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Autore: Rei Murai    10/09/2010    2 recensioni
Quando riaprì gli occhi, si trovava sulla sabbia dorata della spiaggia, il sole si era appena alzato e, accanto a lui, si trovava il suo migliore amico, pacificamente addormentato. Nessuna macchia di sangue sporcava i capelli color oro. Il respiro era regolare e lento. Naruto stava bene, non sembrava una persona volata giù da un albero né tanto meno era morto. Aspettò che il ragazzo si risvegliasse, lasciando vagare lo sguardo sulla distesa d’acqua davanti a se. La sabbia sotto le sue mani era calda, gli scivolava tra le dita in granelli fini, come il tempo che sembrava scorrere senza volersi fermare. Era quasi rilassante quel posto. Al contrario della foresta, che a qualsiasi ora sembrava losca e scura, quel tratto di terra e acqua gli dava un profondo senso di pace. Era come trovarsi in un luogo sacro, dove nulla poteva arrivare e fargli del male. Sarebbe potuto rimanerci per sempre.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hanabi Hyuuga, Kiba Inuzuka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Note Autore (facoltative):

°-°
Le 5 e 12 minuti del 24 aprile e io finalmente, dopo una settimana, ho deciso il finale di questa cosa.

Ora non dormirò per almeno un giorno intero!
Giuro non doveva uscire così!
Dato che questo finirà nelle note dell’autore, non spoilero nulla ma era da tanto che non scrivevo una fic così inquietante.

Personalmente non mi soddisfa ma non ho tempo per rivederla e mettermi a cambiare il tutto quindi la lascio così e spero nella clemenza delle giudici.

Non mi ritengo diretta responsabile di possibili collassi ok?

Buona lettura!

 

Ps: Le parti scritte con uno stile differente sono le semi traduzioni dall’inglese della canzone da cui prende titolo la fanfic. Che ovviamente con lo scritto non c’entra nulla ma è stata la mia colonna sonora.

L’ho detto che la fic doveva essere totalmente differente XD

Floating Love, Moon Flower

 

 

La prima volta che l’aveva vista si era perso in un bosco.

Era una notte limpida, la luna si stagliava nel cielo, una pallida luce gialla che si affievoliva nell’intensità del blu della mezza notte circa.

Si era spinto oltre i confini del villaggio, intento nella ricerca di Akamaru, il suo cane, che per qualche strano motivo era scappato via durante l’ora dei bisogni, costringendolo a seguirlo nella fitta boscaglia.

Erano molte le voci che giravano su quel luogo.

Si diceva che una strega vi avesse creato il suo regno, sorvegliato da creature pericolose e pronte a cibarsi delle carni dei bambini che si perdevano in quell’antro oscuro.

Sapeva che erano solo racconti per bambini ma, nonostante l’età ormai adulta, non poteva fare a meno di provare un vago senso di paura nel trovarsi lì.

Ricordava quando da piccoli, con il suo migliore amico, si sfidavano in gare di coraggio, mettendo piede oltre i primi alberi e poi scappando via, urlando come ossessi, dicendo di aver visto “qualcosa” muoversi nella fitta boscaglia.

Qualcosa che poi, altro non era che qualche piccolo animale notturno che scappava via spaventato come loro.

Aveva chiuso gli occhi qualche istante, reprimendo a stento uno sbadiglio e fermandosi tra gli alberi.

Non sapeva, dove si trovasse esattamente, né come avrebbe potuto fare per tornare indietro e del piccolo cane non se ne vedeva nemmeno l’ombra.

- Akamaru! Vieni qua bello! –

Aveva urlato a mezza voce, guardando prima a destra e poi a sinistra.

Il Cane gli aveva abbaiato per risposta, dalla sua sinistra, per poi far spuntare il muso tra il verde scuro delle foglie.

Mezza notte precisa.

Il vento passava tra gli alberi, smuovendo le foglie e creando rumori sinistri.

Era stato nello stesso momento in cui si era avvicinato a prendere il cane, che l’aveva vista.

A qualche metro di distanza si ergeva un’alta torre scura come la notte stessa.

Era rimasto affascinato a osservare la costruzione che si ergeva nella notte, nascondendo la luce della luna.

Sembrava diventare un tutt’uno con il cielo notturno, lasciando una flebile luce nel punto più alto in cui, sembrava, vi fosse affacciata una figura.

Spinto dalla curiosità, si era arrampicato su uno degli alti alberi lì attorno, infilando il fido compagno nel cappuccio, legandolo stretto, fino a che non aveva raggiunto la vetta.

Lei era lì, seduta sul davanzale, gli occhi chiari persi nel cielo limpido della notte e i lunghi capelli blu scuro, lasciati liberi sulle spalle.

Era una visione … inquietante.

