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Autore: Piccolo Fiore del Deserto    10/09/2010    2 recensioni
In una stazione di un paesino in Germania, c’è una colonna in marmo bianco, sulla cui sommità è scolpito un drago grigio, con due rubini rossi al posto degli occhi. Lui non può muoversi, parlare, o altro, ma può pensare. Questi sono i pensieri di un drago di pietra, e del suo rapporto speciale con Sophie, una bambina, poi ragazza, poi donna e infine anziana, cui il Drago starà a fianco sempre, fino al momento ultimo della vita. [Storia partecipante al Contest "La Stazione e...il Drago" di Eylis]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Il Drago e la Bambina

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    La stazione è piena di persone oggi. Risate di fanciulli e giovani ragazze risuonano nell’aria, e un continuo sonoro chiacchiericcio rompe il silenzio.
Tutto il paese si ritrova qui per festeggiare insieme il completamento del restauro di questa piccola stazione, con soli due binari, che può riprendere la sua attività. Per lunghi mesi è rimasta chiusa, causando anche caos e rabbia nei vari abitanti che non avevano la possibilità di muoversi più velocemente, ma dovevano scegliere altri mezzi, spesso meno comodi di un treno.
Ma ora, tutta la negatività avvertita sembra essersi volatilizzata, lasciando il posto a una tale allegria che riesce a coinvolgere anche me, una solida statua di pietra.
Li osservo, immobile com’è ovvio che rimanga, e silenzioso. Non sono stato scolpito per parlare, muovermi, o altro – anche perché so bene che farei paura, più di quanta ne faccia ora a chi mi osserva – ma resto come un umile spettatore ad osservare la vita di quelle persone che possono fare tutto ciò che io posso solo sognare.
Non mi rivolgono lo sguardo. No. Forse in altri tempi sarei stato visto in maniera migliore da taluni, o come un simbolo del diavolo da altri, che sciocche superstizioni! Ma ora non sono nulla. Solo un “abbellimento” posto in cima a una piccola colonna di marmo bianco.
Sono solo un drago, ma sono orgoglioso di me stesso e di colui che mi ha creato. Il mio aspetto è fiero, il mio corpo ben levigato nella pietra grigia. Le mie zampe, complete di artigli, poggiano sulla sommità della colonna di marmo bianco, come arpionandola. Il mio muso lungo e colmo di squame ben delineate – come nel resto del corpo – è rivolto verso l’alto, seppure i miei occhi, due rubini di un rosso acceso, sembrino guardare gli umani al di sotto, come se fossi un essere superbo e superiore. Forse, come tutti i draghi, mi sento realmente così, ma non sono cattivo. Anzi.
Infine, la mia coda sembra avvolgere il mio corpo, ricadendo con eleganza in parte lungo la colonna; mentre le ampie ali, perfettamente scolpite anche nel più piccolo dettaglio, sono spalancate verso l’alto dietro la mia schiena.
Un’ottima statua sì, ma non veramente apprezzata da tutti.
Eccetto forse da quella bambina.
Lei viene ogni giorno qui, accompagnata dalla sua mamma, un tempo per osservare i treni, ma anche per venire a salutare me, il suo “daco” amico, come mi chiama lei.
E anche in questo momento, in cui il paese è in fermento e m’ignora completamente, lei conduce i suoi piccoli passi verso di me. Indossa un delizioso vestitino bianco, molto semplice, quest’oggi, completo di guantini alle mani del medesimo colore e di nastrini a trattenere i suoi biondi capelli. Una volta ferma sotto la colonna sopra alla quale mi trovo, solleva il suo viso paffuto e dai lineamenti gentili verso di me e, con la sua voce trillante e squisita, cinguetta il mio nome:
« Daco Amico mio! Ciao! »
