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Autore: Melina     15/09/2010    1 recensioni
[Traduzione da Katie Forsythe]
"Sono certamente contento di venire a conoscenza di nuove acclamazioni internazionali nei suoi confronti" sorrisi "Ma come potremmo mai essere d'aiuto noi?".
Si accese una sigaretta e diresse la sua attenzione verso il fuoco morente. "Infatti, Watson, penso che questo sia un affare che potrei meglio condurre senza la sua assistenza"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! Premetto che sono una fan di Sherlock Holmes da quando ero piccola, ovviamente crescendo ho modificato "leggermente" la mia visione della loro amicizia >.> Katie Forsythe è la mia autrice di fic H/W preferita in assoluto *.* è divina e la ringrazio dal profondo del cuore per tutti i suoi lavori. Ve li consiglio. Soprattutto "Four minor interludes for the solo violin" e il suo seguito: "Hallowed be thy name". Trovate entrambe le fic (e tutti gli altri magnifici lavori di Katie) al sito del suo progetto: THE SEVENTEENTH STEP
Dunque, questa fanfiction è piuttosto lunga per cui ho deciso di pubblicarla in capitoli anche se sarebbe stata pensata come oneshot... Non è stato per niente facile tradurla Oo ci ho messo parecchio tempo e vi accorgerete che lo stile dell'autrice è particolarmente complicato e sembra fatto apposta per far impazzire una povera traduttrice XD ho cercato di renderla il più possibile fedele a quelle che credo fossero le intenzioni di Katie (speriamo >.>) quindi i nostri parleranno come due perfetti gentlemen della Londra vittoriana ^^
detto questo vi auguro una buona lettura sperando che la fic sortisca lo stesso effetto che ha avuto su di me anche su di voi ^^

Dedico questa traduzione alla persona a cui l'ho dedicata dentro di me quando ho deciso di tradurla, è per lei :)

 


Note di traduzione: Come sapete benissimo i nostri beneamati si chiamano a vicenda "my dear fellow", espressione che fa letteralmente ribrezzo tradotta in italiano XD perdonate per cui il povero Holmes e il povero Watson che si ritroveranno a chiamare l'altro "mio caro amico" o "mio caro ragazzo" ogni due per tre anche se OVVIAMENTE nelle loro menti ci sarebbero tutt'altri epiteti >.>
Infine avverto subito che sia io sia Katie Forsythe non rispondiamo del fatto che Holmes sia un idiota con tendenze autolesionistiche che sconfinano nella paranoia ossessiva con oggetto il dottor John Watson; ci siamo attenute entrambe al personaggio XD

Avvertimenti: Non è una fic particolarmente spinta ma tratta anche di droga per cui credo che il raiting debba lo stesso essere almeno arancione. Personalmente le ADORO le storie in cui Holmes è preda dell'astinenza >.>

Disclaimer: i diritti d'autore sono tecnicamente scaduti, e siccome comunque non si snaturano i personaggi in questo scritto... XDXD >.> ehm informo, visto che la cosa sarà ignota ai più (XD), che se fossero validi apparterrebbero a Sir A.C. Doyle.

 

- AN APRIL'S JOURNEY -
di Katie Forsythe

(traduzione di Melina)


Questa fanfiction si svolge poco prima dei fatti narrati nel racconto di A. C. Doyle L'enigma di Reigate e approfondisce quello che avvenne durante il periodo in cui Watson si recò al capezzale di Holmes a Lione.


