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Autore: Red_Hot_Holly_Berries    12/09/2010    1 recensioni
Tutto iniziò quando Arthur rivelò a Feliciano il suo segreto. O forse iniziò tutto quando America cominciò a farsi delle domande su una strana presenza sulla sua infanzia. No, neanche: il vero inizio fu quando quel mondo dato vita ad Arthur lo reclamò a sè.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Il Leone Bianco – The Lion’s Dream

Capitolo 1: Kingdom For A Heart

Secondo un modo di dire fin troppo inflazionato, la vita è fatta di piccoli passi.
In questo caso il primo metaforico passo fu quello che Feliciano compì in un grigio pomeriggio londinese, superando la soglia della casa della personificazione dell’Inghilterra, Arthur Kirkland.
Quel giorno a Londra si era tenuto un incontro tra i rappresentanti delle nazioni europee, e dopo la fine della riunione, sancita da un irritatissimo Germania, il biondo Inghilterra aveva avvicinato uno stupefatto Italia, chiedendogli se poteva passare a casa sua quel pomeriggio, che aveva qualcosa da chiedergli.
Secondo la più antica tradizione italiana, secondo cui non ci si presenta mai a casa di qualcuno a mani vuote, Feliciano aveva comprato dei dolci in una pasticceria italiana, e con il vassoio impacchettato ben saldo in mano aveva bussato alla grande porta laccata di verde ornata da un elegante numero 7 in ferro battuto, come gli era stato descritto.
-Ciao, Feliciano. Sono felice che tu sia venuto.- Lo accolse Arthur, aprendo la porta con un piccolo sorriso sul suo viso di solito imbronciato e facendo cenno al castano di entrare.
-Vee~ Ciao Arthur!- Lo salutò di rimando questi, abbracciando l’inglese, senza fare caso alla sua rigidezza, forse essendoci abituato. Non erano molti quelli a proprio agio con le sue maniere espansive, in effetti…
Il biondo tuttavia riuscì a sottrarsi al contatto con un’abile manovra, consistente nell’agguantare i dolci prima che facessero una brutta fine e nel suggerire qualcosa perfettamente in linea con il suo fare da gentiluomo: -Vuoi bere qualcosa mentre rendiamo onore a queste dolcezze?-
Nel tentativo di rendere il tutto più informale, Arthur lo condusse in cucina, e lì i due si sedettero al tavolo, scoprendo poi con loro grande sorpresa di non dover fare quasi nessuno sforzo per mandare avanti una conversazione: arte, musica, cibo, pettegolezzi vari sulle altre nazioni.
Fu uno scambio alla pari: Arthur ebbe la conferma che Feliciano non era assolutamente solo uno sciocco, per quanto amasse comportarsi come un bambino, e questi fu confortato nel vedere quanto l’inglese fosse molto più rilassato e simpatico quando non in guerra.
Queste chiacchiere allegre andarono avanti per un bel po’, ma dopo un attimo di silenzio in seguito alla discussione su birra e vino (cercando di convincersi a vicenda che la propria bevanda fosse migliore, finito in parità), finalmente Feliciano pose la fatidica domanda: -Cosa volevi chiedermi, Arthur?-
Lo chiese con un aperto sorriso mentre finiva di bere la sua seconda tazza di caffè nero: italiani e inglesi sembravano avere gli stessi gusti in fatto di divagare prima di arrivare al sodo, ma la curiosità lo stava pungolando ormai troppo per poter resistere.
Arthur sembrò immobilizzarsi per un attimo, ma poi tirò un profondo sospiro e si alzò in piedi, facendo cenno all’altro di seguirlo in corridoio.
-Roderich una volta mi ha detto che ti piace dipingere, e ho abbastanza opere italiane nei miei musei da poter dire che devi avere un grande talento.- Esordì, ma poi si interruppe.
-Sì, e allora?- Lo incalzò Feliciano, camminando accanto a lui, guardandolo con la testa di sbieco.
-Io… Vorrei che tu facessi un dipinto per me.-
Il moro si bloccò di botto, con tanto d’occhi, talmente stupito da rimanere immobile.
-Un ritratto?- Chiese per precisione, e dopo una lieve esitazione l’altro rispose: -…Sì.-
-Arthur, io, ve… Mi rende felice che tu lo abbia chiesto a me, ma… A me non piace dipingere quadri come questi.- Feliciano fece un ampio cenno per indicare gli austeri ritratti di persone morte da tempo appesi sulle pareti.
-Non mi piace il colore ad olio usato così scuro, è troppo tetro! A me piacciono di più…- Cominciò a spiegargli l’italiano, agitato e dispiaciuto di non poterlo aiutare, ma Arthur lo interruppe, completando per lui la frase: -Gli acquerelli.-
-Ve?- Sguardo confuso.
-Tu preferisci gli acquerelli, non è così?- Ripeté l’inglese, e l’altro annuì enfaticamente.