La pelle chiara aveva il colore pallido della luna d’estate, i capelli neri, un manto color notte che adornava il viso dove, incastonati, si potevano trovare gli occhi color perla e le labbra rosse come i petali di una rosa.

Se avesse dovuto accumunarla a un qualche personaggio delle fiabe, sicuramente sarebbe stata Biancaneve ma, nel suo sguardo, non vi era nulla di puro e candido come quello che ci si poteva aspettare di trovare nel viso delle principesse.

La sua espressione non era triste, solo d’attesa.

Guardava il cielo come se, da un momento all’altro, dovesse apparire qualcosa di estremamente importante per la sua salvezza.

Aguzzando la vista, dietro di lei, aveva intravisto nella fioca luce, una lunga fila di bambole dai colori diversi e gli occhi chiari.

Era stata la questione di un istante.

Lei aveva voltato lo sguardo in sua direzione, gli occhi perlacei si erano puntati sulla sua figura e dopo qualche secondo, era scappata all’interno della torre, sparendo alla sua vista.
Lui, per evitare di essere visto, senza riuscirci, aveva fatto un movimento brusco, sbilanciandosi all’indietro ed era caduto, sbattendo ripetutamente qualsiasi parte del corpo contro i rami dell’albero, fino a colpire il suolo.

Quando si era risvegliato, si trovava nel suo letto.

Akamaru dormiva pacificamente accanto a lui e, della notte passata.

Non era rimasto nemmeno un segno.

Che fosse stato tutto un sogno?

 

 

Ricordi il giorno in cui ci siamo conosciuti?
Il tuo energico sguardo mi attrasse.

Tu eri una ragazza reclusa che non conosceva niente del vero mondo.

Ma il tuo sguardo gentile mi ha attratto.

 

Aveva sognato per diverse notti il volto della bambina, continuandosi a chiedere se, quello, fosse stato solo un sogno partorito dalla sua mente oppure la più semplice realtà.

Era tornato nel bosco di giorno, sotto la luce del sole, cercando il preciso punto in cui aveva visto la torre, senza mai trovarla.

Quel posto era un complicato groviglio di rami secchi e foglie. Gli alberi si stagliavano alti sulla sua testa sembravano impossibili da scalare. I rami più bassi erano troppo in alto per essere raggiunti e le altezze da cui poteva essere caduto piuttosto considerevoli per uscirne vivo.

Ne aveva parlato con il suo migliore amico, descrivendo la ragazza dai capelli color blu notte, nei minimi particolari, come se l’avesse ancora davanti ai propri occhi.

Ogni volta che lo faceva, gli veniva in mente un particolare, tipo il colore dei capelli delle bambole e il mare dietro la fitta boscaglia.

Con Naruto si era inoltrato nuovamente nella foresta di sera, fino al calare della notte.

Procedendo dritti erano arrivati fino al mare, la spiaggia si estendeva per miglia di fronte a loro intramezzando spazi di sabbia a parti rocciose.

Gli scogli costeggiavano l’acqua che, scura, rifletteva pallida la luce della luna.

Gli ricordava la ragazza della torre, il colore dei suoi occhi e dei suoi capelli.

Di com’era scappata via, con un’espressione di terrore mista a stupore negli occhi perlacei.

Non era bella.

C’era qualcosa in lei che lo attraeva, che non gli permetteva di dimenticarsela ma non era … bella.

O se lo era non era una bellezza come poteva essere quella di Ino, la sua compagna di classe, quella a cui tutti a scuola facevano il filo.

Era una presenza eterea, delicata.

Doveva assolutamente rivederla.

Lasciandosi dietro le spalle la spiaggia, si erano inoltrati nuovamente nella foresta, tornando verso casa.

Si erano persi tra la fitta boscaglia, come la prima volta e, quando meno se l’erano aspettati, la struttura si era stagliata di fronte a loro.

Mezza notte precisa, come la prima volta.

Il cielo era dello stesso colore scuro che sembrava inglobare la torre dentro di se, la luce bianca e pallida, in cima, sembrava richiamarli.

- La vedi anche tu, Naruto? –

Non ricevette risposta dal ragazzo. Il biondo aveva cominciato ad arrampicarsi sul primo albero disponibile, ben deciso a salire in cima per raggiungere la vetta della torre.

Rimase a fissarlo impietrito quando, mettendo un piede in un punto sbagliato, il ragazzo scivolò all’indietro, perdendo la presa e schiantandosi al suolo.

Una chiazza di sangue si aprì lentamente sotto il suo capo, colorando l’erba scura di rosso.

Vide chiaramente la bambina affacciarsi, attratta dal rumore.

Perso nel blu notte dei suoi capelli, misto al cielo, vedeva solo le due pupille bianche, prive d’espressione che guardavano nella loro direzione, prima che scomparisse nuovamente dentro la torre.

