Serie TV > Criminal Minds
Segui la storia  |      
Autore: Minina    10/09/2010    4 recensioni
Jeff Shill, giovane uomo condannato alla sedia elettrica per pluriomicidio, incontra nelle sue ultime ore la squadra di Hotch. Reid conosceva bene quel detenuto, essendo lui stato un'ancora di salvezza nella sua vita, e insieme a lui conosceva la sorella Karen, che fino all'ultimo aveva lottato per provare l'innocenza dell'amato fratello.
Un segreto custodito nel profondo, la riapertura del caso, la ricerca del perdono, il ritrovo della giustizia...e uno Spencer Reid determinato più che mai.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 c

La pioggia scrosciava forte quel giovedì mattina nella città di Boston, tutto era tristemente cupo e gli unici suoni che si potevano udire, erano l'infrangersi delle gocce sull'asfalto; ne una macchina, ne gli uccellini, ne il parlottare delle persone ed i rumori che producevano i loro piedi nell'acqua, ne le risate di un bambino. Nulla. D'altronde che razza di genitore lascerebbe giocare il proprio figlio dinnanzi di un penitenziario?

Penitenziario di Boston si, dov'erano racchiusi criminali d'ogni tipo e dove spesso si eseguivano condanne a morte, come quella cupa e uggiosa giornata.

Jeff Shill era il nome del condannato a morte, un uomo di trent'anni bello e carismatico, condannato per quindi omicidi di giovani donne; lui diceva di essere innocente sino al midollo, ma nessuno gli aveva creduto, solo la sorella di cinque anni più giovane era convinta della sua innocenza, ma infondo lui era il suo unico fratello e per lei anche solamente immaginare che una parente a cui era tanto legata fosse un rude assassino era impossibile, per cui ne giudice ne giuria non le diedero il minimo ascolto. Ella aveva lottato sino alla fine per provare l'innocenza dell'amato fratello, ricostruendo da se il caso nel salotto della propria abitazione, rimanendo fino all'ultimo a pensare e cercare quella sola prova che le desse, almeno, un po' di tempo in pù; ma nulla era servito.

La sedia elettrica s'avvicinava sempre più e lei, consapevole ormai di non poter fare più nulla, decise di dare un estremo saluto al condannato quella stessa mattina, presentandosi al penitenziario dove ormai la conoscevano tutti, guardie e detenuti.

 

La squadra di Hotch del BAU era stata chiamata per chiudere definitivamente il caso Shill, così tutti partirono per Boston diretti al penitenziario principale, mentre JJ diffondeva la notizia che quel serial killer era morto.

A Quantico la bionda aveva informato tutti i membri di ogni singolo dettaglio del caso, ormai chiuso, e del killer; ma non appena aveva pronunciato il nome di Jeff Shill, Reid sobbalzò sul proprio posto sgranando gli occhi verso la fotografia che la donna aveva fatto comparire sul monitor.

I colleghi del genio si accorsero di quella reazione strana.

“tutto ok, Reid?” gli aveva domandato Hotch, aggrottando le sopracciglia.

“io...” aveva iniziato “io lo conoscevo”

quell'affermazione stupì tutti quanti in quella sala che, confusi, guardarono il giovane in cerca di spiegazioni.
“eravamo amici sin da bambini, non avrei mai creduto che diventasse un assassino”

il dispiacere e la delusione si potevano ben distinguere nel tono e negli occhi del giovane agente che, effettivamente, mai e poi amai avrebbe creduto che un così gentile e simpatico ragazzo, diventasse un carnefice di donne.

“se vuoi starne fuori Reid, posso capire benissimo e...”

ma Hotch non terminò quella frase, bloccato da Reid che acconsentì ad ogni modo di partecipare a quell'incarico affidato loro dalla Strauss.

Salirono tutti in Jet e tutti ci uscirono, diretti in SUV verso quell'uomo che stava per dire addio alla propria vita, mentre la pioggia non esitava a diminuire d'intensità, anzi, sembrava quasi aumentasse.

