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Autore: shining leviathan    19/09/2010    3 recensioni
Non posso rimanere qui.Se rimango i miei incubi mi annienteranno, e con me tutti quanti.
Una lettera per chiedere aiuto, una speranza per un futuro già segnato.
(Ipotetico sequel di Just a little child)
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sephiroth
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Caro professor  Gast….

No, troppo confidenziale.

Esimio professor  Gast…

No…

Accartocciò l’ennesimo foglio, trovando esageratamente formali le parole che aveva appena  impresso sulla carta immacolata, e lo gettò nel cestino al fianco dello scrittoio, pieno fino a scoppiare di altri tentativi di instaurare una conversazione desiderata ,ma rispettosa, con l’unica persona che in quel momento non voleva essere raggiunta da nessun tipo di missiva.

Ma lui doveva chiedergli qualcosa che si portava dentro da troppo tempo.

Sospirò, facendo ticchettare la punta della penna sul piano in legno, macchiandolo di leggeri schizzi d’inchiostro.  Il ronzio dell’aria condizionata riempiva il silenzio della sua stanza come una presenza benigna e si sentì leggermente confortato dal fatto che nessuno in quel momento potesse vederlo. Lui, il Soldier freddo e calcolatore che si rodeva dai dubbi, trovando la compagnia di una ventola difettosa migliore di qualunque altra.

Davvero patetico.

Lo stridio delle pale lo riportò con la mente alla sua lettera, pietosamente bianca. Schioccò la lingua, aggrottando le sopracciglia, e posò la sfera della biro sulla carta, muovendola velocemente per tracciare gli eleganti  ghirigori  della sua scrittura.

Professor Gast,

il motivo per cui gli spedisco questa lettera è molto semplice. Non voglio disturbarla, so che ultimamente ha avuto dei  guai con il reparto scientifico, ma mi preme davvero farvi sapere che…

la parola rimase a metà, quasi graffiata sul foglio. L’inchiostro era finito.

Cazzo…

Gettò via la penna e ne prese un’altra dal porta biro poggiato nell’angolo della scrivania, riprendendo a scrivere con solerzia. Ripassò quel “che” e continuò.

Che per me è importante.

Le guance presero a formicolargli, pervase da un accennato rossore, ma per quanto fosse combattuto non tirò nemmeno una riga per cancellare quell’affetto troppo esplicitato.

Lei è stato ciò che c’è di più vicino a un padre per me. Non ho mai avuto nessuno che si preoccupasse, nessuno che sostenesse le mie  scelte. Sa, volevo diventare un medico, o uno scienziato in alternativa, volevo aiutare le persone, fare qualcosa di utile per questo mondo..

Scosse la testa, trovandosi sciocco oltre ogni dire.

Sono un Soldier ora. Faccio morire delle persone, ma non le uccido con dosi letali come i dottori, strappo la loro vita senza che loro lo vogliano. Non allevio sofferenze, ne  causo solo altre. Tutto l’opposto di come avrei voluto essere.

Hojo dice che dovrei smetterla di fantasticare su queste cose, che un guerriero non pensa, agisce e basta.

È solo uno stupido vecchio, e io tutte le volte gli rispondo che è solo una mezza calzetta rispetto a lei. Vi invidia molto professore e io ci godo a farlo sentire un  fallito , come lui ha fatto sentire me un fallito per tutta la mia vita.

Socchiuse gli occhi.

Si ricorda quando mi ha raccontato quella storia? Quella del bambino?

Io non sono più un bambino ormai. Nel bene e nel male ho trovato un posto nel mondo, ma so che un giorno mi sveglierò e scoprirò che tutto questo sarà stata solo un illusione fittizia. Non è la vita che avrei voluto… ne la voglio ora.

Una volta…

Non riusciva proprio a decidersi. Perché non riusciva ad imprimere quelle fatidiche parole?Perché ci girava intorno?

 Una volta mi aveva detto che ero troppo beneducato per non dare ad Hojo ciò che si meritava. Lo trattavo con troppa indulgenza, mi diceste ridendo.

“ Sei un santo,ragazzo. Tutti dovrebbero essere come te. Sta attento che se continui così ti costringerò a sposare mia figlia un giorno”

Deglutì, ripensando all’assurdità di quella proposta. La figlia di Gast era solo un fantasma per lui; una bambina fra  le tante che vagavano con le guance rosee e i vestiti ridicoli cuciti dalle loro madri, ignare del male che estendeva i suoi sporchi tentacoli a rovinare l’esistenza intera di una famiglia. E quel male diventava reale quanto il sangue sul suo volto.