Si gettò sull’amico, terrorizzato, preso dal senso di vuoto che gli attanagliava lo stomaco e gli faceva tremare le gambe.

Una volta accovacciato accanto a lui non riuscì più a muoversi.

Nemmeno in quell’occasione disperata riusciva a sfogare la frustrazione che provava dentro di se.

Qualsiasi cosa sembrava vorticare attorno a loro, il cielo blu scuro li inghiottiva, rendendo i rumori ancora più forti, l’orologio segnava solo la mezza notte e due minuti, sembrava che il tempo non dovesse passare mai.

 

Quando riaprì gli occhi si trovava sulla sabbia dorata della spiaggia, il sole si era appena alzato e, accanto a lui, si trovava il suo migliore amico, pacificamente addormentato.

Nessuna macchia di sangue sporcava i capelli color oro.

Il respiro era regolare e lento.

Naruto stava bene, non sembrava una persona volata giù da un albero né tanto meno era morto.

Aspettò che il ragazzo si risvegliasse, lasciando vagare lo sguardo sulla distesa d’acqua davanti a se.

La sabbia sotto le sue mani era calda, gli scivolava tra le dita in granelli fini, come il tempo che sembrava scorrere senza volersi fermare.

Era quasi rilassante quel posto.

Al contrario della foresta, che a qualsiasi ora sembrava losca e scura, quel tratto di terra e acqua gli dava un profondo senso di pace.

Era come trovarsi in un luogo sacro, dove nulla poteva arrivare e fargli del male.

Sarebbe potuto rimanerci per sempre.

 

Ovviamente l’Uzumaki non ricordava nulla della notte prima se non il loro pellegrinare fino al mare.

Secondo la sua versione dei fatti avevano deciso di rimanere lì e, dopo essersi fatti una scorpacciata con del ramen preso chissà dove, si erano addormentati sfiniti sulla sabbia quasi senza rendersene conto.

Nessuna torre e nessuna caduta popolavano i suoi ricordi e, quando aveva provato ad accennarglielo, il biondo l’aveva fissato come si sarebbe potuto guardare un pazzo asserendo poi che doveva smetterla con quell’assurdo sogno.

Sconsolato era rientrato a casa, buttandosi sul letto e guardando il soffitto.

Di giorno non c’era nulla nella foresta.

Chi vi arrivava di notte per un motivo o per l’altro ne perdeva il ricordo.

Dall’alto della sua grande età, Kiba Inuzuka, cominciava a credere alla storia della strega e delle creature magiche.

Non ricordava nemmeno quando si era addormentato accanto al corpo del proprio migliore amico morto.

Respirò a fondo chiudendo gli occhi e ripensando alla ragazza.

Sentiva il suo cuore perdere un battito ogni volta che pensava a lei ma non per un sentimento puro come l’amore che si vedeva nelle storie con le principesse imprigionate – e con cui sicuramente qualcun altro lo avrebbe scambiato.

La sua era paura.

Pura e semplice paura.

La ragazza che viveva nella torre che appariva solo allo scoccare della mezza notte, il rumore del vento tra gli alberi, la spiaggia come unico luogo di salvezza, l’unico dove si sentiva davvero in pace.

Aveva visto una persona dietro la ragazza, quella notte.

Una figura che l’aveva fatto raggelare dal terrore, riportando alla mente una filastrocca senza senso di quando era piccolo.

 

Kagome Kagome (Kagome Kagome)

Kagono Nakano Toriwa (un uccello in gabbia)

Itsu, Itsu Deyaru? (quando se ne andrà?)

Ushirono Shoumen Daare? (chi è l’uomo in piedi dietro a te?)

 

Mancava un pezzo, ne era certo, ma era anche certo non fosse importante.

Come poteva una cosa così inquietante essere una filastrocca per bambini?
L’uomo in piedi dietro di te …

Rabbrividì passandosi le mani sulle braccia coperte dalla maglia.

Quella stessa notte sarebbe tornato nel bosco e avrebbe risolto il mistero.

Doveva farlo per togliersela dalla testa perché … voleva rivederla.

 

La luna nel cielo notturno

E lei guardando verso la stessa luna

Io voglio vederti

Stò costruendo il mio amore.

Quel pomeriggio l’aveva passato in biblioteca, chino sui libri, per cercare un significato a tutto quello.

Era ben poco però ciò che aveva trovato;

Le leggende raccontavano di una donna, bellissima e corteggiata, innamorata di un principe.

Quest’uomo aveva una cugina, una ragazza potente la cui parola poteva smuovere interi plotoni che non vedeva di buon occhio la ragazza.

Quando questi aveva scoperto che il cugino ricambiava l’amore della donna, prima le aveva intimato di lasciare il villaggio, senza alcun successo poi, invasa dalla rabbia e dalla gelosia, aveva fatto bruciare la casa con lei all’interno, decretandone la morte.

