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Autore: Mirya    14/09/2010    55 recensioni
Alla fine lo aveva saputo con certezza: lei lo era davvero, un diamante cristallizzato dal carbone. Ma per fortuna di Sirius, era un diamante nero, Black, come lui. E magari lui era la pressione che l’aveva fatta cristallizzare, con tutto il chiasso che le aveva riversato addosso, e allora poteva vantare una certa partecipazione in quel processo naturale e prevedibile, o semplicemente rifulgere di luce riflessa e pretendere un po’ di quella pregevolezza e perfezione anche per sé.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sirius Black
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
- Questa storia fa parte della serie 'Succo di zucca' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Introduzione

 

La storia è nata per il concorso Picta! Fanfictions 2010, che richiedeva una narrazione lunga non più di diecimila parole; per pura ossessività, ho voluto scriverla di diecimila esatte. Certo, Word considera due vocaboli separati da un apostrofo come uno solo, ma nemmeno io sono così maniacale da mettermi a contarli uno per uno. O perlomeno non lo sono ancora.

 

La narrazione inizia ai tempi dei Malandrini, e segue la vita di Sirius Black.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CHIASSO

 

 

 

 

La prima volta che la vide fu il giorno in cui apprese della natura di Remus, perciò forse la associò, per sintesi o per antitesi, a quel guazzabuglio di oscurità che si contorceva fuori e dentro di lui.

Perché lui era un Black, ed era stato marchiato sin dalla nascita di un segno indelebile che sentiva bruciare sotto la pelle, quando tutto il resto del mondo dormiva e lui non poteva chiudere gli occhi, nel timore di svegliarsi in un incubo o nella realtà e ritrovarsi solo, come tutti i dannati membri della sua famiglia erano sempre stati per scelta e per ostentazione, e forse ancor più di loro, perché lui non aveva nemmeno più quell’identità di sangue da condividere con loro, perché lui aveva preso una strada che l’aveva reso un reietto ai loro occhi, ed in fondo, dietro le pupille, anche ai suoi. Perché lui se l’era poi costruita da solo, un’identità, una che non aveva niente a che fare col sangue ma che avrebbe potuto un giorno reclamare in pagamento il suo, una che lo aveva portato a non essere più un Black e a non essere più solo, una che gli aveva infine fatto scovare degli spiriti affini. E quando aveva imparato che uno di loro soggiaceva ad una crudele dannazione che lo stava distruggendo, fisicamente e mentalmente, allora era corso a perdifiato per uscire a sputare la sua collera contro al cielo, ed in quella folle rotta aveva travolto lei.

E poi lei aveva travolto lui.

- Maledetto imbecille! Non vi insegnano a guardare dove camminate, nella vostra Casa? O sei tu, che sei così pieno di te stesso da tenere sempre il naso troppo in alto per controllare dove metti i piedi? Guarda che disastro…

Libri, quaderni, fogli su fogli di appunti vergati con una calligrafia minuscola e fitta erano disseminati in terra, senza alcun ordine, mentre, a giudicare dalla numerazione scritta a mano in un angolo di ogni pagina sciolta, dovevano averne prima seguito uno estremamente metodico.

Senza che ne comprendesse davvero il motivo, Sirius sentì l’ira sgonfiarsi dentro di lui, mentre osservava divertito quella ragazzina piccola e ossuta china a terra a trafficare agitata e a borbottare ipotesi di oscuri malefici nei suoi confronti. Naturalmente, non gli venne nemmeno in mente di aiutarla a raccogliere ciò che le aveva fatto cadere. Prima di tutto perché era uso a negare qualunque colpa e qualunque coinvolgimento in situazioni disdicevoli sin da quando era arrivato ad Hogwarts, stringendo amicizia con quel trio con cui aveva collezionato talmente tante infrazioni da mettere a dura prova la fantasia degli insegnanti nell’infliggere punizioni; e poi perché probabilmente, se le avesse dato una mano, quel cipiglio così buffo e incollerito che spiccava sul volto di lei avrebbe smesso di rallegrarlo tanto da fugare per un istante le ombre della sua angoscia. Così si limitò a contemplarla curioso e per una volta sereno, le mani in tasca e l’espressione scanzonata che aveva già fatto sospirare più di una fanciulla.

Ma gli unici sospiri emessi dalla fanciulla china al suolo erano rivolti alle sue sudate carte, che tentava di riassemblare con una cura ed una diligenza tale da fargli senz’ombra di dubbio indovinare la sua Casa di smistamento.

- Corvonero?

Lei non alzò nemmeno lo sguardo, limitandosi a sibilare:

- Considerando che abbiamo in comune più di una lezione da almeno un anno, la tua domanda è davvero indice di un’acuta capacità di osservazione.

Sirius aggrottò le sopracciglia, perplesso. Non ricordava di averla mai notata, ma era pur vero che secondo la sua filosofia spiccia erano le ragazze, quelle a cui spettava l’incombenza di farsi notare da lui, qualora lo desiderassero; inoltre quella giovane non aveva propriamente un aspetto appariscente: ricci scuri raccolti frettolosamente, fronte alta sul naso dritto, semplicità e sobrietà in tutto, dal modo compunto di portare la divisa ai risibili accessori, consistenti solo in una piuma infilata nella chioma e un cordino di cuoio legato al polso. Magari, sotto quell’aria da passerotto in procinto di spiccare il volo, si nascondeva anche una ragazza niente male, ma di sicuro sarebbe stato necessario scavare a fondo, per tirarla fuori. Non che lui avesse la voglia o il tempo o il bisogno di mettersi a scavare, se non si contavano le molte volte in cui si era messo nei pasticci sin quasi a scavarsi la fossa da solo, rischiando di risparmiare quell’onere al suo premuroso ramo genealogico.

- E tu invece mi hai osservato molto? – chiese, sfoggiando la sua migliore faccia da schiaffi.

Il fremito di nervoso quasi impercettibile che le scosse le spalle lo fece per un istante temere che forse, quella volta, la sua faccia avrebbe in effetti potuto attirare proprio degli schiaffi.

- Proprio per niente – rispose invece con sdegnoso disinteresse lei - Ma chi non ti conosce, Black?

- Perché sono così affascinante? – domandò vanesio e irriverente.

- Perché sei così chiassoso – rispose infine la Corvonero, alzando verso di lui due iridi chiarissime ed un poco sprezzanti.

Sirius rimase così stupito da quell’affermazione da aprire e chiudere la bocca un paio di volte, prima di ritrovare la loquela. L’avevano chiamato in molti modi, la maggior parte dei quali decisamente poco garbati e certamente molto fantasiosi, ma ‘chiassoso’ mai.

- Chiassoso? – sbottò infatti.

Lei gli mantenne fermo addosso quello sguardo d’un azzurro quasi finto, limpido come la sofferenza, solcato da pagliuzze iridescenti. Aveva occhi grandi ed intensi, del colore dei torrenti montani, pensò Sirius, accogliendo questa muta osservazione con disappunto: non era da lui far caso agli occhi di una donna, a meno che questa non avesse incomprensibilmente deciso di cavarseli dalle orbite e ficcarseli tra le tette.

- Chiassoso, per l’appunto. Tu e i tuoi amici siete sempre in giro a bighellonare o a combinare guai, e non che mi interessi, ma sarebbe davvero molto, molto carino se poteste farlo in silenzio. E invece fate continuamente un gran chiasso, quando uscite di nascosto, quando fate scoppiare qualche calderone, quando venite a gironzolare in biblioteca fingendo di saper leggere, quando ve la prendete con un povero malcapitato, persino quando… quando fate la corte a qualcuna, ecco.

Sirius non riuscì a non scoppiare a ridere, all’espressione ‘fare la corte a qualcuna’, che gli suonava così antiquata ed inappropriata a ciò che in effetti faceva lui, e lei assunse un’espressione ancora più ostile.

- Questo ti diverte? Guarda che non siamo tutti qui per scherzare, sai? C’è anche gente seriamente interessata a studiare, e di tutte le ore che abbiamo insieme le uniche che sono riuscita a seguire con tranquillità sono quelle in cui per fortuna tu eri in punizione!

- Perché sono chiassoso… - ripeté sorridendo lui.

