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Autore: Dark Magic    10/09/2010    3 recensioni
Altra one-shot. Questa è incentrata sui pensieri di Jasper, quando incontra Maria e le altre due vampire, e l'inizio della sua nuova vita.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jasper Hale
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Precedente alla saga
- Questa storia fa parte della serie 'La via della speranza'
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L’unica strada possibile

Guerra civile: il mio sogno, la mia condanna.

Ero felice di essermi arruolato nell’esercito. Lo ritenevo un dovere verso il mio paese essere un soldato. Tutti i ragazzi della mia età erano partiti con questo scopo.

Per me era qualcosa di naturale, un evento a cui non potevo sottrarmi: il mio destino. Avevo carisma, ero capace di invogliare gli altri soldati a combattere, a non arrendersi, gli davo la carica necessaria a svolgere il loro compito.

Ero soddisfatto, finché non incontrai loro. La mia rovina.

Stavo tornando a casa dopo una dura battaglia, che ci aveva visti vittoriosi. Un sogno, il coronamento della mia vita, la gloria di un soldato.

Quando le vidi, rimasi abbagliato e spaventato allo stesso tempo. Tre donne, vestite in modo piuttosto elegante, si trovavano a pochi metri da me. Erano di una bellezza che raramente si incontrava, anzi, che non si poteva incontrare. Avevano tratti tipici delle fanciulle che abitavano nei paesi del sud, ma la loro pelle, sotto la flebile luce lunare, risultava simile all’alabastro, troppo bianca e perfetta, che stonava con i canoni tipici del sud. Eppure non avevo dubbi.

 

La luna, essendo alle loro spalle, non mi permetteva di determinare il colore degli occhi, ma dovetti scommettere che si trattava di un colore ombroso, simile ai loro capelli, tendenti al mogano o castano scuro; troppo buio per determinarlo con certezza.

In groppa al mio cavallo mi avvicinai a loro, che non sembravano intimorite dalla mia presenza. Erano tranquille, tanto che credetti di aver visto spuntare un sorriso sulle loro labbra, rosse come il peccato. Decisi di scendere per tranquillizzarle, e poi di accompagnarle verso il loro villaggio, come era giusto e doveroso per un gentiluomo come me. Non sapevo quanto mi sbagliavo. Non erano loro ad aver bisogno di aiuto o protezione: ero io.

Mi avvicinai lentamente. Loro non si spostavano di un millimetro, erano immobili, delle statue. Le sentii ridacchiare, una risata melodica, un coro di angeli.

«Scusate signorine, avete bisogno d’aiuto?» chiesi loro, affinché mi rivolgessero la parola, ma cominciarono a parlare tra di loro, senza tenere in considerazione le mie parole, ma tenendo d’occhio ogni mio movimento con la coda dell’occhio.

«Maria? Che ne pensi di lui? È carino per essere un umano» quella frase, detta in un sussurro, arrivò comunque alle mie orecchie, e mi inquietò in maniera spaventosa. Ma non riuscivo ad allontanarmi: qualunque cosa fossero, erano in grado di tenermi lì contro la mia volontà. Era come se fossi stato ammaliato dal canto delle sirene, un canto capace di ucciderti con la sua bellezza.

La donna che stava in mezzo - quella che si chiamava Maria, da quanto avevo intuito - mi squadrava con un malcelato interesse, con particolare attenzione. Poi, dopo un periodo che a me parve infinito, decise di emettere il suo giudizio.

«Sì, lo reputo adatto allo scopo. È attraente, di bell’aspetto, affabile nei modi. Un tipico gentiluomo del sud, ma soprattutto - quello che più mi ha colpito - è che è un soldato, perciò non sarà difficile per lui prendere ordini» disse con voce melodiosa e allo stesso tempo glaciale. Mi stava studiando per un motivo a me sconosciuto, ma che presto avrei scoperto.

L’altra donna, quella che ancora non aveva parlato, decise di aprire bocca.

