Al calare
della notte il tenente Zoldeschi si alza, terzo
da destra nella seconda riga, rigorosamente vestito con
l’uniforme
dell’Esercito Italiano. Raccoglie il fucile, lo porta a
tracolla e, gli occhi
slavati e vuoti, si gira e comincia a risalire monte Zovetto, lungo la
strada
che s’inerpica a tornanti verso la sommità.
La sua
brigata è di sicuro già appostata nelle trincee,
accanto a quei mitraglieri
scozzesi.
Canta; a
voce abbastanza bassa da confondersi con il crepitio
dell’erba secca sotto i
piedi, gli austro-ungarici possono nascondersi in ogni fenditura della
roccia,
e i loro cecchini sono temibili. Un colpo ben assestato e il nemico
crolla in
una pozza di sangue, con la baionetta ancora tra le mani.
Anche a
Martin era successo: un attimo prima sparava
accanto al tenente, e subito dopo il fischio di un proiettile fendeva
l’aria e
lui cadeva rannicchiato ai suoi piedi, tra le provviste dei soldati e
le
macchie d’umidità.
È
suo l’elmetto che indossa Zoldeschi, adesso, in
sostituzione del suo, troppo ammaccato; ogni volta che ci pensa ha una
contrazione allo stomaco, un principio di rigurgito.
Oh, ecco la
postazione scozzese.
La supera,
sempre con una certa flemma, ritto come un palo
in mezzo al fuoco nemico, costante. Un passo dopo l’altro,
anche se non li vede
i nemici ci sono, ci sono sempre, diecimila volte più
crudeli di lui.
Le stelle
questa volta sono placide, flebili, e i prati e
i boschi attorno a Zoldeschi sono una coperta di oscurità
vellutata. Gli occhi
del tenente sembrano ciechi, eppure nella sua mente si proietta un film
e lui
va avanti, senza trovare ostacoli sul suo percorso.
Per fortuna
ha finito il suo giro di ricognizione, pensa,
Rusca[1]
è sempre nervoso, anche quando cerca di alleggerire gli
animi con qualche
battuta. Forse si aspetta un attacco al giorno.
L’espressione
di Zoldeschi non cambia, sente i muscoli del
viso intorpiditi –porco Giuda, lui
è un
alpino!, e gli alpini non hanno mai paura di seguire gli ordini del
loro
comandante, almeno per riportare a casa il didietro.
Appoggia la
baionetta sull’erba, con la punta rivolta
all’insù, gli occhi fissi sulla collina coperta
d’erba.
Uno, due,
tre, lì è caduto Rusca dopo aver spronato tutti
gli altri alla carica.
Zoldeschi,
avanti,
avanti!
Si infila nei
cunicoli delle trincee, pesta pozzanghere e
una merda di vacca; Sommariva bestemmia, tutti fuori a rispedire
indietro gli Austriaci.
Il tenente corre accanto al battaglione, non c’è
tempo per chiedere a un santo protettore
di assisterli. Indietro, per
l’Italia!
Vede i
soldati imperiali trotterellare giù per l’altro
pendio
del monte, gridando imprecazioni.
E prima che
tutto finisce Zoldeschi cade, l’elmetto rotola
giù e si perde in un cumulo di neve. Il soldato tende la
mano verso l’oggetto –
Martin. Ha un altro rigurgito, acido
e doloroso. Dov’è il suo elmetto?
Il sole
sorge, illumina il prato verdeggiante e le cime
degli alberi; Zoldeschi chiude gli occhi, si rialza e torna placidamente nella sua
tomba. Terza da destra nella seconda riga.