-lilyblack
-Titolo: Maternità
-Personaggi: Alice Paciock, Neville Paciock, Augusta Paciock
-Pairing: -
-Genere: Songfict
-Rating: verde
-Avvertimenti: OneShot,MissingMoments
-Introduzione: Alice non è sempre stata quella donna
sfortunata che noi
conociamo, c’è stato un momento in cui non
esistevano genitori torturati e
bambini orfani, ma in cui esistevano solamente una madre e il suo
bambino in
procinto di nascere.
-NdA (Note dell’Autore):
Questa
è la prima songfict
che scrivo,non so nemmeno se messa così si può
definire una songfic, talmente
sono ignorante in materia,ma suppongo di si. Ho cambiato tante volte
idea su
questa storia, ma alla fine mi è piaciuto molto scriverla e
sono soddisfatta
del risultato. Era molto tempo che volevo scrivere qualcosa
sull’istinto
materno e spero di esserci riuscita.
p.s. il passaggio ‘ l’assenza di lei’ può risultare un po’ pesante,me ne rendo conto, ma è una costruzione voluta per rendere l’idea quasi materiale che Neville non sente solo la mancanza fisica della madre,ma quella della sua figura a tutto tondo.
Questa storia ha partecipato al primo turno dell'HP final Contest, vincendo: il premio come miglior songfict e, a parimerito, il premio come miglior personaggio femminile, il premio come miglior protagonsita e il premio come miglior scena triste.
p.p.s. questa storia era stata scritta per il 24h contest, ma per un problema tecnico non ha potuto partecipare.Quindi la ripropongo quì ^^
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La
stanza
era piccola, ma accogliente, come un nido; pareti color panna
proteggevano una
mobilia ricca e dai colori scuri, caldi e avvolgenti.
Se si osservava la stanza dai più piccoli
angoli alla grande tenda celeste che la decorava, era impossibile non
immaginare l’amorevole mano che sceglieva la culla azzurra su
cui ronzavano a mezz’aria
delle fatine oppure la carta da parati che ancora qui e la stentava ad
asciugarsi. La luce filtrava debolmente dalle persiane calate e una
donna
sedeva tranquillamente su una sedia a dondolo, con le mani intrecciate
sul suo
ventre come a proteggere la creatura che aveva in grembo.
Sarebbe bastata la bacchetta al suo fianco per designarla come essere
speciale,
ma il sorriso sulle sue labbra avrebbe incantato chiunque, anche il
cuore più
duro, con più efficacia della magia. Tutto sul suo volto
infondeva calma e
serenità, dalla piena curva delle guance allo sguardo carico
d’affetto che
rivolgeva a quella che per ora era solo una pancia particolarmente
prominente.
Ogni suo più piccolo movimento sembrava essere incentrato
sul suo essere madre
e nemmeno la stanchezza del corpo poteva vincere l’immensa
luce del suo
sguardo.
La nenia che usciva dalle sue labbra sembrava musica pura e qualsiasi
altro
rumore della casa, apparentemente, si era interrotto nello stesso
istante in
cui lei aveva aperto bocca.
‘Avrai
sorrisi sul tuo viso come ad agosto grilli
e stelle.’
Le parole
accarezzavano le labbra e si lanciavano oltre con la stessa leggiadria
di una
farfalla, tanto che sembravano far parte
dell’impalpabilità dell’aria e di non
essere affatto nate da una gola umana. Alice chiuse gli occhi e
provò a immaginare
il suo bambino; subito le venne da sorridere al buio della sua mente
alla vista
di quel volto tenero e sicuro al tempo stesso, che assomigliava
tremendamente a
Frank. Occhi aperti e puri, come quelli di chi proprio non riesce a
vedere il
male del mondo, le sorridevano da sotto una massa di morbidissimi
capelli color
cioccolato al latte e una manina paffuta e tenera tentava di toccarla,
chiamandola con una risata che sapeva di cristallo.
Erano quelli i momenti in cui si sentiva in pace con il mondo, anche se
suo
marito era fuori casa a combattere, quando si rendeva conto che niente
per lei
valeva quanto gli attimi in cui il battito del suo cuore si
sincronizzava al
miracolo che portava dentro, che nessuna magia avrebbe mai eguagliato o
spiegato.
