Note Autore (facoltative):
°-°
Le 5 e 12 minuti del 24 aprile e io finalmente, dopo una settimana, ho
deciso
il finale di questa cosa.
Ora non
dormirò per almeno un giorno intero!
Giuro non doveva uscire così!
Dato che questo finirà nelle note dell’autore, non
spoilero nulla ma era da
tanto che non scrivevo una fic così inquietante.
Personalmente
non mi soddisfa ma non ho tempo per rivederla e mettermi a cambiare il
tutto
quindi la lascio così e spero nella clemenza delle giudici.
Non mi
ritengo diretta responsabile di possibili collassi ok?
Buona
lettura!
Ps: Le
parti scritte con uno stile differente sono le semi
traduzioni dall’inglese della canzone da cui prende titolo la
fanfic. Che
ovviamente con lo scritto non c’entra nulla ma è
stata la mia colonna sonora.
L’ho
detto che la fic doveva essere totalmente differente XD
Floating
Love, Moon Flower
La prima
volta che l’aveva vista si era perso in un bosco.
Era una
notte limpida, la luna si stagliava nel cielo, una
pallida luce gialla che si affievoliva
nell’intensità del blu della mezza notte
circa.
Si era
spinto oltre i confini del villaggio, intento nella
ricerca di Akamaru, il suo cane, che per qualche strano motivo era
scappato via
durante l’ora dei bisogni, costringendolo a seguirlo nella
fitta boscaglia.
Erano
molte le voci che giravano su quel luogo.
Si diceva
che una strega vi avesse creato il suo regno,
sorvegliato da creature pericolose e pronte a cibarsi delle carni dei
bambini
che si perdevano in quell’antro oscuro.
Sapeva
che erano solo racconti per bambini ma, nonostante
l’età ormai adulta, non poteva fare a meno di
provare un vago senso di paura
nel trovarsi lì.
Ricordava
quando da piccoli, con il suo migliore amico, si
sfidavano in gare di coraggio, mettendo piede oltre i primi alberi e
poi
scappando via, urlando come ossessi, dicendo di aver visto
“qualcosa” muoversi
nella fitta boscaglia.
Qualcosa
che poi, altro non era che qualche piccolo animale
notturno che scappava via spaventato come loro.
Aveva
chiuso gli occhi qualche istante, reprimendo a stento
uno sbadiglio e fermandosi tra gli alberi.
Non
sapeva, dove si trovasse esattamente, né come avrebbe
potuto fare per tornare indietro e del piccolo cane non se ne vedeva
nemmeno
l’ombra.
-
Akamaru! Vieni qua bello! –
Aveva
urlato a mezza voce, guardando prima a destra e poi a
sinistra.
Il Cane
gli aveva abbaiato per risposta, dalla sua sinistra,
per poi far spuntare il muso tra il verde scuro delle foglie.
Mezza
notte precisa.
Il vento
passava tra gli alberi, smuovendo le foglie e
creando rumori sinistri.
Era stato
nello stesso momento in cui si era avvicinato a
prendere il cane, che l’aveva vista.
A qualche
metro di distanza si ergeva un’alta torre scura
come la notte stessa.
Era
rimasto affascinato a osservare la costruzione che si
ergeva nella notte, nascondendo la luce della luna.
Sembrava
diventare un tutt’uno con il cielo notturno,
lasciando una flebile luce nel punto più alto in cui,
sembrava, vi fosse
affacciata una figura.
Spinto
dalla curiosità, si era arrampicato su uno degli alti
alberi lì attorno, infilando il fido compagno nel cappuccio,
legandolo stretto,
fino a che non aveva raggiunto la vetta.
Lei era
lì, seduta sul davanzale, gli occhi chiari persi nel
cielo limpido della notte e i lunghi capelli blu scuro, lasciati liberi
sulle
spalle.
Era una
visione … inquietante.
La pelle
chiara aveva il colore pallido della luna d’estate,
i capelli neri, un manto color notte che adornava il viso dove,
incastonati, si
potevano trovare gli occhi color perla e le labbra rosse come i petali
di una
rosa.
Se avesse
dovuto accumunarla a un qualche personaggio delle
fiabe, sicuramente sarebbe stata Biancaneve ma, nel suo sguardo, non vi
era
nulla di puro e candido come quello che ci si poteva aspettare di
trovare nel
viso delle principesse.
La sua
espressione non era triste, solo d’attesa.
Guardava
il cielo come se, da un momento all’altro, dovesse
apparire qualcosa di estremamente importante per la sua salvezza.
Aguzzando
la vista, dietro di lei, aveva intravisto nella
fioca luce, una lunga fila di bambole dai colori diversi e gli occhi
chiari.
Era stata
la questione di un istante.
Lei aveva
voltato lo sguardo in sua direzione, gli occhi
perlacei si erano puntati sulla sua figura e dopo qualche secondo, era
scappata
all’interno della torre, sparendo alla sua vista.
