L’unica strada possibile
Guerra
civile: il mio sogno, la mia condanna.
Ero
felice di essermi arruolato nell’esercito. Lo ritenevo un dovere verso il mio
paese essere un soldato. Tutti i ragazzi della mia età erano partiti con questo
scopo.
Per
me era qualcosa di naturale, un evento a cui non potevo sottrarmi: il mio
destino. Avevo carisma, ero capace di invogliare gli altri soldati a
combattere, a non arrendersi, gli davo la carica necessaria a svolgere il loro
compito.
Ero
soddisfatto, finché non incontrai loro. La mia rovina.
Stavo
tornando a casa dopo una dura battaglia, che ci aveva visti vittoriosi. Un
sogno, il coronamento della mia vita, la gloria di un soldato.
Quando
le vidi, rimasi abbagliato e spaventato allo stesso tempo. Tre donne, vestite
in modo piuttosto elegante, si trovavano a pochi metri da me. Erano di una
bellezza che raramente si incontrava, anzi, che non si poteva incontrare.
Avevano tratti tipici delle fanciulle che abitavano nei paesi del sud, ma la
loro pelle, sotto la flebile luce lunare, risultava simile all’alabastro,
troppo bianca e perfetta, che stonava con i canoni tipici del sud. Eppure non
avevo dubbi.
La
luna, essendo alle loro spalle, non mi permetteva di determinare il colore
degli occhi, ma dovetti scommettere che si trattava di un colore ombroso,
simile ai loro capelli, tendenti al mogano o castano scuro; troppo buio per
determinarlo con certezza.
In
groppa al mio cavallo mi avvicinai a loro, che non sembravano intimorite dalla
mia presenza. Erano tranquille, tanto che credetti di aver visto spuntare un
sorriso sulle loro labbra, rosse come il peccato. Decisi di scendere per
tranquillizzarle, e poi di accompagnarle verso il loro villaggio, come era
giusto e doveroso per un gentiluomo come me. Non sapevo quanto mi sbagliavo.
Non erano loro ad aver bisogno di aiuto o protezione: ero io.
Mi
avvicinai lentamente. Loro non si spostavano di un millimetro, erano immobili,
delle statue. Le sentii ridacchiare, una risata melodica, un coro di angeli.
«Scusate
signorine, avete bisogno d’aiuto?» chiesi loro, affinché mi rivolgessero la
parola, ma cominciarono a parlare tra di loro, senza tenere in considerazione
le mie parole, ma tenendo d’occhio ogni mio movimento con la coda dell’occhio.
«Maria?
Che ne pensi di lui? È carino per essere un umano» quella frase, detta in un
sussurro, arrivò comunque alle mie orecchie, e mi inquietò in maniera
spaventosa. Ma non riuscivo ad allontanarmi: qualunque cosa fossero, erano in
grado di tenermi lì contro la mia volontà. Era come se fossi stato ammaliato
dal canto delle sirene, un canto capace di ucciderti con la sua bellezza.
La
donna che stava in mezzo - quella che si chiamava Maria, da quanto avevo
intuito - mi squadrava con un malcelato interesse, con particolare attenzione.
Poi, dopo un periodo che a me parve infinito, decise di emettere il suo
giudizio.
«Sì,
lo reputo adatto allo scopo. È attraente, di bell’aspetto, affabile nei modi.
Un tipico gentiluomo del sud, ma soprattutto - quello che più mi ha colpito - è
che è un soldato, perciò non sarà difficile per lui prendere ordini» disse con
voce melodiosa e allo stesso tempo glaciale. Mi stava studiando per un motivo a
me sconosciuto, ma che presto avrei scoperto.
L’altra
donna, quella che ancora non aveva parlato, decise di aprire bocca.