Ogni volta che il respiro le si fermava nel petto per un calcio, si
sentiva più
invincibile di Silente e la morte non le faceva più paura.
L’unica cosa a cui
riusciva a pensare era la sua vita con il figlio suo e di Frank, le
cose
migliori che le fossero capitate nella vita.
‘Avrai
avrai avrai il tuo tempo per andar
lontano.’
Non sarebbe
stata
una madre oppressiva, lo sentiva nel petto e il suo istinto non aveva
mai
sbagliato. Teneva anche un diario su tutti i consigli che avrebbe dato
a suo
figlio quando sarebbe stato grande; non era il caso di lasciare a Frank
il
compito di spiegargli come avvicinare le ragazze, visto che per
chiederle di
uscire ci aveva impiegato circa cinque anni o ad Augusta,
giacché era rimasta
con le idee all’epoca dei fondatori di Hogwarts.
Sarebbe stata una madre moderna, e il suo piccolo Neville sarebbe stato
fiero
di presentarla ai suoi amici, esattamente come lei era sempre stata
fiera di
sua madre.
Certi legami non muoiono mai e quello fra madre e figlio era qualcosa
di
tremendamente forte, come un filo doppio che stringe forte il cuore,
ora poteva
capirlo. Il solo pensiero che glielo potessero portare via era
più doloroso
dell’idea stessa di perdere la vita.
Aveva
incantato la
finestra perché le mostrasse solo quello che voleva vedere e
in quel momento i
suoi occhi si stavano perdendo in un mare in tempesta.
‘Natale
di agrifogli e candeline rosse.’
L’atmosfera
aveva
iniziato a cambiare, la neve fioccava sull’acqua rendendola
gelata,
preservandola sotto un manto candido che odorava di quella magia che
nemmeno i
maghi possono comprendere, quella magia che ha l’odore dei
sogni e la
consistenza di una nuvola. Quando
aveva saputo che sarebbe nato in tempo per Natale era scoppiata di
gioia. Dal
giorno in cui i mangiamorte avevano ucciso la sua famiglia di origine,
quattro
anni prima, aveva passato il Natale da sola con Frank e Augusta, in
un’atmosfera tetra che non si confaceva minimamente ai suoi
ricordi di bambina.
Un enorme albero verde, cataste di regali e urla di bambini a fendere
l’aria
come frecce infuocate, ore passate a correre nei prati innevati e
pomeriggi
interi impiegati per costruire un pupazzo di neve che non stava nemmeno
in
piedi. Voleva tutto questo per suo figlio, insegnarli la pace dai
piccoli gesti
di ogni giorno in modo che gli crescesse nel sangue, voleva che avesse
tutto
quello che di bello aveva avuto lei e anche tutto quello che di bello
non aveva
avuto.
‘Avrai
una donna acerba e un giovane dolore,
viali di foglie in fiamme a incendiarti il cuore.’
Avrebbe avuto
anche
tutto il dolore che lei aveva avuto, perché senza dolore non
si cresce ed è
impossibile capire quanto bello sia il paradiso se non hai avuto un
assaggio
d’inferno.
Un giorno, quando sarebbe stato abbastanza grande da andare a scuola,
gli
avrebbe letto del suo diario di guerra, di tutti quegli uomini e quelle
donne
speciali che erano avevano sfidato la morte pur di far nascere lui e
tanti
altri bambini, come quello dei Potter, in un mondo diverso, migliore e
che era
suo compito mantenere quel mondo migliore, con il rispetto degli altri,
ma in
primo luogo di se stesso.
Un vento passava sotto la porta, entrava dal corridoio e le accarezzava
la
pelle lasciata scoperta dal vestito premaman di cotone leggero. Alice
sospirò,
stanca, rimettendosi comoda sulla sedia a dondolo e spingendola
nuovamente;
Luglio era il mese peggiore per portare a termine una gravidanza, ma
almeno
poteva dire con sicurezza che avrebbe gustato mille volte di
più il momento in
cui dall’afa sarebbe nata la sua meraviglia.
Non sapeva cosa significasse il nome Neville, ma aveva deciso quel
piccolo
ammasso di lettere avrebbe portato fortuna a suo figlio e
l’avrebbe aiutato nel
suo percorso, anche se non riusciva mai a spiegare in che modo un nome
avrebbe
potuto difendere qualcuno.
