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Autore: Luna Malfoy    31/10/2005    7 recensioni
"La guardò. Ma d'uno sguardo per cui
guardare già è una parola troppo forte.
Sguardo meraviglioso che è vedere senza
chiedersi nulla, vedere e basta.
Qualcosa come due cose che si toccano - gli occhi e l'immagine-
uno sguardo che non prende ma riceve,
nel silenzio più assoluto della mente,
l'unico sguardo che davvero ci potrebbe salvare..."
[Oceano Mare - A. Baricco]
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaise Zabini
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note iniziali: piccolo esperimento di oneshot su una delle coppie che ultimamente sto amando con tutta me stessa... Blaise Zabini e Millicent Bullstrode. (All'interno troverete un piccolo -non proprio piccolo- accenno di DracoxPansy, DracoxGinny e HarryxGinny).

Voglio dedicare questa piccola oneshot (eddai co sto piccolo, non esageriamo...) a Nemsi, perché il suo Blaise mi ha fatta totalmente innamorare, quindi pigliatevela con lei se sono diventata così ossessiva con questo personaggio!

Buona lettura...

 

Acqua di Rose

 

Così fa il destino: potrebbe filar via invisibile e invece brucia dietro di sé,
qua e là, alcuni istanti, fra i mille di una vita.
Nella notte del ricordo, ardono quelli, disegnando la via di fuga della sorte.
Fuochi solitari, buoni per darsi una ragione, una qualsiasi.

[Castelli di rabbia - A. Baricco]

 

Aveva avuto il presentimento che quella serata sarebbe stata negativa e non si era trattato di un momentaneo pensiero o magone. No, lui aveva avuto quella sensazione di disagio e premonizione sin da quando il suo Capo aveva accennato alla faccenda. Senza tralasciare ovviamente una velata minaccia, che a lui era tanto suonata come un "osa non presentarti e l'appoggio per quella gara di appalto te lo scordi". E come poteva lui di fronte a quell'accorato appello voltare le spalle e ignorare tutto? Impossibile.

Per questo era lì, con indosso il suo perfetto completo da sera, abbinato perfettamente alla perfetta cravatta in tinta, i capelli ormai lunghi legati in un'altrettanto perfetta coda bassa, ad elargire sorrisi e inchini a presuntuose, altezzose e a dir poco oscene (l'aveva detto presuntuose?) signore di mezza età che se lo mangiavano con gli occhi. Tutte agghindate come nelle migliori serate di gala, con addosso i gioielli più brillanti e pacchiani che avesse mai visto, impegnate nel loro passatempo preferito: il pettegolezzo.

Era facile intuire di cosa parlassero, nascondendo le labbra alla vista con una mano guantata, o un ventaglio finemente decorato a mano.

La sua famiglia.

Per quanto lui fosse diventato uno dei dipendenti più meritevoli del Ministero, il passato di suo padre lo seguiva come un'ombra, rendendogli impossibile un completo riscatto agli occhi della comunità magica. Non era certo un segreto l'appartenenza di Velius Zabini alle file dei seguaci dell'Oscuro Signore e sebbene in quella Sala riconoscesse molti degli ex colleghi di suo padre, era certo che l'attrazione della serata sarebbe stato lui soltanto. E questo di certo non dipendeva esclusivamente dal tipo di carriera che il genitore aveva scelto (e che aveva quasi tentato di imporgli). Probabilmente gran parte del gossip riguardava anche i suoi amatissimi fratellastri Franz ed Hanna e la sua carissima matrigna Nirilla, che in quel momento erano impegnati in chissà quali interessatissime conversazioni, in un angolo qualsiasi dell'immenso salone da ricevimento.

Blaise aveva salutato con un cenno del capo un suo collega più anziano, sollevando il calice di pregiato champagne francese all'indirizzo della moglie dello stesso, che (come al solito) si era sciolta in un sorrisino tutto miele. Il giovane non aveva fatto una piega, storcendo poi le labbra in una smorfia disgustata solo quando la donna gli aveva voltato le spalle, prendendo a braccetto il marito.

-Tutte uguali- era stato il suo pensiero, mentre scrollava le spalle e appoggiava la flute vuota sulla tovaglia bianca del tavolo da buffet.

Era solito apprezzare i complimenti o gli sguardi furtivi delle donne sì, ma quando queste superavano una certa soglia di età, si ritrovava a pensare che non era poi così piacevole, anzi forse sfiorava l'imbarazzante (o il disgustoso, a voler essere pignoli).

"Che ti prende?"

Blaise aveva voltato pigramente il capo, incrociando gli occhi grigi del suo migliore amico. Aveva scosso la testa e piegato le labbra in un ghigno storto dei suoi.

"Niente, perché?"

Draco Malfoy non era certo abituato a ripetere la stessa domanda due volte, o ad insistere e pregare chi non aveva voglia di parlare. Erano gli altri a dover pregare lui per qualcosa, non viceversa.

L'altro si era quindi visto costretto a rilasciare il fiato, in modo tale che sembrasse un sospiro e a parlare per primo. "Mi annoio mortalmente."

Il biondo aveva alzato il bicchiere di vino rosso, che aveva in mano, in segno di saluto per qualcuno, senza neppure prendersi la briga di fingere un sorriso. "Non sei l'unico." Aveva borbottato con voce strascicata, mantenendo gli occhi incollati in un punto della sala.

Blaise si era lasciato scappare una risatina, ben celata dietro il palmo della mano e un po' meno bene mascherata da un leggero colpo di tosse. "La tua adorabile moglie?"

Draco si era stretto nelle spalle, prendendo un sorso del vino e infilando la mano libera in tasca. "Qui, in giro da qualche parte."

"Sei piuttosto rigido stasera..." Aveva espresso quel pensiero con tono quasi ingenuo, per nulla credibile, poi si era corretto con un gesto della mano. "Voglio dire, più del normale."

"Temo che stasera ci saranno brutti incontri." Lo aveva detto con una tale naturalità...

Blaise aveva allargato gli occhi, divaricando appena le gambe e guardandolo come se gli avesse appena rivelato che aveva perso i poteri. "Non mi dire... è venuta anche lei..."

Un sorrisino piuttosto tirato, tendente all'acido, era comparso sulle labbra del giovane Malfoy. Aveva annuito, salutando con un altro cenno del bicchiere l'ennesimo conoscente.

"E che ci fa qui?"

"Sai perfettamente che ha mollato quella famiglia di piantagrane e si è messa in proprio." Vi era stata una leggera nota di ironia nella voce, ma per l'inespressività che il suo volto aveva in quel momento, avrebbe potuto benissimo essere stata una sua impressione.

L'altro mago aveva infilato le mani in tasca, scrutando con gli occhi blu la sala. "Uuuh ha fatto fortuna allora, la piccola Weasley."