Senza che Feliciano se ne fosse reso conto, Arthur aveva ripreso a camminare, e lui l’aveva automaticamente seguito, fino a ritrovarsi in quello che doveva essere il suo salotto privato. Quella casa era enorme, in stile vittoriano, e i due ne avevano già superato più d’uno, ma quello attirò subito l’attenzione dell’ospite, tanto per la sua semplicità quanto per… Bhè, tutto.
Al contrario del resto della casa, il cui arredamento e tappezzeria tendevano al rosso, al borgogna, al marrone, quella stanza era verde: verde erba le pareti, verde smeraldo i pesanti tendaggi simili ad arazzi appesi alle pareti, verde foresta l’unico vero arredo, un enorme e folto tappeto steso davanti al caminetto acceso, cosparso di cuscini dello stesso colore.
Mentre l’italiano osservava la stanza, il biondo recuperò un cartelletta di plastica da dietro la porta e glielo porse, imbarazzato.
Feliciano, il cui sorriso era tornato una volta superato lo shock, lo sentì allargarsi ulteriormente vedendo cosa conteneva: una risma di grandi e spessi fogli di carta-cotone, una scatola formato deluxe di acquerelli, dei pennelli di ottima qualità, e alcune altre cose necessarie al disegno.
-Dei Winsor & Newton! Sono anche meglio dei miei Venezia!- Chiocciò sorpreso il moro, esaminando la confezione con tutte le vaschette dei colori.
-Solo perché non ho talento non vuol dire che non sappia riconoscere la qualità.- Mise il broncio Arthur, ma si vedeva che in realtà era solo nervoso.
-Vuoi davvero che ti faccia un ritratto con questi acquerelli? Ma perché proprio io, ve?-
-Perché... è vero che non ci conosciamo bene e via dicendo, ma so di potermi fidare di te.-
-Fidare, ve? Per cosa?- Domandò Feliciano, piegando di nuovo di lato la testa. Chissà se si rendeva conto di comportarsi come un cucciolo curioso.
Arthur rimase in silenzio un altro poco, poi con voce all’improvviso risoluta disse: -Facciamo così: io ti faccio vedere una cosa, e starà a te decidere se accettare o meno, ve bene?-
-Ve bene, ve.- Annuì Feliciano, sempre più curioso, tanto che gli prudevano le dita.
-Bene- Ripeté. -Qualunque cosa succeda, fidati di me, ok?-
Altro cenno d’assenso, ma prima che il moro potesse chiedergli spiegazioni, la figura di Arthur sembrò tremolare come un miraggio estivo, e i contorni che lo delineavano presero a fondersi, offuscandosi e dilatandosi.
E un attimo dopo, ritto sulle zampe davanti a Feliciano, c’era un leone.
Anche se all’epoca era ancora piccolo, si ricordava bene dei leoni che avevano abitato la sua terra, e non era difficile dire che quello era il leone più dannatamente grosso che avesse mai visto: era ben più lungo di tre metri e doveva pesare oltre 300 chili… E la sua spalla arrivava al petto di Feliciano!
La mentre del ragazzo era decisamente partita per la tangente, e per un attimo si perse in un loop, ma poi la parola “leone” cominciò a lampeggiare nella sua mente, e a Feliciano morì un urlo in gola, prendendo ad arretrare fino a che toccò la parete con la schiena, e lì si lasciò scivolare a terra, coprendosi gli occhi.
Ma il gigantesco felino non lo mangiò, anzi, gli strofinò il muso contro il petto, leccandogli le mani e la fronte con tenerezza. Lentamente, un dito per volta, Feliciano scostò le mani, e nella paura persistente si permise di ammirare quella creatura china su di lui: per un attimo lo aveva preso per un leone bianco, ma in realtà la sua pelliccia era tra il biondo cenere e il sabbia chiaro, corta e incredibilmente setosa al tatto, come scoprì quando gli accarezzò la spalla. La criniera, invece, imponente e maestosa, era di delicato color crema, e scoprì che non era affatto ruvida come lo era quella di un cavallo, ma era invece morbida e calda, con il folto pelo che sembrava arricciarsi intorno alle sue dita.
Gli occhi, poi… Non erano i primi occhi verdi che vedeva, anche quelli di Antonio lo erano, ma quelli… Quelli erano stupendi.
Sembravano nascondere nei loro recessi tutte le sfumature del verde, più di quante Feliciano, anche con il suo occhio da artista, potesse distinguerne: quei colori sembravano turbinare in profondità come correnti oceaniche, e al contempo emergere come alghe in fondo a un pozzo che si tendano verso la superficie dell’acqua.
Feliciano si chiese se fossero davvero la cosa più bella che avesse mai visto, ma lo stesso cercare di descriverli con parole così ristrette sarebbe stato ucciderli: la loro luce, la loro profondità, la loro… Sì, la loro coscienza, non si sarebbe fatta catturare da mere parole… Ma forse da un pennello sì.
-Vuoi che ti faccia un ritratto… Arthur?- Ripeté il giovane, esitando sul nome, ma il leone annuì con la fiera testa, dandogli un colpetto con il muso e porgendogli la spalla perché si rialzasse.