Lui, per evitare di essere visto, senza riuscirci, aveva fatto un
movimento
brusco, sbilanciandosi all’indietro ed era caduto, sbattendo
ripetutamente
qualsiasi parte del corpo contro i rami dell’albero, fino a
colpire il suolo.
Quando
si era risvegliato, si trovava nel suo letto.
Akamaru
dormiva pacificamente accanto a lui e, della notte passata.
Non
era rimasto nemmeno un segno.
Che fosse stato tutto un sogno?
Ricordi
il giorno in cui ci siamo conosciuti?
Il tuo energico sguardo mi attrasse.
Tu eri una
ragazza reclusa che non conosceva niente
del vero mondo.
Ma il tuo
sguardo gentile mi ha attratto.
Aveva
sognato per diverse notti il volto della bambina,
continuandosi a chiedere se, quello, fosse stato solo un sogno
partorito dalla
sua mente oppure la più semplice realtà.
Era
tornato nel bosco di giorno, sotto la luce del sole, cercando
il preciso punto in cui aveva visto la torre, senza mai trovarla.
Quel
posto era un complicato groviglio di rami secchi e
foglie. Gli alberi si stagliavano alti sulla sua testa sembravano
impossibili
da scalare. I rami più bassi erano troppo in alto per essere
raggiunti e le
altezze da cui poteva essere caduto piuttosto considerevoli per uscirne
vivo.
Ne aveva
parlato con il suo migliore amico, descrivendo la
ragazza dai capelli color blu notte, nei minimi particolari, come se
l’avesse
ancora davanti ai propri occhi.
Ogni
volta che lo faceva, gli veniva in mente un
particolare, tipo il colore dei capelli delle bambole e il mare dietro
la fitta
boscaglia.
Con
Naruto si era inoltrato nuovamente nella foresta di
sera, fino al calare della notte.
Procedendo
dritti erano arrivati fino al mare, la spiaggia
si estendeva per miglia di fronte a loro intramezzando spazi di sabbia
a parti
rocciose.
Gli
scogli costeggiavano l’acqua che, scura, rifletteva
pallida la luce della luna.
Gli
ricordava la ragazza della torre, il colore dei suoi
occhi e dei suoi capelli.
Di
com’era scappata via, con un’espressione di terrore
mista
a stupore negli occhi perlacei.
Non era
bella.
C’era
qualcosa in lei che lo attraeva, che non gli
permetteva di dimenticarsela ma non era … bella.
O se lo
era non era una bellezza come poteva essere quella
di Ino, la sua compagna di classe, quella a cui tutti a scuola facevano
il
filo.
Era una
presenza eterea, delicata.
Doveva
assolutamente rivederla.
Lasciandosi
dietro le spalle la spiaggia, si erano inoltrati
nuovamente nella foresta, tornando verso casa.
Si erano
persi tra la fitta boscaglia, come la prima volta
e, quando meno se l’erano aspettati, la struttura si era
stagliata di fronte a
loro.
Mezza
notte precisa, come la prima volta.
Il cielo
era dello stesso colore scuro che sembrava
inglobare la torre dentro di se, la luce bianca e pallida, in cima,
sembrava
richiamarli.
- La vedi
anche tu, Naruto? –
Non
ricevette risposta dal ragazzo. Il biondo aveva
cominciato ad arrampicarsi sul primo albero disponibile, ben deciso a
salire in
cima per raggiungere la vetta della torre.
Rimase a
fissarlo impietrito quando, mettendo un piede in un
punto sbagliato, il ragazzo scivolò all’indietro,
perdendo la presa e
schiantandosi al suolo.
Una
chiazza di sangue si aprì lentamente sotto il suo capo,
colorando l’erba scura di rosso.
Vide
chiaramente la bambina affacciarsi, attratta dal
rumore.
Perso nel
blu notte dei suoi capelli, misto al cielo, vedeva
solo le due pupille bianche, prive d’espressione che
guardavano nella loro
direzione, prima che scomparisse nuovamente dentro la torre.
Si
gettò sull’amico, terrorizzato, preso dal senso di
vuoto
che gli attanagliava lo stomaco e gli faceva tremare le gambe.
Una volta
accovacciato accanto a lui non riuscì più a
muoversi.
Nemmeno
in quell’occasione disperata riusciva a sfogare la
frustrazione che provava
dentro di se.
Qualsiasi
cosa sembrava vorticare attorno a loro, il cielo
blu scuro li inghiottiva, rendendo i rumori ancora più
forti, l’orologio
segnava solo la mezza notte e due minuti, sembrava che il tempo non
dovesse
passare mai.
Quando
riaprì gli occhi si trovava sulla sabbia dorata della
spiaggia, il sole si era
appena alzato e, accanto a lui, si trovava il suo migliore amico,
pacificamente
addormentato.
Nessuna
macchia di sangue sporcava i capelli color oro.
Il
respiro era regolare e lento.