Draco aveva inclinato il capo, stringendo le labbra. "Se la becca Pansy, sono dolori."

E Blaise non aveva potuto far altro che scoppiare a ridere, immaginando una combattiva Pansy Parkinson attaccata alla gola di Ginevra Weasley. Non che la scena non potesse avere i suoi risvolti interessanti, ma d'altro canto, se ciò fosse avvenuto, per Draco sarebbero stati cazzi amari.

"Divertente."

L'ultima scarica di riso si era arrestata di colpo al tono, quasi un ringhio, dell'amico. Si era ricomposto e aveva tossicchiato, coprendo la bocca con il pugno chiuso e passando una mano sulla giacca a lisciarne il tessuto con aria improvvisamente seria. "Mhm, ma no! Vedrai che non si incontrano e poi... Pansy." Blaise si era illuminato all'arrivo della diretta interessata.

Pansy era una di quelle persone che riescono ad essere eleganti e impeccabili in ogni circostanza. L'insulsa ragazzina avvezza ai colori sgargianti e costantemente appiccicata al braccio dell'erede dei Malfoy era scomparsa nell'estate tra il quinto e il sesto anno ad Hogwarts, lasciando posto ad una ragazza completamente nuova. Fredda, indisponente e altezzosa quel tanto da riuscire a compiacere persino i più diffidenti della sua Casa. In quel momento osservandola bene, altera e ineccepibile nel suo vestito di seta verde scuro che la fasciava come una seconda pelle, era certa a tutti la motivazione che aveva spinto Draco Malfoy a chiederla in moglie e probabilmente in seguito, ad innamorarsi di lei.

La donna gli aveva sorriso con il suo solito modo accattivante, porgendogli la mano e permettendogli di sfiorarla con le labbra. "Blaise." Aveva accennato un piccolo inchino.

"Stavamo giusto parlando di te." L'occhiata che gli aveva riservato Draco per quell'uscita, avrebbe potuto benissimo passarlo da parte a parte. "...in bene, ovviamente."

Pansy aveva osservato il marito di sottecchi, sforzando un sorrisino terrificante e togliendo gentilmente la mano da quella del giovane Zabini. "Non ne sono poi tanto sicura. Ma lascerò correre..."

Blaise le aveva rivolto un sorriso quasi dolce, in risposta, come a volerla silenziosamente rassicurare.

"Piuttosto... ho fatto un incontro interessante." Il colpo di tosse che era seguito a quell'affermazione, preannunciava un principio di strozzamento di Draco col vino. L'amico si era costretto a non ridere ancora, battendogli una pacca al centro della schiena come incoraggiamento a riprendere ogni funzione vitale... respirare in primis.

"Che succede tesoro?"

L'uomo aveva fatto un cenno della mano, come a voler liquidare la questione soffocamento e incitandola a continuare. Ancora un po' perplessa da quella reazione, Pansy si era rivolta a Blaise, sogghignando con un nonsochè di divertito, aveva incrociato le braccia al petto con fare elegante e spostato il peso del corpo da un piede all'altro. "Ho incrociato la Bullstrode nei bagni delle signore." Era toccato a Blaise, stavolta, rischiare lo strozzamento. E senza neppure l'alcool come scusa, per giunta.

Il ghigno sulle labbra di Pansy si era allargato, prendendo vagamente somiglianza con quello che aveva sfoderato il marito. Gli ci era voluto qualche minuto per riprendersi dallo shock iniziale e assumere la solita aria indifferente al mondo. Tempi di reazione troppo lunghi, perché Draco e consorte non se ne accorgessero.

Tutto intorno a loro era proseguito come se niente fosse. Un paio di colleghi del Ministero si erano avvicinati ai coniugi, salutandoli con mille deferenze e ossequi, segno che facevano parte di una classe sociale inferiore alla loro, ma Blaise non aveva dato segno di reazione. Si era limitato ad allungare una mano per prendere un'altra flute di champagne, dal vassoio di un cameriere che passava loro di fronte.

 

"Sei solo un dannato codardo, Blaise!"

 

In un atto di estrema magnanimità, Draco aveva schioccato le dita davanti al volto granitico dell'amico, non appena la deliziosa moglie si era congedata con un gruppetto di amiche. "Direi che è il caso che ti riprendi. Stai dando spettacolo... pessimo, oserei aggiungere."

Blaise aveva sbattuto gli occhi e si era umettato le labbra, finendo il contenuto del bicchiere in un unico sorso. “Ero soprapensiero”

Draco aveva fatto roteare gli occhi. “Ma davvero?”

Non c’era stata risposta a quella provocazione. Aveva preferito lasciare l’amico agli ennesimi saluti, perdendosi nuovamente nei suoi pensieri e accennando un movimento del capo in direzione di uno dei colleghi.

 

I desideri sono la cosa più importante che abbiamo e non si può prenderli in giro più di tanto.
Così, alle volte, vale la pena di non dormire pur di stare dietro ad un proprio desiderio.
Si fa la schifezza e poi la si paga. E solo questo è davvero importante:
che quando arriva il momento di pagare uno solo non pensi a scappare e stia lì, dignitosamente, a pagare.
Solo questo è importante.

[Castelli di rabbia - A. Baricco]

 

Lei era lì. Fantastico. Non avrebbe saputo desiderare di meglio. Ovviamente era ironico quel pensiero così positivo. Non appena Pansy aveva pronunciato quel nome, aveva chiaramente smesso di respirare nel modo più corretto. Senza contare che erano almeno quindici minuti, abbondanti, che non apriva bocca e scrutava la sala da ballo con apparente discrezione e una meno evidente ansia. E questo poteva anche andare bene, se non fosse stato per l’acume quasi irritante del suo migliore amico (e consorte), che aveva già intuito la serie di pensieri non proprio felici che avevano preso a sfrecciargli nel cervello, a velocità a dir poco impressionante.

Da quanto non la vedeva? Un anno, poco più… o poco meno, neanche se lo ricordava bene. E c’era una vena di disinteresse in quel pensiero? Affatto. Più semplicemente gli sembrava di averla rivista appena un giorno prima e in realtà il peso che sentiva addosso era così grande, che tante volte gli pareva di non rivederla da secoli.

L’ultimo incontro decisamente non era stato dei migliori, se si considerava il contesto (e sì, le cene di beneficenza non sono esattamente un’ottima occasione per un dialogo civile) e soprattutto la compagnia. Si era sentito immediatamente a disagio, quando se l’era vista comparire di fronte (e soprattutto aveva ricollegato bocca e cervello, evitando così di dire qualche cazzata o di sbavare sul costosissimo Marmo di Carrara del pavimento) e si era reso conto di trovarsi a braccetto con quella serpe senza scrupoli di Daphne Greengrass -chi gliel’avesse fatto fare di invitarla ancora doveva capirlo-. Lei non aveva fatto una piega, lui aveva evitato accuratamente di commentare l’appunto acido e sarcastico di Daphne e gli era toccato ingoiare il rospo peggiore. Nel suo attimo di defaillance non aveva potuto realizzare che, così come a lui era stato intimato di presentarsi accompagnato da una dama…

E di certo non era stato piacevole vederla raggiungere dal suo migliore amico di sempre Adrian Pucey. Noto Auror di un’altrettanto nota Squadra Speciale, con la ormai più che nota fama di Playboy incallito.

