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Autore: Elos    22/09/2010    4 recensioni
Luca sapeva che Annalisa - l'adorabile, infiorata, morbida e dorata signora Annalisa - aveva fatto a sua figlia un certo discorso sulle rose che sbocciano solo un paio di settimane prima. Le aveva detto che era un bocciolo. Un bozzolo. Che da lei sarebbe uscita una farfalla, una bellissima, radiosa, raggiante farfalla.
Il termine radiosa non aveva nulla a che vedere con Andrea: Andrea non irradiava un bel niente - di certo non irradiava luce. Qualche volta faceva piovere musica. Parecchie volte faceva sgocciolare sarcasmo. [...]
Andrea non era un bozzolo, Andrea non era un bocciolo. Andrea era fiorita anni prima, ma quel che ne era uscito fuori era stato uno stelo viola di belladonna e asfodelo.

Andrea non riesce a sfuggire a sua madre, Luca non riesce a sfuggire ad Andrea. Sullo sfondo delle prove di un saggio di fine anno, una storia sui mille modi e più per guardarsi crescere.
Prima Classificata al concorso [Originali] Ragazze al pianoforte indetto da Harriet.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1. come sei veramente
Giovanni Allevi



Il pianoforte era un lago di sassi neri sospesi al di sopra del riflesso bianco di una giornata nuvolosa, ogni dito una pietra lanciata a percuotere l'acqua: si allargavano cerchi di suono lento, liquido, e poi le dita erano altrove, a picchiettare nuove note in un punto solo un soffio più in là, e ancora indietro, ancora. Salivano le scale. Tre dita, cinque dita, certe volte erano tutte e dieci e certe volte non ce n'era nessuna, e quelle erano le volte in cui il suono era più profondo, silenzio; e poi di nuovo un dito sbucava fuori e - fa diesis - si ripartiva.
Pioveva musica nella stanza. Il pianoforte dorato ne era intriso.
Le dita bagnate di note erano la cosa più bella; poi c'erano le mani - belle anche quelle - e i capelli lunghissimi strappati via ad una favola e piantati su un corpo tutto spigoli asciutti e curve mancate. Portava una camicia bianca e calzoni neri da maschio, da uomo: le sue gambe magre, là dentro, sembravano un po' meno ossute, i suoi passi scoordinati si sentivano appena appena se non indossava le scarpe con i tacchi. Andava bene per il pianoforte, lei, con le sue dita lunghissime dalle unghie arrotondate e le nocche distanziate. Mani snodate da marionetta.
Lui sbadigliò rumorosamente, stiracchiandosi, e allungò la mano per abbassare il coperchio sulla tastiera, costringendola a ritrarre le dita per non farsele schiacciare.
Questo, finalmente, la spinse ad alzare gli occhi per guardarlo. Aveva sempre avuto degli occhi molto grandi, Andrea, occhi grandi e un poco infossati con iridi liquide, pupille strette e ciglia lunghe: non belli, no, però gli piacevano un sacco. Gli piacevano un sacco da sempre.
- Penso di non aver mai sentito nulla di così noioso. - le disse.
Andrea non ne parve né contrariata né offesa.
- Potrei dirti che nessuno ti ha obbligato a rimanere qui, oggi pomeriggio. - replicò piattamente. - O che il tuo parere non è stato richiesto; e, nel caso, sarebbe stato comunque considerato in funzione di un parametro di valutazione basso. Estremamente basso, e dovutamente. Ora, potresti togliere la tua mano dal coperchio? Per quanto io mi senta propensa a concordare con te per quanto concerne il grado di coinvolgimento dei Notturni, questo è sfortunatamente il pezzo che ho tutte le intenzioni di portare al saggio. -
Dovutamente, scandì lui tra sé e sé, dovutamente. Cinque sillabe.
- Uh, adesso mi traduci quel che hai detto? In qualcosa che assomigli all'italiano, per cortesia. -
- Ma certo: leva la mano dal mio pianoforte, gentilmente, o te la frantumo. -
Non suonava come stesse scherzando. Le dita gli servivano: il pollice in particolar modo, perché con un indice rotto avrebbe potuto suonare, forse, con il medio rotto anche, con il pollice rotto sicuramente no - a meno che lui non avesse trovato un qualche modo per incollarsi l'archetto al palmo della mano. Tolse la mano dal suo pianoforte. Molto, molto gentilmente.
- Concerne è il passato remoto di quale verbo? -
- Di nessun verbo. E' il presente semplice di sé stesso. Concerne, concernere. E' un sinonimo di riguarda. Stavo banalmente comunicandoti che mi trovavo concorde con il tuo parere. - Lui le rivolse uno sguardo opaco e lei sospirò, risollevando con amorevole cura il coperchio per poter far scorrere ancora le dita sui tasti: - Concordavo. Ero d'accordo. -
- Sul fatto che è noioso? -
Lei si tenne sul vago:
- Sul fatto che non è coinvolgente. -
- Coi-nvol-gen-te, quattro sillabe. -
- Sono cinque sillabe, non quattro. Scandisci, non sezionare. -
- Cinque sillabe... peggio ancora! Cosa avevamo detto delle parole lunghe? -
- Avevamo detto che ti avremmo comprato un dizionario e che l'avresti letto. Io il dizionario l'ho comprato, ottemperando alla mia parte di dovere, ma tu l'hai mai sfogliato? -
- No, ma non si può dire che non sia stato un acquisto utile. E' fantastico sotto alla gamba rotta del tavolino, molto meglio del libro che ci avevo messo prima. Cos'era quel mattone che mi hai regalato la scorsa estate...? -
Lei sospirò ancora, scuotendo la testa, ma subito dopo dové reprimere un ghigno.
- Era L'Idiota, e tu sei senza speranza. - sentenziò signorile. - Usami la cortesia di trovarti un passatempo che si discosti dall'importunarmi mentre m'esercito e ti tenga altrimenti occupato. -
- … sottotitolato? -
- Va' a farti un giro, Luca. -


