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Autore: rees    10/09/2010    4 recensioni
One Shoot Chisbon tutta dedicata a Soarez. :D
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kimball Cho, Patrick Jane, Teresa Lisbon
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Caleidoscopio'
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-Capo abbiamo un nuovo caso.
Cho era entrato nel mio ufficio senza bussare. Iniziavano tutti a prendere esempio da Jane. Brutta, bruttissima cosa. Il mio ufficio era il mio rifugio, se si permettevano di entrare così che rifugio era?
-Di che si tratta?
-Uomo, trent'anni, non identificato, bruciato vivo in un bungalow di un campeggio a Los Angeles. Pare che si tratti del piromane che gira ultimamente. La polizia locale ha chiesto il nostro aiuto.
-Andiamo.
Uscimmo. Io, il mio consulente e il bel coreano che mi aveva portato il fascicolo.
Salimmo in macchina. Io e Cho davanti, Jane dietro, intento a disegnare su una mappa.
Dopo due ore e poco più di macchina arrivammo nella città che tanto avevo sognato di visitare come turista e non per lavoro.
-Tranquilla Lisbon, ci metteremo davvero poco.
Ignorai il fatto che si era intromesso per l'ennesima volta nella mia testa. Era inutile ripeterglielo, avrebbe continuato.
-E perché, scusa?
-Beh il piromane sta seguendo uno schema ben preciso...ha dato fuoco in una settimana a sei bungalow. Considerando che domani è domenica domani terminerà la serie. E seguendo l'ordine dei luoghi, so che sembra assurdo, ma si forma l'ideogramma cinese del fuoco.
Perfetto, tra le cose da appuntare avrei dovuto aggiungere “Patrick Jane conosce anche il cinese”.
-Quindi?
-Quindi oggi andiamo per scoprire di chi si tratta, mentre domani blocchiamo il piromane.
-Allora non ci vorrà poco.
La voce inflessibile del mio coreano mi fece sorridere.
Mio?
Magari. Mi sarebbe piaciuto parecchio, in effetti. Ma ora ero in servizio e ai miei foschi pensieri dovevo mettere un punto. Per ora.
Anche se ormai li avevo scatenati. Se conosceste che uomo è Kimball non potreste evitare di immaginarlo in cucina, con una maglia nera piuttosto attillata che mette in risalto i suoi pettorali e magari anche...
-Lisbon, cara, dolce Lisbon? Ci sei?
-Eh? Uh. Si.
-Che fervida fantasia hai.
-Jane. Esci. Dalla. Mia. Testa.
-Subito.
Finalmente trovai il campeggio. Onestamente? Jane era un bell'uomo, intelligente, con moltissime qualità e tutto. Ma a dare indicazioni stradali era una frana.
-Non sono una frana. Vorrei vedere te a leggere i nomi delle strade coperte da un pennarello nero.
-Potevi non disegnare sulla cartina!
Scendemmo dall'auto mentre mi resi conto che in tutte e due le ore io e Jane avevamo continuato a battibeccare mentre Kimball aveva detto circa due frasi con un massimo di cinque parole l'una. E potevo dire che aveva parlato parecchio.
Io ed il coreano rimanemmo indietro mentre lasciavamo a Jane il compito di controllare il corpo che fortunatamente non era stato bruciato così tanto. La morte era giunta per soffocamento.
Jane tornò dopo nemmeno due minuti.
-L'uomo è Simon Jonson, impresario. È venuto qui per incontrarsi con l'amante.
-Come lo sai?
-Beh, che si incontrava con l'amante lo suppongo. Che si chiamava Simon...diciamo che c'era il nome inciso dietro l'orologio?
La risposta era sempre la più semplice secondo Jane. E più tempo passavo con lui più mi accorgevo che aveva ragione.
-Bene, dirigiamoci al luogo in cui presumi ci sarà il prossimo incendio.
-In cui ci sarà. Non lo presumiamo, ne siamo certi.
-Tu ne sei certo.
Stavolta le parole erano state quattro. Davvero faceva impressione quanto poco riusciva a parlare quest'uomo.
Arrivammo al campeggio indicato da Jane che prenotò un bungalow.
-Io me ne andrei dentro ad aspettare, sapete, non ho né distintivo, né armi, servirei a poco.
Attendemmo seduti su un tavolo da picnic vicino al bungalow. Fortunatamente questi erano disposti in cerchio quindi da ogni punto si potevano vedere tutti i bungalow rimanenti.
Scese la notte con una lentezza impressionante, considerato che Jane e i suoi giochetti sembravano tra le braccia di Morfeo e che il mio compagno era fin troppo silenzioso. Ma questo l'avrò detto circa venti volte.
A mezzanotte e mezza circa vidi un'ombra dietro uno dei bungalow, feci cenno al mio sottoposto di muoverci e lo seguimmo. Ci condusse all'interno di uno degli edifici ma dell'ombra nessuna traccia. Solo un fortissimo odore di benzina.
-Merda.
Qualcuno chiuse la porta appena entrammo e lanciò un fiammifero proprio sotto la fessura.
Il fuoco divampò rapido. Ma per fortuna la benzina si trovava solo vicino all'uscio, quindi le fiamme non arrivarono subito a soffocarci. Ora di quello che successe nei cinque minuti successivi non ricordo molto se non il mio chiamare convulsamente Jane sperando che ci sentisse. Sapevo che non dormiva mai per l'insonnia. Chiedere di sentirci era troppo?
Comunque, dopo essermi disperata per quella che sembrò un'eternità il mio cervello sembrò rifiutare di ragionare. Avevo respirato troppo fumo e avevo la mente annebbiata. Come se fossi stata ubriaca. E si sa che quando si è ubriachi si fanno cose che non si farebbero altrimenti. Ecco perché le mie labbra si posarono su quelle di Kimball, seduto al mio fianco, e in quelle labbra trovai una forza inaspettata. Potevo alzarmi e trovare una soluzione, se avessi voluto, ma stavo bene, lì seduta a terra, al suo fianco, scoprendo con le mie labbra il suo volto e il suo collo mentre lui faceva altrettanto. Poi stupidamente giunsi ad una conclusione:
-Fa caldo.
-Spogliati.
Non era un ordine, ma una frase detta come se fosse la cosa più ovvia del mondo. E io la seguii. Tolsi la giacca, la camicia e i pantaloni rimanendo in slip e reggiseno. E lui fece lo sesso, rimanendo in boxer. E il fatto che il fuoco ci circondava non mi importava più tanto. Ora avevo un altro fuoco, dentro, che scalpitava.
Ma come sempre Jane doveva salvarmi la vita.
-Lisbon! Lisbon! Cho! Cho! Ci siete?
-Siamo qui!
Tossii leggermente. Kimball poteva avermi dato tutto il sollievo del mondo, però avevo aspirato davvero troppo fumo. E avevo sprecato un sacco di energie per chiamare Jane prima.
Presi la camicia e la indossai, avevo la fronte madida di sudore. Mentre Jane buttava giù il muro ormai fragile.
Uscimmo entrambi e finalmente potei osservare il mio sottoposto coreano. Decisamente le mie fantasie non rendevano giustizia al suo fisico asciutto.
Sorrisi incerta prima di svenire tra le braccia di Jane e sentire le sue parole rivolte al mio coreano.
-Trattala bene. Ti ama davvero.
-Lo farò.
   
 
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