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Autore: Akane    12/09/2010    9 recensioni
Kojiro Hyuga è un ragazzo che viene strappato dalla terribile famiglia adottiva in cui era e messo in istituto, lì incontrerà i suoi primi amici, i rivali, i sentimenti ma soprattutto la libertà. Finalmente potrà costruire il suo mondo.
[storia seconda classificata all'Alternate Tsubasa Contest]
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Jun Misugi/Julian Ross, Karl Heinz Schneider, Kojiro Hyuga/Mark
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Vivere'
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AUTORE: Akane
TITOLO: Il mondo che vorrei
SERIE: Capitan Tsubasa
TIPO: AU, slash
GENERE: generale, drammatico, sentimentale
RATING: giallo
PERSONAGGI: Kojiro, Jun, Genzo, qua Karl è marginale ma nella seconda serie sarà uno dei protagonisti principali! Ah, dimenticavo Hikaru Matsuyama!
DISCLAMAIRS: i personaggi non sono miei ma del loro creatore, però l’ambientazione è di mia invenzione!
NOTE: storia per il contest sull’AU indetto da Endless Field. A lungo sono stata fortemente indecisa su quale ambientazione fare, alla fine ne ho iniziate e cambiate tre o quattro, ma questa sembra quella definitiva. Viene da un sogno che ho fatto, naturalmente l’ho rielaborato. Uso come sempre i personaggi che più mi piacciono e chi mi legge sa quanto io per questo manga prediliga unicamente lo Yaoi, quindi questa è la mia storia!
Dunque, devo avvertire che ho dovuto concluderla prima di quel che pensavo e che per questo ci sarà il seguito obbligatorio, io per prima voglio scriverlo perché ci sono molte cose che non sono riuscita a mettere e che ho dovuto tagliare, mi conoscete: quando inizio una alternativa su questo manga mi faccio prendere la mano e parto per la luna! Solo che il concorso aveva il limite di 20000 parole, quindi non ho potuto scrivere di più in questo.
Pazienza.
Ci sono inoltre un paio di ulteriori noticine:
- Mikami è diventato il nome mentre il cognome è Wakabayashi per esigenze di copione che poi capirete.
- Ci sono altri cambiamenti di parentele rispetto l’originale, ma essendo un AU ci stanno!
- Anche la differenza d’età di qualcuno è stata leggermente modificata.
- Il titolo questa volta è un omaggio a Vasco, anche il seguito che ci sarà avrà il titolo di una canzone di Vasco.
- Ad ogni capitolo c’è una canzone che fa da sfondo alla scena principale e rispecchia il genere del protagonista del pezzo.
- La storia è ambientata in un istituto che non so quanto sia conforme alla realtà, però mi prendo la libertà di far di esso ciò che voglio spacciandolo per vero. È comunque solo una storia.
Detto tutto spero vi piaccia!
Buona lettura.
Baci Akane
IL MONDO CHE VORREI

CAPITOLO I:
INCONTRO SUL PULMINO

/Cinderella man - Eminem/
Come diavolo ci era finito in quella situazione di merda?
A chiederselo non riusciva a trovare risposta eppure non riusciva a pensare che a quello.
Proprio una gran situazione del cazzo!
Eppure quando era cominciato tutto?
Non poteva dirlo con esattezza, da che aveva ricordi era sempre stato l’inferno e non è che fosse molto grande, ora. Aveva solo quattordici anni, in fondo.
In effetti era iniziato tutto con la sua dannata nascita. Lo pensava sempre, non sarebbe dovuto venire al mondo, tutto lì; però c’era e non poteva certo tornare indietro, cosa snervante, così come lo era non avere il coraggio di farla finita per smettere di passare momenti terribili.
Però in un modo o nell’altro ne era uscito, quella volta… o forse era solo finito dalla padella alla brace!
Quando l’assistente sociale si era decisa a fare qualcosa aveva pensato fosse uno stupido scherzo, ma poi era stato effettivamente portato via dal postaccio in cui era -certo, perché si rifiutava di chiamarla famiglia adottiva o casa, un luogo del genere!- e l’avevano messo su quel dannato pulmino diretto in un istituto.
Uno sciocco istituto dove si dormiva, si mangiava, si studiava e si conoscevano un sacco di altra gente… cosa che sicuramente non avrebbe mai fatto lui, selvatico e pericoloso com’era. Se lo diceva da solo, era un animale feroce cresciuto a suon di calci e pugni da perfetti sconosciuti, come poteva essere venuto su bene?