Pochi giorni dopo il ragazzo si era tolto la vita gettandosi dalla torre più alta del palazzo in cui abitava.

Leggendo altri libri, nella sezione proibita, aveva trovato vari accenni alla stessa storia, con piccole e insignificanti varianti, fino a che non era arrivato davanti ad un’intera lista di nomi di donne trovate morte per inspiegabili motivi.

Accanto ad ognuno di essi vi era riportata la foto e lì vi aveva riconosciuto parecchie delle bambole esposte dietro la ragazza con i capelli blu notte.

Irrigidito dal terrore, era rimasto a fissare le foto, chiedendosi in quale assurda coincidenza potesse essersi imbattuto.

La sua parte razionale continuava a dire che quello che stava facendo era solo un lungo sogno, che non esisteva nessuna torre e nessuna ragazza, che tutto quello non poteva essere reale.

Ovviamente c’era anche una parte dettata dall’istinto a parlare.

Quella stessa parte che distingueva ogni singolo membro della casata Inuzuka.

L’istinto gli diceva che non era un sogno, che vi era dentro fino alla punta dei capelli e che non poteva semplicemente chiudere il libro e decidere d’infischiarsene.

Che la ragazza stesse ancora aspettando il principe di cui era innamorata?
No, quella sicuramente era la cugina gelosa che, presa dai sensi di colpa, si era rinchiusa nella torre dove il ragazzo si era suicidato e attendeva il castigo divino.

Guardando le mappe aveva convenuto che quello doveva essere il luogo esatto in cui si ergeva il castello nei tempi passati ed il semplice fatto che la spiaggia calmasse le sue paure, poteva essere solo dovuto alla sensazione di vastità e tranquillità che l’acqua gli dava.

Fuori dalla foresta oscura c’era solo sabbia dorata che aveva il potere di portare via tutta la paura assieme alla desolazione che provava dentro.

Aveva preso i libri ed era uscito dalla biblioteca, sedendosi in un parco e riprendendo a leggere.

Da qualche parte aveva letto che, dopo la morte dell’uomo, la principessa era scomparsa, lasciando dietro di se una scia scarlatta portata solo dalla propria pazzia.

C’era una foto sbiadita della donna, sul libro.

Probabilmente un ritratto, appeso a una parete, che la dipingeva come una donna minuta, dall’aspetto quieto.

Lunghi capelli blu scuro, occhi azzurro ghiaccio …l ’abito che portava indosso non era sfarzoso ed incastonato di gemme come se l’era immaginato, ma un semplice abito bianco, con pizzi e merletti quasi inesistenti, ricoperto da drappi blu e oro.

Identica alla ragazza che aveva visto seduta sul davanzale della torre.

Una sensazione di gelo gli aveva attraversato la schiena.

Alzando il capo lentamente dal libro si era fissato attorno, cercando d’ignorare il battito accelerato del suo cuore, fino a che lo sguardo non gli era finito sulla figura sbiadita di fronte a se.

La ragazza era un appena visibile drappo bianco e nero, gli occhi puntati sulla sua figura e i piedi che fluttuavano a pochi centimetri dal pavimento.

S’irrigidì fissando la sua mano alzarsi in sua direzione.

Non era possibile che lei fosse lì.

Erano solo le cinque del pomeriggio, il sole era alto in cielo e illuminava l’erba appena tagliata rendendo il corpo della visione ancora più trasparente di quanto non fosse.

Stava giusto per alzarsi e scappare via, quando, tra i fili corti e qualche accenno di fiore, lo sguardo non gli cadde su un piccolo quaderno con la chiusura in oro.

Afferrò il libro incuriosito, fissandolo con attenzione, per poi rialzare lo sguardo sulla figura che era sparita.

Sulla copertina, sempre in oro e blu, vi erano segnate due lettere uguali che, probabilmente, ne segnavano la proprietà.

- H.H. –

Lesse piano, prima di aprire quello che sembrava un diario.

 

La luna brilla rossa.

 

 

Ieri pomeriggio abbiamo celebrato le nozze di mia sorella.

Hinata era bellissima fasciata dall’abito bianco confezionato da mia zia.

Penso che, per una donna, il giorno del proprio matrimonio sia quello più felice della propria vita.

Ci sono tutte le persone cui tieni, tutte le persone che vorresti avere accanto nei tuoi momenti felici.

Ovviamente tra gli invitati c’era anche lui.

Sono rimasta affascinata dal suo aspetto, erano anni che non lo vedevo.

Più il tempo passa più mio cugino diventa … bello.

Vorrei chiedere a mio padre la possibilità di sposare lui, sono certa ne sarebbe contento.

In fondo non sono più una bambina.

Voglio un matrimonio sfarzoso, molto più di quello di mia sorella.

Voglio tanta gente attorno che si felice per me, più di quella di mia sorella.