Era altrettanto ovvio però che lui si sarebbe ben guardato dal dare prova di debolezza. Non sarebbe stato da Blaise e anche se in cuor suo smaniava dalla voglia di alzarsi da quel tavolino e raggiungerla al suo, pregandola di ascoltarlo, di capire, di dargli una seconda possibilità, non si era mosso da lì. Aveva continuato a sorseggiare il vino Italiano fatto arrivare a Londra per l’occasione, ascoltando distrattamente gli ultimi pettegolezzi made in Daphne, annuendo di tanto in tanto e gettando occhiate furtive al suo tavolino, dove lei come se nulla fosse rideva per chissà quale battuta di Pucey.

 

“Con permesso.”

Si era accomiatato dal gruppetto formatosi intorno a lui e Draco, socchiudendo gli occhi e rilasciando il fiato. Draco non aveva detto una parola, limitandosi a rivolgergli un cenno positivo del capo. Gli era grato per quel silenzio e per non averlo forzato a parlare, ma del resto lui era così. Non era abituato a forzare lui stesso, figuriamoci gli altri (specie se non ne traeva un personale tornaconto).

Con ancora il bicchiere in mano aveva percorso ad ampie falcate tutta la sala, fermandosi solo per appoggiare quello che doveva essere il decimo bicchiere di champagne della serata. Le portefinestre che conducevano all’ampia balconata erano socchiuse, permettendo ad un venticello estivo di smuovere le tende di un bel tessuto blu cangiante.

Fuori il cielo era meravigliosamente aperto. Nessuna nuvola, neanche all’orizzonte e uno spettacolo di stelle come mai prima. Sarebbe stata una perfetta serata romantica, se di romantico ci fosse stato qualcosa o almeno l’idea. E lui era lì fuori, sul balcone, con le mani appoggiate alla balaustra di pietra lavorata, cercando di non mostrarsi più insicuro e confuso di quanto non fosse già dentro di sé.

“…ma dai non fare lo sciocco.”

Era stato raggiunto prima dalla sua voce e poi da quell’inconfondibile essenza di acqua di rose. Non si era sporto subito, perché in fondo non era affatto sicuro di ciò che udito e olfatto gli stavano trasmettendo e sarebbe stato piuttosto imbarazzante (nonché deludente), trovarsi faccia a faccia con qualcuno che non era lei. Poi la voce aveva continuato a parlare e sì, le sue certezze aumentavano parola dopo parola, assieme alla consapevolezza che non era sola. La voce che l’accompagnava era maschile, bassa e profonda e gli era bastato sporgersi quel tanto in più dal balcone per vedere due persone che passeggiavano tra i roseti del parco.

Ogni dubbio era stato spazzato via alla vista della ragazza. L’avrebbe riconosciuta fra mille, anche con addosso quel vestito nuovo, color salmone, tanto elegante quanto semplice, lungo fino a terra, che probabilmente aveva maledetto almeno una dozzina di volte prima di riuscire ad indossare. Ricordava ancora con quanta stizza era solita mettere certi tipi di abito, litigando con cerniere, bottoni e nel peggiore dei casi bustini. Non era fatta per quelle cose, non era un tipo così sofisticato da sentirsi a proprio agio con quelle che chiamava “trappole”, eppure ogni volta che la vedeva vestita così, non poteva fare a meno di sorriderle e tranquillizzarla su quanto fosse semplicemente splendida, godendo poi del classico rossore che le coloriva le guance ogni volta.

Da quell’altezza non riusciva a distinguere bene il suo volto, quella luce particolare nei suoi occhi verdi, il sottile tendersi delle sue labbra ad ogni sorriso e lo ammetteva, avrebbe pagato oro per poterlo fare. Per sentire ancora una volta quello sguardo su di sé, compiacersi di quel sorriso che riservava solo a lui, gustare il sapore di quelle labbra sulle sue. Da che ricordava lui, lei non aveva mai usato rossetti o lucidalabbra e sebbene fosse abituato, quella era una delle tante abitudini di lei che semplicemente adorava. Il sapore delle sue labbra al naturale era quanto di più assuefante avesse mai provato, persino più delle ricercatissime sigarette svizzere di Draco.

“Dacci un taglio, te la stai mangiando con gli occhi.”

Blaise aveva alzato gli occhi al cielo, riscosso dai suoi paradisiaci (anche se un po’ malinconici, doveva ammetterlo) pensieri ed era indietreggiato di quel tanto che gli impediva la vista. Si era sforzato di apparire normale, tranquillo, senza tuttavia illudersi di risultare convincente agli occhi dell’unica persona che tutto vedeva e tutto sapeva.

“Mhm”

Draco si era avvicinato a lui, sfilando il pacchetto di sigarette dalla tasca degli impeccabili pantaloni firmati e prendendone una con le labbra. Aveva appoggiato le altre sulla balaustra, accanto alle mani dell’amico e aveva recuperato dall’interno della giacca del completo l’accendino (anche quello finito a far compagnia alle sigarette pochi istanti dopo). Era rimasto in silenzio un po’, prendendo qualche boccata di fumo e buttandola subito fuori, emettendo un verso di pura soddisfazione.

“Non ce la facevo più.”

L’altro aveva sorriso e poi imitato l’amico, rubandogli una sigaretta (di quelle pregiatissime svizzere) e accendendola però con la bacchetta. “Pansy controlla ancora quante ne fumi?”

“Ovviamente.” Aveva ribattuto naturale, forse anche un po’ scocciato, Draco. “Per questo mi porto dietro due pacchetti, è così facile trasfigurarne uno in spilla ferma-banconote.”

Blaise era rimasto un attimo interdetto dall’affermazione dell’amico, quindi aveva alzato un sopracciglio e lo aveva scrutato con evidente aria perplessa, lasciando cadere la cenere all’interno del balcone.

Draco aveva scrollato le spalle, inclinato la testa da un lato e curvato le labbra in uno dei suoi tipici ghigni furbi. “Non è stupida, ma è una donna… ed è viziata. Usa la carta di credito magica, pensi che faccia caso al fatto che i soldi del maghi sono tutti in moneta?”

Il giovane Zabini era scoppiato in una risata divertita, rischiando per giunta di bruciarsi con il mozzicone di sigaretta stretto tra le dita e in procinto di sfuggirgli.