Tornò a prenderla tre ore più tardi - il tempo minimo necessario prima che giudicasse prudente riaffacciarsi nella sala prove - e trovò la porta chiusa.
- Andrea? - la chiamò forte, bussando; e poi, quando nessuno gli rispose, guardò su e giù lungo il corridoio vuoto e riprovò più piano: - Ti stai cambiando? -
La voce di Andrea suonò ovattata appena oltre il battente di legno:
- Sì. -
- Andiamo a prendere qualcosa da bere? -
- Un gelato. -
- Un gelato. - ripeté lui, sarcastico. - Vuoi anche un leccalecca, piccina? Due caramelle, un palloncino...? -
- Solo un gelato, grazie. -
- Andrea, sono le otto di sera. Le otto, capisci? Non è orario da gelato. Andiamo a prendere una birra, una tequila, una coca-cola, un... un... -
- Un gelato. -
Luca appoggiò la fronte alla paratia di legno, sospirando pesantemente:
- Un gelato. -
Andrea scelse proprio quel momento per aprirgli la porta davanti alla faccia, facendolo barcollare in avanti. Gli sorrise, candidissima, e confermò:
- Gelato. -
Aveva addosso la gonna: un'altra delle sue gonne-divisa, di un verde pallido dalle pieghe strettissime, che le arrivava appena sopra il ginocchio. Anche le calze corte erano verdi, e così la maglietta decorata di pizzo. A qualcun'altra il completo sarebbe stato bene; su una ragazza con la carnagione giusta, con i capelli giusti, con il viso giusto, sarebbe stato meravigliosamente. Su Andrea era - molto semplicemente - tremendo.
Andrea non portava mai la gonna in classe. Andrea non portava mai altro che la gonna fuori dalla classe. Aveva un armadio intero pieno di gonne - le sue divise da donna - e le stavano tutte più che orribilmente.
Andrea era andata a comprarsi un vestito nuovo per il saggio di fine giugno: lui lo sapeva perché l'aveva accompagnata in giro per negozi e le aveva retto la borsa, sette tonnellate di libri e spartiti e album pieni di disegni sfatti e scomposti, frammentati, finché le spalle non avevano cominciato a dolergli. Chissà come faceva lei a portarsela sempre dietro ovunque andasse.
Il vestito nuovo di Andrea era rosa. Un vestito rosa. A fiorellini. Un vestito rosa a fiorellini su Andrea.
Luca non osava pensare a quanto male le sarebbe stato indosso: avrebbe avuto l'aspetto di un'undicenne anoressica che l'avesse sottratto all'armadio della madre prosperosa, avrebbe dato l'idea che il vestito non fosse indossato da nessuno, che stesse semplicemente passando da una stampella a un'altra, come un fazzoletto per signora drappeggiato addosso ad una piattissima patata cruda.
Andrea era come i suoi occhi, gli piaceva un sacco, da sempre. Andrea, però, non gli piaceva per niente quando si sforzava di trasformarsi in qualcosa che non fosse Andrea.
Luca sapeva che Annalisa - l'adorabile, infiorata, morbida e dorata signora Annalisa - aveva fatto a sua figlia un certo discorso sulle rose che sbocciano solo un paio di settimane prima. Le aveva detto che era un bocciolo. Un bozzolo. Che da lei sarebbe uscita una farfalla, una bellissima, radiosa, raggiante farfalla.
Il termine radiosa non aveva nulla a che vedere con Andrea: Andrea non irradiava un bel niente - di certo non irradiava luce. Qualche volta faceva piovere musica. Parecchie volte faceva sgocciolare sarcasmo. Il discorso sulle rose e le farfalle lei gliel'aveva riferito piattamente: Andrea diceva molte cose piattamente, che era un modo come un altro per mentire senza nascondere la verità, pensava Luca.
Andrea non era un bozzolo, Andrea non era un bocciolo. Andrea era fiorita anni prima, ma quel che ne era uscito fuori era stato uno stelo violaceo di belladonna e asfodelo.
Fece per toglierle la borsa dalle spalle - era così pesante che le aveva infossato un segno rosso sul collo pallido - ma lei si limitò a scansargli gentilmente la mano e a sistemarsela meglio in schiena. Le chiese:
- Come lo vuoi, il gelato? -
- Fragola e panna. - rispose lei, subito. - Voglio un gelato alla fragola. -
Forse, si disse lui, dopo una, due, tre grosse cucchiaiate di gelato, Andrea sarebbe stata meno propensa al latinorum e un po' più propensa a spiegare estesamente come e perché avrebbe portato al saggio - il saggio, non un saggio ma il saggio, davanti a tutta la scuola e a tutti i loro compagni, amici, professori e conoscenti, i bidelli e i genitori e i fidanzati e le fidanzate e quelli che passavano di lì perché non avevano nulla di meglio da fare - niente poco di meno che Sua-Signoria-ti-faccio-finire-in-coma-al-pianoforte Frederich Francois Chopin.
Chopin. Bah.