Aveva imparato solo la violenza e con quella lui comunicava col mondo.
L’istruzione era stata un lusso che non si era potuto permettere così come degli amici ed una normale vita sociale!
Sospirò… tanto a quel punto qualunque posto sarebbe stato migliore di quello, è solo che non aveva davvero idea di dove stesse andando.
Aveva unicamente una serie di carte in mano. Una indicava il nome e l’indirizzo del posto, un’altra era la lettera dell’assistente per il direttore con conseguente dichiarazione d’ammissione. Poi c’erano tutti i suoi documenti, l’atto di nascita, d’adozione e di separazione, o qualunque nome avesse quella cosa che poi era successa.
Però avrebbero almeno potuto accompagnarlo. Certo che se la sapeva cavare e che non era più un bambino, ma in fondo lo stavano trasferendo!
Grattandosi a disagio la nuca e passandosi nervoso più volte le mani fra i capelli neri che gli coprivano selvaggi il collo, guardava sbuffando fuori dai finestrini. Lo sguardo più infastidito e feroce che avesse mai avuto.
- E’ la prima volta, vero? - Una voce distinta e gentile lo distrasse dai suoi pensieri turbinanti e si girò di scatto verso il suo proprietario. Era un giovane all’incirca grande come lui, si capiva perfettamente essere un pesce fuor d’acqua. Uno così era ovvio viaggiasse sempre in auto, accompagnato da qualcuno.
Era uno di razza, lo capì al primo colpo e le iridi nere si assottigliarono accusatorie.
- Che viaggi in pulmino intendo… - Si affrettò a spiegare cordiale il ragazzo. - Per me lo è. Non mi sento molto a mio agio, infatti. - Lo fissò ancora come fosse una minaccia, scrutò a fondo i suoi lineamenti regolari, perfetti e quasi delicati, la sua bellezza angelica ma con un che di supponente e superiore, forse l’espressione che dietro quella gentilezza nascondeva il suo rango di certo alto. Gli occhi però parevano sinceri. Buoni davvero. Un castano caldo come i suoi capelli ordinati e corti, con una morbida frangetta e nemmeno un filo fuori posto. Vestito incredibilmente bene per essere su un pulmino pidocchioso.
Sì, quello era ricco sfondato ed era finito per sbaglio in mezzo agli sfigati!
Ma istintivamente gli piacque che si fosse messo in gioco per primo notando la sua posizione ostile.
- Si nota! - Grugnì distogliendo lo sguardo e tornando a fissare fuori, il paesaggio scorreva come non lo aveva mai visto e ne sarebbe rimasto anche affascinato se non fosse stato incattivito da tutto quel che aveva vissuto. Non aveva mai potuto vedere cosa c’era fuori dalla catapecchia in cui era stato rinchiuso, però ora che poteva non riusciva a goderselo e non riusciva proprio a capirne il motivo.
- Che non sono a mio agio? - Lo chiese con stupore e curiosità, come se non ci credesse, infatti tornò a guardarlo e si affrettò addirittura a specificare, seccato per doverlo fare e ancor di più perché lo stava facendo anche se non gli importava:
- No, che non è il tuo ambiente! - Mica quello dimostrava disagio…
Tornò a fissare fuori intravedendo appena un’espressione indecifrabile simile al compiacimento. Che ne poteva sapere lui di quel che passava per la mente degli altri?
- Piacere, sono Jun Misugi. - La voce dell’altro tornò gentile e caparbia, quindi notando la mano tesa si voltò per l’ennesima volta e guardando il viso sorridente e luminoso, ma allo stesso tempo con un che di adulto e diverso, quasi triste -ma in fondo, molto in fondo agli occhi-, gli prese la mano chiedendosi perché mai si dovesse fare un gesto tanto idiota per conoscersi!
- Kojiro Hyuga! - Grugnì ancora non sapendo che altro dire.
La sua mano era liscia e morbida, ma anche sottile e fredda, al contrario della sua che era più grande, rovinata e calda.
Quando si sciolse ebbe l’impressione di avere davanti una persona sfuggente, con un grande segreto dentro, proprio come lui. Ma fu solo un momento. Si ricordò subito della loro abissale differenza: quello era qualcuno, lui no.
