenato abbastanza in fretta, però, e il conducente si era fermato per chiamare un’ambulanza. Serena se l’era cavata con una gamba rotta.

Jenna tirò un sospiro di sollievo quando lo seppe, ma la sua voglia di andare a vedere come stava l’amica con i suoi occhi non diminuì.

- Jenna! – l’accolse con grande gioia Serena.

L’amica l’abbraccio più forte che poté.

- Come stai? Hanno detto che non è niente di grave, per fortuna –

- Già, solo una gamba rotta. Ma sai anche tu cosa vuol dire…-

- Niente più danza? –

Serena la guardò, con le lacrime agli occhi.

- No, ma c’è ancora una speranza. Non possono ancora darmi una diagnosi completa –

- Non sai quanto mi dispiace – anche Jenna aveva le lacrime agli occhi, e abbracciò di nuovo l’amica.

- Basta con le smancerie, sbaglio o tu eri ad un appuntamento? Mi dispiace di avertelo rovinato! –

- Smettila di dire sciocchezze, chi se ne importa dell’appuntamento! –

- Certo, ora dici così, ma domani…-

Serena lanciò uno sguardo malizioso all’amica, la quale divenne rossa per l’imbarazzo.

- Smettila –

- Dov’è lui? –

- E’ qui fuori, mi sta aspettando –

- Ma che dolce, nessuno avrebbe aspettato me –

Le due ragazze continuarono a chiacchierare a proposito dell’appuntamento di Jenna con Eric, e Serena fu ancor più felice quando seppe del bacio che c’era stato poco prima della chiamata da parte dell’ospedale. Si scusò nuovamente per averla fatta arrivare fino a lì, e ancora una volta Jenna le promise che non c’era nulla di cui doveva sentirsi dispiaciuta.

 

 Quando Eric stava riaccompagnando Jenna in macchina, quest’ultima si era scordata del discorso che la telefono aveva interrotto, e il ragazzo non aveva la minima intenzione di farglielo ritornare alla mente. Difatti, quella sicurezza che aveva acquistato nel momento in cui aveva deciso di rivelarle tutto, era sparita. Tentò di farla tornare, lottò contro sé stesso per trovare le parole giuste, ma queste sfuggivano via ogni volta, senza che lui potesse farci niente. Ancora una volta, quindi, decise di aspettare. Doveva aspettare il momento più adatto.

 

Passarono i giorni. Serena era tornata a casa, ma purtroppo non avrebbe potuto danzare fino alla fine dell’anno scolastico. Così aveva molto tempo libero, che dedicò soprattutto ad analizzare la sua migliore amica. Jenna stava iniziando a provare qualcosa di serio per Eric, ma una domanda continuava a tormentarla: dov’era finito il ragazzo delle lettere? Le mancava, e questo sentimento la scioccò. Non capiva come potesse provare tanto per qualcuno che non aveva mai incontrato. Il peggio era che, per questo, non riusciva ad aprirsi ad Eric, con il quale era uscita solamente una volta dopo il giorno dell’incidente.

- Si può sapere cosa aspetti? – una sera, mentre le due amiche stavano guardando un film, Serena decise che era arrivato il momento di affrontare la questione.

- A fare cosa? –

- A decidere –

Jenna sospirò.

- Non c’è nessuna decisione da prendere. Uno è sparito, l’altro non sembra provare così tanto interesse per me –

- Che diavolo dici? E’ sempre Eric quello che si fa sentire per primo, e sai che è all’università, deve studiare. Per il ragazzo del mistero, invece, potresti risolvere mandandogli tu una lettera. Magari sta male, ed è per questo che non si è più fatto sentire –

- Sono io l’ultima ad aver mandato la lettera, tocca a lui –

- Ma cosa sei, una bambina dell’asilo? Stai solamente trovando delle scuse, ammettilo –

Jenna si soffermò per pensare alle parole dell’amica. Aveva ragione, e lo sapeva bene, ma non riusciva a prendere una decisione. La ragione la portava da Eric, perché lui era il ragazzo perfetto. Mentre l’altro non era altro che un mucchio di lettere. Purtroppo, però, non era capace di ignorare completamente il suo cuore, come neanche la sua mente. Ed è per questo che non riusciva a decidersi. C’era una battaglia interiore in corso, e non sapeva ancora chi avrebbe vinto.