Quella ragazza lo faceva davvero sentire ilare come gli era capitato raramente di sentirsi e come non credeva avrebbe di certo potuto sentirsi in quel momento. E d’improvviso, colto dalla strana sensazione della sua mascella tirata in uno dei rarissimi sorrisi sinceri di tutta la sua esistenza, si rese conto dell’assenza di qualcosa, dentro di lui: quel tormento sottile che lo accompagnava continuamente, quel senso di estraneità, quel silenzio opprimente che cercava sempre di riempire di rumori per non sentirsene spaventato. Che cercava di riempire di chiasso. Fece un passo indietro, quasi spaventato da quella folgorazione. Era vero, era chiassoso. E lo era per non ascoltare i sussurri che gli corrodevano il petto come soffi d’acido, quando tutto taceva e non c’era più niente e nessuno a distrarlo da se stesso. Lo era per schiacciare sotto il frastuono più alto che riuscisse a creare quella voce che gli diceva che lui non avrebbe mai avuto una vera famiglia, perché aveva rinnegato la sua e perché quella che stava cercando di costruirsi ora era solo un castello di carta che sarebbe caduto al primo sbuffo di vento dell’età adulta. I suoi amici si sarebbero fatti una vita, si sarebbero fatti la loro, di famiglia – e a giudicare dall’ostinazione con cui James tallonava Lily Evans e dall’ostinazione ancora maggiore con cui lei lo rifiutava, probabilmente questo sarebbe avvenuto presto, per il suo migliore amico –, e avrebbero allora iniziato a considerarlo solo un pesante incomodo ossessivo ed asfissiante, e lui sarebbe stato di nuovo solo. Perché lui non sarebbe mai stato in grado di costruirli, rapporti familiari maturi e ortodossi, perché lui riusciva a creare dei legami solo così, in mezzo al chiasso. Perché il silenzio era uno specchio che gli rifletteva l’immagine di qualcuno che nessuno, vedendolo davvero, avrebbe mai voluto amare.

Si riscosse dai suoi pensieri quando nel suo campo visivo riapparve la ragazza, che si stava rialzando con le braccia piene delle scartoffie e dei tomi raccattati. I capelli erano sfuggiti dal fermaglio improvvisato con la piuma ed ora le ricadevano sulle spalle spettinati, vaporosi ed umidi di sudore per la piccola fatica appena intrapresa per colpa sua.

- Oh, per carità, smetti di chiedermi scusa, il tuo sincero pentimento mi sta davvero commuovendo – sbottò caustica.

- Come ti chiami? – le chiese, sorprendendo sia se stesso che lei.

- A che pro dirtelo, se te lo scorderesti tra un minuto?

- Perché ci sono molti nomi femminili nel mio carnet? – le domandò mellifluo, riproponendo il suo solito cliché da seduttore.

Lei roteò gli occhi con evidente insofferenza, poi gli voltò lesta le spalle, rispondendogli mentre già se ne andava:

- No. Perché non mi sembri uno in grado di trattenere un pensiero, un nome o un qualunque vocabolo nel cervello per più di pochi secondi.

E fu solo diverso tempo dopo che la schiena della ragazza fu scomparsa totalmente alla sua vista, svoltando un angolo, che Sirius si rese conto di essere rimasto fermo, solo, sorridente ed in silenzio fino ad allora, senza aver sentito la necessità di sbraitare, strepitare, inveire o fare alcun tipo di chiasso.

 

**********

 

La prima volta che lei gli fece calare le braghe fu il giorno in cui lui e gli altri Malandrini decisero di divenire Animagi per tenere compagnia a Remus durante le notti di luna piena, e rimanere in biancheria intima davanti a lei non fu piacevole come si era inspiegabilmente e troppo spesso immaginato.

Sirius aveva dato fondo a tutte le sue credenziali da bullo, per ottenere ragguagli su quella giovane dalla risposta pronta, ed era riuscito innanzitutto a scoprire la sua identità. Buffo che lei si chiamasse Felis, che gli avevano detto significava ‘gatto’, in latino, e che traesse il nome da una costellazione obsoleta, che aveva appunto secondo il suo scopritore la forma di un gatto, mentre lui, Sirius, prendeva il suo da una costellazione a forma di cane. Cane e gatto. Perfetto. Sarebbe stato davvero comico se di cognome avesse fatto White, invece faceva Coke, che Sirius aveva imparato significare anche una bibita, nel mondo Babbano da cui lei proveniva – e per un istante, aveva persino immaginato come sarebbe stato bersela, quella Corvonero, ritrovandosi perplesso a leccarsi le labbra -, ma che per lui indicava semplicemente il carbone dei suoi capelli. Nero, come il Black che era lui. Opposti in qualcosa, uguali in qualcos’altro. E chissà, si era persino chiesto, se un giorno quel carbone, sepolto sotto tutti quei libri e sotto la pressione del silenzio in cui lei li leggeva, si sarebbe trasformato in diamante. Certo, avrebbe di nuovo dovuto avere la voglia di mettersi a scavare, per scoprirlo, e aveva già ampiamente convenuto con se stesso che questa non era proprio un’occupazione in cui valesse la pena indulgere. D’altronde, ancora una volta, non era da lui far caso a qualunque diamante si nascondesse in una donna, a meno che questa non avesse incomprensibilmente deciso di infilarselo in mezzo alle gambe.

Poi, sicuramente per ammazzare la noia, Sirius aveva iniziato a fare ulteriori ricerche – la maggior parte delle quali erano passate sul corpo di qualche Corvonero del primo anno –, e aveva accumulato una serie di informazioni di cui, in realtà, non sapeva bene cosa fare: che le piaceva mangiare il pane col burro e lo zucchero; che apprezzava la pioggia lieve ma aveva paura dei temporali violenti; che quando non era in biblioteca era in camera sua, a studiare seduta per terra e con la schiena appoggiata al letto; che amava, neanche a dirlo, soprattutto i luoghi silenziosi. E poi molti altri particolari che invece aveva ottenuto osservandola, senza nemmeno rendersene conto: il modo in cui continuava a farsi e disfarsi quel concio disastroso con la piuma, quando non riusciva a venire a capo di una pagina; le macchie di inchiostro che spesso si accumulavano sui suoi polpastrelli e che Felis non si prendeva nemmeno la briga di ripulire; il gonfiore sempre stropicciato del suo mantello, in cui lei continuava a stipare oggetti magici e pergamene di ogni tipo; e infine il fatto che sembrava quasi che fosse il silenzio stesso a circondarla docile ed ubbidiente, come se gli alunni, i fantasmi e persino i muri della scuola tacessero al suo passaggio, per permetterle di continuare a ripassare mentalmente anche mentre camminava. Ed una cosa che l’aveva davvero stupito era constatare come quel silenzio che l’abbracciava non avesse nulla, dell’oppressione e della tenebra che invece soffocavano lui. Perciò si era ritrovato spesso a cercare affamato l’aura di afonia che lei emanava, che spegneva in lui il bisogno di chiasso e gli concedeva preziosi attimi di tregua, prima che il buco nero della sua vita tornasse a risucchiarlo. Perciò le era stato appiccicato per settimane, tempestandola di scherzi idioti e frecciatine tormentose, e godendo come un ebete dell’indignazione che lei cercava invano di mascherare con l’indifferenza. Felis non gli aveva mai più parlato, da quel loro primo scontro, sebbene lui avesse profuso tutte le sue più malefiche energie nell’intento di strapparle una rispostaccia; non che lui l’avesse vista parlare spesso con qualcun altro, in effetti. Di tutte le volte in cui l’aveva spiata o fatta spiare, quella in cui Felis aveva usato più parole era stata la prima volta in cui si era scontrata con lui. Lei era silenziosa almeno quanto lui era chiassoso.

Fino a quel giorno, in cui forse avrebbe dovuto intuire che ciò che stava per fare era un tantino azzardato, ma era euforico per il piano escogitato con i suoi amici e aveva sentito la voglia inaspettata di condividere quell’entusiasmo con lei. A modo suo, ovviamente.

- Ehi, Coke – le urlò scorgendola in un corridoio, in mezzo a molti alunni -, tra un po’ ci sarà l’uscita ad Hogsmeade. Tu con chi vieni, col libro di Aritmanzia?

Una risata corale seguì quella battutaccia, ma lei non diede nemmeno l’impressione di averlo sentito, e continuò a camminare dritta verso di lui.

- Sul serio, Coke: non credi sia il momento di mostrare le mutande a qualcuno?