- Allora, dove vai? - Chiese per fare conversazione, capì che non lo faceva per impicciarsi, ma solo per cortesia e cercare di metterlo a suo agio.
‘A farmi i cazzi miei!’ avrebbe voluto rispondere, ma si limitò -e non capì proprio come fu possibile visto che voleva solo passare in santa pace il resto del viaggio- a dire la verità, seppure con monosillabi ringhianti. Disse il nome dell’istituto, il Toho, e il giovane si illuminò dando segno di conoscerlo e prima che se ne accorgesse, glielo stava già chiedendo…
- Sai com’è? - Certo non poteva essere che anche lui ci andasse, visto che sicuramente una famiglia ce l’aveva ed anche benestante.
Lo chiese guardandolo con una certa ansia, come se, nonostante non volesse farlo vedere per nessun motivo, in realtà ci tenesse molto a sapere dove diavolo stava finendo quella volta.
Jun con un costante sorriso gentile che nascondeva qualcosa, questa volta non di triste ma di indecifrabile e basta, rispose esauriente mostrando una proprietà di linguaggio che non era per uno della sua età.
Era istruito ed anche bene!
Kojiro si sentì sempre più una merda, accanto a lui, ma era anche l’unico che l’aveva calcolato e che era gentile.
- Certo. È un buon istituto. Si trattengono per lo più persone che non hanno una famiglia e che quindi non sono state adottate, solitamente sono lì di transito ma capita anche che vengano perché sono impossibilitate a stare a casa o per una opzione dei genitori. -
Sembrava conoscerlo bene, quasi che ci fosse dentro anche lui, però fu un pensiero così folle che Kojiro allontanò subito schernendosi. Figurarsi se uno come quello poteva avere problemi di quel tipo!
- Gli insegnanti sono competenti, così come gli assistenti. Alcuni studenti sono un po’ pesanti, però sono gestibili. È un ottimo ambiente, vedrai che ti troverai a tuo agio anche tu. - Previsione di chi non lo conosceva affatto.
Al moretto venne spontaneo ridere amaro, Jun si fermò dal discorrere e lo fissò con curiosità alzando le sopracciglia in segno interrogativo. L’altro smise e scosse la testa:
- Si vede che non mi conosci! -
- Perché? -
- Perché sono il piantagrane per eccellenza! Verrò cacciato dopo una settimana! - Notò il suo tatto nel non chiedere come mai ci andasse, probabilmente era chiaro come il sole che era un orfano la cui adozione era andata male.
Si sentì però profondamente osservato e riprese a fissare a disagio e infastidito fuori dal finestrino.
- Magari rimarrai stupito! - Disse allora Jun con tranquillità. Kojiro alzò un sopracciglio scettico e puntò i suoi occhi neri affilati come quelli di una tigre, su quelli da principe del giovane dai capelli castani che continuò. - Non pensi che forse quello possa essere il tuo posto, prima di prendere la tua strada da solo? - Lesse una specie di sfida fra le righe, a lui piacevano le sfide e lo sguardo selvatico si illuminò con fare accattivante:
- La mia vita è solo un mare di merda, tutte le tappe in cui inciampo sono solo cessi di scarico, tutto qui! - Una risposta oltre che maleducata e sgraziata, davvero rivelatrice.
Con questo Jun riuscì ad avere un quadro di Kojiro più completo di quel che quest’ultimo avrebbe mai immaginato, ma si limitò a scoccargli uno di quei suoi ormai famosi sguardi indecifrabili e a non fargli capire un emerito nulla.
Tanto non lo poteva convincere!
- Questa è la nostra fermata… - Fece Jun scuotendo dai suoi pensieri testardi il nuovo conoscente. Alla muta domanda scettica, rispose senza fargli capire nulla più di prima: - Sì, scendo anche io qua. - Però non gli aveva ancora detto dove diavolo andava lui, invece, e soprattutto se veniva per caso -assurdo- al suo stesso istituto.
Quando si alzarono in perfetto silenzio, Kojiro gli diede le spalle per prendere il proprio ridicolo bagaglio; quando si girò, Jun Misugi era sparito.
“Poteva anche aspettarmi, che cazzo!”
Ma prima che se ne rendesse conto, il pensiero insolito l’aveva già avuto e anche se si corresse subito, non servì a nulla visto che ormai l’aveva pensato.
“Ma poi che diavolo me ne fotte!”
Più un auto convincersi che un crederlo davvero.


   
 
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