Per tutto il viaggio Reid ripensò a quel bambino che, stranamente, lo accettò con amico e che gli diede un'ancora di salvezza in quella vita disastrosa in cui si stava trovando; Jeff era sempre stato gentile, generoso, simpatico e premuroso con lui, accettandolo come fratello, essendo più grande di lui. I pomeriggi passati a giocare quando non studiava, era divertenti come un bambino poteva trovarli. Lui, Jeff e Karen...già, Karen. La sorellina di Jeff. La più piccola, seppur di qualche anno, del gruppetto. Anche lei era tanto dolce con lui, dedicandogli persino alcune canzoni al pianoforte; era davvero talentuosa con quello strumento, e spesso Spencer si incantava ad ascoltarla in quelle sue bellissime sonate.

Sua madre Diana era convinta che lui si fosse preso una cotta per quella bambina prodigio. Chissà, magari era vero; ma a quel tempo Spencer Reid non sapeva ancora cosa volesse dire essere innamorati, e sinceramente, stentava a credere di saperlo anche a ventotto anni suonai.

 

Scesero dalle macchine e si diressero velocemente all'interno della struttura cercando di bagnarsi il meno possibile con l'acqua piovana; vennero poi avvicinati da una guardia carcerata che li scortò verso l'ultima cella del detenuto, dalla quale uscì un prete vestito di una tonaca viola. Cristiano a quanto pare.

I passi del curato rimbombavano in quell'ultimo miglio, scandendo un ritmo fin troppo familiare, un ritmo di morte.

“qui soggiorna il detenuto Shill agenti” illustrò loro la guardia, un uomo sulla quarantina vestito di verde, con attaccato alla cinta l'elettroshock.

Hotch lo congedò, così che fossero solo la squadra e lui. Jeff Shill, il condannato a morte per pluriomicidio volontario.

“signor Shill” lo chiamò Aaron, da dietro quelle frette e sporche sbarre di ferro.

L'uomo alzò la testa e lo sguardo, rivolgendolo al capo dell'unità e ai suoi sottoposti schierati di fianco a lui che, con cappotto marrone e sguardo freddo, lo fissava.

I lineamenti erano giovani, lui era giovane; un giovane uomo a cui stava venendo tolta, troppo presto, la vita. Gli occhi marroni non erano penetranti e terrificanti come spesso erano abituati a vederli quei profiler, gli occhi di Jeff erano piuttosto impauriti e terrorizzati per quello a cui stava andando in contro e per cui, inerme, doveva subire. Le mani tremavano, torturandosi l'un l'altra, la bocca ballava e il respiro era affannoso, mentre il cuore pompava e batteva ad una velocità nettamente superiore al normale. Quel giovane uomo non voleva morire.

Sette figure lo fissavano da dietro quelle piccole colonne, sentendosi a loro volta una strana sensazione che, poco a poco, li divorava dall'interno; Reid chiuse gli occhi e se ne andò, non potendo resistere alla visione del suo amico in quello stato. Flash della loro infanzia si fecero spazio nella sua mente mentre sentiva che le lacrime si arginavano nei suoi occhi. Non ce la faceva, non poteva credere che Jeff Shill, quel bel e bravo bambino e ragazzo che gli era sempre stato vicino, fosse un vile assassino. Le gambe non lo ressero, costringendolo a sedersi si di una sedia posta all'interno della struttura, tra l'uscita e le celle dei detenuti, fra la libertà e la prigionia, fra la vita e la morte.

Sentiva le voci dei sui colleghi che parlavano con quell'uomo che una una volta era sua amico, e sentiva quell'uomo rispondere fievolmente, come se la vita stesse già scappando dal suo corpo. Chiuse nuovamente gli occhi, come se quel buio che si era creato fosse un'ancora di salvezza, come lo era stato Jeff nella sua infanzia; si lasciò cullare dall'oscurità, finché una voce e dei passi non lo costrinsero a rivedere la luce.

Alcuni uomini oltrepassarono la linea di vita e di morte, dirigendosi con un passo cadenzato verso la cella di Jeff, con le manette in mano; era giunto il momento.