Ma non fece in tempo a sfoderare la bacchetta per denudarla, come era nelle sue intenzioni fare per imbarazzarla – e forse anche per un altro motivo che aveva molto meno a che fare con la sua mente dispettosa e molto più coi suoi lombi -, che lei compì un movimento col polso e lui scorse l’arma magica della ragazza spuntare appena dallo strano braccialetto di corda che vi era legato. Avvezzo a fare tempestivamente il punto delle situazioni più inattese, comprese subito che lei doveva avere imparato a lanciare incantesimi in quel modo, con la punta della bacchetta fissata al suo avambraccio che le sfiorava appena il palmo, in modo da non dover nemmeno perdere tempo ad estrarre. Ebbe giusto il tempo di ammirarne l’abilità e l’inventiva – una Corvonero che rendeva davvero onore alla sua Casa -, prima che lei lo colpisse.

- Expelliarmus – pronunciò serafica.

E lui si ritrovò a terra.

- Evanesco – continuò con voce sempre più soave.

E lui si ritrovò senza pantaloni.

- Eccoti esaudito, Black – commentò placida, superandolo senza guardarlo – Contento tu… Anche se dubito ci sia ancora qualcuna in tutta Hogwarts che non abbia visto le tue mutande.

Lui stava ancora cercando di riprendersi dallo stordimento provocatogli dall’Incantesimo di Disarmo quando, tra le risate generali, lei gli comunicò, prima di sparire dalla sua vista:

- Io ad Hogsmeade ci vado col mio ragazzo. Tu con quale dei tuoi tre ragazzi ci vai?

E nemmeno tutto il chiasso che gli altri studenti facevano intorno a lui bastò a fugare il malessere che lo invase all’idea che lei avesse un ragazzo.

 

**********

 

La prima volta che la baciò fu il giorno in cui riuscì finalmente a trasformarsi in un animale, e ci riuscì grazie a lei.

Erano anni che si allenavano, e James era infine riuscito a divenire un cervo, ma lui non aveva ancora conseguito alcun risultato, fino a quel pomeriggio in cui, dopo averla come al solito infastidita in biblioteca, sedendosi al suo fianco, soffiandole nelle orecchie e tirandole in continuazione piccole palline di carta nei capelli, la vide far su le sue cose, alzarsi dal tavolo e andare sorridente incontro al suo ragazzo, che l’attendeva sull’uscio. Distolse velocemente e sgradevolmente lo sguardo, e scorrendolo sul posto che lei aveva occupato, scorse un libro apparentemente dimenticato. Pensò di prenderlo e usarlo come strumento di ricatto, poiché era chiaro, che a lei interessassero più i libri delle persone – forse perché i libri erano silenziosi e non chiassosi -, ma gli bastò guardare la copertina, per capire che quel volume era stato lasciato lì intenzionalmente, e la pergamena che vi trovò dentro, con riferimenti alle pagine giuste e annotazioni esplicative, gli confermò che lei lo aveva trovato appositamente per lui. E il sorriso che gli illuminò il volto, al pensiero che forse c’era una persona che le interessava più dei libri – una persona chiassosa che le interessava più dei libri silenziosi -, era così genuino e perciò così innaturale in lui – che lo sfoggiava per la seconda volta da quando la conosceva – che diversi alunni si allontanarono in fretta dalla biblioteca, allarmati.

Si rifugiò in camera sua, chiudendola con un Colloportus per assicurarsi che non entrassero i suoi compagni di stanza, e lesse famelico quelle righe e quegli appunti che gli chiarirono finalmente come trasformarsi. Non seppe mai spiegarsi perché non avesse coinvolto anche i suoi amici, in quell’ulteriore tentativo: forse temeva che lei gli avesse giocato uno scherzo, e che seguendo le indicazioni di quel tomo gli sarebbero comparse orrende pustole sul viso, o forse, molto più probabilmente, voleva solo tenersi per sé quel piccolo segreto che, nella sua testa, lo legava a lei. Ad ogni modo riuscì finalmente nello scopo, e guardandosi allo specchio dopo quella difficoltosa e sfibrante prima metamorfosi scoprì con un terzo vero sorriso, interiore questa volta, che l’animale in cui si era trasformato era, ovviamente, un grosso cane nero. Cane e gatto, ancora una volta. Per questo la prima persona a cui pensò di dirlo fu lei. Per questo, e per gratitudine. Non per altro.

Ma forse non fu per quello e nemmeno per gratitudine che, trovandola dopo lunga ricerca nel parco, intenta a studiare sotto un albero, l’afferrò per le spalle, la trasse in piedi e la baciò. Lei serrò forte le labbra e lo spinse via.

- Ma sei scemo? No, non rispondermi, era una domanda retorica. È ovvio che sei scemo.

- Ce l’ho fatta!

Ebbro di gioia, Sirius fu comunque abbastanza lucido da distinguere il lampo di comprensione e di orgoglio che passò negli occhi della ragazza.

- Non so di cosa stai parlando – mentì -, perché, se lo sapessi, e questo fosse qualcosa di chiassoso ed irregolare, come tutto ciò che ti riguarda, potrei essere accusata di complicità.

Lui non si sentì minimamente smontato dall’apparente mancanza di entusiasmo di Felis, di cui si era perfettamente immaginato la reazione. Aveva passato troppo tempo ad osservarla, per non indovinarne ogni emozione prima ancora che lei sapesse di provarla.

- Come lo sapevi? – le chiese invece, dal momento che il progetto dei Malandrini era un segreto per chiunque.

- Io ti vedo – rispose lei, con una sincerità che disarmò Sirius come neppure la più astuta delle panzane avrebbe fatto, una sincerità semplice e totale di cui lei non parve affatto imbarazzata, benché comportasse un’ammissione di coinvolgimento nei suoi confronti, una sincerità davanti alla quale Sirius poteva solo restare in silenzio.

Senza tuttavia sentirsene sopraffatto. Non quanto era sopraffatto da quella sincerità, perlomeno.

- Merlino, Black – riprese Felis esasperata -, ma si può essere più tonti? No, non rispondermi, anche questa era una domanda retorica. Supponiamo che un certo stupido e borioso ragazzo abbia passato anni a sedersi di fianco ad una certa brillante e paziente ragazza ad ogni lezione e ad ogni ora che lei trascorreva in biblioteca. Supponiamo poi che lui in questi ultimi mesi abbia consultato sempre lo stesso tipo di libri, riguardanti un certo argomento in particolare, e che, essendo stupido e borioso, non si sia premunito di nascondersi mentre lo faceva, benché quell’argomento comportasse qualcosa di proibito. Sempre proseguendo con le supposizioni, sarebbe ovvio che la ragazza, essendo appunto brillante e paziente, abbia capito cosa lui stava cercando di fare, probabilmente con quei bislacchi dei suoi compagni di bravate, e abbia intuito, dopo tutto questo tempo, che non sarebbe arrivato da nessuna parte, senza un aiuto, perché lui è…

- Stupido e borioso, l’hai già detto – sorrise Sirius.

- E non dimenticare chiassoso – sorrise anche lei.

Lui la guardò intensamente, pensando che anche lei doveva aver passato parecchio tempo ad osservarlo e forse allora anche lei poteva indovinare ogni sua emozione prima ancora che lui sapesse di provarla. Come in quel momento, in cui stava alzando una mano verso la guancia di Felis, senza nemmeno accorgersi di cosa stava facendo, per poi attorcigliarsi un suo boccolo ribelle attorno al dito. Lei aveva capelli selvaggi ed indomiti, che le allacciavano il collo, si attardavano sulla schiena, scivolavano davanti agli occhi, si infilavano nel colletto, si insinuavano ovunque, appena potevano sfuggire dalla stretta coercitiva di quella piuma che, forse, era stata messa lì solo per assicurare a quella chioma viva come un cielo notturno che prima o poi sarebbe stata libera di volarci, in quel cielo, col passerotto a cui apparteneva. Qualcosa si inquietò, dentro Sirius, rilevando che non era da lui far caso ai capelli di una donna, a meno che questa non avesse incomprensibilmente deciso di strapparseli per ricamarci ad uncinetto un perizoma da stringere tra le chiappe.

- Perché mi hai aiutato? – le chiese, cercando di non soffermarsi troppo sull’immagine delle sue chiappe.

- Non ce l’avresti mai fatta da solo – replicò tranquillamente Felis.