Voglio vedere Hinata piangere.

Voglio vederla disperarsi.

Io sarò un erede al trono migliore di lei, con mio cugino accanto.

 

 

Chiuse il quaderno con un rumore secco poggiandolo sulla scrivania.

Non avrebbe dovuto leggerlo ma la curiosità lo stava divorando.

Avrebbe dovuto cercare un modo per … per cosa?
Distruggere la torre all’interno della foresta?

E per quale motivo, poi?

In fin dei conti quella ragazza non stava facendo nulla di male.

Erano millenni che era lì, rinchiusa in quella torre.

Un fantasma solo, perso.

Sua madre gli aveva sempre detto che non bisognava disturbare i morti ma non aveva mai accennato alla possibilità che i morti potessero disturbare lui.

Lei lo aveva richiamato a se, di questo era certo.

Forse era solo stanca di aspettare.

Forse voleva solo poter raggiungere il cugino che tanto amava e la sorella che tanto odiava, non vi era nulla di sbagliato in questo.

Si sedette sul letto, respirando a fondo, prima di ripensare alla lunga distesa di sabbia oltre la foresta.

Anche il solo pensiero della spiaggia riusciva a tranquillizzarlo.

Se chiudeva gli occhi, poteva sentire il rumore dell’acqua infrangersi contro gli scogli.

Vedeva la luna pallida riflettersi nell’acqua scura, dello stesso intenso blu notte dei capelli della ragazza. Un’immagine traballante, che si disfaceva e rifaceva ad ogni onda, lentamente …

L’ululato del vento muoveva le fronde degli alberi, le foglie secche scricchiolavano sotto i suoi piedi …

In quale istante la sabbia si era trasformata in fitta boscaglia e la distesa d’acqua era diventata d’alberi?

Poco distante una casa bruciava avvolta dalle fiamme.

 

Spalancò gli occhi con il fiato corto, fissandosi attorno.

L’orologio sul comodino segnava le nove e venti, sua madre bussava insistentemente alla porta da almeno cinque minuti.

- Arrivo –

Mormorò alzandosi dal letto e raggiungendo la parete opposta spalancando l’uscio.

Tsume Inuzuka lo fissava rabbiosa, con il grembiule sporco di quello che sembrava sugo e il mestolo in mano.

- Saresti così gentile da venire ad apparecchiare la tavola Kiba? È pronta la cena –

Annuì mestamente, stropicciandosi un occhio e seguendola giù per le scale.

Si era addormentato di nuovo senza rendersene conto.

 

 

Oggi ho visto Neji.

Cavalcava in compagnia di una delle sue guardie, al limitare della foresta che delimita il villaggio.

I nostri padri hanno dato il consenso al matrimonio e, anche se lui non sembra molto contento, io sono felice.

Hanno già cominciato i preparativi, le sarte mi stanno cucendo l’abito.

Mia zia impartisce ordini a destra e manca, dopotutto è il matrimonio di suo figlio.

Hinata oggi è venuta a trovarmi in camera, ha poggiato un mazzo di bellissimi e candidi fiori sul mio comodino, poi mi ha abbracciata.

Non capisco se comprenda o no il mio odio per lei.

È un’inetta.

Una donna senza cervello, incapace di prendere in mano le redini della propria vita.

A volte dubito seriamente che sia figlia dei miei stessi genitori.

È troppo … degradante.

Nessuno vorrebbe mai una sorella come lei.

Ha detto qualche parola con il suo solito tono impacciato, torturandosi le dita con lo sguardo basso.

Insopportabile.

Quando è uscita, ho fissato i fiori che ha lasciato chiedendomi se, davvero, la maggior parte delle persone che la conoscono la reputano davvero delicata e bella come i gigli, come mi ha detto la Yamanaka.

E come vedono … me?

Non m’interessa io … sono superiore a tutti loro.

Io sono Hanabi Hyuuga e non ho bisogno di nessun altro all’infuori di me stessa.

 

La notte seguente, munito di uno zaino contenendo abbastanza provviste da andare avanti anche una settimana, una torcia elettrica e un ombrello, si era diretto verso il bosco.

La pioggia cadeva incessantemente da quella mattina, uno scrosciare continuo e incessante che si abbatteva sui tetti del villaggio lasciando un rumore sinistro.

Sentiva le proprie viscere contorcersi nello stomaco.

Non c’era niente di particolare in quello che stava facendo, nulla di cui dovesse avere paura.

Rimase a fissare gli alberi con il cuore in gola, prima di portare lo sguardo all’orologio da polso che aveva fregato al padre; le undici meno un quarto.
Aveva ancora un’ora, non c’era assolutamente bisogno che entrasse in quel preciso istante.

“Smettila di fare il bambino, Kiba”

Si rimproverò mentalmente avanzando di un passo verso gli alberi, sfiorando la corteccia asciutta nonostante la pioggia.