I passi della morte si fecero sempre più vicini alle sbarre del detenuto, che d'un tratto s'aprirono scricchiolando, mentre due uomini allontanarono gli agenti del BAU che, lentamente, tornarono da Reid. Jeff venne prelevato dalla cella che, manette alle mani e sguardo basso, seguì inerme le guardie carcerarie, ignaro che una certa persona stava correndo all'interno della struttura per salutarlo un'ultima volta.

Una giovane donna dai lunghi capelli ricci resi umidi dalla pioggia, corse all'interno di quel tetro posto, scavalcando le guardie che le volevano intralciare il cammino, oltrepassando gli agenti e Reid che, confusi, non la persero di vista. Questa si fermò all'inizio del corridoio, mentre le guardie e Jeff si allontanavano verso quell'ultima orribile stanza, dove il giovane avrebbe “vissuto” gli ultimi istanti della sua vita.

Cappotto scuro e jeans bagnati alle caviglie, la ragazza guardò inorridita quegli ultimi passi, trovando però la forza per gridare.

“JEFF!”

la voce della poveretta rimbombò per tutto il macabro corridoio, raggiungendo le orecchie del detenuto e delle guardie che, istintivamente, si voltarono.

Jeff non fu in grado di proferire parole, sorpreso dall'ultima inaspettata visita dell'amata sorella. Karen.

La guardie acconsentirono a quell'ultimo addio, dando la possibilità all'uomo di voltarsi verso la parente che, con le lacrime agli occhi, lo guardava distrutta. Questo non è mio fratello, pensò, come l'hanno ridotto?

“Karen...” pronunciò lievemente il giovane uomo.

Calde lacrime rigarono il volto della ragazza che, immobilizzata, non riusciva ne a parlare ne a pensare. Rimasero degli istanti che sembravano anni a fissarsi negli occhi, senza aver bisogno di parole, e le guardie, stanche di quel silenzio, costrinsero Jeff a voltarsi nuovamente e riprendere il suo cammino, senza impedirgli però, di sorridere un'ultima volta all'amata sorella.

“Jeff!” gridò nuovamente la donna, con la voce stroncata dal pianto. “porterò giustizia, te lo prometto Jeff!”

E lui sorrise nuovamente, mentre una lacrima scese dal suo occhio, prima di svoltare l'angolo, per non vedere mai più il volto della sorella che continuava a piangere all'inizio del miglio.

“TE LO PROMETTO JEFF!” gridò un'ultima volta, sicura che il fratello la potesse sentire, per correre poi fuori, dove la pioggia non aveva smesso di scendere e dove i lampioni avevano acceso le loro luci.

Gli agenti del BAU erano rimasti ad assistere a quella scena con il cuore in mano, mai avevano assistito ad una cosa del genere, che li segnò nel profondo...soprattutto a Reid che, preso da un qualcosa che nemmeno lui sapeva spiegarsi, corse anch'esso fuori dal penitenziario, individuando immediatamente la figura di Karen che, immobile sotto la pioggia, fissava una piccola aiuola.

Lentamente Reid la raggiunse, noncurante dell'acqua che, copiosa, bagnava entrambe le loro pelli, i loro capelli, i loro indumenti, i loro cuori.

“Karen...” parlò con un filo di voce, così che solo la diretta interessata potesse sentirlo.

Ed ella si voltò.

Aveva gli occhi arrossati e il viso contorto in una smorfia di dolore; le mani afferravano e gomiti del cappotto, stringendo con forza la stoffa, tanto che le nocche le divennero bianche, mentre il petto s'alzava da un respiro affannoso.

“Spencer?” domandò la giovane, scrutando attentamente la figura che gli stava davanti. “sei tu” capì dopo qualche istante.

“perché non l'hai aiutato?” chiese fredda e distaccata, mentre le gocce di pioggia le disegnarono i lineamenti gentili del volto, scendendo poi sul collo.

“l'ho saputo troppo tardi” le rispose con rancore. “mi dispiace tanto...”

“ti...ti dispiace?!”

il tono della voce della giovane s'alzò notevolmente, portandola quasi a gridare, mentre le ciglia bagnate iniziavano ad offuscare ad entrambi la visuale.