- E perché la cosa dovrebbe riguardarti?

- Perché credo che la dedizione vada premiata, e non ti ho mai visto così impegnato in qualcosa da quando ti conosco.

- In realtà – le sussurrò lui sulle labbra – mi hai visto altrettanto impegnato almeno in un’altra cosa…

Lei spalancò gli occhi, mentre lui la spingeva indietro, appoggiandola al tronco. Le avvicinò la bocca all’orecchio e le sussurrò come ulteriore dimostrazione di impegno tutto ciò che sapeva di lei, dal pane col burro e zucchero al suo mantello stracolmo, ma non disse nulla del suo silenzio, perché non voleva guastarlo col chiasso delle sue parole. Il messaggio comunque era chiaro.

Anche lui la vedeva.

- Non vuoi premiare anche questa mia altra dedizione? – le domandò infine, presagendo le obiezioni che lei avrebbe mosso e pronto a demolirle.

- Io sto con…

- No.

- Tu stai con…

- No.

Felis chiuse gli occhi e sospirò.

- E allora no.

- E allora sì – concluse lui, vittorioso.

E questa volta lei rispose silenziosamente e appassionatamente alle labbra di Sirius, che pretendevano tutti i premi arretrati per quei lunghi mesi di antipatico, improbabile e chiassoso corteggiamento.

 

**********

 

La prima volta che fecero l’amore fu la notte in cui comparve la prima luna piena da quando erano divenuti Animagi, e i Malandrini uscirono per accompagnare Remus alla Stamberga Strillante.

Sirius rientrò alle prime luci dell’alba, più in fretta degli altri, in cerca di lei, senza sapere bene perché. Sapeva solo che quella notte l’aveva squarciato interiormente, e che non c’era nessuno con cui potesse in quel momento lasciare uscire il chiasso che non riusciva più a tenere dentro, tranne lei.

Temeva che avrebbe dovuto attendere il risveglio della scuola, per vederla, certo di non riuscire a risolvere, soprattutto nello stato in cui versava, uno di quei grattacapi che mettevano alla prova chiunque volesse entrare al dormitorio di Corvonero e che l’avevano sempre fatto desistere dal farle gradite o sgradite sorprese, temeva che in ogni caso non avrebbe potuto entrare in camera sua, dove riposavano anche le sue compagne, dal momento che la loro storia era ignota al resto degli studenti.

Da quel loro primo bacio se ne erano susseguiti molti altri, e presto i baci erano divenuti carezze tremanti, azzardi impauriti, scoperte reciproche, risvegli di carne e sospiri che si erano consumati in angoli appartati, sgabuzzini polverosi, aule in disuso. Lei aveva lasciato il suo ragazzo, con delicatezza – anche troppa, secondo Sirius, che l’aveva osservata con fastidio abbracciarlo gentilmente -, lui aveva smesso le sue frequentazioni senza una parola di spiegazione. Nemmeno ai Malandrini. Senza che si fossero messi d’accordo, avevano entrambi taciuto al mondo e forse anche a loro stessi la natura della loro nuova relazione, limitandosi a definirla con i gesti piuttosto che con i vocaboli, tracciandone i confini come percorsi di bocca e di mano sui rispettivi corpi.

C’erano sempre state poche parole, tra di loro, e i loro abboccamenti si erano quasi sempre consumati in un silenzio, in cui l’unica forma di comunicazione era data dalla commistione dei loro respiri e del loro sudore. Si erano incontrati il più delle volte istintivamente, casualmente o causalmente, senza darsi davvero appuntamento, senza accordarsi con la voce, quando potevano farlo con gli occhi, ma adesso che stava rientrando snervato in un modo che non riteneva possibile, adesso che sentiva che quella notte l’aveva cambiato per sempre e non sapeva come sfogare ciò che provava, adesso che sapeva di avere bisogno di lei, si disperava all’idea di non riuscire a vederla sino all’indomani.

Ma Felis era là, ai piedi delle scale che portavano al dormitorio di Grifondoro, mezza nascosta nell’ombra, appoggiata alla parete, e si torturava le labbra coi denti e il mantello con le mani, nervosa e allerta, pronta a fuggire se qualcuno l’avesse trovata là dove non doveva stare. Eppure era proprio là che doveva stare, pensò Sirius stringendola al petto, pochi secondi dopo che lei gli si era lanciata addosso, per stritolarlo in quella morsa che esprimeva tutta la sua preoccupazione e il suo sollievo.

Era proprio là che doveva stare: tra le sue braccia.

- Come lo sapevi? – le chiese con voce rotta, per la seconda volta.

Perché lui non le aveva mai accennato al motivo per cui aveva imparato a trasformarsi e mai avrebbe potuto farlo: quello era un segreto dei Malandrini e tale doveva restare, per preservare Remus, certo, ma anche loro, che stavano agendo al di fuori della legge magica, e infine anche chi ne fosse venuto a conoscenza, che avrebbe potuto essere accusato di collusione, o ritrovarsi in pericolo, in caso di eccessiva curiosità. Eppure lei lo sapeva, se era lì ad attenderlo, e forse aveva anche come al solito indovinato ogni sua emozione prima ancora che lui sapesse di provarla.

- Io ti vedo – rispose lei, per la seconda volta.

E ancora la sincerità di Felis lo debellò definitivamente, spezzò gli argini che lui aveva imposto alle sue emozioni e lo costrinse a liberare tutto ciò che stava sentendo e a ricordare ciò che aveva cercato di accantonare in un angolino remoto del suo cervello. Aveva creduto di vivere una delle solite pazze ed esaltanti avventure dei Malandrini, mentre si intrufolavano nel passaggio sotto al Platano Picchiatore e si preparavano alla loro prima trasferta comune nel mondo degli animali, e per qualche minuto, mentre si guardavano tutti e quattro, il cervo, il cane, il topo e l’uomo, per qualche minuto era stato davvero così, e Sirius era stato davvero euforico e felice e parte di una famiglia. Ma poi Remus aveva iniziato la trasformazione, e mentre affondava il volto tra i capelli di Felis Sirius rivisse quei momenti terribili: lo strazio del corpo di Remus che mutava in modo così violento, il rumore delle ossa e dei nervi che si tendevano e contorcevano senza che il suo amico potesse controllarli in alcun modo, lo spegnersi della sua mente che pian piano scivolava nel buio della bestialità, la disperazione nel suo sguardo quando aveva compreso che l’istante dopo non sarebbe più stato in sé, e poi quella cosa che avevano di fronte, che non era più Remus, che era invece il peggior nemico di Remus, la sua prigione e la sua maledizione, la sua diversità che nessun incantesimo avrebbe potuto spezzare od eguagliare, una condanna da scontare per un crimine che non aveva potuto nemmeno compiere prima di essere morso da bambino. E infine le urla. Quelle urla di odio snaturato, di ferocia animalesca, di sete di violenza, spinta al punto da poter divenire autolesionismo, se loro non fossero riusciti a trattenerlo e distrarlo. Tutta una notte trascorsa a tenerlo il più possibile sotto controllo, ad impedire che devastasse se stesso e loro come devastava quella casa che da allora sarebbe stata creduta stregata, a salvarlo da quel fuoco che gli divampava nelle viscere e che era stato di sicuro acceso all’inferno. Un inferno che ora Sirius portava anche nel suo animo, e che avrebbe rivissuto ad ogni notte di luna piena, finché avesse avuto fiato in gola e sangue nelle vene, finché avesse potuto combattere per la sua famiglia, finché avesse potuto sopportare quel chiasso disumano che nulla aveva a che fare col suo modo di combattere il silenzio.

Non si accorse di averla stretta troppo, non si accorse di averla baciata rudemente, non si accorse di averle morso il collo finché riaprì gli occhi e la vide respirare a fatica nella sua stretta, la bocca gonfia e arrossata, un livido vicino alla spalla e gli occhi umidi, mentre tuttavia continuava ad accarezzargli la nuca senza lamentarsi per il trattamento a cui era stata sottoposta.

- Vuoi parlarne? – gli domandò dolcemente.

E Sirius comprese che lei sapeva anche questo, sapeva cos’era successo, probabilmente l’aveva saputo da sempre, come sarebbe andata, perché era più intelligente di lui, che si buttava nelle cose senza un minimo di riflessione, perché era una Corvonero, perché era Felis, perché era lei, e allora si era preparata a consolarlo e ad ascoltarlo e a rivestire di blandizie e rassicurazioni il suo cuore scarnificato.