Abbassò l’ombrello di lato, nemmeno troppo stupito alla constatazione della mancanza dell’acqua tra gli alberi.

I primi fusti erano distanti l’uno dall’altro e lasciavano intravedere spazi di cielo di un limpido blu notte.

All’interno nella fitta boscaglia non pioveva.

Sospirò, chiudendo l’oggetto e riponendolo nello zaino, prima di avviarsi.

C’erano tante cose che, di notte, in quel luogo non succedevano.

Chissà se valeva la stessa cosa per la spiaggia.

Undici e tre minuti e già lui girava perso tra gli alberi cercando il luogo in cui si trovava il castello.

 

Sentiva i suoi passi riecheggiare attorno a lei.

Era tornato nuovamente nella foresta, probabilmente non ancora sufficientemente spaventato da ciò che aveva visto.

Forse lui l’avrebbe liberata da quella tremenda prigionia.

Forse lui …

- Hanabi, sei ancora qui? –

Si voltò verso la voce del cugino non trovando altro che bambole.

Da quanti anni era, ormai, che viveva lì?

Neji l’aveva richiusa dopo la morte di Sakura.

Quella torre era stata la sua casa per tanto tempo, troppo.

Era morta?

Non lo sapeva.

C’erano solo tante bambole attorno a lei.

Apparivano quando si sentiva troppo sola.

Per un po’ le facevano compagnia.

Parlavano, per lo più urlavano.

Quando si stancava gli cuciva la bocca, il silenzio tornava attorno a lei e allora la voce del cugino la raggiungeva.

- Hanabi, sei ancora qui? –

- Sì, Neji Niisan –

Immaginava il suo sorriso compiaciuto e sorrideva a sua volta, poi si affacciava all’unica finestra e fissava la grande luna rossa che troneggiava nel cielo.

 

Io sono un uccello ingabbiato, non posso uscire da qui.

 

Canticchiava lentamente stringendo i pugni.

Ma non c’era nessuno a rispondere, nessuno che volesse salvarla.

Le notti passavano così lentamente, la mezza notte sembrava non arrivare mai.

Il ragazzo castano si trovava vicino al castello, la stava cercando?

Lei gli aveva lasciato il suo diario per dimostrargli quanto era stata meschina.

Ma che male c’era, in fondo, a volere suo cugino solo per se?

Lei doveva essere sua moglie!

Sakura … Sakura non doveva c’entrare niente con la sua vita perfetta.

- Ti penti per quello che hai fatto? Se ti penti, ti lascerò libera di andartene da qui –

Pentirsi?
Poteva pentirsi di una cosa che reputava giusta?

Lei non era quella in torto! Neji era suo e la ragazza con i capelli rosa … lei! Lei aveva cercato di rovinarle la vita.

- Non mi pento, assolutamente –

- Allora non mi lasci scelta –

Le unghie affondarono nella pelle fragile delle mani fino a farne uscire sangue.

Stava giusto per schiantare tutto a terra quando un rumore alle sue spalle la fece sobbalzare.

Voltandosi si ritrovò a fissare il viso dalla pelle olivastra e gli occhi dorati del ragazzo castano.

L’aveva raggiunta.

 

La ragazzina stava seduta su una sedia di legno di fronte a lui attorniata solo dalle sue bambole inquietanti con la bocca cucita.

Sembrava la scena madre di un film dell’horror, tipo il pezzo in cui il protagonista veniva catturato e poi quasi ucciso dal mostro di turno.

Peccato che, in quell’occasione, fosse lui il pazzo che l’aveva raggiunta di sua spontanea volontà e il “mostro” era una ragazzina di dodici anni, con addosso un vestito candido e l’aria confusa.

Se non fosse stato per quei giocattoli e la situazione assurda in se, avrebbe quasi potuto pensare di trovarsi nella casa di una bambina sola.

Hanabi Hyuuga, così aveva detto di chiamarsi, si era bendata la mano con una garza e ora lo fissava attentamente, come a chiedersi che cosa ci facesse lì.

Una domanda intelligente non lo metteva certamente in dubbio.

Se solo avesse saputo la risposta tutto quello sarebbe stato più … sensato.

- Sei venuto a uccidermi? – le parole della bambina tagliarono il pesante silenzio creatosi attorno a loro.

Quella era un’opzione

Poteva essere una delle motivazioni per cui si trovava lì ma, come aveva già costatato in precedenza, lui non aveva nessun motivo per decidere di togliere la vita alla ragazza e, salvo che lei non gliene avesse dato uno, non c’era nessuna possibilità che lui decidesse deliberatamente di farlo.

Né nessun mezzo a sua disposizione, oltretutto.

Scosse il capo energicamente, rischiando quasi di cadere dalla posizione in cui si era messo.