Note della storia: Questo racconto in quattro capitoli partecipa al concorso Ragazze al pianoforte indetto da Harriet.
Il bando richiedeva di scrivere una storia che ruotasse attorno ad un personaggio femminile, ad un pianoforte e ad una tra le citazioni, canzoni e video proposti come prompt da Harriet. Io ho scelto la stupenda Runs in the family, di Amanda Palmer (per il testo, qui).
Un enorme grazie a LaureDeTroyes e a Salice, le mie eterne e infinitamente pazienti beta.

Modifico per aggiungere che i risultati di Harriet sono arrivati e che questa storia si è classificata prima.
Qui sotto riporto il giudizio della giudiciA, con i miei ringraziamenti per i bellissimi commenti:
L'autrice riesce a raccontare una vicenda semplice, un breve momento nella vita di alcune persone, come fosse la più grande delle imprese epiche, ricolmando di significato ogni minimo gesto e soprattutto la canzone, che diventa simbolo di una liberazione attesa da troppo tempo. Sono ammirata dalla scrittura: elaborata senza essere pretenziosa, pesante o eccessiva, è capace di disegnare sensazioni e scene in modo molto vivo e spontaneo. Si entra davvero nella mente di un adolescente, piena delle due cose che gli interessano di più: la musica e la protagonista. Il suo punto di vista è perfetto per descrivere la vicenda. Anche gli altri personaggi sono caratterizzati benissimo: la ragazza al pianoforte è splendida, non scontata e ben raccontata. La madre, con la sua dolcezza che fa male senza che lei se ne renda conto, è terribilmente realistica, e mi sono piaciute molto le metafore così efficaci per far capire il suo affetto soffocante che impone una personalità non sua alla figlia. Il tema è davvero ben svolto: la protagonista è apprezzabilissima e l'utilizzo della canzone è molto elaborato, in quanto compare all'interno della storia (nel momento massimo del climax finale), concettualmente definisce la storia ed è ripresa in altri particolari (per esempio, il titolo del racconto richiama l'inizio della canzone.) Questi motivi, insieme al potere che ha avuto questa storia di tenermi incollata a leggerla, la spediscono in cima alla classifica. Unica nota pignola: mi sa che è da riguardare la grafia del nome di Chopin.

Note del capitolo: Il titolo di questo capitolo, Come sei veramente, è preso da una composizione di Giovanni Allevi che potete trovare qui. I Notturni sono una serie di composizioni per pianoforte di F.F.Chopin, estremamente delicate... e sia ben chiaro che lungi da me è il disapprovarle. x°D L'idiota è un'opera letteraria di F.M.Dostoevskij, estremamente affascinante e molto, molto particolare; e sì, è - fisicamente parlando - un mattone. Per il latinorum si ringrazia Manzoni. E per questa volta, That's all Folks!
  
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