Naruto
stava bene, non sembrava una persona volata giù da un albero
né tanto meno era
morto.
Aspettò
che il ragazzo si risvegliasse, lasciando vagare lo sguardo sulla
distesa
d’acqua davanti a se.
La
sabbia sotto le sue mani era calda, gli scivolava tra le dita in
granelli fini,
come il tempo che sembrava scorrere senza volersi fermare.
Era
quasi rilassante quel posto.
Al
contrario della foresta, che a qualsiasi ora sembrava losca e scura,
quel
tratto di terra e acqua gli dava un profondo senso di pace.
Era
come trovarsi in un luogo sacro, dove nulla poteva arrivare e fargli
del male.
Sarebbe potuto rimanerci per
sempre.
Ovviamente
l’Uzumaki non ricordava nulla della notte prima
se non il loro pellegrinare fino al mare.
Secondo
la sua versione dei fatti avevano deciso di rimanere
lì e, dopo essersi fatti una scorpacciata con del ramen
preso chissà dove, si
erano addormentati sfiniti sulla sabbia quasi senza rendersene conto.
Nessuna
torre e nessuna caduta popolavano i suoi ricordi e,
quando aveva provato ad accennarglielo, il biondo l’aveva
fissato come si
sarebbe potuto guardare un pazzo asserendo poi che doveva smetterla con
quell’assurdo sogno.
Sconsolato
era rientrato a casa, buttandosi sul letto e
guardando il soffitto.
Di giorno
non c’era nulla nella foresta.
Chi vi
arrivava di notte per un motivo o per l’altro ne
perdeva il ricordo.
Dall’alto
della sua grande età, Kiba Inuzuka, cominciava a
credere alla storia della strega e delle creature magiche.
Non
ricordava nemmeno quando si era addormentato accanto al
corpo del proprio migliore amico morto.
Respirò
a fondo chiudendo gli occhi e ripensando alla
ragazza.
Sentiva
il suo cuore perdere un battito ogni volta che
pensava a lei ma non per un sentimento puro come l’amore che
si vedeva nelle
storie con le principesse imprigionate – e con cui
sicuramente qualcun altro lo
avrebbe scambiato.
La sua
era paura.
Pura e
semplice paura.
La
ragazza che viveva nella torre che appariva solo allo
scoccare della mezza notte, il rumore del vento tra gli alberi, la
spiaggia
come unico luogo di salvezza, l’unico dove si sentiva davvero
in pace.
Aveva
visto una persona dietro la ragazza, quella notte.
Una
figura che l’aveva fatto raggelare dal terrore,
riportando alla mente una filastrocca senza senso di quando era piccolo.
Kagome
Kagome (Kagome Kagome)
Kagono
Nakano Toriwa (un uccello in gabbia)
Itsu,
Itsu Deyaru? (quando se ne andrà?)
…
Ushirono
Shoumen Daare? (chi è l’uomo in piedi dietro a te?)
Mancava
un pezzo, ne era certo, ma era anche certo non fosse
importante.
Come
poteva una cosa così inquietante essere una filastrocca
per bambini?
L’uomo in piedi dietro di te …
Rabbrividì
passandosi le mani sulle braccia coperte dalla
maglia.
Quella
stessa notte sarebbe tornato nel bosco e avrebbe
risolto il mistero.
Doveva
farlo per togliersela dalla testa perché … voleva
rivederla.
La luna
nel cielo notturno
E lei
guardando verso la stessa luna
Io voglio
vederti
Stò
costruendo il mio amore.
Quel
pomeriggio l’aveva passato in biblioteca, chino sui
libri, per cercare un significato a tutto quello.
Era ben
poco però ciò che aveva trovato;
Le
leggende raccontavano di una donna, bellissima e
corteggiata, innamorata di un principe.
Quest’uomo
aveva una cugina, una ragazza potente la cui
parola poteva smuovere interi plotoni che non vedeva di buon occhio la
ragazza.
Quando
questi aveva scoperto che il cugino ricambiava
l’amore della donna, prima le aveva intimato di lasciare il
villaggio, senza
alcun successo poi, invasa dalla rabbia e dalla gelosia, aveva fatto
bruciare
la casa con lei all’interno, decretandone la morte.
Pochi
giorni dopo il ragazzo si era tolto la vita gettandosi
dalla torre più alta del palazzo in cui abitava.
Leggendo
altri libri, nella sezione proibita, aveva trovato
vari accenni alla stessa storia, con piccole e insignificanti varianti,
fino a
che non era arrivato davanti ad un’intera lista di nomi di
donne trovate morte
per inspiegabili motivi.
Accanto
ad ognuno di essi vi era riportata la foto e lì vi
aveva riconosciuto parecchie delle bambole esposte dietro la ragazza
con i
capelli blu notte.
Irrigidito
dal terrore, era rimasto a fissare le foto,
chiedendosi in quale assurda coincidenza potesse essersi imbattuto.