La stanza in cui si trovavano non aveva uscite, parte la finestra, ma la bambina non sembrava intenzionata a fargli del male.

- Come ti chiami? –

- Kiba –

Sentiva la bocca impastata e la lingua pesante, tanto che non riusciva a dire altro se non lo stretto necessario per rispondere alle sue domande. Non che poi gliene avesse fatte molte.

Prese lo zaino, tirandone fuori il diario e porgendoglielo.

- Credo che questo sia tuo –

Riuscì a formulare a fatica, fissando le mani pallide che prendevano il libro.

I capelli erano setosi ma non di quel blu notte che aveva pensato la prima volta: erano di un nero asciutto, quasi impalpabile. Sembrava ci si potesse perdere tra quei fili di seta.

Gli occhi e la pelle chiara facevano un netto contrasto, con la folta capigliatura che ricadeva libera sulle spalle, coperte da un leggero vestito bianco.

Doveva essere morta d’estate, altrimenti era certo avrebbe portato qualcosa di più pesante.

- Non sei venuto a uccidermi –

Ripeté lentamente lei, quasi a voler spezzare nuovamente il silenzio che si era creato.

Non sembrava una bambina molto loquace, probabilmente nemmeno in vita era solita parlare molto.

In quel frangente doveva aver bisogno di qualcuno con cui interagire, altrimenti non si spiegava perché continuasse a fargli quella domanda.

- Non sono qui per ucciderti, Hanabichan – le vide storcere il naso al nomignolo e sorrise divertito.

Non era convinto fosse prudente indispettirla ma, in un certo senso, quella bambina gli piaceva. – Tu perché sei ancora qui? –

Quella domanda lasciò interdetta la sua interlocutrice.

Forse non era il modo più giusto per formulare la domanda, quasi sembrava che non la volesse lì, che sperasse se ne andasse da quel posto.

Ma in fondo non era così?

Un fantasma con un conto in sospeso che gli tormentava l’esistenza, anche se indirettamente, non era certo qualcosa che “voleva” a pochi passi da casa sua.

Sarebbe stato inevitabile per lui, andare a trovarla tutte le notti.

- Non dovrei essere qui? – vide passare negli occhi bianchi un lampo di tristezza e si maledisse per la sua lingua lunga.

- Non è ciò che volevo dire… cioè…-

- No, decisamente non dovrei ma … mio cugino non mi lascia andare via –

Si ammutolì a quella confessione, fissandosi attorno.

Nessuna porta, solo una finestra a troppi metri d’altezza per una  bambina.

- Ma tu vuoi andare via da qui? –

Hanabi annuì lentamente, spostando lo sguardo sulle bambole “mute”.

- Mi sento sola, qui. Non credo di aver fatto qualcosa di tanto terribile. Hai letto il diario? –

Il castano annuì lentamente, ricordando come per gelosia la ragazzina avesse ucciso la donna che il cugino amava e poi come aveva posto fine anche alla felice vita della sorella per invidia.

Che non avesse fatto nulla di male non era propriamente vero ma come poteva capirlo quella che era poco più che una bambina?

- Non hai fatto una cosa… bella –

Tentò, tastando il terreno

- Lei si è intromessa nella mia felicità! –

Sbottò la ragazzina indignata.

Un vento gelido entrò dalla finestra mentre l’orologio posto sulla parete cominciò a ticchettare in modo frenetico.

- Ok, va bene … ora calmati. Io … posso aiutarti a uscire da qui –

La ragazzina si alzò in piedi, avvicinandosi di qualche passo a lui.

- Nessuno può portarmi fuori da qui –

Il tono di voce era cambiato.

Non era più collerica, solo infinitamente triste.

Si alzò a sua volta, prendendole la mano

- Voglio provarci –

Rispose convinto, avviandosi verso la finestra.

Si trattava solo di un salto.

Un misero, minuscolo salto.

Se fosse riuscito ad arrivare con lei fino all’albero poi, scendere e correre via da lì sarebbe stato un gioco da ragazzi.

Già… ma correre dove?Non poteva di certo portarla al villaggio. Non aveva un luogo dove nasconderla, una volta arrivato lì.

L’alternativa più plausibile era la spiaggia.

Da lì avrebbe certamente trovato un posto dove andare.

- Mio cugino non sarà contento –

Pigolò lei, aggrappandosi alla sua maglietta. Gli faceva pena.

Quella ragazzina sola e triste … gli faceva immensamente pena.

Era solo quello il motivo per cui era tornato, per cui si era informato.

Nonostante ciò che aveva fatto non riusciva a colpevolizzare la dodicenne né tantomeno a condannarla più di quanto non avessero già fatto.

L’avrebbe portata via da lì? Ci sarebbe riuscito.

 

Tenendola stretta si arrampicò sul davanzale della finestra, prendendo le misure per il salto, cercando d’ignorare la paura.

