Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Valery_Ivanov    16/09/2010    0 recensioni
"Quella sera, quando rimanemmo soli, mi disse di essere una sirena, strappata dalla sua casa marina e trascinata sulla terra molti anni prima. I miei occhi, affascinati dalla sua eterea bellezza, non ebbero alcun problema a crederle sulla parola, e rimasi ore ad ascoltarla descrivere le fredde profondità del mare in cui un tempo viveva. Scoprii che era fuggita dai suoi genitori adottivi e stava cercando di sopravvivere elemosinando qualche soldo qua e là; dormiva sulla spiaggia, in una cunetta asciutta vicino ad alcuni grossi massi."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Angela

 

Avevo quindici anni quando conobbi Angela. Lei era seduta sulla riva del mare, di sera, e mi sembrò di non aver mai visto niente di più bello; i capelli le cadevano sulle spalle in una cascata di riccioli d’oro, scintillanti sotto la luce del sole morente, e il profilo del viso, la sua pelle, tutto in lei sembrava etereo, quasi fosse una creatura angelica. Non è di questo mondo, fu la prima cosa che pensai. Ero uscito di casa per buttare la spazzatura e l’avevo vista là, come un miraggio. La prima volta non ebbi il coraggio di parlarle e mi limitai ad osservarla di nascosto dal balcone. La nostra casa delle vacanze si trovava proprio sulla spiaggia, davanti al mare, e questo mi faceva sentire in qualche modo vicino: solo qualche centinaia di metri mi separavano da quella creatura eterea.

Il giorno dopo non la vidi in spiaggia, ma quando arrivò la sera la trovai nuovamente lì, seduta nello stesso modo a fissare il mare. Quella volta trovai il coraggio per avvicinarmi.

Mi sedetti vicino a lei silenziosamente; mi guardò, ma non sembrò affatto spaventata dalla mia presenza. Mi sorrise, un sorriso triste. Solo allora notai che i suoi occhi avevano lo stesso colore del mare ed erano pieni di nostalgia. «Ciao» le dissi in un sussurro. «Come ti chiami?»

Lei aveva una voce che tintinnava come mille campanule argentate. «Puoi chiamarmi come vuoi» rispose. Ci pensai un po’ su. Tutto in lei mi faceva pensare ad un angelo, e fu così che dopo qualche secondo scelsi timidamente “Angela”. La ragazza mi sorrise di nuovo e non disse altro.

Rimanemmo seduti lì per un tempo che mi parve infinito, ad osservare il mare in silenzio. Notai che era magra – troppo magra – e che il suo viso era pallido. Mi ripromisi che le avrei portato qualcosa da mangiare dopo cena, ma quando risalii in casa e mi affacciai al balcone era già sparita. Durante la notte pregai con tutto me stesso di poterla rivedere la sera successiva, e i miei sogni furono popolati da angeli e occhi del colore del mare.

 

Il giorno dopo vidi che le mie preghiere erano state esaudite: lei era lì quando scesi in spiaggia la mattina e stava giocando con alcuni bambini. Il suo sorriso non era più triste, ma i suoi splendidi occhi, quando si posarono su di me, avevano ancora quella traccia di nostalgia che mi stringeva il cuore. Mi si avvicinò e si mise a parlare allegramente; all’inizio rimasi un po’ sorpreso da questo cambiamento, ma scoprii che mi piaceva. Quella sera, quando rimanemmo soli, mi disse di essere una sirena, strappata dalla sua casa marina e trascinata sulla terra molti anni prima. I miei occhi, affascinati dalla sua eterea bellezza, non ebbero alcun problema a crederle sulla parola, e rimasi ore ad ascoltarla descrivere le fredde profondità del mare in cui un tempo viveva. Scoprii che era fuggita dai suoi genitori adottivi e stava cercando di sopravvivere elemosinando qualche soldo qua e là; dormiva sulla spiaggia, in una cunetta asciutta vicino ad alcuni grossi massi.