«Maria,
mi trovi d’accordo sulla tua scelta, però sarebbe meglio che lo trasformassi
tu, noi non siamo in grado di controllarci, il suo profumo mi colpisce già da
qui. È così buono» quella frase frantumò ogni mia speranza di fuga. Mi era
ormai chiaro che un cambiamento irreversibile stava per avvenire, un
cambiamento che mi avrebbe accompagnato per tutta la vita, o forse di più.
«Hai
ragione, io sono più esperta di voi due, perciò state lontane. Non vorrei che
vi lasciaste trascinare dalla vostra sete, o sarà un lavoro inutile il mio»
detto questo, la signorina di nome Maria fece un passo verso di me, un passo
lento ma deciso.
«Come
ti chiami, soldato?» mi chiese lei alzando la voce, per farsi sentire meglio da
me.
«Jasper
Whitlock, signorina, per servirvi» forse l’ultima parte non avrei dovuto
pronunciarla, ma faceva parte del mio essere, mostrare i miei modi da
gentiluomo. Lei sorrise, avvicinandosi definitivamente a me.
«Bene,
Jasper, spero che sopravvivrai, sarebbe un vero peccato perderti» e dopo afferrò
i miei capelli con una mano, tirandoli da una parte, lasciando il collo
scoperto. Sentii la pelle lacerarsi sotto i suoi denti, che come ferro
incandescente mi provocarono un dolore che non smetterà mai di tormentarmi. Mi
misi ad urlare ma fu tutto inutile: in quelle lande desolate, o per meglio dire
poco frequentate, Jasper Whitlock cessò di esistere.
1863,
anno della morte di Jasper Whitlock, l’umano; nascita di un nuovo essere.
Quando
mi risvegliai, un bruciore alla gola si fece strada in me.
Le
tre donne che ricordavo, quelle che volevo aiutare, mi apparvero in maniera del
tutto diversa. Ora qui, accanto a me, che mi sorridono compiaciute. Non credevo
che la mia vista fosse così offuscata fino al loro incontro. Adesso ogni cosa
risultava diversa, persino la loro bellezza mi sembrava di apprezzarla in
maniera più adeguata, come se in tutta la mia vita non avessi mai aperto gli
occhi, perché ricoperti di una patina oscura, opaca. I loro modi ammalianti,
ora, mi sembravano piuttosto banali nella loro semplicità, eppure prima erano
stati in grado di intrappolarmi nella loro morsa letale.
«Ben
svegliato, Jasper. Scommetto che hai sete, non è così?» mi disse Maria con voce
suadente, ma in qualche maniera riuscii a resistere.
«Cosa
mi hai fatto? Perché sento questo bruciore alla gola? Non mi dà pace, ho bisogno
di spegnere questo incendio» dissi, e quando udii la mia voce arretrai da loro
confuso. Il mio spostamento fu talmente rapido che credetti di cadere per il
movimento brusco, ma qualcosa era mutato: io ero cambiato.
«Quel
bruciore è la sete. Ti abbiamo portato la tua cena, eccola qui» disse Maria,
che prese per un polso un uomo che trascinava ad ogni passo. Era stato
tramortito, e adesso si stava svegliando. Un odore sublime mi colse di
sorpresa, facendomi perdere la ragione e un ruggito cupo mi sfuggì dalle
labbra; era l’odore di quell’uomo che mi fece perdere la ragione, un odore che
mi fece impastare la bocca di un liquido viscoso. Che fosse saliva? No, troppo
diverso, troppo strano.
«Cosa
succede?» chiese l’uomo, spaventato. Sentivo delle emozioni che non mi
appartenevano nella stanza, emozioni in grado di destabilizzarmi.
Sentivo
paura, eccitazione ed infine compiacimento, ma non me ne curai troppo: la mia
attenzione era rivolta a quell’uomo che cercava di liberarsi dalla presa di
Maria, inutilmente.
«Jasper,
lui è la tua cena. Ce ne sono altri qui intorno, puoi averne quanti ne vuoi, ma
non lasciare tracce. Nascondi i cadaveri» le sue parole mi spaventarono, ma
allo stesso tempo fremevo per poter placare la mia sete, come se la parte più
profonda di me lo reclamasse come suo.
