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Autore: lady hawke    14/09/2010    2 recensioni
A volte l'occasione fa l'uomo ladro o, come in questo caso, assassino. E così un'innocente battuta di caccia è il pretesto, per il principe Sextus, per iniziare a eliminare un po' della concorrenza al trono; ma si renderà conto troppo tardi di aver scelto la vittima sbagliata...
Scritta per la Drunk challenge di WritersArena
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Fratricidi'
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Se vedi una persona che riesce a sorridere quando tutto va male, probabilmente è perché ha già pensato a chi dare la colpa. (Anonimo)

Era una fredda mattina di novembre. C’era nebbia un po’ ovunque nei boschi attorno al castello di Stormhold, ma questo non aveva impedito al re e al suo seguito di prepararsi per una battuta di caccia. Septimus, ultimo dei figli del sovrano, vi partecipava per la prima volta armato di arco. Era sovreccitato all’idea, anche se aveva cercato di non darlo a vedere mentre la madre, con la solita premura, assistendo alla sua vestizione, gli raccomandava di fare attenzione alle insidie della natura e soprattutto a quelle in seno alla sua famiglia. Lady Sofia sarebbe stata presente alla caccia, ma sarebbe rimasta accanto al marito per tutto il tempo, e non avrebbe potuto aiutarlo. Una volta pronto, dunque, aveva raggiunto la scuderia con i suoi fratelli ed era montato in sella ad un magnifico cavallo baio che gli scudieri avevano sellato in anticipo per lui. Una muta di cani festanti si era presto unita al corteo che usciva dalle mura e si faceva largo verso un’enorme selva di alberi ormai spogli.
Quartus e Sextus si lamentavano del freddo mattituno, mentre procedevano al passo, e Septimus, come gli era accaduto già altre volte in passato, guardò entrambi con sufficienza. Per quanto piccolo e mingherlino, rispetto ai suoi dodici anni, non sentiva l’aria gelida penetrargli sotto i vestiti, e anzi, trovava il clima di suo estremo gusto. Accelerò perciò l’andatura, tentando di avvicinarsi a Primus, sua madre e suo padre, che procedevano in prima fila davanti a tutti.
- Che fai qua davanti, ti manca la mamma? – gli chiese Secundus, ridacchiando.
- Affatto. – replicò Septimus, glaciale. – Mi ero stancato di sentir parlare di quanto fa freddo stamattina. – il ragazzino parlò strascicando le parole, lanciando un’occhiata ai due colpevoli.
- Avranno di che scaldarsi, quando troveremo un cervo o due. – proclamò Primus, che per questioni anagrafiche si era sempre sentito al di sopra di beghe tra fratelli.
- Speriamo! Non ho voglia di camminare con questa pessima giornata ancora a lungo. – commentò Quartus da lontano, sentendo che si parlava di prede.
Septimus sbuffò, e cominciò a seguire con attenzione i movimenti dei cani da caccia, che scorrazzavano qua e là per nulla turbati dalla nebbia e dall’umidità, come lui. Cavalcarono per un’ora buona senza grandi successi, se si eccettuava una pernice bianca trafitta con estrema precisione da suo padre e un paio di lepri stanate dai cani.
Finalmente, quando il sole era ormai alto nel cielo limpidissimo, e la compagnia in una radura di erba ormai ingiallita, si sentirono rumori attutiti provenienti dalla boscaglia, e i cani impazzirono. Fu chiaro a quel punto che una preda grossa era vicina.
- Trattenete i cani, non lasciateli andare da soli. – ordinò l’ottantunesimo signore di Stormhold.
– Dobbiamo dividerci per accerchiarlo. – aggiunse, in modo che i cavalieri del suo seguito si dividessero in più gruppi per tagliare la strada all’animale. – Primus, Secundus, voi seguirete me e Lady Sofia. Gli andremo dritti incontro! Tertius, Quartus, starete sulla sinistra, tagliategli la strada, evitare che si perda nella macchia, verso sud est è più fitta, se riesce a infilarsi là lo perdiamo. Quintus, Sextus, stesso discorso sulla destra; più avanti c’è una strettoia, se riuscirete a mandarlo là sarà fatta.
- Manca Septimus, padre. – gli fece notare Quartus.
- Giusto, manca il nostro piccolo di casa. Se te la senti, invece di venire con me, puoi seguire Quintus e Sextus.