La mia giovane mente di quindicenne non poteva permettere una cosa simile; appena lo seppi mi alzai e la trascinai con me in una gelateria, comprandole con i miei risparmi il cono più grande che avevano. Lei ne rimase estasiata.

Nei giorni successivi iniziai a portarle del cibo di nascosto, quello che riuscivo a sgraffignare o a far avanzare dai pasti, e se i miei mi chiedevano qualcosa rispondevo di aver trovato un povero gatto randagio affamato. Per dormire le portai delle coperte e lei mi ringraziò con un bacio sulla guancia. In quel momento mi sentii un eroe.

 

Passarono i giorni e Angela, che all’inizio sembrava divertirsi in mia compagnia, divenne sempre più malinconica e nostalgica. I suoi occhi erano costantamente fissi sul mare e mi aveva spiegato che preferiva non fare un bagno perché altrimenti il dolore della sua perdita sarebbe stato così forte da ucciderla. I suoi occhi divenivano di giorno in giorno sempre più distanti e la sua bocca sempre più silenziosa. Io le ripetevo che sarebbe riuscita a ritornare, che di sicuro quando fossi diventato grande avrei trovato il modo di riportarla a casa, e allora lei mi sorrideva con il suo sorriso triste e appoggiava la testa sulla mia spalla. Io ero davvero intenzionato a fare quello che le avevo promesso, ma non ebbi l’occasione di dimostrarglielo; una mattina, nella cuccia dove lei dormiva sempre, al posto del corpo sottile trovai un biglietto:

 

Mi sono ricongiunta al mare, la mia casa. Grazie per tutto quello che hai fatto per me,

non ti dimenticherò.

Angela

 

All’inizio, ci rimasi malissimo. Lei se n’era andata così, senza neanche salutarmi, senza volermi accanto a lei. Poi però pensai che finalmente era riuscita a tornare a casa e mi sentii felice per lei, anche se avrei dato qualunque cosa per vederla un’ultima volta. I giorni successivi continuai ad andare in riva al mare ogni sera e a parlare con l’acqua, come se lei fosse con me. Mi sembrava che lo sciabordio delle onde fosse la sua risposta e riuscivo a sorridere.

Quattro giorni dopo ritrovarono il suo corpo.

 

Non so come fece sua madre a rintracciarmi, ma un giorno me la ritrovai davanti alla porta della mia casa al mare. Mi parlò a lungo e mi spiegò che sua figlia era gravemente malata, che era pazza. Non l’avevano voluta chiudere in un manicomio i mesi precedenti, quando la malattia si era manifestata, e avevano provato a curarla con le medicine e il loro amore, ma lei sosteneva di essere una sirena, di venire dal mare, e chiedeva incessantemente di essere riportata lì; quando avevano deciso di metterla in un’istituto psichiatrico, era fuggita.

Il suo vero nome era Marina e l’avevano adottata all’età di sei anni. Era stata una follia, disse la madre, ma io non capii perché; era stata una bambina splendida fino all’età di 16 anni, quando si era manifestata la malattia. Non era una pazza di quelle pericolose, o di quelle che hanno le visioni; continuava semplicemente a sostenere di essere una sirena, di voler tornare al mare, ed era per questo che la madre mi chiese di indicarle il suo nascondiglio per riportarla a casa e darle le cure di cui aveva bisogno.

Quando le dissi che era morta annegata, non scoppiò in lacrime. Non pronunciò più una parola, quasi fosse diventata una statua, e lasciò subito la mia casa.

 

Non so perché venni invitato al funerale, ma mentre mi trovavo lì capii che i suoi genitori dovevano averle voluto davvero bene; non riuscivo ancora a decidere però se credere a quello che mi avevano raccontato della malattia. Angela – o Marina; non sapevo più bene come chiamarla – l’avevo sempre vista come una creatura etera, non terrestre. Per me, a quindici anni, era molto più facile credere che fosse una sirena piuttosto che una malata di mente.