PARTE 1

Ho indicato altrove in queste memorie caotiche, sebbene animate da buone intenzioni, che nell'aprile del 1887 mi dovetti affrettare a lasciare Londra dietro l'esortazione di un cupo telegramma che affermava che il mio intimo amico, il signor Sherlock Holmes, era a letto malato a Lione e richiedeva immediate cure.
Il mio sospetto che Holmes soffrisse di un attacco di debilitazione nervosa alla fine di una lunga e ardua investigazione, non era del tutto falso, né, confesserò in questo documento privato e consultabile da me solo, era del tutto vero.
Quel telegramma, la mia risposta ad esso, e quello che in seguito accadde a me e al mio amico sul Continente, furono infatti tutte circostanze che cospirarono per cambiare in modo significativo il rapporto tra il sottoscritto e (a quel tempo) l'unico consulente investigativo indipendente al mondo. La vera storia è tanto degna di nota quanto inadatta ad essere rivolta al pubblico, ma mi sono trovato costretto, per il mio bene, a riportare quello che fu senza dubbio il più importante incidente - in un modo o nell'altro - della nostra lunga collaborazione.
Ci sono un paio di cose che è bene metta in chiaro più per organizzare meglio i miei pensieri che per altro. Holmes e io, al tempo in cui si occupò per la prima volta del losco affare della Netherland-Sumatra Company, vivevamo insieme da quasi sei anni, e la professione che il mio eccentrico coinquilino aveva tentato sulle prime di tenere segreta era diventata una preoccupazione di primaria importanza per me quanto lo era per lui. Non credo di vantarmi nel dire che quasi dallo stesso momento in cui Holmes mi invitò ad accompagnarlo nell'investigazione sul caso Joseph Stangerson, egli riconobbe che non solo aveva trovato un modo per alleggerirsi la spesa dell'affitto ma anche un nuovo incentivo per il suo lavoro altrimenti solitario, e in oltre, che nell'ambito dell'investigazione criminale, due cervelli, o due revolver a seconda del caso, erano spesso meglio di uno. Dall'anno 1887 ero ormai abituato ad aspettarmi, più per consuetudine che per vera e propria consapevolezza del mio valore, che Holmes mi avrebbe incluso nella maggior parte dei suoi casi, fatta eccezione per quelle questioni di poca importanza che, quando discusse a tavola, gli provocavano un occhiolino, un sospiro e il commento "Mio caro Watson, il semplice fatto che il mio tempo vada sprecato in tale spregevole maniera è già abbastanza fastidioso senza che ciò implichi di trascinarla in questa faccenda con me".
Rassicurazioni del genere erano, a quel tempo, il mio pane quotidiano. Perché per mia terribile sfortuna ero tanto innamorato di Sherlock Holmes quanto lo erano le sue clienti appartenenti al genere femminile, che pagavano i nostri servigi molto dopo che i loro casi si erano conclusi. Tuttavia credo di essere riuscito a nascondere i miei riguardi con molta più efficacia di quella che impiegavano certe fanciulle nelle loro gonne di seta che svolazzavano al di sotto di luccicanti gioielli e sguardi voluttuosi.
Io non sono un uomo del tutto privo di attrattiva, come molte donne e qualche uomo, devo confessare, mi avevano dimostrato in varie occasioni, ma non avevo mai posato gli occhi su un tale favoloso panorama femminile prima di andare ad abitare con il maggiore esponente mondiale in quanto a villania. C'era qualcosa nel profilo pallido e cesellato di Holmes che distraeva la mia attenzione dalle scollature delle nostre clienti in maniera quasi indecente. Il mio amico, ovviamente, non si preoccupava certo di loro. Poneva lo stesso tipo di attenzione a quelle clienti come avrebbe fatto per un lord pluridecorato o un povero mendicante, e più di una volta partivo con odiare le nostre clienti finendo poi col compatirle. Sapevo bene da me che la forza della mascella di Holmes, i suoi malinconici occhi grigi e le sue eleganti maniere contribuivano a conferirgli l'aria di colui al quale il pericolo provoca leggera ilarità. E questo bastava a gettare un povero coinquilino nella disperazione più in fretta di quanto potesse fare la scoperta di un bisturi insanguinato che fa capolino dal proprio panetto di burro.