La sua
parte razionale continuava a dire che quello che
stava facendo era solo un lungo sogno, che non esisteva nessuna torre e
nessuna
ragazza, che tutto quello non poteva essere reale.
Ovviamente
c’era anche una parte dettata dall’istinto a
parlare.
Quella
stessa parte che distingueva ogni singolo membro
della casata Inuzuka.
L’istinto
gli diceva che non era un sogno, che vi era dentro
fino alla punta dei capelli e che non poteva semplicemente chiudere il
libro e
decidere d’infischiarsene.
Che la
ragazza stesse ancora aspettando il principe di cui
era innamorata?
No, quella sicuramente era la cugina gelosa che, presa dai sensi di
colpa, si
era rinchiusa nella torre dove il ragazzo si era suicidato e attendeva
il
castigo divino.
Guardando
le mappe aveva convenuto che quello doveva essere
il luogo esatto in cui si ergeva il castello nei tempi passati ed il
semplice
fatto che la spiaggia calmasse le sue paure, poteva essere solo dovuto
alla
sensazione di vastità e tranquillità che
l’acqua gli dava.
Fuori
dalla foresta oscura c’era solo sabbia dorata che
aveva il potere di portare via tutta la paura assieme alla desolazione
che
provava dentro.
Aveva
preso i libri ed era uscito dalla biblioteca,
sedendosi in un parco e riprendendo a leggere.
Da
qualche parte aveva letto che, dopo la morte dell’uomo,
la principessa era scomparsa, lasciando dietro di se una scia scarlatta
portata
solo dalla propria pazzia.
C’era
una foto sbiadita della donna, sul libro.
Probabilmente
un ritratto, appeso a una parete, che la
dipingeva come una donna minuta, dall’aspetto quieto.
Lunghi
capelli blu scuro, occhi azzurro ghiaccio …l
’abito
che portava indosso non era sfarzoso ed incastonato di gemme come se
l’era
immaginato, ma un semplice abito bianco, con pizzi e merletti quasi
inesistenti, ricoperto da drappi blu e oro.
Identica
alla ragazza che aveva visto seduta sul davanzale
della torre.
Una
sensazione di gelo gli aveva attraversato la schiena.
Alzando
il capo lentamente dal libro si era fissato attorno,
cercando d’ignorare il battito accelerato del suo cuore, fino
a che lo sguardo
non gli era finito sulla figura sbiadita di fronte a se.
La
ragazza era un appena visibile drappo bianco e nero, gli
occhi puntati sulla sua figura e i piedi che fluttuavano a pochi
centimetri dal
pavimento.
S’irrigidì
fissando la sua mano alzarsi in sua direzione.
Non era
possibile che lei
fosse lì.
Erano
solo le cinque del pomeriggio, il sole era alto in
cielo e illuminava l’erba appena tagliata rendendo il corpo
della visione
ancora più trasparente di quanto non fosse.
Stava
giusto per alzarsi e scappare via, quando, tra i fili
corti e qualche accenno di fiore, lo sguardo non gli cadde su un
piccolo
quaderno con la chiusura in oro.
Afferrò
il libro incuriosito, fissandolo con attenzione, per
poi rialzare lo sguardo sulla figura che era sparita.
Sulla
copertina, sempre in oro e blu, vi erano segnate due
lettere uguali che, probabilmente, ne segnavano la proprietà.
- H.H.
–
Lesse
piano, prima di aprire quello che sembrava un diario.
La luna
brilla rossa.
Ieri
pomeriggio abbiamo celebrato le nozze di mia sorella.
Hinata
era bellissima fasciata dall’abito bianco confezionato da mia
zia.
Penso
che, per una donna, il giorno del proprio matrimonio sia quello
più felice
della propria vita.
Ci
sono tutte le persone cui tieni, tutte le persone che vorresti avere
accanto
nei tuoi momenti felici.
Ovviamente
tra gli invitati c’era anche lui.
Sono
rimasta affascinata dal suo aspetto, erano anni che non lo vedevo.
Più
il tempo passa più mio cugino diventa … bello.
Vorrei
chiedere a mio padre la possibilità di sposare lui, sono
certa ne sarebbe
contento.
In
fondo non sono più una bambina.
Voglio
un matrimonio sfarzoso, molto più di quello di mia sorella.
Voglio
tanta gente attorno che si felice per me, più di quella di
mia sorella.
Voglio
vedere Hinata piangere.
Voglio
vederla disperarsi.
Io
sarò un erede al trono migliore di lei, con mio cugino
accanto.
Chiuse il
quaderno con un rumore secco poggiandolo sulla
scrivania.
Non
avrebbe dovuto leggerlo ma la curiosità lo stava
divorando.
Avrebbe
dovuto cercare un modo per … per cosa?
Distruggere la torre all’interno della foresta?
E per
quale motivo, poi?
In fin
dei conti quella ragazza non stava facendo nulla di
male.