- No – rispose con un sussurro d’implorazione – Non voglio parlare.

La guardò come non aveva mai fatto, o come non le aveva mai permesso di scorgere che lui la guardasse già da tempo, e lei capì cosa le stesse chiedendo e lui vide le sue pupille dilatarsi e il suo volto impallidire e poi avvampare, ma nessuna espressione mostrò la lotta interiore che lei forse stava combattendo, e di cui Sirius conobbe solamente l’esito, quando Felis si alzò in punta di piedi per baciarlo in segno di assenso.

In seguito, avrebbe ricordato per sempre quella folle corsa in cerca di una stanza vuota dentro cui chiudersi e dalla quale chiudere fuori il resto del mondo, la fretta selvaggia con cui l’aveva spogliata, il lampo di timore che era passato negli occhi di lei davanti a tutta quella foga, il modo in cui lui si era dovuto frenare, poggiandole la fronte tra i seni ed inspirando forte l’odore della sua pelle, l’attenzione con cui l’aveva deposta al suolo, sui loro mantelli stesi come un lenzuolo improvvisato, la lentezza con cui poi l’aveva esplorata, osservata, ascoltata, assaporata: un ricordo di lei a cancellare ogni ricordo di Remus, un’immagine di lei a coprire ogni immagine di quella notte, un gemito di lei ad attutire ogni grido di quell’esperienza, il gusto di lei a levargli dalla bocca il sapore acre della sofferenza.

Lei sapeva di burro e di zucchero, come il suo companatico preferito, e stavolta Sirius nemmeno provò a pensarlo, che non era da lui far caso al sapore di una donna, perché ormai si era rassegnato al fatto che nulla, di quello che pensava e provava e faceva e diceva con Felis, era da lui.

Lei non era da lui, con i suoi capelli spettinati, la sua finta banalità, la sua fragile minutezza, la sua pedante responsabilità, il suo sereno silenzio, e non solo e non tanto perché non era sicuramente il tipo di ragazza con cui lui si era sollazzato in passato, ma perché fu con autentica afflizione e una certa percentuale di umiliazione che Sirius comprese che lei era troppo per lui, ma che chissà come e chissà perché ora gli si stava concedendo. Alla fine lo aveva saputo con certezza: lei lo era davvero, un diamante cristallizzato dal carbone. Ma per fortuna di Sirius, era un diamante nero, Black, come lui. E magari lui era la pressione che l’aveva fatta cristallizzare, con tutto il chiasso che le aveva riversato addosso, e allora poteva vantare una certa partecipazione in quel processo naturale e prevedibile, o semplicemente rifulgere di luce riflessa e pretendere un po’ di quella pregevolezza e perfezione anche per sé.

Le ultime cose che lei si lasciò togliere, dopo essersi giudiziosamente fatta un incantesimo cautelativo al ventre, furono la bacchetta e quello strano cordoncino che teneva l’arma ancorata al suo avambraccio, e che fino a quel giorno le aveva sempre concesso la vittoria in ogni tenzone con tutti, facendole scagliare per prima ogni magia. Ma ora voleva essere lui, a vincere, ora che in seguito a quella notte si sentiva un perdente, come mai gli era capitato, ma che lì, su di lei, si sentiva un vincente, come mai gli era capitato, e lei glielo concesse con un mugugno di resa e disappunto, facendogli intendere che mai nessuno prima d’allora le aveva levato quel bracciale.

E poi la vide, finalmente e totalmente nuda e disarmata sotto di lui, come forse l’aveva desiderata avere sin dal primo istante, e quella visione e quella consapevolezza gli fecero quasi friggere il cervello e lo stomaco.

- Sono il primo? – ebbe la coscienza di informarsi, mentre le allargava le ginocchia.

Lei scosse il capo in senso negativo e lui fremette di collera, al pensiero che qualcuno l’avesse già avuta, e di sollievo insieme, al pensiero che non le avrebbe fatto alcun male.

Poi fremette solo di lei, mentre la prendeva più in profondità di quanto il suo corpo potesse arrivare e la scuoteva come nessuna spinta avrebbe mai fatto e si univa a lei molto più indissolubilmente delle loro membra aggrovigliate. E in ognuna delle oscillazioni che li videro intrecciati, in ognuno degli amplessi che li accompagnarono sino al sorgere del sole, Sirius purificò non solo quella notte ma tutta la sua vita, mentre lei gli lavava via da ogni punto della pelle che riusciva a toccare e leccare il peccato di essere quello che era. Quello che, da allora, non sarebbe stato mai più.

Quando, riscattato e rinato, si abbandonò sul suo petto, lei gli prese una mano e se la portò all’altezza del cuore.

- Sei il primo, qui – gli bisbigliò con quella sincerità a cui lui non si sarebbe mai abituato.

E Sirius si addormentò sorridendo, nonostante il silenzio.

 

**********

 

La prima e ultima volta che litigarono fu il giorno in cui lasciarono Hogwarts, dopo aver dato gli ultimi esami.

Non che non avessero animatamente discusso anche in precedenza, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto di quella loro improbabile eppure diuturna storia, ma solo perché quella era sempre stata la maniera in cui avevano costruito il loro rapporto, fatto di schermaglie sorrise, battibecchi sfidati, scaramucce intime. E tanti, tanti modi chiassosi e silenziosi di fare la pace.

Ma mai, mai si erano spinti al punto da litigare davvero, forse perché sapevano entrambi che il loro equilibrio era qualcosa di delicato ed etereo, come tutte le cose davvero importanti della vita, e che avrebbe potuto non resistere ad un assalto diretto. E che avrebbe potuto non resistere alla realtà che stava andando loro incontro come un tornado di proporzioni devastanti.

- Così è questo, ciò che hai da offrirmi? – gli chiese con le palpebre sbarrate.

Sirius ci aveva messo giorni, per trovare il coraggio di proporglielo, e si era aspettato un’accoglienza calorosa, un’accettazione immediata, magari anche un po’ di sesso bollente per festeggiare. Non quello sguardo allucinato e quella domanda posta in modo angosciato, che gli fecero temere per un attimo che lei volesse schiantarlo. Invece Felis chiuse gli occhi, e a lui parve di vederla vibrare come scossa da qualcosa di insopportabile, prima che li riaprisse e riacquisisse una compostezza rigida e glaciale che lo spaventò più di qualunque bacchetta.

- In questo caso ti ringrazio, ma declino la tua offerta – aggiunse lei con una voce che non aveva quasi nulla di umano.

- Non capisco, perché non vuoi venire a vivere da me?

Sul volto di Felis spuntò un mezzo sorriso che lui giudicò la cosa meno allegra che avesse mai visto in vita sua.

- Da me. Non con me. Perché non potrei mai vivere con te, vero?

- E che differenza c’è? – domandò con una voce acuta dal riverbero stranito e sciocco.

Perché la sua incomprensione saliva di pari passo con la pena che le vedeva dipingersi sul viso, e di cui intuiva essere la causa senza capirne il motivo.

- La differenza che c’è tra avere una relazione e vedersi di nascosto dal resto del mondo.

- Ne abbiamo già parlato, lo sai che sto solo cercando di proteggerti da quelle che potrebbero essere le vendette della mia famiglia, e ora poi che entrerò definitivamente nell’Ordine della Fenice…

Se qualcuno nella sua affettuosa dinastia, che già probabilmente intesseva fitte trame per annientarlo, avesse scoperto quel suo punto debole femminile, non avrebbe esitato ad usarlo contro di lui, soprattutto perché Felis era di origini Babbane.

- Ordine in cui non vuoi che entri anch’io.

- Perché non voglio che rischi la tua vita!

- Svegliati, Sirius, sono nata Babbana, se Voldemort dovesse avere la meglio non ce l’avrò nemmeno più, una vita! No, tu non vuoi solo che io condivida la tua, di vita, e in fondo una parte di me l’ha sempre saputo, fin da quando sono scesa a patti con me stessa, rispondendo al tuo primo bacio.

Aveva affrontato ogni genere di violazione del codice scolastico, di scontro con la sua famiglia, di pozione e di incantesimo usati con poca cautela, ogni genere di pericolo insomma, ma per la prima volta nella sua vita Sirius ebbe davvero paura, per quelle parole che avevano insinuato in lui un dubbio atroce.