Il funerale era soffocante e io uscii prima che finisse. Il cortile della chiesa era vuoto e silenzioso, un luogo che ad Angela sarebbe sicuramente piaciuto. Mi appoggiai ad una ringhiera ed alzai lo sguardo verso il cielo terso; era una bellissima giornata. E mi venne in mente che, comunque, sirena o no, al momento lei era diventata ciò che avevo sempre pensato che fosse.

Un angelo.

 

Sono passati otto anni da quando l’ho conosciuta. Non so perché mi è tornata in mente questa storia, ma so per certo che il mare non è mai stato bello come in questo momento. Ad Angela sarebbe certamente piaciuto moltissimo. Il tramonto è sempre il momento migliore per questa immensa distesa d’acqua; il sole la copre di un velo di scintille, ne esalta i colori e li mischia con i propri e il vento fa risuonare dolcemente le onde. Non sono più un ragazzino, ma mi piace ancora passeggiare sulla spiaggia di sera.

Sono le sette passate, le persone sono tornate tutte alle proprie case a prepararsi per la cena. Io sono solo, e non ho orari. La sabbia è fresca sotto i miei piedi nudi e il rumore lieve delle onde cattura il silenzio di questa serata. Alzo gli occhi al cielo, rilassato. E’ bello.

«Mi scusi, saprebbe dirmi che ore sono?»

Mi volto sorpreso verso la voce che ha richiamato la mia attenzione, trovandomi davanti una piccola ragazzina tutta pelle e ossa. Avrà al massimo diciassette anni. I capelli sono castani, lisci, e le circondano un viso di una bellezza che ho visto solo un’altra volta nella mia vita. Sento il respiro fermarsi. La ragazza mi guarda in attesa con i suoi enormi occhi – occhi che mi fanno balzare il cuore in gola. Alzo l’orologio e lo osservo, cercando di ritrovare la calma.

«Le sette e venticinque. In cambio posso sapere che ci fai qui tutta sola a quest’ora?»

E’ una curiosità sbagliata, lo so; dovrei andarmene e disinteressarmi a lei. Ma…

«Sono scappata di casa!!» mi risponde allegramente, e io sbarro gli occhi per la sorpresa.

«Scappata?» ripeto. La ragazza annuisce vigorosamente. «Scappata! Ormai sono maggiorenne, posso badare a me stessa! Ho diciannove anni!»

Diciannove… sembra più piccola. Chissà quanto tempo impiega una persona a reincarnarsi in un’altra.

Sospiro, passandomi una mano fra i capelli. «Beh, e dove pensi di passare la notte, ora? E con cosa cenerai?» le chiedo, preoccupato. Lei scrolla le spalle, come se quello non fosse un problema.

«Non lo so ancora, ma troverò sicuramente un posto!»

«Sciocca, hai idea di quanto sia pericoloso per una ragazza girare da sola di notte?» ribatto, sentendomi stranamente protettivo verso questa ragazzetta pelle e ossa. Lei mette su il broncio, ma si vede che è spaventata. Sto per fare una cosa molto stupida.

«Vieni con me, dai. Ti va un gelato?»

Lei mi guarda per qualche istante con sospetto, ma quando le sorrido annuisce allegra e si incammina subito assieme a me. Non posso fare a meno di pensare che sembra ancora meno esperta del mondo di quanto non fosse Angela. Come ho già fatto solo un’altra volta in vita mia le compro il cono più grande della gelateria e la osservo mangiarselo tutta contenta.

Sei tu, Angela? Mi stai dando un’altra possibilità? La vita di questa ragazza in cambio della tua, che non ho potuto salvare…

«A proposito, come ti chiami?» le chiedo distrattamente ancora perso nei miei pensieri. Lei alza un attimo il visetto dall’enorme gelato, tende una mano dalle dita esili e mi sorride con i grandi occhi che scintillano.

«Angela! Molto piacere!»

Rimango per un attimo inebetito a fissarla e poi le stringo lentamente la mano. Non so se credere in Dio, negli angeli o nelle sirene, ma sento di poter credere negli occhi di questa ragazza.

Questi occhi che, come quelli di un passato che non ho mai potuto dimenticare, scintillano dello stesso colore del mare.

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Valery_Ivanov