Erano
millenni che era lì, rinchiusa in quella torre.
Un
fantasma solo, perso.
Sua madre
gli aveva sempre detto che non bisognava
disturbare i morti ma non aveva mai accennato alla
possibilità che i morti
potessero disturbare lui.
Lei lo
aveva richiamato a se, di questo era certo.
Forse era
solo stanca di aspettare.
Forse
voleva solo poter raggiungere il cugino che tanto
amava e la sorella che tanto odiava, non vi era nulla di sbagliato in
questo.
Si
sedette sul letto, respirando a fondo, prima di ripensare
alla lunga distesa di sabbia oltre la foresta.
Anche il
solo pensiero della spiaggia riusciva a
tranquillizzarlo.
Se
chiudeva gli occhi, poteva sentire il rumore dell’acqua
infrangersi contro gli scogli.
Vedeva la
luna pallida riflettersi nell’acqua scura, dello
stesso intenso blu notte dei capelli della ragazza.
Un’immagine traballante,
che si disfaceva e rifaceva ad ogni onda, lentamente …
L’ululato
del vento muoveva le fronde degli alberi, le
foglie secche scricchiolavano sotto i suoi piedi …
In quale
istante la sabbia si era trasformata in fitta
boscaglia e la distesa d’acqua era diventata
d’alberi?
Poco
distante una casa bruciava avvolta dalle fiamme.
Spalancò
gli occhi con il fiato corto, fissandosi attorno.
L’orologio
sul comodino segnava le nove e venti, sua madre
bussava insistentemente alla porta da almeno cinque minuti.
- Arrivo
–
Mormorò
alzandosi dal letto e raggiungendo la parete opposta
spalancando l’uscio.
Tsume
Inuzuka lo fissava rabbiosa, con il grembiule sporco
di quello che sembrava sugo e il mestolo in mano.
- Saresti
così gentile da venire ad apparecchiare la tavola
Kiba? È pronta la cena –
Annuì
mestamente, stropicciandosi un occhio e seguendola giù
per le scale.
Si era
addormentato di nuovo senza rendersene conto.
Oggi
ho visto Neji.
Cavalcava
in compagnia di una delle sue guardie, al limitare della foresta che
delimita
il villaggio.
I
nostri padri hanno dato il consenso al matrimonio e, anche se lui non
sembra
molto contento, io sono felice.
Hanno
già cominciato i preparativi, le sarte mi stanno cucendo
l’abito.
Mia
zia impartisce ordini a destra e manca, dopotutto è il
matrimonio di suo
figlio.
Hinata
oggi è venuta a trovarmi in camera, ha poggiato un mazzo di
bellissimi e
candidi fiori sul mio comodino, poi mi ha abbracciata.
Non
capisco se comprenda o no il mio odio per lei.
È
un’inetta.
Una
donna senza cervello, incapace di prendere in mano le redini della
propria
vita.
A
volte dubito seriamente che sia figlia dei miei stessi genitori.
È
troppo … degradante.
Nessuno
vorrebbe mai una sorella come lei.
Ha
detto qualche parola con il suo solito tono impacciato, torturandosi le
dita
con lo sguardo basso.
Insopportabile.
Quando
è uscita, ho fissato i fiori che ha lasciato chiedendomi se,
davvero, la
maggior parte delle persone che la conoscono la reputano davvero
delicata e
bella come i gigli, come mi ha detto la Yamanaka.
E
come vedono … me?
Non
m’interessa io … sono superiore a tutti loro.
Io
sono Hanabi Hyuuga e non ho bisogno di nessun altro
all’infuori di me stessa.
La notte
seguente, munito di uno zaino contenendo abbastanza
provviste da andare avanti anche una settimana, una torcia elettrica e
un
ombrello, si era diretto verso il bosco.
La
pioggia cadeva incessantemente da quella mattina, uno
scrosciare continuo e incessante che si abbatteva sui tetti del
villaggio
lasciando un rumore sinistro.
Sentiva
le proprie viscere contorcersi nello stomaco.
Non
c’era niente di particolare in quello che stava facendo,
nulla di cui dovesse avere paura.
Rimase a
fissare gli alberi con il cuore in gola, prima di
portare lo sguardo all’orologio da polso che aveva fregato al
padre; le undici
meno un quarto.
Aveva ancora un’ora, non c’era assolutamente
bisogno che entrasse in quel
preciso istante.
“Smettila
di fare il bambino, Kiba”
Si
rimproverò mentalmente avanzando di un passo verso gli
alberi, sfiorando la corteccia asciutta nonostante la pioggia.
Abbassò
l’ombrello di lato, nemmeno troppo stupito alla
constatazione della mancanza dell’acqua tra gli alberi.
I primi
fusti erano distanti l’uno dall’altro e lasciavano
intravedere spazi di cielo di un limpido blu notte.
All’interno
nella fitta boscaglia non pioveva.
Sospirò,
chiudendo l’oggetto e riponendolo nello zaino,
prima di avviarsi.
