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Autore: Kioto    18/09/2010    3 recensioni
« Vuoi avere un caso? Vuoi salvare l’azienda? Bene, fallo. Mettiti pure in mezzo con Gustav, vai con lui già da stanotte se è necessario. Sei incaricato anche tu stavolta. Contento? »
« Non voglio un caso solo per pena. »
« No, è tuo. Ora non puoi più tirarti indietro, Tom. Vai pure e non tornare finché non hai qualcosa di interessante da dirmi a riguardo. »
Tom si voltò trattenendo un sorriso di vittoria e posò una mano sulla maniglia della porta.
« C’è una precisazione. »
Il ragazzo si fermò, attendendo.
« Ovviamente lavorerai anche con Rebecca. »
Genere: Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Bill sfrecciò nervosamente da un corridoio all’altro, ripetendosi a bassa voce “5 minuti”. Entrò in una stanza dove non meno di cinquanta ragazze erano impegnate a sistemarsi gli abiti, il trucco e a dare un ultimo sguardo ai capelli.
« Ragazze è tutto ok? »
Annuirono tutte, voltandosi immediatamente a guardarlo.
« Mi raccomando, sorridete e siate sensuali, questa linea deve colpire tutti quanti! »
Si allontanò senza attendere risposta, fidandosi ciecamente delle sue modelle. Uscì dalla stanza lasciando la porta aperta mentre tuccatrici&co. entravano e uscivano in preda a crisi isteriche e nervose contemporaneamente.
Si avvicinò al palco, fissando con gli occhi colmi di trucco gli addetti alle luci e alla scena e pregando che andasse tutto bene. Spostò leggermente la tenda rossa e sbirciò un po’ il pubblico.
La sala era completamente piena di gente, i fotografi avevano già iniziato a bruciare i loro rullini con scatti ad ogni particolare, anche se il tendone rosso non era ancora stato tirato via.
Chiuse freneticamente ogni fessura che lo connetteva a quella visione ansiosa e fece un respiro profondo.
Guardò l’orologio. Mancava meno di un minuto.
Si schioccò il collo, dicendosi che sarebbe andato tutto bene e poi si lisciò l’abito, attendendo.
Dall’altro lato vide le prime modelle mettersi in fila e lentamente le luci si abbassarono e la gente smise di parlare e di mormorare fra sé.
La tenda si aprì e una luce blu illuminò il fondo della passerella. Uno dei tecnici fece partire la musica e la prima modella uscì con un abito rosso scuro. Avanzò nella passerella, sotto gli sguardi interessati dei presenti e i flash dei fotografi che avevano iniziato a scattare come cavalli imbizzarriti.
Una, due, tre, le modelle si susseguivano accolte ogni volta da sospiri meravigliati, da facce estasiate e da flash che non smettevano un solo istante. Arrivavano alla fine della passerella, mostravano il loro abito guardando un punto in fondo alla stanza non definito e poi tornavano indietro sui loro tacchi da 15 cm.
Bill aveva messo in quella linea tutte le sue ultime idee, senza lasciarne fuori nemmeno una.
Dalle ragnatele alle pochette in paillettes.
Dai veri e propri abiti fino agli abbinamenti in jeans e maglietta.
Si sentiva estremamente fiero del suo lavoro e la sua gioia aumentava e dilagava sul suo viso ogni volta che una modella veniva accolta dagli applausi.
Quasi ogni sua creazione era sempre piaciuta. E circa ogni artista aveva indossato un suo abito.
Da Lady GaGa, a cui aveva disegnato personalmente un abito a forma di ragno, a P!nk che si era innamorata di un completo fuxia e nero, passando anche per Nena che aveva indossato un suo abito per i Comet e Christina Aguilera a cui aveva fatto un intero set di abiti che l’artista aveva usato durante il suo ultimo tour mondiale.
Sì, Bill amava il suo lavoro e ne andava estremamente fiero.
Adorava avere nuove idee da mettere su carta, vedere i suoi modellini prendere vita e vederli indossati e sfilare davanti ai fotografi e ai giornalisti che avrebbero fatto recensioni su recensioni di quella sfilata, così come per le altre.
Il successo di Bill era arrivato lentamente, gradino per gradino e a lui la moda era sempre piaciuta. Fin da quando era un ragazzino faceva abbinamenti con ogni cosa gli capitasse sotto le mani, e sua madre aveva addirittura nascosto ogni set da cucito – forbici comprese – perché il piccolo Bill aveva il vizio di tagliare i pantaloni e le magliette che non gli stavano più o che non gli piacevano come prima. Così si creava da solo nuovi indumenti, accessori e quant’altro.
Bill Kaulitz era uno stilista famoso ormai in tutto il mondo.