- Stai dicendo che ne sei pentita? Che rimpiangi quello che c’è stato?

Quel sospetto lo stava facendo a pezzi dall’interno, tuttavia proferì quell’interrogativo con una calma magistralmente simulata, perché anche dopo tutte le volte in cui lei l’aveva accolto tra le sue braccia, sciogliendogli via la pena e lo sconforto, anche dopo tutte le volte in cui lei l’aveva compreso e prevenuto senza nemmeno bisogno di porgli domande, anche dopo tutte le volte in cui lei gli aveva dimostrato in mille modi quanto lo amava, benché non se lo fossero mai detti, anche dopo tutto questo non era ancora pronto a mostrarle la stessa spaventosa sincerità che lei aveva sempre usato con lui.

Felis lo guardò come se stesse pensando proprio questo, e scelse di non rispondergli, mormorando invece, con amarezza, la sua ultima recriminazione:

- Non hai nemmeno detto di noi ai tuoi amici, in tutto questo tempo. Forse nemmeno con loro, sei in grado di condividere la tua vita.

Sirius chiuse la bocca, preso in contropiede. Come poteva dirle che non ne aveva parlato coi Malandrini solo per custodire dentro di sé quell’unico assaggio di vera felicità che aveva avuto da quando era nato, quell’unico, piccolo e grandissimo frammento soltanto bello e soltanto suo di tutta la sua esistenza?

- E ora te ne esci con questa storia del venire a vivere nella casa che ti ha lasciato tuo nonno. E come lo spiegheresti agli altri?

- Non c’è bisogno che lo sappiano – ribatté, con l’ovvietà degli stolti - Possiamo farti uscire di nascosto se qualcuno viene a trovarmi o inventare una scusa per…

Comprese di stare dicendo la cosa sbagliata quando la vide indietreggiare con le mani sul ventre, come se avesse ricevuto un pugno in pieno stomaco, mentre gli occhi le si inumidivano. Non che fino ad allora gli fosse sembrato di aver detto alcunché di giusto.

- Capisco – mormorò atona – Non vado bene come tua ragazza o come tua compagna in battaglia, ma vado benissimo per scaldarti il letto. È questo che sono stata, sino ad oggi? Una scopata come le altre?

Non seppe mai se le parole che pronunciò dopo fossero state generate dalla rabbia che gli causava il fatto che lei potesse pensare questo, dal terrore di perderla che lo stava agguantando o, semplicemente, dalla sua stupidità.

- Mi sembra che tu sia stata perlomeno molte scopate, non credi?

Un secondo dopo avrebbe voluto rimangiarsi tutto, inginocchiarsi al suo cospetto e dichiararle tutti i sentimenti che non era mai riuscito a dirle esplicitamente. Ma era un secondo troppo tardi.

Perché lei era già uscita da quella stanza, lanciandogli un Petrificus Totalus perché non potesse seguirla, e lui conosceva bene lo sguardo che gli aveva rivolto prima di andarsene, perché l’aveva visto mille volte, sui volti dei suoi famigliari: uno sguardo di biasimo e delusione. Ma se in loro era espressione dell’odio che gli riversavano addosso, in lei era espressione dell’amore che gli aveva donato con tutta se stessa e che ora avrebbe sepolto in un angolo silenzioso del suo cuore.

 

**********

 

L’ultima volta che fecero l’amore fu il giorno in cui James e Lily vennero uccisi, proprio mentre James e Lily venivano uccisi.

Quando quell’ultimo maledetto pomeriggio ad Hogwarts qualcuno era venuto ad annullare l’Incantesimo delle Pastoie che lo teneva immobilizzato, Sirius era corso a cercarla per tutta la scuola, ma lei aveva già fatto i bagagli ed era sparita. E quando aveva finalmente trovato il coraggio di presentarsi a casa sua, pochi giorni dopo, i genitori di Felis gli avevano detto che era partita, e si erano dimostrati spiacenti di non sapere dove fosse, sostenendo che la loro ignoranza del mondo magico li aveva sempre tenuti all’oscuro delle decisioni della figlia. Sirius, che durante la sua poco onorevole carriera scolastica aveva fatto della menzogna un’arte, sapeva riconoscere una bugia quando qualcuno la stava ancora formulando nella sua mente, e aveva ampiamente capito che i genitori della ragazza erano perfettamente al corrente di tutte le decisioni di Felis, compresa quella di non rivederlo mai più. Aveva per un attimo accarezzato l’idea di provare a strappare loro la verità con la magia, ma aveva compreso che, se aveva ancora una minima possibilità di essere perdonato, questo l’avrebbe definitivamente polverizzata, così se n’era tornato a casa con la coda tra le gambe, pensiero che l’aveva fatto mestamente sorridere per l’allusione al cane in cui sapeva tramutarsi. Un cane a cui mancava dannatamente il suo gatto.

Nei mesi successivi aveva cercato febbrilmente di scoprire dove fosse, ma pareva che lei fosse sempre un passo avanti a lui nel cancellare le sue tracce e nello spostarsi appena lui scovava il suo nascondiglio. Intanto la minaccia di Voldemort si faceva sempre più incombente, e lui aveva avuto sempre meno tempo per indagare su di lei e sempre meno voglia di rischiare di coinvolgerla in quella guerra, nonostante non si sentisse abbastanza altruista da lasciarla andare per sempre pur di saperla al sicuro, e nonostante l’unico posto in cui volesse vederla al sicuro fosse tra le sue braccia.

Aveva considerato giorno dopo giorno, mese dopo mese, il male che doveva averle fatto, tacendo a tutti la loro storia, estromettendola da ciò che faceva coi Malandrini, separando insomma le sue due famiglie, le sue due vite, come se ci fossero due Sirius; e forse c’erano, ma erano uno per le persone che amava e uno per il resto del mondo, e non c’era dubbio che lei fosse tra le persone che amava, e allora avrebbe dovuto lasciarla entrare davvero, nella sua vita e nel suo cuore, così come lei aveva fatto con lui. Infine aveva inteso perché lei avesse letto la sua proposta come un’offesa: lui l’aveva trattata da amante e non da amata, aveva limitato i loro rapporti alle lenzuola, negando a lei e a se stesso la possibilità di vedersi alla luce del sole perché questo lo liberava dal doversi mettere in gioco a tutti gli effetti. Perché in realtà era lui, che paventava che lei lo vedesse alla luce del sole e lo trovasse insignificante e inutile. Come un pezzo di carbone, ma di quel carbone da cui non si sarebbe mai cristallizzato alcun diamante.

L’aveva fatta sentire di poco valore, solo perché ci si sentiva lui.

E se Felis provava per lui ciò che Sirius provava per lei, allora la delusione nel constatare che lui non intendeva cambiare le cose fuori da Hogwarts doveva averla annientata, almeno quanto lui era annientato dall’idea di dover vivere senza lei.

Poi di lei erano scomparsi tutti gli indizi, e Sirius aveva compreso che doveva essersi accorta di quanto lui fosse vicino a trovarla e doveva aver cambiato nome e identità. Aveva rivisto mentalmente tutte le volte in cui gli era apparsa amareggiata e delusa eppure aveva continuato a stare con lui, in quel modo insufficiente che lui le imponeva, cedendo continuamente agli impedimenti che lui andava enumerando per convincerla a farsi bastare quello che le dava, e ora pensava che forse lei continuava a scappare con tanta ostinazione perché temeva che se l’avesse rivisto gli avrebbe nuovamente ceduto, ma Felis non sapeva che Sirius non voleva più alcun cedimento da parte sua, voleva solo lei, voleva essere lui a cederle e a cedersi del tutto, e se solo fosse riuscito a dirglielo o a farglielo sapere, se solo fosse riuscito a contattarla in qualche modo… Aveva mandato gufi su gufi, agli indirizzi in cui aveva scoperto che lei era stata, ma ancora nessuno era riuscito a raggiungerla. In quei biglietti, aveva scritto una semplice frase, l’unica che lei avrebbe letto immediatamente come la più esplicita delle dichiarazioni: ‘Vieni a vivere con me’.