C’erano
tante cose che, di notte, in quel luogo non succedevano.
Chissà
se valeva la stessa cosa per la spiaggia.
Undici e
tre minuti e già lui girava perso tra gli alberi
cercando il luogo in cui si trovava il castello.
Sentiva
i suoi passi riecheggiare attorno a lei.
Era
tornato nuovamente nella foresta, probabilmente non ancora
sufficientemente
spaventato da ciò che aveva visto.
Forse
lui l’avrebbe liberata da quella tremenda prigionia.
Forse
lui …
-
Hanabi, sei ancora qui? –
Si
voltò verso la voce del cugino non trovando altro che
bambole.
Da
quanti anni era, ormai, che viveva lì?
Neji
l’aveva richiusa dopo la morte di Sakura.
Quella
torre era stata la sua casa per tanto tempo, troppo.
Era
morta?
Non
lo sapeva.
C’erano
solo tante bambole attorno a lei.
Apparivano
quando si sentiva troppo sola.
Per
un po’ le facevano compagnia.
Parlavano,
per lo più urlavano.
Quando
si stancava gli cuciva la bocca, il silenzio tornava attorno a lei e
allora la
voce del cugino la raggiungeva.
-
Hanabi, sei ancora qui? –
-
Sì, Neji Niisan –
Immaginava
il suo sorriso compiaciuto e sorrideva a sua volta, poi si affacciava
all’unica
finestra e fissava la grande luna rossa che troneggiava nel cielo.
Io sono un
uccello ingabbiato, non
posso uscire da qui.
Canticchiava
lentamente stringendo i pugni.
Ma
non c’era nessuno a rispondere, nessuno che volesse salvarla.
Le
notti passavano così lentamente, la mezza notte sembrava non
arrivare mai.
Il
ragazzo castano si trovava vicino al castello, la stava cercando?
Lei
gli aveva lasciato il suo diario per dimostrargli quanto era stata
meschina.
Ma
che male c’era, in fondo, a volere suo cugino solo per se?
Lei
doveva essere sua moglie!
Sakura
… Sakura non doveva c’entrare niente con la sua
vita perfetta.
-
Ti penti per quello che hai fatto? Se ti penti, ti lascerò
libera di andartene
da qui –
Pentirsi?
Poteva pentirsi di una cosa che reputava giusta?
Lei
non era quella in torto! Neji era suo e la ragazza con i capelli rosa
… lei!
Lei aveva cercato di rovinarle la vita.
-
Non mi pento, assolutamente –
-
Allora non mi lasci scelta –
Le
unghie affondarono nella pelle fragile delle mani fino a farne uscire
sangue.
Stava
giusto per schiantare tutto a terra quando un rumore alle sue spalle la
fece
sobbalzare.
Voltandosi
si ritrovò a fissare il viso dalla pelle olivastra e gli
occhi dorati del
ragazzo castano.
L’aveva
raggiunta.
La
ragazzina stava seduta su una sedia di legno di fronte a
lui attorniata solo dalle sue bambole inquietanti con la bocca cucita.
Sembrava
la scena madre di un film dell’horror, tipo il
pezzo in cui il protagonista veniva catturato e poi quasi ucciso dal
mostro di
turno.
Peccato
che, in quell’occasione, fosse lui il pazzo che
l’aveva raggiunta di sua spontanea volontà e il
“mostro” era una ragazzina di
dodici anni, con addosso un vestito candido e l’aria confusa.
Se non
fosse stato per quei giocattoli e la situazione
assurda in se, avrebbe quasi potuto pensare di trovarsi nella casa di
una
bambina sola.
Hanabi
Hyuuga, così aveva detto di chiamarsi, si era bendata
la mano con una garza e ora lo fissava attentamente, come a chiedersi
che cosa
ci facesse lì.
Una
domanda intelligente non lo metteva certamente in
dubbio.
Se solo
avesse saputo la risposta tutto quello sarebbe stato
più … sensato.
- Sei
venuto a uccidermi? – le parole della bambina
tagliarono il pesante silenzio creatosi attorno a loro.
Quella
era un’opzione
Poteva
essere una delle motivazioni per cui si trovava lì
ma, come aveva già costatato in precedenza, lui non aveva
nessun motivo per
decidere di togliere la vita alla ragazza e, salvo che lei non gliene
avesse
dato uno, non c’era nessuna possibilità che lui
decidesse deliberatamente di
farlo.
Né
nessun mezzo a sua disposizione, oltretutto.
Scosse il
capo energicamente, rischiando quasi di cadere
dalla posizione in cui si era messo.
La stanza
in cui si trovavano non aveva uscite, parte la
finestra, ma la bambina non sembrava intenzionata a fargli del male.
- Come ti
chiami? –
- Kiba
–
Sentiva
la bocca impastata e la lingua pesante, tanto che
non riusciva a dire altro se non lo stretto necessario per rispondere
alle sue
domande. Non che poi gliene avesse fatte molte.
