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Autore: Leonhard    20/09/2010    1 recensioni
Alessa Gillespie. La strega. Considerata la figlia del demonio da tutti...da tutti? Un episodio segreto della triste infanzia della bambina sta per sorgere...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alessa Gillespie, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Vi dico subito che questa fanfic si collega al film di Silent Hill più che al videogioco. Ho provato ad immaginare una diversa vicenda…di più non dico. Buona lettura.

 

 

0.

 

Salve a tutti. Mi chiamo Alessa Gillespie, ho nove anni e vado alle elementari. Vivo in una piccola città nei pressi di Brahams: non so se avete sentito parlare di Silent Hill. È un posto tranquillo, magari noioso per le persone dinamiche, ma per quelli come me che amano la tranquillità è un vero paradiso, credetemi.

D’estate, per esempio è un trionfo di luce: si sente il canto delle cicale sotto il cocente sole del primo pomeriggio e di notte il frinire di cavallette e di grilli ti culla le orecchie, conciliando il sonno. Il lago Toluca è piacevolmente caldo e pulito e non mancano occasioni in cui vedo dalla mia finestra persone che fanno il bagno, subacquei in partenza per qualche escursione e gruppetti di amici che prendono il sole, ridono e scherzano.

Però, ragazzi, Silent Hill offre lo spettacolo migliore d’inverno. Ok, nelle notti nebbiose è lugubre e, se devo dire la mia, anche un po’ spettrale, ma quando spunta il sole, magari dopo una bella nevicata, c’è da rifarsi gli occhi: il manto di neve riflette la luce in innumerevoli, microscopici spettri. La mattina presto, all’alba, sembra di camminare su soffice polvere di diamante. Anche d’inverno mi capita di guardare fuori dalla finestra e vedo bambini, probabilmente miei coetanei, giocare a palle di neve o fare buffi pupazzi con vecchie sciarpe, manici di scopa ed una carota come naso. Ridevano: era evidentemente divertente giocare con la neve con gli amici. E ridevo anche io. Ridevo perché era buffo quel pupazzo di neve con il sorriso sbieco e gli occhi di dimensioni diverse. Ridevo perché pensavo che per completare l’opera mancava un bel cilindro su quel testone candido.

O forse ridevo perché immaginavo di essere laggiù, nella neve, a ridere con loro. Immaginare: l’unico modo che ho per sentirmi in compagnia. Ecco, l’inverno scorso ho visto quei ragazzini fare un pupazzo di neve. Immaginavo di scendere, di chiedere se potevo unirmi. Sì, certo. Vieni pure! Ma perché non facciamo una famiglia di pupazzi? In casa ho una vecchia gonna. Sì, che bella idea! Vai, noi intanto cominciamo a fare il corpo. E lei entrava in casa, chiedeva frenetica a sua madre dove fosse quella gonna stinta e piena di strappi. Già…lo scorso inverno è stato veramente bello.

Vado alle elementari, ve l’ho già detto. Mi piace studiare, sono una bambina molto curiosa e non mi faccio problemi a chiedere ai grandi qualcosa che non capisco o che non so. Ricordo ancora la faccia che ha fatto mia madre, due anni fa, quando le ho chiesto come facessero le cicogne, con quel loro collo lungo e sottile, a sostenere il peso di un neonato. Ancora adesso mi immagino la faccia che mi ha fatto e scoppio a ridere da sola. Ho sempre chiesto tutto alla mia mamma e lei mi rispondeva sempre con un sorriso ed un bacio. Ho sempre fatto così.

Anche la prima volta che mi chiamarono strega.

Quella volta, però, la mamma mi sorrise e basta, senza darmi una spiegazione. Sapevo che cos’era una strega, ovvio, ma volevo saperne di più. Non ci misi molto a scoprire che i fondatori di Silent Hill, dei cacciatori di streghe, usavano quel termine per indicare persone che avrebbero presto bruciato vive. Se mi chiamavano strega, pensai, allora volevano bruciarmi? Ma perché? Non faccio cattiverie e sto bene attenta a non offendere nessuno. Non ho un padre, ok: e allora?

Ogni mattina entro in classe e trovo i miei libri strappati, le matite e le penne spezzate in due, i quaderni scarabocchiati e riempiti di insulti scritti su ogni pagina a caratteri cubitali. Certe volte, i miei compagni mi circondano e mi urlano di andarmene, chiamandomi strega e lanciandomi addosso fogli, quaderni o addirittura libri. In classe, in corridoio, in palestra, non importa dove: tanto l’effetto è lo stesso. Tutti i bambini delle classi vicine escono e si uniscono: lo prendono come un gioco e si divertono, secondo me. Anche a me piace giocare, ma non farei mai una cosa simile e non solo perché la vittima ero sempre io.

Posso scappare in bagno, ma non mi piace: c’è il bidello lì dentro. È una persona affabile, gentile: mi insulta e mi batte le gambe con la scopa, ma almeno non mi lancia il secchio d’acqua sporca addosso. E lo ringrazio per questo. Quando capitano questi episodi, almeno tre volte a settimana, passo tutto il giorno nel bagno, da sola, a pensare, a immaginare che quello strettissimo spazio fosse una torre altissima e quel water uno sgabello. Dalla finestra non vedo la pioggia che scende su un panorama grigio, ma verdi campi e boschi, sovrastati da un bel sole caldo ed un cielo talmente azzurro da commuovere.

Già mi manca quel paesaggio…ah, già, non vi ho ancora detto dove sono. Sono con la mia mamma e altre persone, tutte vestite di nero. Dicono che stiamo andando in un posto per fare una specie di rituale. La mamma mi ha detto che è una cosa seria, che mi aiuterà a farmi tanti amici. Ma non ha capito una cosa: a me non servono altri amici.

Io ho Leon…chissà dov’è adesso…

Lasciate che vi racconti chi è Leon. Credo di avere ancora mezz’ora da passare in silenzio, quindi…

 

 

NO, RAGAZZI: NON E’ IL LEON DI KH E NEANCHE QUELLO DEL FILM…LEGGETE E SAPRETE.

   
 
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