- Sì, sto trovando delle scuse, ma dimmelo tu cosa devo fare! Eric è così dolce, ma… -

- Ma c’è il tuo “nuovo amico”, di cui ti sei perdutamente innamorata, senza neanche sapere chi è –

- Già… E’ ridicolo, non è vero? –

- No, non è ridicolo, ma neanche molto salutare. Secondo me ne devi parlare con Eric –

- Sì, così mi crederà una pazza, grazie del consiglio –

- Era solo una proposta. Magari invece ti capisce –

- Non risolverebbe comunque il problema – disse Jenna sconsolata.

- Quello lo puoi risolvere solo tu, ma almeno è un passo avanti –

Jenna non sapeva se ascoltare il consiglio dell’amica o no. Non le sembrava molto sensato, ma affrontare l’argomento con almeno uno dei due ragazzi era sempre meglio che rimanere in attesa. Di cosa, non lo sapeva neanche lei.

- Okay, gli parlerò domani –

E così, la ragazza chiamò Eric e gli chiese se potevano vedersi per parlare l’indomani. Il ragazzo accettò, ma per un attimo ebbe paura che Jenna potesse aver scoperto tutto. Era sembrata così seria al telefono, c’era qualcosa che non andava. Ne parlò con Savannah, la quale lo implorò di parlarne con Jenna, comunque siano andate le cose. Meritava di sapere, ed era meglio per lui che non lo sapesse già.

 

Il giorno dopo, Eric passò a prendere Jenna e insieme si diressero verso il parco più vicino.

- Allora, di cosa mi vuoi parlare? – cominciò il ragazzo, mentre passeggiavano.

- Mi prometti che non ti arrabbierai, ma soprattutto non mi crederai una pazza? –

Eric rise.

- Okay, lo prometto. Ma così mi metti paura –

- Dovresti averne – disse Jenna imbarazzata.

- E’ per caso successo qualcosa? – gli chiese poi il ragazzo tornato serio.

- No, no, tranquillo. E’ che… Non so come dirtelo, ma c’è qualcun altro nella mia vita –

Eric sentì il terreno tremare. Non aveva considerato quella possibilità, non aveva pensato che forse lei, nel frattempo, avesse incontrato qualcun altro. Eppure, nelle lettere non ne aveva mai parlato.

- Posso chiederti chi è? – azzardò il ragazzo.

- E’ qui il punto critico. Hai promesso che non mi crederai una pazza, ricordatelo –

Eric la guardò confuso, poi annuì.

- Me lo ricordo –

- E’ un ragazzo con il quale ho iniziato a scambiarmi delle lettere dopo la morte di mio fratello. E’ strano, non lo conosco di persona, ma provo qualcosa per lui che non so spiegarmi –

Eric cominciò a ridere. Non aveva calcolato neanche quella, di possibilità.

- Avevi promesso –

- Non ti credo una pazza, Jenna. Non è per questo che rido –

- E perché, allora? – l’imbarazzo della ragazza crebbe ancora di più.

- Ora sei tu che devi farmi una promessa – Eric tornò serio. Il momento di dire la verità era finalmente arrivato.

- Quale promessa? – la ragazza era confusa.

- Non ti devi arrabbiare, e soprattutto mi devi dare il tempo di spiegare –

- Okay – disse Jenna, incerta.

Eric sospirò. Non sapeva ancora come dirglielo. La guardava negli occhi, e non sapeva se sarebbe stata pronta ad accettarlo di nuovo. Ma aveva detto di provare qualcosa per lui, o almeno per il lui delle lettere. Ormai era troppo tardi per tirarsi indietro, doveva raccontarle tutto.