E poi c’erano stati il matrimonio di James e Lily, la nascita di Harry, la profezia che designava il piccolo come il bersaglio privilegiato di Voldemort, l’Incanto Fidelius, e Felis era sempre rimasta al primo posto nei suoi pensieri ma non nei suoi doveri, che erano divenuti quelli di proteggere la sua famiglia di Malandrini. In tutto quel tempo, Sirius aveva celato al resto del mondo la sua sofferenza, e soltanto lei avrebbe capito quanto fosse immensa, notando come fosse ormai sempre più incapace di restare in silenzio anche solo un minuto, e come riempisse ogni anfratto fuori e dentro di lui con tutto il chiasso di cui era capace.

E poi venne quella notte, in cui lei si presentò alla sua porta, con uno dei suoi biglietti tra le mani.

Quando Sirius aprì l’uscio, l’unica cosa che lo trattenne dal buttarlesi addosso fu il sospetto che fosse un’allucinazione: in quegli anni l’aveva sognata talmente tante volte e con una tale intensità e verosimiglianza da risentire al risveglio il sapore dei suoi baci e l’odore della sua pelle, e non era la prima volta che quelle immagini oniriche si confondevano con la realtà. Poi scorse le differenze in lei, date dal tempo trascorso, e comprese che non avrebbe mai potuto immaginare come il suo viso si fosse affilato nella crescita, come le sue forme si fossero riempite e arrotondate, come avesse tagliato i capelli all’altezza della nuca, come avesse imparato a truccarsi, come i suoi occhi fossero divenuti ancora più profondi. E allora le si buttò addosso.

La imprigionò tra le sue braccia, cercandole prima le labbra e poi baciandola ovunque potesse arrivare, maledisse i vestiti che gli impedivano di sentire di nuovo la consistenza delle sue membra sotto i polpastrelli, represse un singhiozzo tra i suoi crini e uno spasmo sul suo petto.

- Niente di niente – gli disse lei, nei pochi secondi che le sue labbra le lasciarono per respirare – Non rimpiango niente di niente.

Non fu facile, ricordarsi che erano ancora in mezzo alla strada e trovare la forza di tirarla dentro, spogliarla con le mani invece che con la bacchetta, cercare un letto invece di prenderla contro al muro o sul pavimento, ma per nulla al mondo Sirius avrebbe rinunciato a strapparla dagli occhi di tutti e pretenderla solo per i suoi, godersi ogni singolo centimetro di epidermide che andava scoprendo, offrirle tutta la morbidezza di cui disponeva, nei luoghi e nelle carezze e nei baci e nelle spinte.

- Lo dirò a tutti – le disse con le parole e coi gesti, amandola come non aveva mai fatto – Lo urlerò al mondo intero, a squarciagola.

Lei lo strinse maggiormente tra le sue gambe, ricevendolo più a fondo.

- Sei sempre stato chiassoso – ansimò sorridendogli sulle labbra.

 

**********

 

L’ultima volta che la baciò fu il giorno in cui lei morì, lo stesso giorno di James e Lily, poco dopo che avevano fatto l’amore per l’ultima volta, poco dopo che James e Lily erano morti.

- Devi dirglielo proprio adesso? – gli chiese Felis, coprendosi il seno con il lenzuolo.

- Ho aspettato anche troppo – le rispose, mentre si rivestiva – Non rifarò gli stessi errori e voglio dimostrartelo subito: non ho intenzione di trascorrere più un solo minuto senza che tutto il mondo sappia di noi.

- Io speravo che non volessi trascorrere più un solo minuto senza di me… - gli sussurrò languida, lasciando di nuovo scivolare giù il tessuto che celava la sua nudità.

Sirius tentennò un attimo, con i pantaloni ancora aperti, a dorso nudo: averla lì, calda nel suo letto, dopo tutte le volte che l’aveva vagheggiata in quel modo, abbandonata e pronta per lui, era una tentazione immensa, ma alla fine scosse il capo e controllò con una certa difficoltà la reazione eccitata del suo inguine. Non voleva averla solo fisicamente, la voleva interamente e per tutti i giorni a venire, e se questo significava sacrificare il resto di quella notte era disposto a farlo. Era disposto a sacrificare qualunque cosa, per lei.

- Non mi tentare, è scorretto da parte tua – le disse infilandosi la maglia – Sai che finirei per cedere e sai che non è questo che vuoi nemmeno tu.

Lei rise cristallina, ricadendo sul cuscino da cui si era alzata per guardarlo, con dipinta sul volto un’espressione quasi più soddisfatta di quella che aveva avuto dopo il loro ultimo amplesso, e allora lui capì.

- Era una prova, vero? Volevi vedere se faccio sul serio.

- Non ti arrabbiare – gli mormorò dolcemente come ammissione – Pensa solo che costa anche a me, lasciarti andare via adesso.

- Sei una piccola manipolatrice.

- Tu torna in fretta, e ti prometto che ti manipolerò abbastanza da farmi perdonare.

- Tu non hai nulla da farti perdonare – le disse chinandosi a baciarle una spalla.

- Nemmeno tu – rispose serenamente lei.

Sirius aggrottò le sopracciglia, pensando a come si era comportato con lei, ma quando incrociò il suo sguardo lindo e comprensivo intuì che Felis non stava parlando solo della loro storia o del loro litigio, ma di tutto il peso di essere se stesso che lui aveva sempre portato sulle spalle come un delitto da espiare, e di cui ora lei lo stava alleggerendo con l’autorità che le garantiva il fatto di amarlo. Perché lei lo amava. Lo vedeva, per quello che era, e lo amava. Non gliel’aveva detto, ma gliel’aveva dimostrato. E amandolo, l’aveva liberato.

Perché era stato lui, quello che aveva sempre rimpianto tutto, nella vita: ciò che era e ciò che non era, ciò che aveva e ciò che non aveva, ciò che faceva e ciò che non faceva. Tutto tranne lei. Non avrebbe mai rimpianto di essersi innamorato di lei.

- Con chi cominci? – gli chiese, abbandonando di malavoglia le sue carezze.

- Con Peter. Anche perché ultimamente è stato strano e voglio andare a vedere come sta. Poi passerò da Remus, e infine da James e Lily e domani, se vuoi, lo farò pubblicare su tutti i giornali del mondo magico e scenderò in strada a gridarlo a tutti.

- Non ti sembra troppo chiassoso perfino per te? – rise di nuovo Felis.

Lui si chinò a baciarla, assaporando le sue labbra soffici e radiose.

- Dovresti saperlo: niente è mai troppo chiassoso, per me.

 

**********

 

L’ultima volta che la vide fu quello stesso giorno, meno di un’ora dopo.

Era fuggito dalla dimora vuota di Peter con l’orrenda consapevolezza che si faceva strada nelle sue ossa, aveva visto la devastazione nella casa dei suoi più cari amici ed ora stava fronteggiando il traditore, in mezzo alla strada.

Pochi minuti prima era l’uomo più felice del mondo, ora si sentiva il più disgraziato: Felis gli aveva appena rimesso colpe che non gli appartenevano ed ora sapeva che la morte di James e Lily sarebbe invece stata sempre colpa sua: era stato lui a proporre Peter come custode dell’Incanto Fidelius, lui aveva creduto di sviare Voldemort consegnandogli invece la vita dei suoi amici.

Non c’era più nulla da dire, nulla da fare: ormai si trattava della sua vita o di quella di Peter. In quel momento alzò gli occhi e la vide. In mezzo alla folla, con i vestiti e i capelli in disordine, che lo guardava terrorizzata. Doveva aver sentito la notizia per radio, o doveva essere stata avvisata, dal momento che tutto il mondo magico sapeva di certo cosa fosse successo e stava accorrendo. Ma lei era arrivata tra i primi, e ora tendeva verso di lui il braccio, disperata, con un’espressione mortificata.

Sirius le guardò la mano vuota, il polso vuoto, e capì.

Non aveva il cordoncino, perché lui gliel’aveva levato mentre facevano l’amore, come aveva sempre fatto durante i loro amplessi, nonostante le rimostranze di lei, bramoso di sentirla totalmente nuda e disarmata sotto di lui.

Non aveva la bacchetta.

E ancora una volta, era colpa sua.

Ma l’ultima cosa che vide, mentre l’incantesimo conflagrava tutto intorno a lui, furono i suoi occhi azzurri che lo proscioglievano anche di quello e le sue labbra che mimavano tre parole.

Niente di niente.

Lei non rimpiangeva niente di niente.