“te ne sai andato senza dirci una parola, non hai mai risposto alle nostre lettere e alle nostre telefonate, non ti sei mai degnato di farti sentire, non sapevi nemmeno che Jeff era stato accusato e condannato per degli omicidi che mai aveva commesso e, ora, salti fuori dopo tutti questi anni dicendo che ti dispiace?!”

Karen era furibonda. Si scostava con rabbia i capelli bagnati dal viso, mentre con un mano gesticolava nervosa verso un Reid che veniva fatto preda dai sensi di colpa e dal rimorso e che, inerme, ascoltava ciò che la donna aveva da dire.

“se il tuo capo non ti avesse affidato il caso, tu non saresti mai venuto a sapere della sua condanna a morte! Io ho combattuto fino all'ultimo per trovare una minima cosa che desse a Jeff più tempo e che facesse venire alla giuria un ragionevole dubbio, mentre tu...tu non ci sei mai stato!”

le urla di Karen riempivano il vuoto parcheggio, mentre le gocce di pioggia mascheravano le lacrime che nuovamente ripresero a scendere lungo il suo viso; Reid la ascoltava, continuando a ripetersi dentro di se, che aveva dannatamente ragione.

“tu...”

ma la giovane non riuscì più a proseguire, notando le luci dei lampioni che per un breve lasso di tempo si affievolivano e si spegnevano, chiaro segno che la sedia elettrica era stata innescata. Karen scoppiò in un piano disperato, coprendosi la bocca con una mano, cercando di nascondere il più possibile i suoi lamenti di dolore, e Reid provò una fitta al cuore a sentire i singhiozzi di quella ragazza; avrebbe tanto voluto aiutarla e sorreggerla in quella sua pena, ma sapeva che mai glie l'avrebbe concesso.

“Karen, io...” riuscì a pronunciare, avvicinandosi alla figura della giovane donna, che lo interruppe guardandolo dritto negli occhi del suo volto bagnato.

“se vuoi fare veramente qualcosa per questa situazione, vattene; siamo e sono andata avanti senza di te, e posso continuare a farlo. Perciò raggiungi i tuoi colleghi e vattene via da questa città, vattene via dalla, ormai mia, vita, e non tornare mai più. Non dev'essere difficile per te, dato che l'hai già fatto una volta”

e con quelle parole, fra la pioggia che continuava copiosa a scrosciare, Karen se ne andò, lasciando un dispiaciuto Dr.Reid solo in quel piazzale d'asfalto, mentre l'acqua continuava a bagnarlo ancora di più di quanto non avesse già fatto, mente qualcosa nel suo animo andava a spezzarsi.

Voleva aiutarla, non voleva andarsene da vigliacco come aveva veramente già fatto. L'avrebbe aiutata, con o senza la sua approvazione; avrebbe riaperto il caso, oltrepassando Hotch e la Strauss se necessario, mettendo a repentaglio la sua carriera, ma l'avrebbe fatto.

Reid alzò lo sguardo al cielo, lasciando che alcune gocce gli entrassero negli occhi fino a farglieli bruciare; Jeff gli aveva salvato la vita da piccolo, era venuto il momento di ricambiare.

 

 

-ANGOLO AUTRICE-

 

Questa mia nuova fanfiction è, quasi, andata a sostituire la mia precedete che, avendola riletta, mi son resa conto essere davvero orribile!

Spero che questo prologo vi piaccia, perciò...Fatemi sapere, mi raccomando!!

 

Spencer Reid custodisce un segreto in se, che non ha mai raccontato a nessuno, nemmeno a Morgan; e questo segreto sarà quasi la base della storia, insieme alla sua infanzia e a questo caso dove, apparentemente, l'SI è ancora a piede libero, mentre un innocente è stato ucciso, Jeff...e ovviamente, insieme a Karen!

 

Se ben ricordate, sulla seconda parte dell'episodio Raphael, in un ricordo di Reid, lui da bambino disse alla madre: “vado a vedere se Jeff vuole giocare” mentre Diana è stesa a letto. Bhe...lui è il nostro Jeff!

 

Recensite per piacere, così vedo se continuare a postare oppure no!

Grazie mille a tutti quelli che leggeranno e recensiranno.

Biscotti!

Takara.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Criminal Minds / Vai alla pagina dell'autore: Minina