Era solo qualche metro di distanza.

Le fronde degli alberi si muovevano al ritmo cadenzale del vento che li sospingeva lontano dalla finestra della torre.

Doveva solo aspettare il momento giusto.

Contò mentalmente fino a tre, poi, con decisione, spiccò un salto allungando il braccio per afferrare il ramo proteso di fronte a lui.

Ci si aggrappò con tutte le forze, senza lasciare la presa sulla bambina e, al contempo, ben deciso a non mollare la loro ancora di salvezza.

- Attaccati al ramo, ti aiuto io a issarti –

La moretta annuì lentamente, poco convinta, allungando una delle pallide mani fino ad afferrare il ramo.

Sentiva la presa scivolare lentamente e sembrava, che ogni gesto della piccola Hanabi, fosse fatto volutamente a rallentatore.

Voleva davvero andare via da lì?

Un altro colpo forte di vento fece fremere le fronde, mandando gli alberi a sbattere contro il suo braccio, dopo pochi istanti, una figura vestita di nero, apparve di fronte a loro.

- N-niisan! –

La voce della bambina tremò impercettibilmente mentre la presa sul ramo era lasciata con un movimento brusco.

Sentì il suo corpo dondolare nel vuoto, il braccio gli doleva in modo quasi impossibile.

- Ti penti per i tuoi peccati, Hanabi? –

La voce del ragazzo di fronte a loro era bassa, quasi catacombale.

Chiuse gli occhi, cercando di issarsi sul ramo, ritrovandosi impedito dal piede dell’altro.

- Te l’ho già detto, non mi pento! –

Da sotto il cappuccio sentì lo sguardo di lui indurirsi, farsi cattivo.

La ragazzina gli fu strappata dalle mani e riportata dentro la torre.

Lui perse definitivamente la presa, schiantandosi rumorosamente al suolo per la seconda volta.

 

Sentiva il rumore delle onde infrangersi contro gli scogli mentre, qualcosa di umido, gli sfiorava le guance.

Pioggia.

Si ritrovava nuovamente sulla spiaggia.

Aprì gli occhi, cercando di tirarsi a sedere senza nessun risultato.

Le gambe gli dolevano in modo pazzesco, le braccia non sembravano volersi schiodare dalla sabbia.

Sopra di lui, il cielo grigio, coperto da nuvoloni, scaricava l’acqua sul suo corpo, lavando via il sangue dai suoi vestiti.

Non ricordava nulla oltre lo schianto.

Aveva sentito chiaramente l’osso del proprio collo spezzarsi, senza possibilità d’appello.

Dopotutto era caduto da una considerevole altezza, non c’era possibilità che si fosse salvato.

- Sono venuta a salutarti –

La voce di Hanabi gli riecheggiò nelle orecchie.

Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che la ragazza, in realtà, non era lì.

- grazie per il tentativo fatto, Kiba –

Chiuse gli occhi, lasciando finalmente le lacrime libere di cadere e confondersi con l’acqua piovana.

Non era riuscito nel suo intento, non l’aveva salvata e per di più era morto.

- Che fine orrenda per una storia, Inuzuka –

Si rimproverò con un sorriso amaro.

- Per strada tante facce
non hanno un bel colore,
qui chi non terrorizza
si ammala di terrore,
C'è chi aspetta la pioggia
per non piangere da solo
,
io sono d'un altro avviso
… -

Cominciò a canticchiare, lasciandosi cullare dal rumore delle onde.

Non gli rimaneva molto da vivere ma, morire su quella spiaggia, aveva un che di confortante.

 

 

Usciamo assieme fuori da qui…

Siamo ombre sotto la luna.,

 

Ripose la sua nuova bambola sulla mensola più bassa sorridendo quasi compiaciuta.

Ormai aveva perso il segno di quante persone aveva abbindolato con quella storia.

La finta prigionia, il suo innamoramento per il cugino …

Poggiò i gomiti al davanzale fissando la distesa di alberi sotto il cielo blu notte.

Se aguzzava la vista poteva vedere la spiaggia dove tutte le sue vittime morivano, prima di ritornare da lei sottoforma di bambole.

- Ne hai aggiunta una nuova, cuginetta? –

Sorrise, avvertendo la voce del cugino alle sue spalle e si voltò in sua direzione.

- Questo era un ragazzo dal cuore tenero, ti sarebbe piaciuto, Neji niisan –

Il ragazzo stirò le labbra allungando una mano verso di lei.

- Andiamo a mangiare qualcosa, mio bellissimo angelo. Ti unisci a noi? –

Hanabi annuì lentamente, staccandosi dal davanzale e raggiungendo il ragazzo.

Prima o poi avrebbe cucito anche la bocca della bambola di Kiba, appena si sarebbe accorta dell’inganno.

  End.

   
 
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