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Autore: lilyblack    19/09/2010    13 recensioni
Ogni volta che il respiro le si fermava nel petto per un calcio, si sentiva più invincibile di Silente e la morte non le faceva più paura. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era la sua vita con il figlio suo e di Frank, le cose migliori che le fossero capitate nella vita.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Neville Paciock
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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-lilyblack
-Titolo: Maternità
-Personaggi: Alice Paciock, Neville Paciock, Augusta Paciock
-Pairing: -
-Genere: Songfict
-Rating: verde
-Avvertimenti: OneShot,MissingMoments
-Introduzione: Alice non è sempre stata quella donna sfortunata che noi conociamo, c’è stato un momento in cui non esistevano genitori torturati e bambini orfani, ma in cui esistevano solamente una madre e il suo bambino in procinto di nascere.
-NdA (Note dell’Autore):

Questa è la prima songfict che scrivo,non so nemmeno se messa così si può definire una songfic, talmente sono ignorante in materia,ma suppongo di si. Ho cambiato tante volte idea su questa storia, ma alla fine mi è piaciuto molto scriverla e sono soddisfatta del risultato. Era molto tempo che volevo scrivere qualcosa sull’istinto materno e spero di esserci riuscita.

p.s. il passaggio ‘ l’assenza di lei’ può risultare un po’ pesante,me ne rendo conto, ma è una costruzione voluta per rendere l’idea quasi materiale che Neville non sente solo la mancanza fisica della madre,ma quella della sua figura a tutto tondo.

Questa storia ha partecipato al primo turno dell'HP final Contest, vincendo: il premio come miglior songfict e, a parimerito, il premio come miglior personaggio femminile, il premio come miglior protagonsita e il premio come miglior scena triste.

p.p.s. questa storia era stata scritta per il 24h contest, ma per un problema tecnico non ha potuto partecipare.Quindi la ripropongo quì ^^

*°*°*°*°*°*°*°*°*

La stanza era piccola, ma accogliente, come un nido; pareti color panna proteggevano una mobilia ricca e dai colori scuri, caldi e avvolgenti. Se si osservava la stanza dai più piccoli angoli alla grande tenda celeste che la decorava, era impossibile non immaginare l’amorevole mano che sceglieva la culla azzurra su cui ronzavano a mezz’aria delle fatine oppure la carta da parati che ancora qui e la stentava ad asciugarsi. La luce filtrava debolmente dalle persiane calate e una donna sedeva tranquillamente su una sedia a dondolo, con le mani intrecciate sul suo ventre come a proteggere la creatura che aveva in grembo.
Sarebbe bastata la bacchetta al suo fianco per designarla come essere speciale, ma il sorriso sulle sue labbra avrebbe incantato chiunque, anche il cuore più duro, con più efficacia della magia. Tutto sul suo volto infondeva calma e serenità, dalla piena curva delle guance allo sguardo carico d’affetto che rivolgeva a quella che per ora era solo una pancia particolarmente prominente. Ogni suo più piccolo movimento sembrava essere incentrato sul suo essere madre e nemmeno la stanchezza del corpo poteva vincere l’immensa luce del suo sguardo.
La nenia che usciva dalle sue labbra sembrava musica pura e qualsiasi altro rumore della casa, apparentemente, si era interrotto nello stesso istante in cui lei aveva aperto bocca.

‘Avrai sorrisi sul tuo viso come ad agosto grilli e stelle.’

Le parole accarezzavano le labbra e si lanciavano oltre con la stessa leggiadria di una farfalla, tanto che sembravano far parte dell’impalpabilità dell’aria e di non essere affatto nate da una gola umana. Alice chiuse gli occhi e provò a immaginare il suo bambino; subito le venne da sorridere al buio della sua mente alla vista di quel volto tenero e sicuro al tempo stesso, che assomigliava tremendamente a Frank. Occhi aperti e puri, come quelli di chi proprio non riesce a vedere il male del mondo, le sorridevano da sotto una massa di morbidissimi capelli color cioccolato al latte e una manina paffuta e tenera tentava di toccarla, chiamandola con una risata che sapeva di cristallo.
Erano quelli i momenti in cui si sentiva in pace con il mondo, anche se suo marito era fuori casa a combattere, quando si rendeva conto che niente per lei valeva quanto gli attimi in cui il battito del suo cuore si sincronizzava al miracolo che portava dentro, che nessuna magia avrebbe mai eguagliato o spiegato.
Ogni volta che il respiro le si fermava nel petto per un calcio, si sentiva più invincibile di Silente e la morte non le faceva più paura. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era la sua vita con il figlio suo e di Frank, le cose migliori che le fossero capitate nella vita.