“Non ci avevi rinunciato?” Il ghigno ancora in bella mostra, nonostante le parole un tantino pungenti e forse inopportune (semmai qualcosa detta da Draco Malfoy potesse considerarsi tale).

In compenso lo scoppio di ilarità dell'altro si era spento di colpo e anche il sorriso era svanito dalla sua faccia, fatta eccezione per una smorfia -piuttosto tirata-. Rinunciato? Non che avesse molte opportunità ell'epoca dei fatti e anche allo stato attuale delle cose, la possibilità anche solo di avvicinarla e parlarci era talmente tanto remota, che preferiva non vagliarla neppure.

"Non è un po' troppo semplice gettare la spugna... a priori?"

Se non fosse stato certo che, seppur Legilimante, Draco era un vero amico, avrebbe potuto pensare che gli stesse leggendo i pensieri. E quello sì che l'avrebbe fatto incazzare perbenino. L'occhiata che gli aveva rivolto in risposta, comunque, non era stata delle più amichevoli, ma l'altro non sembrava essersene curato neanche un po'. O almeno questo diceva l'atteggiamento strafottente che sfoggiava con assoluta nonchalance.

"Draco dovresti sapere che non ho gettato la spugna, a priori." Infastidito dal fumo del mozzicone spento male, Blaise lo aveva schiacciato meglio con la scarpa, infilandosi poi le mani in tasca. "Mi pare di essermi sudato ogni briciola di attenzione che in passato sono riuscito ad ottenere, o mi sbaglio? Eppure lei è lì e io sono qui."

Malfoy aveva emesso un verso sarcastico, stringendosi nelle spalle e spegnendo a sua volta la sigaretta, lasciata cadere a terra. "Errore caro mio. Lei è qui e tu sei qui."

"Hai capito cosa voglio dire."

"Anche tu."

Blaise era rimasto in silenzio, a prima vista zittito dal tono duro dell'amico e in realtà molto vicino alla soglia dell'irritazione. Una volta rilasciato il fiato e provato a scendere dal gradino della frustrazione (perché sapere che qualcun altro non aveva tutti i torti, e che quel qualcun altro era Draco Malfoy, ovvero Mister-io ho sempre ragione, non rendeva più facili le cose), gli aveva scoccato uno sguardo a metà tra l'esasperato e il rassegnato, sperando che ciò servisse a sedare ogni discussione. Ovviamente non c'era riuscito.

"Non intendo farti la predica Blaise, non sono quel gran pezzo di merda di tuo padre." Aveva incominciato con tono serio, evitando di proposito di accorgersi dell'irrigidimento provocato dalle sue parole. "Voglio solo farti aprire gli occhi su una realtà. Hai ventitré anni e ti comporti come un'anima in pena da almeno tre."

"Io non-"

Ma una mano di Draco, a palmo aperto, l'aveva zittito. "Risparmiami qualsiasi altra frase. Le cose sono due amico mio. O apri gli occhi e ti arrendi all'evidenza dei fatti, smettendola di tormentarti come un povero dannato oppure cerchi di risparmiarti il rimpianto di averla perduta e te la riprendi."

Blaise non aveva distolto gli occhi da quelli di Draco, mantenendo tuttavia un'aria assolutamente fredda e imperscrutabile. "Non è così semplice."

"Per l'anima di Potter e Weasley! Blaise! Niente è semplice... dove cazzo è finito quello studente Slytherin che andava in giro a proclamare «Ciò che voglio, io lo ottengo» eh?" Era sbottato.

Si erano studiati in silenzio per qualche minuto, ognuno fermo sulle proprie convinzioni. Quello era il loro problema, da sempre. Entrambi dotati di una tale quantità di orgoglio che sarebbe bastata per almeno dieci persone ed entrambi ben decisi a non abbatterlo mai, per nessuna ragione al mondo.

 

"Draco!"

La voce di Pansy era servita a spezzare gli attimi di tensione che quel silenzio aveva creato. Era entrata, o uscita che dir si voglia, sulla balconata a passo di marcia, con aria severa e le mani strette a pugno lungo i fianchi. Draco aveva alzato gli occhi al cielo e si era preoccupato di fare a Blaise un cenno, ricordandogli delle sigarette abbandonate sulla balaustra. Questo non aveva fatto troppe storie e con una mossa piuttosto veloce le aveva intascate assieme all'accendino, appoggiandosi alla pietra del parapetto e mettendo le braccia conserte.

-Comincia lo spettacolo- era stato il suo pensiero, forse un po' sadico, ma decisamente soddisfatto dopo la ramanzina ricevuta.

"Che succede tesoro?" Forse il tono accondiscendente, quasi troppo per i gusti della moglie, non era servito a placare neppure in parte l'animo esagitato della donna. Certo era che, l'entrata in scena di Ginevra Weasley, subito dopo, aveva contribuito ad agitare il suo di animo.

Blaise non aveva potuto fare a meno di sorridere, in quella maniera storta e divertita che era solita del suo modo di fare.

Pansy aveva sollevato un sopracciglio, incrociando le braccia al petto e fissando il marito dritto negli occhi. "Che ci fa lei alla festa?"

"Scusa? Mi pare di averti già detto, Parkinson, che la mia presenza qui non ha niente a che vedere con Malfoy." Era stata la replica secca della giovane Weasley, infastidita quanto e più di Draco per quella sceneggiata. Altrettanto infastidito, in verità, dal modo con cui era stato pronunciato il suo (sacro) cognome.

In tutto questo, la Signora Malfoy non aveva perso d'occhio il coniuge, come se la risposta della donna-rivale non fosse neppure da registrare e anzi, probabilmente seccata da quell'intrusione nella scenata di gelosia che doveva mettere in atto a discapito dell'uomo.

"Infatti." Aveva rimarcato Draco, con un livello di voce molto simile ad un ringhio, senza però tradire alcuna emozione col viso. "Sai perfettamente che non ho niente da spartire con lei." E com'era ovvio, l'inclinazione che aveva usato per il "lei" non era passata inascoltata alle orecchie di Ginevra. La quale, con assoluto distacco sia sul volto, che nella voce, aveva assunto una posizione indolente e aveva imitato il suo ghigno . "Certo è per questo che venivi a letto con me, fuori e dentro Hogwarts, Malfoy."

Draco l'aveva fissata orripilato, rigido come un blocco di marmo. Pansy aveva invece scambiato un'occhiata con Blaise, in procinto di ridere e li aveva lasciati sfogare per qualche minuto, chiusa in un regale mutismo, fin quando una terza voce non aveva rotto quel divertente scambio di insulti e frecciatine degni dell'asilo infantile.

"Che sta succedendo qui?"