Prese lo
zaino, tirandone fuori il diario e porgendoglielo.
- Credo
che questo sia tuo –
Riuscì
a formulare a fatica, fissando le mani pallide che
prendevano il libro.
I capelli
erano setosi ma non di quel blu notte che aveva
pensato la prima volta: erano di un nero asciutto, quasi impalpabile.
Sembrava
ci si potesse perdere tra quei fili di seta.
Gli occhi
e la pelle chiara facevano un netto contrasto, con
la folta capigliatura che ricadeva libera sulle spalle, coperte da un
leggero
vestito bianco.
Doveva
essere morta d’estate, altrimenti era certo avrebbe
portato qualcosa di più pesante.
- Non sei
venuto a uccidermi –
Ripeté
lentamente lei, quasi a voler spezzare nuovamente il
silenzio che si era creato.
Non
sembrava una bambina molto loquace, probabilmente
nemmeno in vita era solita parlare molto.
In quel
frangente doveva aver bisogno di qualcuno con cui
interagire, altrimenti non si spiegava perché continuasse a
fargli quella
domanda.
- Non
sono qui per ucciderti, Hanabichan – le vide storcere
il naso al nomignolo e sorrise divertito.
Non era
convinto fosse prudente indispettirla ma, in un
certo senso, quella bambina gli piaceva. – Tu
perché sei ancora qui? –
Quella
domanda lasciò interdetta la sua interlocutrice.
Forse non
era il modo più giusto per formulare la domanda,
quasi sembrava che non la volesse lì, che sperasse se ne
andasse da quel posto.
Ma in
fondo non era così?
Un
fantasma con un conto in sospeso che gli tormentava
l’esistenza, anche se indirettamente, non era certo qualcosa
che “voleva” a
pochi passi da casa sua.
Sarebbe
stato inevitabile per lui, andare a trovarla tutte
le notti.
- Non
dovrei essere qui? – vide passare negli occhi bianchi
un lampo di tristezza e si maledisse per la sua lingua lunga.
- Non
è ciò che volevo dire…
cioè…-
- No,
decisamente non dovrei ma … mio cugino non mi lascia
andare via –
Si
ammutolì a quella confessione, fissandosi attorno.
Nessuna
porta, solo una finestra a troppi metri d’altezza
per una bambina.
- Ma tu
vuoi andare via da qui? –
Hanabi
annuì lentamente, spostando lo sguardo sulle bambole
“mute”.
- Mi
sento sola, qui. Non credo di aver fatto qualcosa di
tanto terribile. Hai letto il diario? –
Il
castano annuì lentamente, ricordando come per gelosia la
ragazzina avesse ucciso la donna che il cugino amava e poi come aveva
posto
fine anche alla felice vita della sorella per invidia.
Che non
avesse fatto nulla di male non era propriamente vero
ma come poteva capirlo quella che era poco più che una
bambina?
- Non hai
fatto una cosa… bella –
Tentò,
tastando il terreno
- Lei si
è intromessa nella mia felicità! –
Sbottò
la ragazzina indignata.
Un vento
gelido entrò dalla finestra mentre l’orologio
posto
sulla parete cominciò a ticchettare in modo frenetico.
- Ok, va
bene … ora calmati. Io … posso aiutarti a uscire
da
qui –
La
ragazzina si alzò in piedi, avvicinandosi di qualche
passo a lui.
- Nessuno
può portarmi fuori da qui –
Il tono
di voce era cambiato.
Non era
più collerica, solo infinitamente triste.
Si
alzò a sua volta, prendendole la mano
- Voglio
provarci –
Rispose
convinto, avviandosi verso la finestra.
Si
trattava solo di un salto.
Un
misero, minuscolo salto.
Se fosse
riuscito ad arrivare con lei fino all’albero poi,
scendere e correre via da lì sarebbe stato un gioco da
ragazzi.
Già…
ma correre dove?Non poteva di certo portarla al
villaggio. Non aveva un luogo dove nasconderla, una volta arrivato
lì.
L’alternativa
più plausibile era la spiaggia.
Da
lì avrebbe certamente trovato un posto dove andare.
- Mio
cugino non sarà contento –
Pigolò
lei, aggrappandosi alla sua maglietta. Gli faceva
pena.
Quella
ragazzina sola e triste … gli faceva immensamente
pena.
Era solo
quello il motivo per cui era tornato, per cui si
era informato.
Nonostante
ciò che aveva fatto non riusciva a colpevolizzare
la dodicenne né tantomeno a condannarla più di
quanto non avessero già fatto.
L’avrebbe
portata via da lì? Ci sarebbe riuscito.
Tenendola
stretta si arrampicò sul davanzale della finestra,
prendendo le misure per il salto, cercando d’ignorare la
paura.
Era solo
qualche metro di distanza.
Le fronde
degli alberi si muovevano al ritmo cadenzale del
vento che li sospingeva lontano dalla finestra della torre.