- Certamente! – eccome se se la sentiva. Septimus si accodò subito al gruppetto capeggiato dai suoi fratelli, e con gli altri cominciò a stringere d’assedio l’animale. L’animale, che videro presto essere un magnifico cervo maschio, sentendosi inseguito, accelerò subito l’andatura. Septimus e gli altri gli furono subito dietro al galoppo; Quintus si portò avanti per impedirgli di sgusciare via all’improvviso. Septimus era assolutamente felice: la corsa, il brivido del cavallo sotto di sé che spingeva con tutta la sua forza, la preda sempre più vicina. Piccolo e agile sul suo cavallo, riuscì a prendere una certa distanza dal resto dei cavalieri, continuando la corsa quasi in solitaria, tenendo a vista il cervo.
Gli alberi però si fecero sempre più fitti, e benché ormai privi di foglie, rendevano difficile poter vedere. Era del resto la prima volta che si intrufolava da solo nella boscaglia; rallentò il passo prima di perdere di vista i compagni. Non vedeva più il cervo, ma sentiva i cani abbaiare in lontananza. Rallentò tanto da fermarsi, per potersi orientare con calma e riprendere per la giusta direzione. D’un tratto, mentre era fermo a riprendere fiato, e mentre controllava quanto fosse sudata la sua cavalcatura, sentì dei passi dietro di sé.
- Chi è là? – chiamò. Nessuno rispose, e Septimus si convinse che si trattasse di un animale.
Quando sentì di nuovo i passi regolari di un animale a quattro zampe capì di non essere solo nel bosco. Qualcuno del suo gruppo o dell’altro doveva averlo raggiunto, ma perché non lo chiamava? Non fece in tempo a chiederselo: una freccia gli passò così vicino da ferirgli il viso e piantarsi due alberi più in là.
- Chi è là? – urlò il ragazzino, per nulla intimorito. Aveva solo sentito un solletico sulla guancia, non doveva essere nulla di che… si toccò il viso con una mano, e vide la sua mano macchiata di sangue. Sentì un cavallo partire al galoppo nella sua direzione: probabilmente il tiratore voleva mirare da più vicino. Decise di non permetterglielo, e spronando il suo cavallo corse in direzione delle voci sempre più forti degli altri gruppi di caccia. Si appiattì sull’animale per schivare i rami bassi; ogni tanto si voltava per vedere se qualcuno era alle sue calcagna. D’un tratto, cinque o sei metri più in là alla sua sinistra, vide un cavaliere galoppare più veloce di lui: era Sextus. Lo guardava con la stessa aria famelica dei cani lanciati all’inseguimento della preda; non aveva dubbi, era stato lui a scoccare la freccia. Lasciò che il fratello maggiore lo superasse, e dopo pochi minuti raggiunse il punto in cui era stato messo all’angolo il cervo: vide suo padre finirlo con un colpo alla gola; l’animale crollò morto in un attimo, tra i commenti di apprezzamento dei fratelli e del cavaliere.
- Ottima, ottima caccia! – si compiacque il Signore di Stormhold – Per oggi direi che possiamo considerarci soddisfatti, torniamo al castello.
Mentre cavalieri e scudieri del seguito caricavano la carcassa del cervo su uno dei cavalli da soma che si erano portati dietro, e mentre altri richiamavano i cani, la famiglia reale fece per partire alla volta del castello.
- Septimus, che ti è successo? – disse la madre, preoccupata, vedendo la guancia del figlio sporca di sangue. Fece per avvicinarsi, ma il re la precedette: ispezionò il volto del suo ultimo figlio, sfiorandogli la ferita con la mano.
- E’ una ferita superficiale, ma al castello dovrà essere pulita. Cosa ti è successo?
Il battito di Septimus accelerò: non aveva alcuna voglia di raccontare di essere stato il fortunato superstite di un tentato omicidio. Fortunatamente qualcun altro aprì la bocca per lui.
- Non si è visto nella manovra di accerchiamento. Ti eri forse perso? – chiese Secundus, a metà tra l’irrisione e la compiacenza. – Non dovevano farti da balia Quintus e Sextus?
- Io ero andato avanti per evitare alla preda di fuggire. – si giustificò Quintus. – Possibile che tu abbia fatto tutto da solo? – chiese ancora rivolto a Sextus.