- Quel ragazzo, quello che ti ha scritto tutte le lettere… Non so come dirtelo, ma non c’è un modo giusto. Sono io. Sono io che ti ho scritto, dalla prima all’ultima lettera. Ero amico di tuo fratello e ho voluto esserti vicino, ho voluto che qualcuno mi dicesse che mi capiva. Ne avevo bisogno –

Jenna rimase senza parole. Si sentiva presa in giro, e le veniva da piangere. Capì che non c’era mai stata nessuna disputa tra il suo cuore e la sua ragione, perché ora sarebbero potute andare perfettamente d’accordo. Eric era il ragazzo delle lettere. Eric era riuscito a farla innamorare completamente, per chi era, sotto ogni aspetto. Ma non riusciva ad ignorare l’altro sentimento. Un sentimento che la metteva a disagio, che la faceva sentire stupida, e soprattutto tradita. E non era stata tradita solo una volta. Voleva andarsene, ma gli aveva promesso che sarebbe rimasta, che avrebbe ascoltato l’intera storia. Così, non si mosse, né disse una parola.

Eric la vide sconvolta, così tentò di avvicinarsi per prenderle una mano, ma lei si allontanò. Si sentì ferito, ma capiva la sua reazione.

- Mi dispiace. Probabilmente ti sentirai tradita…-

- Non dirmi quello che sento come se mi conoscessi –

- Ti conosco, Jenna! Forse sono l’unico su questa terra che può dire di conoscerti. Non era mia intenzione imbattermi in te in quel modo, davanti la tua scuola. Ti stavo cercando, è vero, ma per parlarti, per chiederti di accettarmi non solo dietro ad un foglio di carta –

- E perché non me l’hai detto quando ci siamo incontrati? –

- Perché eri di fretta, e non mi hai riconosciuto. Era di questo che avevo paura, che tu potessi riconoscermi, che tu potessi relazionarmi a qualche discorso di Johnny e decidere di non rivolgermi più la parola, neanche attraverso una lettera –

Jenna collegò tutto, e nella sua mente tornarono alcune parole del fratello, parole che ora capiva a chi si riferirono.

- Pensi che Johnny abbia parlato male di te? –

Eric la guardò negli occhi. Sembrava che Jenna si fosse calmata, e si sentì sollevato. Forse sarebbe riuscito a far funzionare quel rapporto così strano.

-  Non lo so, penso solo che forse lui ti abbia potuto dire di stare lontana da me –

- Non sai quanto ti stai sbagliando – Jenna sorrise, non con amarezza, come poté felicemente notare Eric, ma con tenerezza, al ricordo del fratello.

- Cioè? –

- Mi parlava del suo coinquilino come della migliore persona del mondo. Scherzava spesso sul volermi presentare a te. Era convinto che saremmo stati una bella coppia –

La notizia sconvolse Eric non poco. Dopo tutti quei discorsi su quanto fosse intoccabile la sorella, Johnny voleva che loro due si mettessero insieme? L’ironia della situazione lo fece scoppiare a ridere, e insieme a lui, in quella risata al contempo triste e gioiosa, si unì anche Jenna.

Eric si avvicinò di nuovo alla ragazza, ma questa volta lei non si spostò in un millimetro. Le prese le mani, e la guardò negli occhi per qualche secondo. Cavolo, se era bella.

- Possiamo riprovarci? Anzi, in realtà non credo che ci abbiamo mai provato –

Jenna si perse in quegli occhi, desiderandoli, ammirandoli. Ma si rese conto di qualcosa che le era sfuggito per tutto quel tempo, qualcosa che ora le si presentava chiaro davanti agli occhi.

- Eric, io non sono pronta –

Lui la guardò, confuso.

- Non sei pronta per me? –

- Non sono pronta per una relazione. Non riesco ancora a vivere tranquillamente senza Johnny, e non riesco ad affezionarmi completamente alle persone. Non posso lasciarmi andare, ho paura –

- Ma posso aiutarti a superarla, questa paura. L’hai detto anche tu che hai bisogno di me, che solo io posso aiutarti. Per favore, lasciami provare –

Jenna scosse la testa.

- Finirei per ferire me stessa e te. E’ vero che avevo bisogno di te, e forse ne ho ancora, ma non così. Dall’incidente di Serena ho iniziato a capire che non ero così legata a lei come credevo, non le avevo mai raccontato tutto, neanche delle lettere. Non riesco a fidarmi completamente delle persone…-

- Hai paura che ti abbandonino, non è vero? – Eric iniziò a capire che non sarebbe mai riuscita a convincerla.

Jenna annuì e il ragazzo l’abbracciò stretta a sé.