Holmes da parte sua mi rispettava. Mi rispettava anche quando mi redarguiva, perché mi riteneva un uomo abbastanza sicuro di sé da essere capace di accettare le sue osservazioni con imperturbabilità. Non ho dubbi che anche lui godesse della mia compagnia, perché per quanto non fosse necessario per un uomo condividere la sua casa, il suo lavoro e la maggior parte del suo tempo libero con un solo e costante compagno, lui lo faceva. Mi rispettava come medico, come soldato, come amico. E per qualche effimera ragione io gli piacevo. Infatti era più affezionato a me, da quello che potevo vedere, che a qualsiasi altro uomo in tutta Londra. Era straziante. Il suo affetto distante mi rendeva le cose peggiori più di quanto avrebbe fatto un disdegno da parte sua. Comunque sia, malgrado il temperamento di Holmes e la leggera tensione che attribuivo interamente alla mia sordida immaginazione, coabitavamo con un agio e un rispetto che alcune coppie sposate riescono a raggiungere solo dopo trenta o quarant'anni di pratica. Ecco perché la discussione a proposito del Barone di Maupertuis fu per me una completa sorpresa.
Holmes e io avevamo recentemente concluso l'affare de Il paziente a domicilio e sedevamo dinnanzi al fuco ai primi di febbraio con nient'altro da fare che leggere o al massimo vagare dal tavolo al vassoio dei liquori e alla poltrona. Alla fine Holmes parlò.
"Sarà felice di sapere, mio caro amico, che mi è stato richiesto dalla polizia francese di investigare sulle attività del Barone di Maupertuis."
"Sono certamente contento di venire a conoscenza di nuove acclamazioni internazionali nei suoi confronti" sorrisi "Ma come potremmo mai essere d'aiuto noi?".
Si accese una sigaretta e diresse la sua attenzione verso il fuoco morente. "Infatti, Watson, penso che questo sia un affare che potrei meglio condurre senza la sua assistenza".
Ero sorpreso, e ammetterò che mi sentii anche leggermente ferito. "Be', anche se fossi nei paraggi non penso che la infastidirei".
Mi accordò un sorriso, ma fui inquietato dalla vigile espressione che si nascondeva dietro i suoi occhi. "Sarò sicuramente in grado di agire più velocemente da solo"
"In questo caso evitiamo di parlarne oltre"
"I telegrammi mi potranno raggiungere all'Hotel Dulong di Lione per i prossimi due o tre mesi"
"Due o tre mesi!" non potei evitare di esclamare "Ma mio caro Holmes…" dovetti trattenermi quando notai che si era spezzata quella particolare intensità nel suo sguardo "Sembra un'impresa colossale. Starà via davvero così a lungo?" domandai cautamente.
"Sì. Esiste una possibilità che io possa chiarire la faccenda in meno tempo, ma ne dubito fortemente. È dannatamente intelligente… devo procedere con il massimo della cautela così da non mettere me stesso in pericolo"
"In pericolo?" dissi allarmato.
"Devo muovermi in totale segretezza. Se il Barone scoprisse che mi sto occupando del caso, dubito seriamente che la mia vita avrebbe più il minimo valore. Non è un uomo incline al perdono, il Barone".
Mi girai verso di lui incredulo. "E questo caso, questo pericoloso, arduo e lungo caso in cui lei potrebbe rischiare la sua vita, è un caso nel quale non ritiene che la mia presenza possa esserle di un qualche aiuto?" chiesi mentre cominciavo ad agitarmi, alzandomi dalla mia sedia e avvicinandomi a Holmes. Una voce in fondo alla mia testa mi diceva che stavo rivelando troppo, tutto in una volta, senza riflettere e che avrei fatto meglio a frenare la lingua se non avessi voluto rischiare di perdere tutto quello che avevo.
Lui non si ritirò da me ma si appoggiò alla mensola del camino. "Due investigatori raddoppiano le possibilità di fare scoperte, certo… Ma in ogni caso, lei avrà sicuramente impegni che non le permetterebbero di lasciare Londra per un periodo così lungo".
Cercando di non far suonare la mia voce mortificata al pensiero di Baker Street senza Holmes per un intero quarto dell'anno, mi permisi un respiro. Poi risposi più allegramente "Senza dubbio lei ha ragione. Mi faccia sapere se avesse bisogno di me per qualsiasi cosa durante la sua assenza" gli porsi cordialmente una mano mentre il cuore mi batteva dolorosamente nel petto.
Prese la mia mano senza distogliere una sola volta la sua attenzione dal caminetto. I suoi occhi si restrinsero mentre mi guardava attraverso il suo sguardo d'argento.
"Si sente bene Watson?" chiese, la sua voce appena più distinguibile di un sussurro.
"Certamente" risposi, lasciando andare la sua mano e afferrando un sigaro. Holmes aveva spesso sottolineato che io fossi un pessimo bugiardo, ma questo solo quando mi trovavo in sua presenza, e molto dopo il 1887. Nel 1887 ero all'apice delle mie forze; mi vantavo di essere capace di celare perfettamente il mio stato di panico, la mia voce era sicura e le mie mani ferme. "Si senta libero di avvisarmi se le dovesse servire qualche suo oggetto o documento".
"Grazie" disse. Tornò alla sua sigaretta ma stava ancora guardando me.
"Non potrebbe alzare un po' la lampada, mio caro amico?" mi concentrai di nuovo sul mio romanzo come ultimo tentativo di apparire normale. Holmes alzò la luminosità della lampada e sparì velocemente dalla stanza.