- E’ scomparso dal mio campo visivo. Si è perso, piccolo com’è. – fece l’interpellato, guardando Septimus con un sorriso sinistro.
Il ragazzino lo fissò con puro odio, ma decise di non dire la verità. La vendetta va consumata con calma. – No, è vero, dev’essere stato un ramo; avevo fretta di raggiungere velocemente il gruppo, perché avevo allargato troppo il mio giro. – rispose, sorridendo di rimando al fratello, che lo guardò con una strana sensazione.
Lady Sofia aveva notato quel silenzioso scambio fra i due, ma non disse nulla. Sextus non la raccontava giusta, e nemmeno Septimus; il suo sorriso, poi, così inadeguato sul volto di un ragazzino ferito, necessitava di una spiegazione bene approfondita.
Di rientro al castello si occupò personalmente del suo bambino, e insistette per medicarlo lei stessa, nonostante le offerte del sovrano di far chiamare il medico di corte.
- E’ cosa da poco, non vale la pena di incomodarlo per questo. Posso pensarci io. – erano state le ultime parole della donna, prima di chiudersi col figlio nel suo appartamento. Aveva convinto Septimus a confidarsi, ed era diventata sempre più cupa, man mano che questi le raccontava che era accaduto nella foresta. Corrugò la fronte in un modo che a lui non piacque, mentre con un panno di cotone finissimo e umido gli tergeva il viso.
- La ferita è grave?
La donna alzò lo sguardo sul figlio, pallida. – No, Septimus. Si sta già cicatrizzando, e tra poco non rimarrà nemmeno il segno. Sai bene a cosa stavo pensando.
Septimus annuì, serio. Quello sarebbe stato solo il primo tentativo di molti. La guerra era stata dichiarata, e il cucciolo più piccolo doveva essere il primo ad essere eliminato.
- Non lascerò ancora che tu venga separato da me, non finchè non sarai pronto per…
- No, madre! – la interruppe. – Va bene così. Non ho avuto paura, davvero. – aggiunse, notando lo sguardo preoccupato della madre. La vide posare il panno e accarezzargli la guancia con mano fredda. Il fuoco scoppiettante davanti a loro era l’unico rumore nella stanza cupa.
- So cosa ci si aspetta da me, sono pronto. Se Sextus ha deciso di… uccidermi… - Septimus sospirò, rendendosi conto del peso di quelle parole. – Se così vuole, dovrà tentare più a lungo e meglio. E io colpirò per primo, se non sta attento.
Lady Sofia sistemò con un gesto nervoso la sua gonna, splendente grazie alle luci delle fiamme.
- Dovrai stare molto attento tu per primo, Septimus. Ho a cuore la tua vita più della mia, più di quella di tuo padre. – sospirò. Aveva sempre saputo, aveva da sempre educato suo figlio in modo da prepararlo alla vita dura che lo attendeva, eppure ora che era davanti a lei, accucciato su un tappeto e ferito aveva realmente paura per lui. Lo guardò negli occhi, e vide di fronte a sé non già un bambino, ma un uomo pronto a colpire in maniera spietata. – Mi fido di te. Cerca di risolvere la questione prima che diventi pericolosa. – disse soltanto. – Avrai il mio appoggio qualunque cosa vorrai fare.
Septimus era nato orgoglioso, e poco propenso a subire in silenzio un torto. Di conseguenza, passò quei giorni dopo l’increscioso incidente a pensare a come vendicarsi nella maniera più terribile che gli veniva in mente. Vagliò varie ipotesi, alcune attuabili, altre meno. Più passava il tempo, più odio sentiva nei riguardi di Sextus, che a suo parere appariva tranquillo. Probabilmente temeva che due attentati in breve tempo fossero eccessivi, e preferiva aspettare che il fratellino si fosse rimesso e tranquillizzato.
La cacciagione che gli era quasi costata la vita si rivelò degna di un pranzo da re, e suo padre insistette spesso per ripetere quanto prima la battuta di caccia. Ma il tempo era improvvisamente peggiorato, e la neve aveva cominciato a cadere copiosa; meglio attendere giornate di sole per non congelare, come si lagnavano spesso i suoi fratelli.
