“Ci vorranno
un paio di giorni per tinteggiare il salotto” mi avverte Grace.
“Ok, non c’è
problema. Tanto Brian vuole rinchiudermi in studio per lavorare al nuovo album,
e credo tornerò a casa soltanto per dormire. Hai le chiavi, fai come se fossi a
casa tua.”
Sento il suo
sguardo addosso, mentre rovisto tra i miei appunti. “Come sta tuo padre?”
“Male. Molto
male. Però riesce a stupirmi, come al solito.”
“A…
stupirti?”
“Sai, è
buffo come vanno le cose, a volte. Credi di conoscere qualcuno, credi di sapere
ogni cosa, e invece quella persona riesce a sorprenderti. Pensavo di sapere
tutto di mio padre. Pensavo di conoscere ogni lato del suo carattere, e invece…
è ancora più straordinario di quanto pensassi.”
***
Humberto e
io siamo rinchiusi in studio dalle otto di questa mattina, e ancora non abbiamo
concluso nulla. Fare musica può sembrare facile, ma in realtà la mole di lavoro
che c’è dietro un album è immensa. Stiamo discutendo degli arrangiamenti da
effettuare per ‘My Soul’s Mirror’, quando Brian mi dà una pacca fraterna sulla
spalla, suggerendomi una pausa.
La mia pausa
consiste nel rileggere il testo de ‘La Voce Del Silenzio’, cercando di
memorizzare la pronuncia corretta di ogni parola. Ci tengo a fare bene il mio
lavoro, nonostante tutto. Brian mi raggiunge e si siede di fronte a me. Lo guardo
con sospetto al di sopra degli occhiali. Quando mi guarda così, di solito sta
per chiedermi un favore. Oppure sta per farmi una ramanzina. Non so quale
ipotesi sia la migliore.
“Josh,
ascolta…”
“Ti prego, Brian, non sgridarmi. Qualunque
cosa io abbia fatto, anche se non so di che si tratti, prometto che non lo farò
più.”
“Dio mio,
sono così tremendo?”
“A volte
anche peggio” borbotto, riportando gli occhi sul testo della canzone.
“Dai,
ascoltami” riprende, togliendomi di mano i fogli.
“Che c’è?”
chiedo, stanco. Non sono mai stato così stanco in vita mia.
“Beh, ecco…
io mi rendo conto di essere un pochino eccessivo, a volte…”
“Solo a
volte?”
“Dai, non scherzare.
Sto facendo un discorso serio. So di esagerare, a volte, ma spero sia chiaro
che lo faccio nel tuo interesse. Io lavoro per te, e tutto quello che faccio va
a tuo vantaggio.”
“Lo so,
Brian. E tu sai che apprezzo il tuo lavoro.”
“E io ti ringrazio.
Comunque, sono umano anch’io. Sono umano e, come te, anche io ho una famiglia. Più
o meno. Beh, quello che sto cercando di dire è che so cosa vuol dire trovarsi
davanti a cose come la malattia e… beh, la morte.”
Lo fisso
senza capire, ma lo lascio proseguire.
“Insomma, ho
perso mia madre, quindici anni fa, ed è stato tremendo. Quindi… insomma, ti
capisco, se in questo momento il lavoro è il tuo ultimo pensiero. Se… se non te
la senti di portare avanti il progetto adesso, possiamo far slittare tutto di
due, tre, sei mesi… finché le cose non andranno meglio.”
Non sono
sicuro che questa conversazione stia davvero
avendo luogo.
“Brian
Avnet, tu mi stai dicendo che saresti disposto a ritardare di sei mesi l’uscita
di un disco praticamente già venduto? Il tutto perché mio padre sta male?”
Sorride. “Te
l’ho detto, sono umano anch’io. E comunque i pezzi grossi sono d’accordo. Nel caso,
mi preoccuperei più delle tue fan. Potrebbero organizzare una rivolta. Ma ripeto,
la tua famiglia e la tua serenità vengono prima di tutto.”
Abbasso gli
occhi sul tavolo, riflettendo su ciò che Brian mi sta proponendo. Continuare a
lavorare, oppure prendermi una pausa, aspettando che il destino di mio padre si
compia.
Riporto gli
occhi su Brian, sorridendo. In quel momento anche lui si rende conto che la
scelta possibile è solamente una.