«Maria, mi trovi d’accordo sulla tua scelta, però sarebbe meglio che lo trasformassi tu, noi non siamo in grado di controllarci, il suo profumo mi colpisce già da qui. È così buono» quella frase frantumò ogni mia speranza di fuga. Mi era ormai chiaro che un cambiamento irreversibile stava per avvenire, un cambiamento che mi avrebbe accompagnato per tutta la vita, o forse di più.

«Hai ragione, io sono più esperta di voi due, perciò state lontane. Non vorrei che vi lasciaste trascinare dalla vostra sete, o sarà un lavoro inutile il mio» detto questo, la signorina di nome Maria fece un passo verso di me, un passo lento ma deciso.

«Come ti chiami, soldato?» mi chiese lei alzando la voce, per farsi sentire meglio da me.

«Jasper Whitlock, signorina, per servirvi» forse l’ultima parte non avrei dovuto pronunciarla, ma faceva parte del mio essere, mostrare i miei modi da gentiluomo. Lei sorrise, avvicinandosi definitivamente a me.

«Bene, Jasper, spero che sopravvivrai, sarebbe un vero peccato perderti» e dopo afferrò i miei capelli con una mano, tirandoli da una parte, lasciando il collo scoperto. Sentii la pelle lacerarsi sotto i suoi denti, che come ferro incandescente mi provocarono un dolore che non smetterà mai di tormentarmi. Mi misi ad urlare ma fu tutto inutile: in quelle lande desolate, o per meglio dire poco frequentate, Jasper Whitlock cessò di esistere.

1863, anno della morte di Jasper Whitlock, l’umano; nascita di un nuovo essere.

Quando mi risvegliai, un bruciore alla gola si fece strada in me.

Le tre donne che ricordavo, quelle che volevo aiutare, mi apparvero in maniera del tutto diversa. Ora qui, accanto a me, che mi sorridono compiaciute. Non credevo che la mia vista fosse così offuscata fino al loro incontro. Adesso ogni cosa risultava diversa, persino la loro bellezza mi sembrava di apprezzarla in maniera più adeguata, come se in tutta la mia vita non avessi mai aperto gli occhi, perché ricoperti di una patina oscura, opaca. I loro modi ammalianti, ora, mi sembravano piuttosto banali nella loro semplicità, eppure prima erano stati in grado di intrappolarmi nella loro morsa letale.

«Ben svegliato, Jasper. Scommetto che hai sete, non è così?» mi disse Maria con voce suadente, ma in qualche maniera riuscii a resistere.

«Cosa mi hai fatto? Perché sento questo bruciore alla gola? Non mi dà pace, ho bisogno di spegnere questo incendio» dissi, e quando udii la mia voce arretrai da loro confuso. Il mio spostamento fu talmente rapido che credetti di cadere per il movimento brusco, ma qualcosa era mutato: io ero cambiato.

«Quel bruciore è la sete. Ti abbiamo portato la tua cena, eccola qui» disse Maria, che prese per un polso un uomo che trascinava ad ogni passo. Era stato tramortito, e adesso si stava svegliando. Un odore sublime mi colse di sorpresa, facendomi perdere la ragione e un ruggito cupo mi sfuggì dalle labbra; era l’odore di quell’uomo che mi fece perdere la ragione, un odore che mi fece impastare la bocca di un liquido viscoso. Che fosse saliva? No, troppo diverso, troppo strano.

«Cosa succede?» chiese l’uomo, spaventato. Sentivo delle emozioni che non mi appartenevano nella stanza, emozioni in grado di destabilizzarmi.

Sentivo paura, eccitazione ed infine compiacimento, ma non me ne curai troppo: la mia attenzione era rivolta a quell’uomo che cercava di liberarsi dalla presa di Maria, inutilmente.