Si parlò di una dozzina di Babbani morti quel giorno. Lei aveva cambiato nome, per non farsi trovare da lui durante quegli anni, e nessuno la riconobbe. Era sempre stata abbastanza in disparte, anche ad Hogwarts, e molto silenziosa: i discorsi più lunghi e chiassosi li aveva fatti solo con lui. I suoi genitori Babbani piansero la scomparsa di una figlia con un funerale Babbano, senza conoscere mai la verità. Nessuno seppe mai nulla di lei, e lui non lo disse.

Si portò quel segreto ad Azkaban.

In seguito, gli avrebbero chiesto come aveva fatto a resistere ai Dissennatori, e lui avrebbe spiegato che non c’era felicità nei suoi pensieri da strappargli via.

E in effetti non gli dava alcuna felicità ripensare a quell’ultimo amplesso caldo e setoso e a quell’ultimo bacio accennato e a quelle ultime parole scherzose, dal momento che non avrebbe mai più potuto rivivere nulla di tutto questo con lei, perché lei era morta. Ma non avrebbe mai rimpianto di essersi innamorato di lei.

Perché ogni istante che visse in quelle prigioni, l’ultimo sguardo e le ultime parole di assoluzione di Felis lo salvarono dall’orrore del silenzio.

 

**********

 

Soltanto due continuavano a combattere, a quel che pareva ignari del nuovo arrivo. Harry vide Sirius schivare il fiotto di luce rossa di Bellatrix e deriderla.

- Avanti, puoi fare di meglio! – le gridò, la voce echeggiante nella vastissima sala.

Il secondo getto luminoso lo colpì in pieno petto.

La risata non gli si era ancora spenta sul viso, ma il colpo gli fece sgranare gli occhi.

Senza rendersene conto, Harry lasciò andare Neville. Saltò ai piedi della gradinata ed estrasse la bacchetta, mentre anche Silente si voltava verso la piattaforma.

Sirius parve impiegare un’eternità a toccare terra: il suo corpo si piegò con grazia e cadde all’indietro oltre il velo logoro appeso all’arco.

Harry colse un misto di paura e stupore sul suo volto sciupato, un tempo così attraente, mentre varcava l’antica soglia e spariva dietro il velo, che per un momento ondeggiò come scosso da un forte vento, poi ricadde immobile.

(Harry Potter e l’Ordine della Fenice, pagg. 746 – 747)

 

 

- Sei in ritardo – lo rimproverò appena lo vide.

Lui alzò gli occhi fin dove teoricamente avrebbe dovuto esserci il cielo.

- Scusami, se non sono morto prima – disse sarcastico.

- Per questa volta ti scuso – rispose lei, portando le mani ai fianchi in atteggiamento saccente – Ma non farci troppo l’abitudine.

- Con te, tesoro - ribatté costringendola a lasciarsi abbracciare -, non ho mai fatto l’abitudine nemmeno a respirare.

Felis cedette subito alla sua stretta, appoggiando il viso sul suo torace, e solo allora lui aggiunse:

- Non senza di te, perlomeno.

Stettero così per un tempo indefinibile, cullandosi a vicenda, in quel nulla che però era così pieno di loro.

- Dove siamo? – domandò Sirius, la bocca immersa nei suoi capelli.

- Lassù, laggiù… - rispose vaga lei – Ha importanza?

- È solo un sogno? L’ultima illusione di un uomo morente?

- Forse – gli mormorò dolcemente – Ha importanza?

- No – concesse gioioso lui – In effetti non ce l’ha. Non se posso fare questo.

La baciò come la prima volta, con una foga adolescenziale che cancellò in lui tutti quegli anni di dolore e distacco e solitudine, e gli azzerò i sensi facendo sparire tutto ciò che non fosse lei. Non che ci fosse altro intorno a loro, effettivamente, ma con quel bacio non ci fu più altro nemmeno dentro di lui.

- E quindi – riprese staccandosi lento da quelle labbra agognate -, quali sono le regole, qui?

Lei scoppiò a ridergli in faccia.

- Lo chiedi solo per poterle infrangere tutte?

Lui alzò un sopracciglio, in parte fintamente offeso, in parte sinceramente divertito.

- Nessuna regola – continuò Felis, col sorriso ancora sulle labbra – Puoi essere tutto quello che vuoi, dovunque vuoi e comunque vuoi. Puoi fare tutto quello che vuoi.

- E tu che hai fatto, sinora?

- Ho aspettato te – ammise trasparente.

E come sempre, c’era nella sua sincerità la capacità di sconfiggerlo come nessuna frottola avrebbe mai fatto, e di disarmarlo e atterrarlo come il più potente degli incantesimi.

Il vuoto intorno a loro iniziò a tremolare, colori e forme e linee corsero loro incontro, vorticarono allegre per poi ricomporsi alle loro spalle in un letto spazioso ed invitante.

- Cosa avresti intenzione di fare? – chiese Felis con vago tono di rimprovero.

- Mi sembra evidente – rise lui, prendendola in braccio e scaraventandola sul letto – Quello che ho sempre fatto in vita. Non trovi che ci sia troppo silenzio?

I vestiti scomparvero in un soffio, mentre lei gli apriva le membra ed il cuore. Ritrovarono immediatamente la complicità e l’affiatamento, si perlustrarono riconoscendosi nel corpo e nell’anima, ripercorsero con sicurezza le strade della pelle e dei nervi, e poi, quando venne il momento, lei gli prese il volto tra le mani, fissandolo con un amore che lui non si sarebbe mai sognato di poter meritare.

- E va bene, Sirius – gli respirò sulla bocca, accogliendolo in sé – Facciamo chiasso.

Oh, lo avrebbero fatto, pensò lui iniziando a muoversi in lei e con lei, avrebbero fatto un tale chiasso da riempire il silenzio che regnava lassù o laggiù ed anche dentro di lui, e l’avrebbero fatto in eterno e lui non avrebbe mai più temuto l’assenza di rumore.

Perché ora lo che la sentiva scalciare furiosa, fremendo per tamburellarle il suo amore, bussando violenta per uscirgli dal petto, dagli occhi e dalla gola e prostrarsi ai piedi di Felis, sapeva che era quello, il chiasso che aveva cercato per tutta la sua esistenza, l’unico in grado di non farlo sentire mai più solo, in vita ed in morte sua, l’unico che non avrebbe mai rimpianto.

Il chiasso che la sua anima faceva per lei.

 

 

 

 

 

 

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Di carne e di carta è stata revisionata e pubblicata. La trovate su Amazon qui e su Goodreads qui.

Ad esso va ad aggiungersi il mio nuovo libro, totalmente inedito, Trentatré. Lo trovate su Amazon qui e su Goodreads qui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Grazie

 

A mio marito, che sa spegnere col suo silenzio il chiasso dei miei pensieri

A tutti quelli della Picta! Comics che hanno avuto l’idea di questo concorso, spingendomi a mettere per iscritto una trama che mi frullava in testa già da tempo

A Sirius Black, che per mesi mi ha chiesto di raccontare questa storia, prima lusingandomi e poi minacciandomi con la bacchetta, e non sto parlando dell’arma magica

A Edith Piaf, il Passerotto, che ha perduto il suo grande amore e ha ispirato gli amori degli altri, che ha dato l’aspetto a Felis e la cui voce mi ha accompagnato durante la stesura di queste pagine

A tutti voi, che vi dimostrate sempre pronti a leggere qualunque follia passi per la mia mente bacata, che mi avete sempre seguito su efp, su Facebook, sul blog, per mail, per messaggio

 

Grazie

 

 

Non, rien de rien

Non, je ne regrette rien

 

 

 

Citazioni: Le ‘sudate carte’ vengono da A Silvia, di Leopardi; ‘Passerotto’ era appunto il soprannome di Edith Piaf, da cui ho davvero tratto l’aspetto di Felis e la cui canzone Non, je ne regrette rien mi ha ispirato tutta la one-shot e mi ha fornito la battuta ‘Niente di niente. Non rimpiango niente di niente’; tra le costellazioni obsolete quella del Gatto (Felis) venne così nominata da Jérôme Lalande nel 1805, mentre oggi ricade nella costellazione dell’Idra; tutta la parte in corsivo ‘Soltanto due… ricadde immobile’ viene, come esplicitamente scritto, da Harry Potter e l’Ordine della Fenice; l’opzione ‘lassù o laggiù’ è una citazione da una mia altra storia, il Canto di Natale di Draco Malfoy.

 

   
 
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