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Quando mi svegliai il mattino seguente era già andato via. Non indugerò sulla dolorosa sensazione che provai quando vidi il breve biglietto che aveva infilato sotto la mia porta. Lo lessi seduto sul suo letto vuoto, non ancora rassettato dalla signora Hudson, sentendomi oppresso dalle pareti della sua stanza ancora tiepida. "Se dovesse avere bisogno di me, mi avverta immediatamente. Saluti, SH." Lo gettai nel suo camino, consumai la mia colazione e cominciai due lunghi mesi deprimenti nei quali cercai assiduamente di eliminare Sherlock Holmes dai miei pensieri. Non ottenni altro che la certezza che si fosse trattato di un tempo non abbastanza lungo per riuscire nella mia impresa.
Sedevo davanti a un pranzo appena toccato quando la signora Hudson portò il telegramma. Quella donna comprensiva sapeva della mia depressione ed io speravo ardentemente che però non ne conoscesse la causa. Indugiò nella sala da pranzo per lasciare sul tavolo dei pro memoria a proposito di oggetti che mi sarebbe stata grata se avessi ritirato per lei mentre ero fuori, insieme alle mie pietanze preferite che io divorai con la stessa alacrità che Sherlock Holmes usava riservare al cibo stando seduto a quello stesso tavolo. Apprezzavo la sua gentilezza anche se i suoi tentativi di risollevarmi il morale erano serviti a evidenziare la mancanza delle stesse premure da parte di qualcun altro, cosa che aveva solo reso le cose peggiori di quanto già non fossero.
"C'è un telegramma per lei, dottore" disse con garbo "dalla Francia, credo".
Sollevai lo sguardo all'istante. Holmes non aveva mai ritenuto di dover dare notizie di sé sin dalla sua improvvisa partenza sebbene avessi letto con grande sollievo, due giorni prima, che il Barone era stato arrestato e che l'intera faccenda era stata risolta. Lo presi fra le mani con foga.
"Grazie signora Hudson" lei sorrise e si voltò per uscire. Un sonoro segnale di sorpresa da parte mia la fece tornare subito verso il tavolo.
"C'è qualcosa che non va, dottore?"
"È Holmes. Sta male" risposi velocemente, allungandole il minuscolo pezzo di carta gialla.
" 'Dottor Watson' " lesse " 'Sherlock Holmes gravi condizioni dopo chiusura caso. Impossibile muoverlo. Potrebbe venire? Concierge Hotel Dulong, Lione' Oh dottor Watson!" esclamò "Povero signor Holmes. A volte abusa troppo di se stesso. Lei andrà immagino".
Mi vergogno a dire che feci fatica a sentire quello che mi disse la nostra brava padrona di casa, perché neanche dieci minuti dopo ero intento a consultare l'orario ferroviario e a fare i preparativi per il mio lungo viaggio di ventiquattr'ore che sarebbe stato insonne.

   
 
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