 Scivolava sulle sue guancie, dividendosi in lacrime che non era più in grado di versare o che non era mai stato capace di versare. Lui era il mostro, l’incubo di chi se lo ritrovava con la mano gelida della morte sulla spalla sinistra, e implorava il rinvio di una fine che nessun essere umano poteva sopportare. La trepidazione del colpo di grazie rodeva il coraggio dei più audaci, spegnendo gli occhi della scintilla di presunzione con cui sfidavano il cancro stesso che divorava le loro esistenze. La Shinra si appropriava di ogni cosa, senza tener conto di questi piccoli focolai di dolore. Un ginepraio di disperazione che sfociava nella più sanguinosa guerriglia. 

Il sangue versato lo percepiva sulla sua pelle: pesava, col suo aroma dolce e arrugginito, e impregnava gli abiti di morte. Non l’aveva capito fino quando non si era ritrovato nel bel mezzo dell’incubo, uccidendo per non essere ucciso. Col tempo la sua Masamune aveva imparato a muoversi solo per provocare morte, dimenticando che la sua funzione primaria era stata quella di difendere il suo padrone dai colpi dei ribelli.

La sensazione di fare qualcosa di sbagliato urlava a pieni polmoni l’efferatezza di quel crimine, delle orbite vuote che lo fissavano con implicite accuse che si sarebbero portati nel Lifestream, perseguitandolo coi peggiori fantasmi possibili:

I ricordi.

Nessuna entità ectoplasmatica esistente sul Pianeta era più temuta delle reminescenze di guerre e perdite. Delle madri che urlavano sui corpi esangui dei figli, della moglie che avrebbe aspettato in eterno il suo consorte sapendo che non sarebbe tornato indietro da quella realtà cruda, scandita dai colpi delle armi da fuoco. Tutto questo era sommato ad una distruzione ciclica, irreversibile. La rinascita di ciò che era stato annientato non poteva risorgere semplicemente dalla cenere di un mondo distrutto.

Ogni vita aveva un suo prezzo definitivo, e lui si era consacrato al sangue rassegandosi del proprio destino.

Fino ad ora.

Mi piacerebbe conoscere vostra figlia, professore.

Non mi fraintenda, non sono interessato a lei in quel modo. Non vorrei mai rincorrere nelle vostre ire, i padri gelosi mi terrorizzano più dei mostri del monte Nibel.

Sorrise fra se, grato di possedere ancora un briciolo di ironia in quella spirale di follia pura.

Tornando al discorso di prima: vorrei solamente avere una possibilità. La possibilità di cambiare ciò che sono, diventare la persona forte che è lei, professore. Io non lo sono, in barba a chi dice che io sia una specie di Dio, sono solo un bambino.

Mi hanno costretto ad impugnare una spada ancora prima che cominciassi a parlare, gettandomi in pasto ad un mondo crudele che non ha mai fatto altro che sfruttarmi.

Voglio andarmene.

Volevo che lei lo sapesse. Mi piacerebbe molto aiutarla con i suoi esperimenti, ha sempre avuto delle idee geniali. Ma immagino che lei lo sappia già.

Sa, ho anche trovato degli amici. Mi dispiace lasciarli…

Si chiamano Genesis ed Angeal, sono due tipi a posto e non potrebbero essere più differenti l’uno dall’altra.

Angeal è il tipico ragazzo imbevuto di valori medievali ma validi, a mio parare.

Mi piace la sua lealtà, l’incrollabile fiducia che mi ha subito donato insieme al senso dell’onore.

Di Genesis non ho avuto una buona impressione, all’inizio. Mi ha scambiato per una donna… e l’occhiataccia che gli ho lanciato mi sa che l’ha più intimorito che altro. È stato grazie ad Angeal se ci siamo avvicinati. Diceva che si conoscevano da quand’erano bambini e da lì in poi è stato facile legare con quei due.

Mi mancheranno di sicuro.

Ma non posso rimanere qui.

Se rimango i miei incubi mi annienteranno, e con me tutti quanti.

 

Posò lentamente la penna, fissando le ultime righe con tristezza. Non era un presentimento benigno, c’era qualcosa che si era dimenticato di dire in quella missiva, qualcosa che lo inquietava sia di notte che di giorno, una visione di fiamme che avvolgevano ogni lucidità passata per dissolverla in fumo, e lui guardava inerme il suo operato. Persone, famiglie, case che soccombevano ad una forza che nemmeno lui credeva di avere. Un incubo che una volta sveglio non tornava nel limbo di Morfeo, ma si svolgeva davanti ai suoi occhi con inquietante veridicità.