Che buffo, da leone sembrava avere un’aura diversa intorno a sé… Ora che era più calmo, si rese conto di come in realtà la sua figura non gli comunicasse nessun pericolo, nessun terrore, ma invece gli ispirasse rispetto e… Sì, un senso di tenero ma feroce amore.
-Sei sempre stato… Così?- Feliciano chiese, e il leone si prese un attimo, prima di dissentire col capo, con un sordo brontolio di gola.
-Non puoi parlare?- Fu la successiva domanda, e di nuovo Arthur fece cenno di no, quasi scusandosi con lo sguardo.
-Allora facciamo che tu ti stendi sul tappeto. Il verde fa un bel contrasto col crema.- Decise l’italiano, un po’ sorridendo, un po’ ridacchiando come suo solito, e il leone roteò gli occhi, come a chiedere al cielo cosa potesse fare con lui, ma ubbidì, e gli angoli della sua bocca si sollevarono all’insù in un sorriso leonino.
Da quel momento il tempo sembrò scorrere troppo veloce, rubando minuti e ore come nelle favole dei castelli incantati, tanto che quando finalmente Feliciano lasciò il pennello assieme agli altri in una delle ciotole dell’acqua che si era procurato e guardò l’orologio, scoprì che era tardi, molto tardi.
In effetti durante il suo lavoro aveva registrato come le luce proveniente dalla finestra si fosse affievolita, ma il suo unico pensiero era stato assecondare quel cambiamento, mantenendo fissa come fonte di luce il fuoco nel caminetto.
Feliciano sospirò, semisdraiato sulla sedia, e si stiracchiò al massimo della sua lunghezza mentre il leone ai suoi piedi sbadigliava esageratamente, il che portò l’italiano a chiedersi vagamente come facesse a non slogarsi la mascella.
Bisognava anche dire che in effetti posare era incredibilmente noioso. Alcuni pittori permettevano ai loro modelli di parlare, ma questo modello in particolare non era esattamente nelle condizioni di sostenere una conversazione, quindi Arthur aveva dovuto accontentarsi delle chiacchiere a senso unico di Feliciano, e dei suoi rimbrotti se cambiava di posizione, a sua detta scelta accuratamente per esaltare la nobiltà della sua figura.
Inutile dire che pur dopo svariate ore passate in una posizione amorfa, né sdraiato né seduto, con le testa leggermente girata di lato, Arthur aveva pensato a diversi possibili (amorali) usi della sua cosiddetta “nobiltà”. Ma come si dice, “noblesse oblige”, n’est pas?
Anche da umano, nei secoli passati, era stato costretto a posare, ma stavolta aveva una ragione per sopportare quella noia mortale. Il pensiero del suo sorriso era un motivo più che valido.
Feliciano riprese in mano la matita, ricalcando alcuni tratti con aria poco convinta, ma alla fine emise un gemito di disperazione, osservando con aria critica l’opera poggiata su una tavola di legno di traverso sulle sua gambe.
-Non ce la farò a finirlo, ve. Devo portarmelo a casa per fare i ritocchi con calma.-
Gli sguardi di entrambi si fissarono nuovamente sull’orologio appeso alla parete.
-E devo anche tornare in hotel prima che Ludwig si preoccupi e venga a cercarmi.- L’italiano si alzò dalla sedia, raccogliendo tutto quanto nel sacchetto di plastica, seguito in ogni mossa dagli occhi verdi del leone, che si alzò pigramente in piedi per osservare da vicino il dipinto che il moro stava rivolgendo verso di lui.
Arthur lo osservò a lungo, sempre con quello scintillio malizioso nello sguardo, e poi annuì solenne, chiaramente soddisfatto del risultato.
-Sta venendo veramente bene, ve~.- Dichiarò Feliciano, rimasto incantato nell’ammirare il frutto del suo lavoro, e si riprese solo quando il leone spinse la testa contro la mano che teneva il foglio di carta-cotone, spingendo il disegno verso di lui.
La nazione del sud lo guardò un attimo stupefatto, poi comprese che il leone gli stava dicendo che, se gli piaceva così tanto, poteva tenerlo.
-No, no, non ti preoccupare! Te l’ho promesso, lo finisco a casa e te lo ridò!- Rise Feliciano, mettendosi sotto braccio la pila di fogli e dirigendosi verso la porta d’ingresso, accompagnato dal grosso felino.
-Se proprio vuoi ripagarmi, posa di nuovo per me!- Lo salutò il moretto mentre indossava il soprabito, prima di carezzarlo un’ultima volta tra le orecchie e chiudere la porta dietro di lui.
Seduto sui quarti posteriori, il leone rimase a fissare la porta per un po’, poi diede una risata simile a un latrato e un attimo dopo era di nuovo il biondo Arthur che tutti conoscevano.
Sempre ridacchiando, la nazione insulare si diresse verso la cucina, pensando che sarebbe stato bello se quando lui fosse tornato avesse trovato la cena pronta.




quasi dimenticavo... Sia i "Winsor & Newton" che i "Venezia" sono vere marche di acquerelli, non me li sono inventati. E riengo anche che la marca inglese sia migliore di quella italiana... ^^'
  
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