Avvertivo persino il battere forsennato del suo cuore, un cuore che aumentava i
battiti ogni secondo di più, l’unico suono che avvertivo. I cuori di Maria, le
altre due donne ed infine il mio erano privi
di vita.
«Come…?»
chiesi con impazienza. La sete mi stava divorando, però c’era una domanda che
non aveva avuto ancora risposta: sete di cosa?
«Fai ciò
che il tuo istinto ti dice. Cosa devi fare Jasper?» mi disse guardandomi ed io
voltai lo sguardo sull’uomo, di cui potevo vedere persino il sangue scorrere
nelle vene, appena sotto la pelle.
Ecco
la risposta alla mia domanda: sangue, io avevo sete di sangue.
Senza
attendere oltre, mi fiondai ad una velocità incredibile sull’uomo, ed un
ricordo sbiadito si fece strada nella mia mente: Maria che mi mordeva nel
collo. Guardai il collo dell’uomo, di cui potevo avvertire una paura che in
questo momento non conosceva limiti, una paura dettata dall’ignoto; non sapeva
cosa gli stava per succedere, ma di sicuro qualcosa di doloroso. Notai la vena
che portava il sangue verso il cervello e, senza attendere oltre, conficcai i
miei denti lì in quel punto. Le sensazioni che provai in quel momento furono
indescrivibili: adrenalina mista ad estasi, il piacere dei sensi, un piacere
senza confini. Quando il sangue finì, buttai il corpo per terra. Dalle mie
labbra ero sicuro che pendeva qualche goccia, ma non me ne importava. La sete
c’era ancora, ed ora voleva saziarsi ancora di quel delizioso nettare.
«Ancora!»
sputai fra i denti. I miei modi affabili erano stati sepolti dalla bestia
presente in me.
«Segui
l’odore, ne troverai altri, ma bada bene a non farti vedere mentre consumi il pasto» e
dicendo questo si allontanarono alla mia velocità. In quel momento mi accorsi,
essendo solo, di trovarmi in un luogo dall’odore insopportabile. Vidi paglia
dappertutto, ed attrezzi per lavorare i campi; ero in un fienile o roba simile.
Ma quello che mi sorprese furono i resti di uno specchio rotto, doveva essere
molto vecchio dato che era anche sporco. Raccolsi un frammento lì vicino e
osservai la mia immagine riflessa, l’immagine di un mostro. Un viso pallido
incorniciato da capelli biondi abbastanza spettinati, ma gli occhi erano la
visione più inquietante: occhi rosso sangue, rossi come fuoco vivo, gli occhi
di un assassino.
Nonostante
ebbi quella folgorante rivelazione, non potevo più far nulla: ero schiavo della
mia sete e niente poteva impedirmi di placarla.
Trovai
altri uomini fuori, come aveva detto Maria, e li dissanguai, dopodiché li
nascosi per bene, come mi era stato detto e ritornai dentro, dove trovai le tre
donne ad attendermi.
«Cosa
siamo?» volevo dare un nome all’essere che aveva sostituito l’umano che era in
me.
«Vampiri,
Jasper, e tu sei uno dei miei soldati da adesso. Ti ho dato la vita eterna,
dimostrami che non ho sbagliato i conti su di te» disse Maria sorridendomi
malignamente.
Non
conoscevo nessuno se non loro adesso. Erano estranee e sentivo le loro
emozioni: erano emozioni negative. Non avevano nessun riguardo per me, se non
desideri di lussuria. Ma essendo vampiri, esseri notturni da quel che dicono le
leggende, non potei fare altro che aggregarmi a loro. Non c’erano altre vie per
vivere, non volevo essere un assassino, ma non c’erano altre soluzioni: io ero
il vampiro, e l’uomo era la mia preda. La mia unica certezza.