‘Avrai avrai avrai la stessa mia triste
speranza e sentirai di non avere amato mai abbastanza.’
La strofa che
amava
di più di quella canzone babbana che aveva sentito, per
caso, durante una
missione alcune settimane prima.
‘Hai
capito,
piccolo mio, l’amore non è mai
abbastanza…’
Glielo
sussurrava
sempre, di giorno, di notte, ogni volta che si ritrovava a pensare
quanto
immensa fosse la forza dell’amore nella quotidiana lotta
contro il destino.
L’amore, in ogni sua forma, avrebbe vinto ogni guerra, anche
quella fratricida
che stavano combattendo loro,in quel momento e che sperava sarebbe
finita
presto. Era suo preciso dovere insegnarlo a suo figlio, anche se sua
suocera
continuava a ripetere che andando avanti così avrebbe fatto
diventare suo
nipote un incapace.
Al pensiero Alice sorrise, ironica; aveva da tempo messo in conto che
non
sarebbe mai andata veramente d’accordo con la madre di suo
marito e
intratteneva con lei un rapporto apparentemente affettuoso solo per
amore di Frank.
Sospirò alla stanza vuota e accarezzò ancora il
suo ventre, poi riprese a
cantare, approfittando di essere da sola a casa, e a dondolarsi,
aspettando che
il Morfeo andasse a prendersela giusto in tempo per il riposino
pomeridiano.
‘Se
amore amore amore avrai, se amore amore amore
avrai…’
‘Ha
ricominciato a cantare quelle parole assurde. Su Neville,
andiamo!’
‘Nonna, io sono sicuro che mi abbia sorriso, secondo me stava
ricordando! ’
Raramente
Neville disobbediva a sua nonna o controbatteva a una sua qualsiasi
decisione,
ma quella volta gli sembrava sul serio che sua madre avesse avuto un
remoto
lampo di lucidità negli occhi. Era stato qualcosa di
infinitesimale, ma per un
attimo gli aveva dato la sensazione che forse il destino poteva essere
gentile
con lui, almeno una volta e ridargli sua madre sotto forma di qualcosa
che non
fosse l’ennesima carta di caramella.
Sentiva continuamente parlare di suo padre, ma era di sua madre che
sentiva
maggiormente la mancanza; a volte l’assenza di lei nei suoi
ricordi si faceva
quasi dilaniante e guardandosi attorno non scorgeva nessuno disposto a
dividere
i suoi ricordi con lui.
Aveva solo un sogno ricorrente a raccontargliela, di una sedia a
dondolo bianca
in una stanza con una finestra magica, della sua voce che dolce cantava
una
canzone di cui non ricordava le parole, per farlo addormentare. Quella
voce non
era assolutamente quella che sua madre produceva ogni vola che lui
andava a
trovarla al San Mungo, ma a Neville faceva bene pensare che fosse stata
realmente la sua voce, prima di quel giorno maledetto, aveva bisogno
di
pensarla così. Ogni volta pensava che se avesse intonato
quel motivo forse lei
avrebbe cantato con lui e l’avrebbe riconosciuto, ma ogni
volta si lasciava
trascinare via da sua nonna senza avere il coraggio di dire che non
voleva
andare via di là, che sarebbe rimasto anche ore a quel
capezzale pur di avere
un suo sguardo diverso, un suo sguardo reale.
Non aveva il coraggio necessario ad affrontare sua nonna, ma non aveva
nemmeno
il coraggio necessario ad affrontare le sue stesse paure e
l’eventualità che
sua madre non gli avrebbe mai sorriso.
In fondo era meglio un sogno labile da stringere tra le dita e su cui
fantasticare, che un progetto fallito sul quale piangere.
‘Allora
Neville, hai intenzione di svernare qui?’
‘No
nonna, arrivo.’
Chinò
il capo e per l’ennesima volta attraversò il
grande stanzone di degenza,
passando davanti al letto del professor Allock.
Il chiacchiericcio di sua nonna nascose ben presto ogni traccia del
silenzio
dell’ospedale e Neville si rassegnò a dover
nascondere i suoi pensieri in un
angolino della sua mente, per poi riprenderli una volta a casa, nella
sua
stanza, quando era libero di perdersi in un mondo in cui non esisteva
ancora,
ma dove la musica non si fermava mai.