‘Avrai avrai avrai il tuo tempo per andar lontano.’

Non sarebbe stata una madre oppressiva, lo sentiva nel petto e il suo istinto non aveva mai sbagliato. Teneva anche un diario su tutti i consigli che avrebbe dato a suo figlio quando sarebbe stato grande; non era il caso di lasciare a Frank il compito di spiegargli come avvicinare le ragazze, visto che per chiederle di uscire ci aveva impiegato circa cinque anni o ad Augusta, giacché era rimasta con le idee all’epoca dei fondatori di Hogwarts.
Sarebbe stata una madre moderna, e il suo piccolo Neville sarebbe stato fiero di presentarla ai suoi amici, esattamente come lei era sempre stata fiera di sua madre.
Certi legami non muoiono mai e quello fra madre e figlio era qualcosa di tremendamente forte, come un filo doppio che stringe forte il cuore, ora poteva capirlo. Il solo pensiero che glielo potessero portare via era più doloroso dell’idea stessa di perdere la vita.

Aveva incantato la finestra perché le mostrasse solo quello che voleva vedere e in quel momento i suoi occhi si stavano perdendo in un mare in tempesta.

‘Natale di agrifogli e candeline rosse.’

L’atmosfera aveva iniziato a cambiare, la neve fioccava sull’acqua rendendola gelata, preservandola sotto un manto candido che odorava di quella magia che nemmeno i maghi possono comprendere, quella magia che ha l’odore dei sogni e la consistenza di una nuvola. Quando aveva saputo che sarebbe nato in tempo per Natale era scoppiata di gioia. Dal giorno in cui i mangiamorte avevano ucciso la sua famiglia di origine, quattro anni prima, aveva passato il Natale da sola con Frank e Augusta, in un’atmosfera tetra che non si confaceva minimamente ai suoi ricordi di bambina.
Un enorme albero verde, cataste di regali e urla di bambini a fendere l’aria come frecce infuocate, ore passate a correre nei prati innevati e pomeriggi interi impiegati per costruire un pupazzo di neve che non stava nemmeno in piedi. Voleva tutto questo per suo figlio, insegnarli la pace dai piccoli gesti di ogni giorno in modo che gli crescesse nel sangue, voleva che avesse tutto quello che di bello aveva avuto lei e anche tutto quello che di bello non aveva avuto.

‘Avrai una donna acerba e un giovane dolore, viali di foglie in fiamme a incendiarti il cuore.’

Avrebbe avuto anche tutto il dolore che lei aveva avuto, perché senza dolore non si cresce ed è impossibile capire quanto bello sia il paradiso se non hai avuto un assaggio d’inferno.
Un giorno, quando sarebbe stato abbastanza grande da andare a scuola, gli avrebbe letto del suo diario di guerra, di tutti quegli uomini e quelle donne speciali che erano avevano sfidato la morte pur di far nascere lui e tanti altri bambini, come quello dei Potter, in un mondo diverso, migliore e che era suo compito mantenere quel mondo migliore, con il rispetto degli altri, ma in primo luogo di se stesso.
Un vento passava sotto la porta, entrava dal corridoio e le accarezzava la pelle lasciata scoperta dal vestito premaman di cotone leggero. Alice sospirò, stanca, rimettendosi comoda sulla sedia a dondolo e spingendola nuovamente; Luglio era il mese peggiore per portare a termine una gravidanza, ma almeno poteva dire con sicurezza che avrebbe gustato mille volte di più il momento in cui dall’afa sarebbe nata la sua meraviglia.
Non sapeva cosa significasse il nome Neville, ma aveva deciso quel piccolo ammasso di lettere avrebbe portato fortuna a suo figlio e l’avrebbe aiutato nel suo percorso, anche se non riusciva mai a spiegare in che modo un nome avrebbe potuto difendere qualcuno.