- Beh, io non ti abbandonerò mai. Te lo prometto –

 

 

 

Jenna stava sistemando i quadri nel salone, quando lo vide. Il postino stava mettendo qualcosa nella cassetta delle lettere. La ragazza sorrise, sapeva esattamente cosa fosse.

Uscì dalla casa che finalmente era riuscita a comprare. Da quando l’aveva vista, se n’era innamorata. Suo fratello aveva veramente buon gusto, ed era stato un colpo di fortuna che con pochi soldi che lei e Serena erano riuscite ad accumulare in un anno, quella casa era diventata loro. Le dava forza, e sentiva l’essenza di Johnny accompagnarla lungo quel lungo viaggio che da sempre avrebbe voluto vederla intraprendere.

Jenna prese la lettera, per poi dirigersi sulla veranda e sedersi sul dondolo che la madre le aveva inviato da Bath. Iniziò ad aprire la busta e, emozionata, iniziò a scorrere quelle parole che già le sembravano familiari.

 

Cara Jenna,

ti scrivo dalla calda e assolata Los Angeles. Proprio così, alla fine me ne sono andato da quella città che significava tutto per entrambi. Sembrava impossibile, eppure anche io ho capito che avevo bisogno di cambiare aria, di cominciare di nuovo. Ti rendi conto che è passato già un anno? Mi sembra solo ieri quando ci siamo detti che sarebbe stato meglio aspettare un po’ di tempo. Beh, tu l’hai detto ed io ho accettato la tua decisione, ma il concetto è quello. Ho passato tutti questi mesi concentrandomi sugli studi, sulla mia carriera, ma devo ammettere che è stato inutile. Mi manchi, mi sei mancata da quando, quel lontano pomeriggio, sono tornato a casa e ho realizzato che non avrei ricevuto più tue lettere per un anno. Non ti ho dimenticata, Jenna, e non credo lo farò mai. Ora è mio dovere chiederti se ci sarai a Bath domani, per l’incontro in onore di Johnny. So che dovrei darlo per scontato, ma non so se cambierai idea quando saprai che io verrò. Voglio vederti. Per dodici mesi ho immaginato come saresti cambiata, cresciuta, e ho capito che mi faceva male non starti vicino. Non posso chiedere a me stesso di aspettare ancora, sarebbe distruttivo per me. Non ti sto pregando, non voglio importi niente, ma è giusto che tu sappia che i miei sentimenti non sono cambiati neanche lontanamente. Mi manchi, ma questo già l’ho detto. Vedi, non posso fare a meno di ripeterlo. Tra un mese torno a Chicago, lo stage è finito. Se vuoi, potremmo stare insieme, altrimenti ti chiedo di ricominciare ad essere amici, anche se soltanto per lettera.

Non ti abbandonerò mai,

il tuo vecchio amico.

 

Jenna sorrise, e una lacrima le scese lungo la guancia.

Salì le scale ed entrò nella sua nuova camera. Era ricoperta di scatoloni, ancora non disfatti. Tra i tanti, si sedette accanto all’unica che non aveva un nome scrittovi sopra. Lo aprì, e ne estrasse una scatola più piccola, nella quale aveva tenuto con cura tutte le lettere che Eric le aveva mandato fino ad un anno prima. Al mucchio, ci aggiunse anche l’ultima, per poi richiudere la scatola e portarsela con sé al piano terra.

Si avvicinò al camino e, lentamente, aggiungeva al fuoco ognuna di quei preziosi cimeli. Piangeva, ma il suo volto era colorato da un sorriso. Ne aveva abbastanza di quelle lettere, era finito il tempo in cui i suoi sentimenti poteva essere racchiusi dentro qualche riga. Da quelle ceneri, stava nascendo una nuova Jenna. Una Jenna pronta ad affrontare la realtà, pronta ad aprirsi a chiunque l’avesse chiesto. Ma, in realtà, pochi potevano permetterselo. Anzi, ce n’era solo uno per cui valeva la pena rischiare tutto questo. Bath l’aspettava e, insieme al ricordo di Johnny, c’erano nuovi ricordi pronti a riempirli il cuore. Ricordi di una vecchia conoscenza, ricordi di una vita insieme al migliore amico di suo fratello. Ricordi che si sarebbe costruita pronunciando parole che fino ad allora non era neanche riuscita a scrivere.

 

 

 

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