-Oh oh San Potter protettore del Regno Magico e delle fanciulle bisognose... - Zabini aveva tenuto per sé quel pensiero acido, notando che all'arrivo dell'Ex Bambino Sopravvissuto, gli animi non si erano semplicemente raffreddati, forse congelati era il termine più adatto.

A nessuno, men che meno al diretto interessato, era sfuggito il sibilo di Draco che stava ad indicare un "Potter..." Harry dal canto suo, cercando di dominare il temperamento impulsivo e irragionevole (non tanto per maturità, quanto per paura della reazione di Ginny), si era avvicinato alla ragazza dai capelli rossi, posandole una mano sulla spalla. "Malfoy..."

"Se avete finito le presentazioni..." Il tono acre di Pansy aveva per un attimo fatto vacillare l'indissolubile sicurezza di Draco. "Gradirei sapere come mai-"

 

Blaise alla fine si era deciso. Aveva ascoltato sin troppo e decisamente quella non era la serata adatta per assistere alle scaramucce di quattro adulti che si comportavano da bambini. Aveva avuto un attimo di tentennamento di fronte alla portafinestra, ma di certo non gli pareva il caso di tornare indietro per riconsegnare pacchetto e accendino a Draco, sicuramente l'ira di Pansy si sarebbe triplicata e il suo caro amico gliel'avrebbe fatta pagare salata. Si era visto costretto, quindi, a scrollare le spalle, ripromettendosi di riconsegnare il maltolto almeno l'indomani e a rientrare, venendo investito all'instante dal suono di un valzer.

"Viva l'originalità..." Si era lasciato sfuggire a denti stretti, prima di percorrere a passo svelto tutto il perimetro della sala e riuscire ad uscire nei labirintici corridoi della villa. Avrebbe preso una passaporta messa a disposizione dagli organizzatori del galà. Di certo non si sarebbe fatto a piedi tutta quella strada e altrettanto ovviamente, i suoi cari superiori (superiori di che poi? Era socio quanto loro, dovevano piantarla di trattarlo come un sottoposto...) non gli avrebbero permesso di sfrecciare via con una scopa. Era poco elegante. Comunque lui il suo dovere l'aveva fatto, si era presentato. Il resto erano fatti loro.

Aveva attraversato corridoi su corridoi, fermandosi giusto di fronte ad uno specchio con cornice laccata in oro, per aggiustarsi la cravatta e i capelli, sicuramente scompigliati dal vento. Gli erano bastati due gesti e il nodo era tornato in ordine, così come la chioma nera trattenuta dal nastrino di raso. Non aveva preventivato però che alzando gli occhi, vedesse riflessa nello specchio la presenza di qualcuno alle sue spalle.

 

La vita è sostanzialmente incoerente e la prevedibilità dei fatti una illusoria consolazione.

[Castelli di rabbia - A. Baricco]

 

Era rimasto gelato dalla consapevolezza di chi si trovava dietro di lui. Senza volerlo si era ritrovato a scrutare quella figura nello specchio, senza neppure osare voltarsi per paura che si trattasse di una sua fantasia, o che più semplicemente fuggisse via da lui come al solito. Aveva passato in rassegna ogni più piccolo dettaglio di lei. Il corpo ora piuttosto magro, ma formoso, stretto nel vestito cangiante, le mani abbandonate lungo i fianchi e le braccia non proprio rilassate, le spalle rigide lasciate scoperte in gran parte dalla stola in tinta, che probabilmente aveva il compito di preservarla dal fresco serale e quando si era attardato sul collo, ornato da una catenina di oro bianco, rendendosi conto che non riusciva a guardarla negli occhi, si era accorto che il ciondolo era sempre quello. E non aveva potuto fare a meno di sorridere contento, fermandosi qualche istante in più a scrutare quella piccola rosa che luccicava sul decolleté della ragazza.

 

"Ti piace?" Le aveva domandato, finendo di agganciare la collanina al suo collo e posandole un bacio lieve sulla spalla nuda.

Si era guardata ancora una volta allo specchio della camera da letto, lisciando con la punta delle dita il ciondolo "Blaise è... splendida..."

"No. Tu sei splendida..."  Era sceso ad accarezzarle gentilmente i capelli, raccolti in una coda bassa.

L'aveva osservata sollevare gli occhi, un tantino lucidi, su di lui e non era riuscito a trattenersi, sorridendo del tenue rossore che le aveva colorato le guance. "Perché una rosa?"

Blaise aveva scosso la testa, ancora sorridente. "Perché ogni volta che ne vedo una, mi torni alla mente tu... e il tuo profumo... non posso farne a meno."

 

Si era sforzato di non annegare in quei ricordi, vincendo la reticenza ad andare oltre con lo sguardo. Si era dato mentalmente dello stupido per la reazione esagerata del suo corpo, al solo soffermarsi con gli occhi sulle sue labbra. Aveva dovuto socchiuderli un attimo e calmarsi, imporsi quel dannato autocontrollo che in quegli istanti sembrava essere volato chissà dove. E quando li aveva riaperti, puntandoli nei suoi, si era giocato la carta respiro ancora una volta. Se non fosse stato così orgoglioso, così attaccato alla propria dignità e così sicuro di essere respinto, avrebbe probabilmente avuto abbastanza slancio da avvicinarsi a lei. E forse non gli sarebbe più bastato starle vicino, ma avrebbe osato di più. Merlino quanto desiderava poterla stringere tra le braccia, dimenticare quei tre anni d'inferno, poterle accarezzare il viso, stringere i suoi capelli castani tra le dita, sciupando quei boccoli perfetti che in quel momento le incorniciavano il volto e baciarla con quanto fiato aveva in corpo; baciarla fino a non capire più dove finiva lui e incominciava lei, fino a fondersi in un'unica sola persona, fino a che nessuno avesse più potuto dividerli. In quel modo tanto particolare che per lui era sempre valso più di mille "Ti Amo" e che forse, in fondo, era stata la sua rovina. Quella sua silenziosa maniera di amarla, aveva reso più facile al colpevole separarli.

E nonostante la sua mente gli intimasse di girarsi e perlomeno salutarla, si era limitato a chinare il capo e rialzarlo, in un misero cenno. Lei lo aveva studiato, muta e distaccata come una bambola di porcellana, le labbra tese in una postura indifferente e poi si era voltata, decisa ad ignorarlo così come lui l'aveva ignorata.

-Idiota- Si era detto guardandole le spalle e sentendola scivolare via da lui ancora una volta, l'ennesima di milioni di volte.

 

Non c'aveva visto più. Aveva stretto le mani a pugno e l'aveva seguita di quei pochi passi, bloccandola senza troppa forza per un polso e dandosi del cretino un attimo dopo, trovandosela di nuovo faccia a faccia. "Aspetta..."