Doveva
solo aspettare il momento giusto.
Contò
mentalmente fino a tre, poi, con decisione, spiccò un
salto allungando il braccio per afferrare il ramo proteso di fronte a
lui.
Ci si
aggrappò con tutte le forze, senza lasciare la presa
sulla bambina e, al contempo, ben deciso a non mollare la loro ancora
di
salvezza.
-
Attaccati al ramo, ti aiuto io a issarti –
La
moretta annuì lentamente, poco convinta, allungando una
delle pallide mani fino ad afferrare il ramo.
Sentiva
la presa scivolare lentamente e sembrava, che ogni
gesto della piccola Hanabi, fosse fatto volutamente a rallentatore.
Voleva
davvero andare via da lì?
Un altro
colpo forte di vento fece fremere le fronde,
mandando gli alberi a sbattere contro il suo braccio, dopo pochi
istanti, una
figura vestita di nero, apparve di fronte a loro.
-
N-niisan! –
La voce
della bambina tremò impercettibilmente mentre la
presa sul ramo era lasciata con un movimento brusco.
Sentì
il suo corpo dondolare nel vuoto, il braccio gli
doleva in modo quasi impossibile.
- Ti penti per i tuoi
peccati, Hanabi? –
La voce
del ragazzo di fronte a loro era bassa, quasi
catacombale.
Chiuse
gli occhi, cercando di issarsi sul ramo, ritrovandosi
impedito dal piede dell’altro.
- Te
l’ho già detto, non mi pento! –
Da sotto
il cappuccio sentì lo sguardo di lui indurirsi,
farsi cattivo.
La
ragazzina gli fu strappata dalle mani e riportata dentro
la torre.
Lui perse
definitivamente la presa, schiantandosi
rumorosamente al suolo per la seconda volta.
Sentiva il rumore delle onde
infrangersi contro gli scogli mentre, qualcosa di umido, gli sfiorava
le
guance.
Pioggia.
Si ritrovava nuovamente sulla
spiaggia.
Aprì gli occhi, cercando di
tirarsi a sedere senza nessun risultato.
Le gambe gli dolevano in modo
pazzesco, le braccia non sembravano volersi schiodare dalla sabbia.
Sopra di lui, il cielo grigio,
coperto da nuvoloni, scaricava l’acqua sul suo corpo, lavando
via il sangue dai
suoi vestiti.
Non ricordava nulla oltre lo schianto.
Aveva sentito chiaramente l’osso
del proprio collo spezzarsi, senza possibilità
d’appello.
Dopotutto era caduto da una
considerevole altezza, non c’era possibilità che
si fosse salvato.
- Sono venuta a salutarti –
La voce di Hanabi gli riecheggiò
nelle orecchie.
Non ebbe bisogno di voltarsi per
sapere che la ragazza, in realtà, non era lì.
- grazie per il tentativo fatto,
Kiba –
Chiuse gli occhi, lasciando
finalmente le lacrime libere di cadere e confondersi con
l’acqua piovana.
Non era riuscito nel suo
intento, non l’aveva salvata e per di più era
morto.
- Che fine orrenda per una
storia, Inuzuka –
Si rimproverò con un sorriso
amaro.
- Per strada tante facce
non hanno un bel colore,
qui chi non terrorizza
si ammala di terrore,
C'è chi aspetta la pioggia
per non piangere da solo,
io sono d'un altro avviso … -
Cominciò
a canticchiare,
lasciandosi cullare dal rumore delle onde.
Non
gli rimaneva molto da vivere
ma, morire su quella spiaggia, aveva un che di confortante.
Usciamo
assieme fuori da qui…
Siamo ombre
sotto la luna.,
Ripose
la sua
nuova bambola sulla mensola più bassa sorridendo quasi
compiaciuta.
Ormai
aveva perso
il segno di quante persone aveva abbindolato con quella storia.
La
finta
prigionia, il suo innamoramento per il cugino …
Poggiò
i gomiti al
davanzale fissando la distesa di alberi sotto il cielo blu notte.
Se
aguzzava la
vista poteva vedere la spiaggia dove tutte le sue vittime morivano,
prima di
ritornare da lei sottoforma di bambole.
-
Ne hai aggiunta
una nuova, cuginetta? –
Sorrise,
avvertendo la voce del cugino alle sue spalle e si voltò in
sua direzione.
-
Questo era un
ragazzo dal cuore tenero, ti sarebbe piaciuto, Neji niisan –
Il
ragazzo stirò
le labbra allungando una mano verso di lei.
-
Andiamo a
mangiare qualcosa, mio bellissimo angelo. Ti unisci a noi? –
Hanabi
annuì
lentamente, staccandosi dal davanzale e raggiungendo il ragazzo.
Prima
o poi
avrebbe cucito anche la bocca della bambola di Kiba, appena si sarebbe
accorta
dell’inganno.
End.