«Jasper, lui è la tua cena. Ce ne sono altri qui intorno, puoi averne quanti ne vuoi, ma non lasciare tracce. Nascondi i cadaveri» le sue parole mi spaventarono, ma allo stesso tempo fremevo per poter placare la mia sete, come se la parte più profonda di me lo reclamasse come suo. Avvertivo persino il battere forsennato del suo cuore, un cuore che aumentava i battiti ogni secondo di più, l’unico suono che avvertivo. I cuori di Maria, le altre due donne ed infine il mio erano privi di vita.

«Come…?» chiesi con impazienza. La sete mi stava divorando, però c’era una domanda che non aveva avuto ancora risposta: sete di cosa?

«Fai ciò che il tuo istinto ti dice. Cosa devi fare Jasper?» mi disse guardandomi ed io voltai lo sguardo sull’uomo, di cui potevo vedere persino il sangue scorrere nelle vene, appena sotto la pelle.

Ecco la risposta alla mia domanda: sangue, io avevo sete di sangue.

Senza attendere oltre, mi fiondai ad una velocità incredibile sull’uomo, ed un ricordo sbiadito si fece strada nella mia mente: Maria che mi mordeva nel collo. Guardai il collo dell’uomo, di cui potevo avvertire una paura che in questo momento non conosceva limiti, una paura dettata dall’ignoto; non sapeva cosa gli stava per succedere, ma di sicuro qualcosa di doloroso. Notai la vena che portava il sangue verso il cervello e, senza attendere oltre, conficcai i miei denti lì in quel punto. Le sensazioni che provai in quel momento furono indescrivibili: adrenalina mista ad estasi, il piacere dei sensi, un piacere senza confini. Quando il sangue finì, buttai il corpo per terra. Dalle mie labbra ero sicuro che pendeva qualche goccia, ma non me ne importava. La sete c’era ancora, ed ora voleva saziarsi ancora di quel delizioso nettare.

«Ancora!» sputai fra i denti. I miei modi affabili erano stati sepolti dalla bestia presente in me.

«Segui l’odore, ne troverai altri, ma bada bene a non farti vedere mentre consumi il pasto» e dicendo questo si allontanarono alla mia velocità. In quel momento mi accorsi, essendo solo, di trovarmi in un luogo dall’odore insopportabile. Vidi paglia dappertutto, ed attrezzi per lavorare i campi; ero in un fienile o roba simile. Ma quello che mi sorprese furono i resti di uno specchio rotto, doveva essere molto vecchio dato che era anche sporco. Raccolsi un frammento lì vicino e osservai la mia immagine riflessa, l’immagine di un mostro. Un viso pallido incorniciato da capelli biondi abbastanza spettinati, ma gli occhi erano la visione più inquietante: occhi rosso sangue, rossi come fuoco vivo, gli occhi di un assassino.

Nonostante ebbi quella folgorante rivelazione, non potevo più far nulla: ero schiavo della mia sete e niente poteva impedirmi di placarla.

Trovai altri uomini fuori, come aveva detto Maria, e li dissanguai, dopodiché li nascosi per bene, come mi era stato detto e ritornai dentro, dove trovai le tre donne ad attendermi.

«Cosa siamo?» volevo dare un nome all’essere che aveva sostituito l’umano che era in me.

«Vampiri, Jasper, e tu sei uno dei miei soldati da adesso. Ti ho dato la vita eterna, dimostrami che non ho sbagliato i conti su di te» disse Maria sorridendomi malignamente.

Non conoscevo nessuno se non loro adesso. Erano estranee e sentivo le loro emozioni: erano emozioni negative. Non avevano nessun riguardo per me, se non desideri di lussuria. Ma essendo vampiri, esseri notturni da quel che dicono le leggende, non potei fare altro che aggregarmi a loro. Non c’erano altre vie per vivere, non volevo essere un assassino, ma non c’erano altre soluzioni: io ero il vampiro, e l’uomo era la mia preda. La mia unica certezza.

 

   
 
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