"...cosa?" La sua voce aspra era stata come doccia fredda seguita ad un caldo soffocante. Così come i suoi occhi, di solito verdi e rassicuranti e in quel momento distanti come era certo di non averli mai visti. "Ciao. Oh sì anche io sto bene, e sì... è un bel po' che non ci si vede, oh certamente me la passo bene, ovvio, tu invece?........... cos'è non sai mettere in fila neanche una frase di senso compiuto, ora... Zabini?"

-Zabini... ora ti chiama per cognome...-

Aveva cancellato pensieri e inutili distrazioni, lasciandole il polso e abbandonando la mano lungo il fianco. Non aveva smesso un solo istante di guardarla negli occhi, di cercare un appiglio che lo spronasse a continuare, anche solo per il puro gusto di sentirla parlare ancora... ancora... e ancora. Poi aveva scosso la testa, distendendo le labbra in un sorrisino amaro. "Ciao. Ehi è un bel po' che non ci si vede. Tutto sommato me la passo bene e tu? E no... no... non sto bene, questo no."

Millicent aveva allargato gli occhi un istante, forse sorpresa da quella reazione, per poi indossare nuovamente la sua maschera glaciale. "Non immagini quanto mi dispiace..." Aveva replicato piatta, con la stessa intensità con cui avrebbe annunciato che sarebbe andata alla toilette.

"A me dispiace..."

Il tono era stato chiaro e l'allusione anche. Così tanto che la donna era stata costretta a lasciar cadere il velo di indifferenza, per assumere una posa risentita o forse colpita, non avrebbe saputo dire quale delle due. Non con assoluta certezza perlomeno. "Il dispiacere non cambia le cose..." E ora dove diamine era finita la sua indisponenza? Possibile che le fosse bastato guardarlo negli occhi per perderla del tutto?

Blaise aveva scosso il capo con decisione, non accennando però a tralasciare quella smorfia di amarezza. "Non cambierà la cose, ma..." Si era zittito e l'aveva guardata. Ma che? Non cambiava le cose, in questo aveva ragione lei.

Millicent aveva inclinato il capo da un lato, squadrandolo non troppo curiosa per un po', ma non aveva parlato. Perché parlare avrebbe significato mostrare interesse per la questione e lei, di interesse non ne aveva più. O meglio... non ne doveva dimostrare più, altrimenti avrebbe sofferto e lei era stanca di star male per quella storia. Non ne poteva più di inseguire una persona che non la voleva, o che se la voleva, non aveva mai fatto abbastanza per tenerla con sé e per dimostrarle qualcosa.

Alla muta richiesta della donna, Blaise aveva incrociato le braccia al petto e distolto lo sguardo, puntandolo su uno dei tappeti che ricoprivano il pavimento del corridoio. "Niente."

L'espressione stizzita era tornata a farla da padrone immediatamente, sul volto di Millicent. Aveva stretto le mani a pugno e gli aveva rivolto un'occhiata astiosa, risentita, carica di rancore... poi così com'era arrivata, se n'era andata. Senza un ciao, senza un "no ora spieghi", come era solita fare in passato; sapeva che se avesse chiesto spiegazioni, avrebbe creduto a qualsiasi fandonia fosse uscita dalle labbra di Blaise e lei questo, non poteva permetterselo.

 

Perché è così che ti frega la vita.
Ti piglia quando hai ancora l'anima addormentata e ti semina dentro un'immagine,
o un odore, o un suono che poi non te li togli più.
E quella lì era la felicità. Lo scopri dopo, quando è troppo tardi.
E già sei, per sempre, un esule: a migliaia di chilometri
da quell'immagine, da quel suono, da quell'odore. Alla deriva..

[Castelli di rabbia - A. Baricco]

 

Erano passati sei giorni da quella sera. Sei giorni come se non fosse accaduto niente, almeno apparentemente. Nessuna lettera, nessun tentativo di contatto, ma un grande rimpianto nel cuore di entrambi. Eran lì, a pochi passi l'uno dall'altra e ancora una volta tutto si era concluso con un nulla di fatto.

Draco lo aveva rimproverato ancora una volta. Rimproverato... quasi fosse un bambino... ridicolo. Aveva smesso qualche minuto prima, quando si era ricordato di un appuntamento di lavoro ed era stato costretto a dileguarsi via metropolvere, lasciando Blaise ai propri pensieri.

Un temporale estivo imperversava in tutta Londra, non risparmiando neppure Zabini Manor, che si trovava molto in periferia. E il buffo era che lui lo trovava confortante. Mai come in quei giorni si trovava perfettamente a suo agio di fronte alla finestra, seduto alla sua poltrona, senza leggere o scrivere nulla che sapeva non avrebbe seguito con la massima attenzione, ma semplicemente guardando fuori la pioggia che cadeva e pensando. Gli sarebbe andato in fumo il cervello, aveva ragione Draco, ma lui non poteva farne a meno.

 

"Tu devi lasciare Millicent Bullstrode..." Quel ghigno storto così simile al suo e quegli occhi colmi di perfidia. No non aveva paura per sé, aveva paura per lei, per ciò che avrebbe potuto farle se non avesse obbedito. Doveva prima stroncare lui e la sua dannata carriera di DE e poi, solo poi avrebbe potuto averla completamente e senza alcun rischio. "Lasciala o ne pagherà le conseguenze..."

 

"Io non..."

"Sei un dannato codardo Blaise!" Per tutti i maghi se aveva ragione, ma lei non conosceva la cattiveria di Velius Zabini, lei non c'aveva convissuto per vent'anni, non poteva neanche immaginare di cosa era capace. E non poteva non ringraziare il cielo per questo.

Blaise aveva stretto le labbra e ingoiato il boccone amaro. "Lo so."

"Lo sai?! Lo sai?! Possiamo combatterla insieme questa guerra! Possiamo vincere insieme... ma separati... io... Blaise senza di te io non... non sono nulla." Le era costata un'immensa fatica pronunciare, di nuovo, quelle parole. Ma l'aveva fatto, per lui. Lei faceva tutto per lui. E lui cos'era capace di fare?

Lasciarla alla prima difficoltà, al primo accenno di pericolo.

Non aveva potuto replicare nulla, non era degno di rispondere a una tale prova di amore nei suoi confronti. L'aveva vista sciogliersi in lacrime e sfoderare uno sguardo pieno di rabbia e dolore. "Ti detesto Blaise, mi hai sentito? TI DETESTO! E prima o poi imparerò ad odiarti..." Ed era scappata senza neppure guardare indietro.

 

Suo padre gli aveva portato via in un soffio l'unica persona che era stato capace di amare veramente. L'unica in grado di dargli la certezza che non sarebbe finito come lui, incapace di provare sentimenti umani.

 

Erano tre anni che pensava costantemente alla stessa cosa, un giorno in più o in meno non avrebbe fatto tutta questa gran differenza.