Avrai avrai avrai la stessa mia triste speranza e sentirai di non avere amato mai abbastanza.’

La strofa che amava di più di quella canzone babbana che aveva sentito, per caso, durante una missione alcune settimane prima.

‘Hai capito, piccolo mio, l’amore non è mai abbastanza…’

Glielo sussurrava sempre, di giorno, di notte, ogni volta che si ritrovava a pensare quanto immensa fosse la forza dell’amore nella quotidiana lotta contro il destino.
L’amore, in ogni sua forma, avrebbe vinto ogni guerra, anche quella fratricida che stavano combattendo loro,in quel momento e che sperava sarebbe finita presto. Era suo preciso dovere insegnarlo a suo figlio, anche se sua suocera continuava a ripetere che andando avanti così avrebbe fatto diventare suo nipote un incapace.
Al pensiero Alice sorrise, ironica; aveva da tempo messo in conto che non sarebbe mai andata veramente d’accordo con la madre di suo marito e intratteneva con lei un rapporto apparentemente affettuoso solo per amore di Frank.
Sospirò alla stanza vuota e accarezzò ancora il suo ventre, poi riprese a cantare, approfittando di essere da sola a casa, e a dondolarsi, aspettando che il Morfeo andasse a prendersela giusto in tempo per il riposino pomeridiano.

‘Se amore amore amore avrai, se amore amore amore avrai…’

‘Ha ricominciato a cantare quelle parole assurde. Su Neville, andiamo!’
‘Nonna, io sono sicuro che mi abbia sorriso, secondo me stava ricordando! ’

Raramente Neville disobbediva a sua nonna o controbatteva a una sua qualsiasi decisione, ma quella volta gli sembrava sul serio che sua madre avesse avuto un remoto lampo di lucidità negli occhi. Era stato qualcosa di infinitesimale, ma per un attimo gli aveva dato la sensazione che forse il destino poteva essere gentile con lui, almeno una volta e ridargli sua madre sotto forma di qualcosa che non fosse l’ennesima carta di caramella.
Sentiva continuamente parlare di suo padre, ma era di sua madre che sentiva maggiormente la mancanza; a volte l’assenza di lei nei suoi ricordi si faceva quasi dilaniante e guardandosi attorno non scorgeva nessuno disposto a dividere i suoi ricordi con lui.
Aveva solo un sogno ricorrente a raccontargliela, di una sedia a dondolo bianca in una stanza con una finestra magica, della sua voce che dolce cantava una canzone di cui non ricordava le parole, per farlo addormentare. Quella voce non era assolutamente quella che sua madre produceva ogni vola che lui andava a trovarla al San Mungo, ma a Neville faceva bene pensare che fosse stata realmente la sua voce, prima di quel giorno maledetto, aveva bisogno di pensarla così. Ogni volta pensava che se avesse intonato quel motivo forse lei avrebbe cantato con lui e l’avrebbe riconosciuto, ma ogni volta si lasciava trascinare via da sua nonna senza avere il coraggio di dire che non voleva andare via di là, che sarebbe rimasto anche ore a quel capezzale pur di avere un suo sguardo diverso, un suo sguardo reale.
Non aveva il coraggio necessario ad affrontare sua nonna, ma non aveva nemmeno il coraggio necessario ad affrontare le sue stesse paure e l’eventualità che sua madre non gli avrebbe mai sorriso.
In fondo era meglio un sogno labile da stringere tra le dita e su cui fantasticare, che un progetto fallito sul quale piangere.

‘Allora Neville, hai intenzione di svernare qui?’

‘No nonna, arrivo.’

Chinò il capo e per l’ennesima volta attraversò il grande stanzone di degenza, passando davanti al letto del professor Allock.
Il chiacchiericcio di sua nonna nascose ben presto ogni traccia del silenzio dell’ospedale e Neville si rassegnò a dover nascondere i suoi pensieri in un angolino della sua mente, per poi riprenderli una volta a casa, nella sua stanza, quando era libero di perdersi in un mondo in cui non esisteva ancora, ma dove la musica non si fermava mai.

   
 
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