Così tanto famoso da suscitare molta invidia fra i suoi rivali, alcuni dei quali andavano alle sue sfilate per rubargli le idee e copiarle, modificarle e applicarle ai loro marchi. Ma niente poteva battere l’originalità di Bill che era stato da subito criticato per il suo look trasgressivo, etichettato come omosessuale, ermafrodita o transessuale e solo dopo il suo primo vero lancio la gente si era concentrata di più sulla sua produzione e non sul suo aspetto. Le mani di Bill valevano più dell’oro.
Oro che risplendeva nei suoi occhi ambrati, oro che scintillava nell’ultimo abito che era uscito fuori, indossato da un’esile modella dai capelli rossi.
La ragazza sorrideva e splendeva in mezzo a quella seta scintillante e quando arrivò alla fine della passerella, i fotografi erano letteralmente impazziti.
Bill aveva fatto nuovamente centro e non poteva essere più felice di così.
La modella fece più volta un giro su sé stessa, lasciando che i fotografi potessero ammirare ogni piccolo dettaglio di quell’abito per la quale Bill aveva passato intere notti in bianco.
Sulla testa della modella uno scricchiolio fece sollevare il viso a diverse persone e qualcuno urlò: « Il lampadario! »
Bill sollevò lo sguardo e il lampadario prese improvvisamente fuoco, slacciandosi dal soffitto e cascando dritto sulla passerella e sul corpo della modella.
Lo stilista si catapultò sul palco mentre altri giornalisti e spettatori scappavano a gambe levate.
Bill si caricò il peso del lampadario addosso e poi lo buttò via, mentre la modella quasi piangeva di dolore.
Il suo viso era storto in smorfie di pena e l’abito aveva in parte preso fuoco.
Il ragazzo la chiamò per nome e qualcuno urlò di chiamare un’ambulanza.
« Come stai? »
« Mi fanno male le gambe. »
Bill spostò lo sguardo e vide le gambe della modella bruciate ma preferì non dirle niente.
« Stai tranquilla, adesso ti portiamo all’ospedale e vedrai che starai meglio. »
Le modelle uscirono nelle quinte per cambiarsi gli abiti in modo da non rovinarli e Bill rimase con la ragazza ferita.
Ma nel suo cuore, c’era qualcosa che gli diceva che non era stato solo un incidente.

I piedi poggiati sul tavolino in cristallo, i capelli bagnati raccolti in un asciugamano piccolo e un altro più grande legato in vita, con il riscaldamento acceso e una tazzina piena di caffè in mano.
Questa è Rebecca.
Poggiò la testa sul bordo del divano gustandosi quel momento di puro relax, dopo una doccia calda.
Rebecca aveva 24 anni e viveva in un quartiere ricco di Berlino.
Sulle pareti di casa sua stavano appesi diversi quadri d’arte naturalistica e vecchie foto di famiglia. A Rebecca piaceva l’arredamento moderno, fatto di cristalli e quadri eleganti e aveva solo qualche souvenir etnico o che richiamava quello stile.
Viaggiare era uno dei suoi hobby ma più che per piacere, lo faceva per lavoro.
Si alzò dal divano, poggiando la tazzina sul tavolino e tornò in bagno. Si slacciò l’asciugamano che aveva in testa e fece scivolare i lunghi capelli corvini lungo le sue spalle, per poi attaccare la presa del phon e iniziare ad asciugarli con l’aiuto di una spazzola.
Rebecca curava molto il suo aspetto fisico e le piaceva distinguersi fra le persone.
Sul corpo portava diversi tatuaggi, ognuno con un significato diverso.
Su una spalla aveva disegnati tre fiori, sulla nuca lo Ying e lo Yang e su un fianco, dalla parte della schiena, la scritta Never Surrender.
Amava tutto ciò che riguardava il pericolo, il fuoco, le armi e tutto ciò che poteva collegarsi ad esse.
Rebecca era forte.
Così tanto forte da aver riposto la fiducia solo su sé stessa e sulle sue capacità che cercava di migliorare e ampliare, cimentandosi in venti cose diverse nello stesso momento. Non era una sportiva ma le piaceva correre e quando ne aveva voglia si faceva un giretto quando il sole non era ancora sorto.
Lei non conosceva la paura, i sentimenti. Era cinica.
L’unico sentimento positivo che poteva provare l’aveva riservato per le poche amiche che aveva e con la quale stava ogni volta che poteva, che aveva un momento libero.
Come quella sera.
Mise al suo posto il phon e poi si sfilò di dosso l’asciugamano, camminando nuda per casa alla ricerca di qualcosa di carino da indossare.
Aveva una marea di abiti, riempiva quasi un intero armadio ma, come ogni donna, in quel momento le sembrava di non avere proprio nulla di decente da mettersi.