"Signorino Blaise... Signore..." Si era corretto l'elfo domestico. Blaise non aveva neppure sentito la porta che si socchiudeva, prima o poi avrebbe dovuto insegnare al suo elfo che era meglio bussare, anche quando non era da solo. In fin dei conti lui non era mai solo, era sempre in compagnia dei suoi pensieri e questa era una più che valida motivazione.

"Dimmi..."

"C'è una visita per lei... Signore."

-Draco adesso si fa anche annunciare- Aveva pensato sarcastico, facendo leva sulle mani per alzarsi dalla poltrona. Non si era neppure voltato, limitandosi ad avvicinarsi ulteriormente alla finestra e incrociando le braccia dietro la schiena. "Fallo entrare." Si stava preparando psicologicamente alla prossima strigliata? No, non ne poteva davvero più di sentirsi ripetere fino allo sfinimento la storia dei rimpianti e dei pentimenti. Ma cosa pretendevano da lui?

Aveva udito stavolta la porta richiudersi e si era deciso a cambiare posizione, assumendone involontariamente una un po' sulla difensiva. Aveva incrociato le braccia al petto, giocherellando con la stoffa della camicia leggera e seguitato a osservare la tempesta.

"Ciao."

Era toccato a lei fare la prima mossa e Merlino solo sapeva quanto tempo era rimasta davanti al portone del maniero, indecisa se suonare o meno, a lasciarsi bagnare dalla pioggia, incurante di un possibile raffreddore. Che le importava di buscarsi o meno una polmonite? Tutto ciò che le interessava veramente e che più temeva era là dentro. Era disposta a perdonargli tutto, pur di averlo nuovamente per sé. Era stupido? Era irrazionale? Ebbene l'amore è tutto questo, no? Quindi cosa le importava ciò che pensavano gli altri, o cosa gridava il suo orgoglio calpestato? Già troppe volte lo aveva ascoltato, allontanando la sola persona che era in grado di farla sentire viva...

Blaise si era irrigidito. Aveva rubato qualche istante al tempo per perdersi in mille elucubrazioni mentali, prima di voltarsi e accorgersi che non erano abbastanza, che nessuna delle ipotesi che aveva vagliato poteva spiegare la sua presenza là. Aveva curvato le labbra in un sorriso agrodolce, vedendola zuppa d'acqua, col candido vestito verde pastello appiccicato addosso e i lunghi capelli castani ancora gocciolanti. Era nervosa e non ci voleva che lui per capirlo, dal modo in cui stringeva il ciondolo nella mano, era così abituato a vederla compiere quel gesto... ma era realmente così tanto che non si vedevano?

"Sei fradicia."

Millicent era vagamente arrossita per quello sguardo, un po' troppo penetrante, su di sé, ma non aveva mollato la presa sulla collana. Si era stretta nelle spalle e aveva abbozzato una smorfia. "Sì beh... facevo una passeggiata..."

"Qui?"

"Qui."

"Capisco."

Non aveva voluto chiedere oltre. Era libera di fare tutte le passeggiate che voleva, se ciò fosse servito a condurla da lui ogni volta. L'avrebbe aiutata a creare quel solco invisibile che legava le due case, se necessario. Era disposto a tutto.

Si era avvicinato di poco, prendendo la bacchetta da un mobiletto di legno intarsiato e aveva richiamato un asciugamano dal piccolo bagno adiacente allo studio. Aveva avuto quasi timore di fare un altro passo e allungarglielo, poi si era deciso, facendo appello a quel coraggio che non era di certo tipico della sua vecchia Casa. E quando era stato ad un passo da lei, quell'inconfondibile profumo di acqua di rose lo aveva nuovamente avvolto. Gli ci era voluto un po' più di una manciata di secondi per riprendersi ed aveva aiutato molto anche il leggero colpo di tosse che aveva avuto lei.

A quel punto era tornato in sé quasi del tutto e l'aveva guardata come un pittore ammira le sue opere, o uno scrittore i suoi amati libri, o più semplicemente -com'era solita dire Pansy- come solo Blaise poteva guardare Millicent. "Posso?"

Millicent c'aveva pensato un attimo prima di dare quel consenso. Averlo vicino era come tuffarsi in un passato di ricordi più o meno belli e se non fosse stato per il suo già scarso orgoglio, quando si trattava di lui, forse l'avrebbe allontanato, intimandogli di starsene al suo posto. Ma poi le sue mani le avevano sfiorato i capelli bagnati, alternando quelle morbide carezze al passaggio dell'asciugamano caldo e i suoi muscoli si erano rilassati all'improvviso, così come il nodo che aveva racchiuso nel petto da troppo tempo; ed era scoppiata in silenziose lacrime, che aveva cercato di nascondere abbassando il volto.

 

Semplicemente, senza che un solo angolo del suo volto si muovesse,
e assolutamente in silenzio, iniziò a piangere,
in quel modo che è un modo bellissimo, un segreto di pochi, piangono solo con gli occhi,
come bicchieri pieni fino all'orlo di tristezza, e impassibili mentre quella goccia di troppo alla fine li vince
e scivola giù dai bordi, seguita poi da mille altre,
e immobili se ne stanno lì mentre gli cola addosso la loro minuta disfatta.

[Castelli di rabbia - A. Baricco]

 

A Blaise invece era sembrato di impazzire. I battiti del cuore, i pensieri folli e insensati nella sua mente, il controllo sulle sue mani... tutto era perduto. C'aveva provato davvero a controllare il tremito delle dita mentre l'accarezzava, a non lasciarsi andare alla fantasia, alle sensazioni, ma aveva fallito di nuovo. L'aveva costretta ad alzare il volto, spingendole due dita sotto al mento e no, davvero non aveva pensato di poterla trovare in lacrime. A quel punto anche l'asciugamano gli era caduto di mano ed era stato il panico.

"N-non ci sono riuscita, Blaise..." Aveva detto Millicent tra i singhiozzi, stringendo ancora nella mano la catenina. "Non sono riuscita ad odiarti..." Lui non aveva potuto far altro che rilasciare il fiato in maniera così piena e liberatoria, che gli era parso di averlo trattenuto per tutti e tre gli anni in cui si erano divisi.

Aveva appoggiato la fronte alla sua, piegando la schiena di quel tanto che gli concedesse di arrivarci e le aveva tenuto il volto tra le mani, ignorando le lacrime che continuavano a scenderle sulle guance, bagnandogli le mani. Solo quando lei aveva riaperto gli occhi, leggendoci dentro la stessa identica necessità, aveva socchiuso le palpebre e l'aveva baciata.