L’occasione si presentò tra le mani di Septimus prima del previsto. Sextus andava spesso in scuderia a preparare da sé la sua cavalcatura, o meglio, così andava dicendo. In ogni modo si aggirava spesso dalle parti del fienile, dove venivano conservati il fieno e l’avena per i cavalli. Era un luogo dov’era semplice farsi venire un’idea, tutto sommato.
Studiò gli orari del fratello per un paio di giorni; un pomeriggio Sextus si mise a litigare con il capo scuderia sulla quantità di avena che veniva somministrata al suo cavallo, sostenendo che non gliene veniva data a sufficienza per il movimento che lui richiedeva quotidianamente all’animale. Dopo l’alterco il principe si era recato personalmente nel fienile armato di paletta, in modo da prenderne la quantità che lui desiderava. Septimus non aspettava altro. Si appostò nelle vicinanze, e come il fratello entrò corse a chiudere e a sprangare l’unica porta dell’edificio. Corse poi a prendere una fiaccola, tornando giusto in tempo per sentire che il fratello si era accorto di essere stato chiuso dentro. Finse di passare per caso, rendendosi visibile da una piccola finestra.
- Septimus! Septimus! – chiamò.
- Che vuoi?
- Qualche idiota ha chiuso il fienile, aprimi! – ordinò il ragazzo con fare autoritario.
- Un errore sciocco. – ammise il ragazzino. – Permettimi di illuminare meglio. – disse, sorridendo. Lanciò dentro la fiaccola e fece per chiudere la finestra. Il fieno, le travi di legno e l’avena per la quale si era lagnato Sextus avrebbero fatto il resto.
- Septimus! – chiamò ancora il fratello, quando vide che il ragazzino aveva lanciato la torcia e tentava di bloccare la finestrella con un’asse di legno. – Septimus! – chiamò ancora, cercando di impedire che si chiudesse l’apertura che era troppo piccola per farlo uscire, ma sufficiente per invocare aiuto.
- Tu hai iniziato il gioco, Sextus, io lo finisco. Non penso proprio che diventerai re. – disse Septimus, riuscendo a sigillare definitivamente l’apertura. Sextus urlò ancora, mentre tentava di rompere il vetro con le mani, non avendo niente altro alla sua portata se non quella paletta di legno, inutile allo scopo. Il fratello ormai non lo ascoltava più.
Il fienile andò completamente a fuoco in poche ore, e a niente servirono i secchi di acqua versati sulle fiamme, e non bastarono il freddo umido e la neve a contenere l’incendio. Solo in un secondo momento si apprese che il principe Sextus era all’interno.
Quello che rimaneva del principe fu tumulato nella chiesa di un castello in pieno lutto. Gran parte della corte, che piangeva per cortesia, si chiedeva a chi si dovesse dare la colpa di quell’orribile misfatto, perché era evidente che qualcuno aveva chiuso il principe di proposito. Il fienile lo si poteva chiudere solo dall’esterno.
Il padre aveva un contegno dignitoso e serio, ma consapevole del fatto che ciò era prevedibile e naturale. Solo uno dei suoi figli sarebbe diventato re e non sarebbe morto di morte violenta. I fratelli restanti, per lo più perplessi da una morte così singolare, rimasero in silenzio per tutta la cerimonia, contando i fratelli da ammazzare e stilando una lista mentale di priorità. Si chiesero anche chi fosse l’attentatore fortunato, cominciando a guardarsi con sospetto. Septimus solo, considerato troppo giovane, non veniva guardato da alcuno: troppo piccolo, così ingenuo che era ancora incapace di non perdersi durante una battuta di caccia. Una sola donna l’aveva osservato, ed era Lady Sofia. Se altri l’avessero imitata, avrebbero scorto un sorriso malcelato e del tutto privo di sensi di colpa. Septimus era il solo felice di quel clima di lutto: quanto all’omicida… aveva pensato anche a questo. Diversi avevano sentito l’alterco di Sextus con il servo nella scuderia, sarebbe stato facile far ricadere la colpa su di lui. Era però certo che nessuno se ne sarebbe occupato. La morte di un principe, a Stormhold, non era importante. Sentì la mano di sua madre stringere la sua mentre, dopo la cerimonia funebre, abbandonavano la chiesa sfarzosa e il corpo carbonizzato e tumulato di Sextus. Entrambi si sorridevano apertamente.
  
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