Vorrei risponderle, vorrei che sentisse la mia voce. Vorrei aprire questa mia bocca chiusa e parlare. Ma non posso farlo. Eppure, so che lei può capirmi. Forse è solo un gioco di pura immaginazione, ma può farlo.
La guardo e, se potessi, chinerei almeno il capo. Ma non importa. A lei sta bene così.
« Hai visto quanta geente? I teni tonneranno a fare ciuff ciuff, ma io vengo qui per te, pecchè sei l’amico più splendidissimo che ho! »
L’adoro, immensamente. Seppure così piccina, è l’unica a dimostrare un po’ di affetto a questo povero drago di pietra grigia che non può muoversi, non può parlare, ma può pensare.
Lei, Sophie, è il mio angelo dai morbidi riccioli biondi e occhi di un azzurro intenso. L’unica amica che ho.
E’ così piccola, così facilmente fragile, che – seppure non possa farlo realmente – ho paura di ferirla. Guai a chi osa farle del male.
« Come sto con quetto vettito? » mi chiede, roteando su se stessa, mostrandomi bene il tutto. Io vorrei risponderle che le sta d’incanto, come ogni suo vestitino. E, anche se non lo dico veramente, lei sembra capirlo ed arrossisce visibilmente.
« Graccie Daco! Sei così carino! » trilla di nuovo, fingendosi timida d’un tratto, apprezzando veramente i complimenti.
Adorabile, oltre ogni dire.
Dopo qualche momento arriva la sua mamma, una donna di una discreta eleganza, ma di una certa purezza e semplicità nello sguardo che si può rimanere incantati. Indossa anche lei un abito chiaro, sul giallo: una gonna lunga e una camicia al di sopra bianca, completa di guanti alle mani. I suoi capelli biondi sono corti e mossi, pettinati alla moda di quel tempo, gli anni venti se la mia mente non ha problemi a ricordare; e al di sopra un delizioso cappellino è posato con delicatezza sul suo capo, senza scompigliare troppo l’acconciatura. Ha pochi gioielli con sé, appartenente a quel piccolo villaggio, non dispone di troppo denaro. Un unico ciondolo con una croce e la fede al dito.
Non è una donna che può essere definita bellissima, ma ha un qualcosa in quei sottili occhi verdi e nella grazia dell’incedere, che ti affascina.
« Sophie, quante volte ti ho detto di non allontanarti troppo da me? Non vedi quanta gente c’è oggi? Rischio di perderti di vista, e se ti fai male? »
« Ma mamma, non sono sola! C’è Daco qui! » con la sua manina pallida come la luna, mi indica e, se potessi, sorriderei per acconsentire. No, non la lascerei mai sola. Katrina, questo il nome della donna, solleva lo sguardo verso di me e scuote il capo, seppure un leggero sorriso di divertimento le increspi le labbra colorate di rosso.
« Va bene piccola mia, ma ora saluta Daco e andiamo insieme agli altri. Tra poco inizia la festa, e ci sono tanti dolcetti! Non vuoi vero che Daniel te li rubi tutti no? » volta di nuovo lo sguardo verso la piccola, e lei scuote subito il capo riccioluto.
« Oh no, mamma corriaamo corriamo che se no Daniel li finisce tuuutti! Ciao Daco a pletto! » agita la manina al mio indirizzo e, tesa la mano alla madre, si avviano insieme di “corsa”, verso il gruppo di persone, per dare inizio alla festa.
Gli umani, vestiti elegantemente, tagliano il nastro rosso, brindano e mangiano, tutti gioiosi per quell’evento di cui ancora non comprendo la portata. Ma forse sono troppo diverso da loro.
Eppure non li odio. Non finché ci sarà sempre una bambina adorabile, come la mia piccola amica Sophie.



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Questa storia ha partecipato al Contest "La Stazione e... il Drago" indetto da Eylis, classificandosi Sedicesima su 27 partecipanti.
Non ho nulla da dire, se non che si compone di 4 capitoli, che pubblicherò non appena avrò tempo.
Spero che vi possa piacere :)
   
 
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