Stavolta era toccato a lei perdere ogni controllo delle proprie azioni. Gli aveva gettato le braccia al collo, aggrappandosi alle sue spalle e schiudendo le labbra per avere un contatto più approfondito con lui, con le sue labbra, schiacciandosi contro il suo corpo come se volesse fondersi in un'unica persona. Non si era lamentata neppure quando Blaise l'aveva sollevata da terra, continuando a baciarla come se da quel bacio dipendesse la loro stessa vita.

Aveva mugolato qualcosa, dispiaciuta, non appena l'aveva lasciata coi piedi al pavimento, staccandosi per riprendere fiato, ma continuando a sfiorarle la bocca con la propria, riempiendola di tanti piccoli baci e tenendola ancora stretta a sé. "Blaise... i-io non ce la faccio... io non riesco a vivere senza di te. E se anche... se anche ci riesco, poi ti rivedo... e tutto il mondo che mi sono creata mi crolla addosso come un castello di carte."

Lui le aveva sorriso in risposta, spostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio e guardandola dritta negli occhi, in un modo così intenso... "Da adesso in poi lo ricostruiremo assieme..." Millicent aveva semplicemente annuito e gli aveva permesso di baciarla ancora e ancora, in maniera sempre più bruciante.

Avevano bisogno l'uno dell'altra e ne avevano bisogno subito. Per questo erano usciti dallo studio ancora intenti a baciarsi, lei camminando all'indietro e lui cercando di ricordare dove fosse la sua camera, la loro camera, che da tanto di quel tempo sentiva così vuota.

Solamente quando si erano richiusi la porta alle spalle, col respiro affannoso per quel bacio che sembra non voler avere mai fine, Blaise si era bloccato e l'aveva guardata. Si era perso a contemplarla per qualche minuto, in silenzio, cercando i suoi occhi annebbiati dalle lacrime e dal desiderio, sfiorando le sue guance arrossate dall'imbarazzo e le sue labbra, morbide e rosse per i baci. Poi aveva lasciato scivolare le dita lunghe fin sul collo, a toccare la catenina d'oro chiaro e la pelle dello sterno, arrestandosi non appena aveva incontrato i piccoli bottoni che chiudevano il vestito estivo, ma era stato fermato dalle mani della donna, che aveva preso a slacciarli da sola e aveva avuto l'ardire di farlo guardandolo negli occhi.

A lui era toccato il compito di sfilare l'abito e di contenersi quando se l'era ritrovata davanti completamente vulnerabile, con lo sguardo pieno di aspettativa, le labbra dischiuse, un leggero tremito di freddo in tutto il corpo e i capelli ancora fradici attaccati alla pelle, creando un contrasto che ricordava tanto latte e cioccolato.

Da lì in poi e cioè quando le aveva sorriso dolcemente, prendendola tra le braccia e baciandola quasi con reverenza, era stato tutto troppo confuso e febbrile per metterne in ordine i pezzi. Le mani di Blaise sulla sua pelle, le dita di Millicent sulla sua schiena e baci, tanti piccoli baci su quel corpo di bambola che era sempre stato suo e suo sarebbe stato per sempre. Il letto li aveva accolti come un conforto e se anche Millicent aveva effettivamente pianto quando l'aveva sentito entrare in lei e aveva allungato le mani sulle sue spalle, stringendole e baciandolo per reprimere un gemito un po' più forte e se in quel momento si era sentita veramente una stupida bambina, lui non gliel'aveva fatto pesare. Blaise l'aveva aspettata, confortata e fatta sua con una passione e una dolcezza così forti, che le era stato impossibile non sentire quel "Ti Amo" silenzioso, bisbigliato a fior di labbra contro il suo collo; e aveva ricambiato a suo modo, sussurrandogli tutto ciò che in tre anni non aveva potuto sussurrare e modellandosi tra le sue braccia come cera.

Avevano perduto il controllo innumerevoli volte, ritrovandolo poi sulle labbra dell'altro, tra mezzi sorrisi, parole smozzicate, bisbigli ansanti e gemiti incomprensibili. Si erano persi e si erano ritrovati l'uno nell'altra, persi in quel calore così a lungo aspettato.

Nessuno aveva chiesto, nessuno aveva parlato. Il passato era passato e il presente e il futuro era qualcosa da cui ricominciare insieme, senza "perché" o "mi dispiace".

 

L'alba li aveva trovati abbracciati, nascosti in parte alla vista dalle coperte di raso, con le dita di Blaise troppo impegnate a pattinare i capelli di Millicent e le labbra ancora unite in quel bacio che non riuscivano proprio a far cessare. Era stato uno scambio di promesse, che molti avrebbero trovato banale e smielato.

Per loro era stato confortante; come rinascere a nuova vita, l'uno negli occhi dell'altra.

 

La guardò. Ma d'uno sguardo per cui guardare già è una parola troppo forte.
Sguardo meraviglioso che è vedere senza chiedersi nulla, vedere e basta.
Qualcosa come due cose che si toccano - gli occhi e l'immagine- uno sguardo che non prende ma riceve,
nel silenzio più assoluto della mente, l'unico sguardo che davvero ci potrebbe salvare
- vergine di qualsiasi domanda, ancora non sfregiato dal vizio del sapere
- sola innocenza che potrebbe prevenire le ferite delle cose
quando da fuori entrano nel cerchio del nostro sentire-vedere-sentire-
perché sarebbe nulla di più che un meraviglioso stare davanti, noi e le cose,
e negli occhi ricevere il mondo - ricevere - senza domande,
perfino senza meraviglia - ricevere -solo- ricevere- negli occhi - il mondo.

[Oceano Mare - A. Baricco]

 

 

 

Note dell'autrice: dunque come avrete visto non me la sono sentita di mettere la parola FINE a questa storia. Il perché è semplice, fine non ci può essere se dalle ultime frasi si capisce chiaramente che questo è solo un nuovo inizio e allora che senso ha mettere un The End, quando la storia proseguirà (ovviamente non descritta, lascio libero arbitrio alla vostra fantasia). Se vi è sembrato che ci fosse troppo poco distacco tra l'incontro e il chiarimento, beh è solo perché se mi fossi messa ad elencare le pare mentali di due giovani innamorati in quell'arco di tempo, ne sarebbe uscita una long fic (e io ho troppi lavori arretrati per potermi permettere che ciò accada) quindi spero di essere riuscita a mostrare l'incertezza, l'angoscia e il bisogno già solo con le loro parole o i loro gesti.

Come al solito mi pare superfluo dirvi il perché amo questa coppia, profondamente e continuerò ad amarla... perché sono il mio Blaise e la mia Millicent... e semplicemente li adoro. Mmm che altro, ah le frasi sono dei miei due libri preferiti di Alessandro Baricco... Oceano Mare e Castelli di rabbia.

Un grazie in particolare a Ryta che mi ha seguita nella stesura di questa fanfiction che, vi assicuro, mi alleggerito il cuore... ^^

Alla prossima!

   
 
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