Ed era ridicolo contando che la maggior parte degli abiti erano firmati BK!
Fece almeno 6 abbinamenti diversi e poi scelse un abito bianco e un paio di scarpe dello stesso colore e successivamente si dedicò al trucco.
Circa mezz’ora dopo il campanello suonò e su una Mercedes grigia sedeva una testa bionda che chiamava Rebecca a gran voce.
Quest’ultima uscì dalla sua abitazione in uno scintillio di ombretti e creme per la pelle, portandosi dietro una scia di profumo alla vaniglia.
« Arrivo! Arrivo! Sempre tutta questa fretta! »
Salì nell’auto dell’amica che partì spedita.
« Non si sa mai, potresti addormentarti sul divano e non ricordarti di avere un appuntamento. »
Rebecca rise e abbassò lo specchietto nella macchina, sistemandosi i capelli e il trucco.
« Come vedi sono stata puntuale. »
« Miracolo! Qualcuno dovrebbe farti una statua per questo! »
« Molto divertente Daisy! »
Daisy aveva un anno in più rispetto a Rebecca e portava corti capelli biondi. I suoi occhi erano verdi e aveva una carnagione molto chiara. Lei e Rebecca erano amiche dai tempi della scuola ed erano sempre andate d’accordo. Daisy fumava come una ciminiera e Rebecca aveva più volte cercato di farla smettere ma senza troppi risultati. Daisy aveva solo diminuito.
L’amica al volante accese la radio; era solita viaggiare sempre con la musica ad alto volume e per Rebecca era assai strano che l’apparecchio fosse ancora spento, quindi non si sorprese molto quando sentì partire un CD dei Red Hot Chili Peppers.
CD che durò fino al loro arrivo al Grace, il locale dove anche Piper e Mulba le aspettavano.
Piper aveva i capelli rossi e neri e tutti la notavano soprattutto per il septum. Mulba invece era mulata e aveva una folta chioma riccia e scura e gli occhi color pece.
« Alla buon’ora! » esclamò la prima, agitando la sua pochette.
« Non guardate me, io ero puntuale! » precisò Rebecca, portando le mani avanti mentre scendeva dall’auto.
« Oh sì, sappiamo di chi è la colpa. » Mulba le si avvicinò e la circondò con le sue braccia. « Com’era Londra? »
Rebecca fece spallucce.
« Uggiosa. »
« Non ci hai portato nulla?! Nessun palazzo in miniatura, nessun autografo della regina visto che ti ha ingaggiata lei o cose del genere?! » sbottò Piper, la solita.
« Ero là per lavoro! Non stavo girando fra le bancarelle del mercato delle pulci, stavo cercando un attentatore alla famiglia reale. »
« Quindi neanche un Big Ben in miniatura? » mugolò Mulba.
Rebecca sospirò mentre Daisy chiudeva la macchina.
« E va bene, la prossima volta che parto vi porto un regalo. Adesso possiamo entrare che ho fame?! »
Piper applaudì gioiosa e tirò dentro Mulba.
Il Piper era un locale per accaniti fumatori e amanti dell’alcohol.
Rebecca ci andava solo con le sue amiche, mai da sola perché non le interessava ballare e bere tutta la notte. Ma ogni tanto poteva fare uno strappo alla regola e concedersi una serata di puro divertimento.
Serata che, tuttavia, venne presto interrotta.
Il suo cellulare prese a squillare quasi con insistenza, catturando la sua attenzione.
« Pronto? »
Dall’altro capo dell’apparecchio udì una voce agitata e innervosita dargli quasi degli ordini.
« Adesso?! »
« Sì, ora. »
Mulba e le altre si voltarono a guardarla mentre Rebecca si era già alzata in piedi e indossava la sua giacca, ancora con il cellulare attaccato all’orecchio.
Daisy aspettò che l’amica finisse la conversazione per domandarle cosa stesse succedendo.
« Il lavoro mi chiama. »
« Adesso?! »
« C’è stato un incidente a quanto ho capito ma penso mi spiegheranno tutto appena arrivo. »
« Vuoi un passaggio? » domandò Piper.
Rebecca scosse la testa.
« No grazie, prendo un taxi. Ci vediamo ragazze, scusatemi! »
Uscì velocemente dal locale e si avviò verso il primo taxi libero.
Bussò al finestrino finché l’autista aprì.
« E’ libero? »
L’uomo, un messicano con degli enormi baffi e uno stecchino in bocca, annuì lentamente e Rebecca salì nei sedili posteriori.
« Dove la porto? »
La ragazza tirò fuori la testa che aveva tuffato nella borsa alla ricerca del suo borsellino e fece mente locale.
« La casa di moda di Bill Kaulitz, grazie. »
   
 
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