E quel futuro camminava a pari passo con la morte, avvicinandosi ogni giorno di più per reclamare la sua parte. Delle volte gli pareva di udire voci femminili che lo chiamavano affettuosamente “figlio”, e alla lunga si era convinto che fosse l’unico ricordo di sua madre china sulla culla, la più grande falsità che avesse mai concepito in sedici anni di vita. Se non era la sua genitrice, però, non sapeva proprio a chi pensare.

L’universo femminile gli era sempre stato precluso, dato che era venuto su nel rigido cameratismo maschile della Shinra a stretto contatto con tutto quello che poteva essere definito virile, e le uniche donne che avesse occasione di osservare erano le poche scienziate dei laboratori e la moltitudine di segretarie da ammirare a debita distanza. Non che gli interessassero molto, quando era piccolo fantasticava scioccamente sulla possibilità che in mezzo a loro ci fosse la madre che non aveva mai conosciuto. Spiava i visi luminosi e non di quelle femmine con curiosità scientifica, mantenendo il tipico contegno militare inculcato nell’infanzia.

Tra tutti i suoi commilitoni lui era l’unico a non risentire delle cosidette: “tempeste ormonali”

Le gambe nude delle donne non gli procuravano l’entusiasmo che ritrovava in altri. I racconti di prodezze che lui leggeva solo nei libri di scienze lo annoiavano, perché riteneva esagerato enfatizzare dettagli insignificanti sottolineati di rosso nella tabella dell’apparato sessuale. Sapeva il nome scientifico di ogni parte spiegata con boria dai suoi compagni, e delle volte aveva la tentazione di correggerli ma retrocedeva per paura di fare figuracce.

Dopotutto non aveva mai conosciuto carnalmente una donna, e i pettegolezzi cattivi sul fatto che preferisse uomini lo infastidivano intimamente. Era circondato da idioti che non sapevano far altro che chiamarlo “invertito”, senza avere il fegato di dirglielo in faccia. La sua potenza spaventava anche gli alti gradi, e quella paura condizionata si riversava anche su se stesso. Solo che lui non poteva semplicemente scappare come facevano tutti, non poteva voltare le spalle a ciò che lo intimoriva. Il riflesso dell’assassino lo seguiva ovunque: negli specchi, negli occhi di chi ammazzava, nella quotidianità di tutti i giorni che non reprimeva quel timore congenito della fine.

Era in trappola, prigioniero di quella voce dolce che lo istigava a compiere orrori indicibili, incatenato dalla corporazione che sarebbe stata il promotore della sua rovina e di quella del mondo. Lo sospettava, lo sapeva…

Se non fuggiva subito non avrebbe avuto la possibilità di redimersi dalla numerose colpe commesse, di diventare medico. Forse avrebbe percorso più strada del vento, lasciandosi alle spalle il passato.

 Ma una volta fermo lo avrebbe raggiunto.

E allora cosa avrebbe fatto?

Cosa avrebbe fatto se magari si sarebbe trovato da solo con la piccola figlia di Gast? Con l’innocente bambina del suo padre adottivo?

Scosse la testa, e le ciocche color del ghiaccio dondolarono pigramente al movimento. Piegò la lettera in due, inserendola con attenzione nella busta siglata Shinra, e sperò con tutto il cuore che il professore non la buttasse senza darci nemmeno un’occhiata. Lì vi erano riposte tutte le sue speranze, il suo futuro, e se fosse successo qualcosa niente e nessuno avrebbe potuto fermarlo.

Voglio cambiare

La paura mi rende prigioniero, la speranza può rendermi libero.

Ciò che non mi distrugge
mi rende più forte.
 

Ma io voglio essere solo me stesso.

Il bambino che ascoltava le sue storie con gli occhi sgranati, ancora convinto che nel mondo ci fosse qualcosa di buono, ecco chi voglio essere.

Senza paura, senza morte.

Solo io.

Sephiroth.

A presto professore

 

 

 

 

Il DESTINATARIO DELLA SUA LETTERA È VENUTO A MANCARE IN TRAGICHE CIRCOSTANZE

 

LETTERA RISPEDITA AL MITTENTE IN DATA 25/12/93

 

 

 

  
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