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Autore: ArcadiaLaNotte    23/09/2010    6 recensioni
-Camus?
-Mh?
La domanda tardò ad arrivare, e quando questo succedeva voleva dire che sarebbe stata imbarazzante.
Milo x Camus, post Hades
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Aquarius Camus, Scorpion Milo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Camus?
-Mh?
La domanda tardò ad arrivare, e quando questo succedeva voleva dire che sarebbe stata imbarazzante.
-Desideri mai fermarti? Avere una casa, non so, al Tempio, in Siberia, in Francia...-
Camus scrutò Milo di sghembo, chino sulla valigia aperta ai piedi del letto, il volto accuratamente celato da una cortina di capelli biondi.

Un giorno ormai distante due anni, la dea Atena aveva chiamato a raccolta i suoi Gold Saints.
La guerra contro Hades era finita da mesi, i dodici cavalieri riportati alla vita grazie all'intercessione di Lady Saori stessa che, ai Campi Elisi, era riuscita a chiamare a sè i loro spiriti trascinandoli nel vortice di luce che avrebbe ricondotto sulla terra lei ed i Bronze Saints.
-Miei cavalieri- aveva esordito la dea, in piedi accanto al trono del Grande Sacerdote occupato da Saga -la guerra santa è terminata, e nessun dio minaccerà più questo pianeta, non in questa era-
Un mormorio si era propagato tra i dodici cavalieri. Kanon, vestito dell'armatura di Gemini, aveva scambiato un sorriso con il gemello.
-Nondimeno- aveva continuato la donna imponendosi sul brusio -il nostro compito è ancora quello di vegliare sulla pace dove essa già vige e di portarla dove non c'è. La sconfitta Hades non ha significato la completa scomparsa del male sulla terra. Esistono ancora forze spettrali e demoniache libere nel mondo, non fedeli a nessuna divinità. Miei cavalieri, vi chiedo se siate disposti a lasciare il Tempio. A viaggiare, a portare il vostro aiuto là dove venga richiesto- tacque e li guardò tutti uno per uno.
Incontrò occhi allucinati, increduli, brillanti di aspettativa, impassibili.
-Miei cavalieri- invocò per la terza volta - a nessuno di voi sto imponendo questo mio desiderio. I sacrifici che vi ho chiesto sono stati talmente spietati che non avrei il cuore di ordinarvene altri- sorrise, dolcemente, carezzandoli con lo sguardo. -Perciò,- riprese -desidero lasciarvi completamente liberi di scegliere. Possiate considerare da questo momento reciso il vostro vincolo con me. Potrete decidere di restare o partire, e quelli di voi che vorranno lasciare l'armatura ed il Tempio avranno la possibilità ed i mezzi per farlo. Prendete il tempo che vi serve...non c'è nessun limite per darmi una risposta...-.

I dodici Gold Saints decisero.
Aphrodite chiese di poter rimanere ad Atene, mentre Kanon si disse disposto a partire senza allontanarsi però dall'Europa. Lo annunciò con una certa vergogna, ma non si sentiva disposto a lasciare ne' Saori ne' il gemello.
Aldebaran domandò di poter raggiungere il Sud America, sua terra natale, e di portare avanti là il suo operato.
Deathmask abbandonò l'armatura di Cancer, e Mu, Aiolia, Shaka, Milo, Shura e Camus si dichiararono pronti a lasciare il Tempio.
A due condizioni.
Milo e Camus, e Mu e Shaka chiesero di non separarsi.

Così fu.

Dopo poche settimane, i Cavalieri partirono.
Prima Aldebaran, poi Shura e Kanon alla volta di Gibilterra. Shura avrebbe proseguito per il Nord America dopo essersi occupato assieme al custode della terza casa di un demone che pareva abitare le campagne attorno alla città.
Fu il turno di Aiolia, e di Mu e Shaka che si diressero ad oriente, verso la Cina.
Infine, anche Milo e Camus lasciarono Atene per la Turchia, loro prima tappa.

Due anni.
Due anni di treni, di ostelli, navi, locande, bagagli disfatti e rifatti. Di spettri veri o presunti da sconfiggere, esseri d'oltretomba da annientare, volti sempre nuovi che li guardavano grati, diffidenti, ostili, felici. Di letti singoli da unire per formare un malfermo letto matrimoniale. Di un rapporto che diventava sempre più profondo ed indissolubile.
Camus viveva quel continuo caleidoscopio in modo ambivalente.
Era assetato di conoscenza. Visitava le biblioteche di ogni paese, traendo conforto dalle pile di libri sugli scaffali (che potevano essere da poche centinaia a diverse migliaia a seconda della cittadina). I libri, ah, silenzioso, discreto, immutabile patrimonio. Interrogava per ore le vecchiette che cadevano regolarmente ai piedi di Milo, il quale pareva avere un particolare ascendente su ogni anziana signora che incontravano nonchè la capacità di individuare immediatamente quella che per un qualche motivo (fosse questo sotto la forma di un gatto da tirare giù dall'albero o di uno steccato da verniciare) aveva bisogno di aiuto. Milo andava così in soccorso della nonnina in questione, la quale incantata dal suo sguardo solare e birbante lo vezzeggiava poi come un bambino e di norma invitava lui ed il suo taciturno 'cugino' a cena. Lì, mentre Milo giocava con i nipotini della signora, Camus aiutava a sparecchiare ed intanto chiedeva racconti sulla storia del luogo, sulle usanze, le tradizioni, le festività, le dicerie. Dunque la vecchietta finiva per adorare anche quell'uomo silenzioso ed ermetico che dimostrava di saper essere un tale attento ascoltatore.
Dopo più di ventiquattro mesi trascorsi a viaggiare da un capo all'altro del globo, Camus si sentiva inebriato da quanto aveva imparato, e trasmetteva tale conoscenza a chiunque lo desiderasse.

D'altro canto, tutto questo gli stava chiedendo uno sforzo terribile. Riservato per carattere, schivo e rivestito da una maschera fredda sotto la quale celava una profonda timidezza, il non poter avere un quotidianità lo minava. Camus aveva ereditato qualcosa dai ghiacci eterni della Siberia, silenziosi, radicati, immutabili, ed il tipo di vita che avevano intrapreso forzava necessariamente la sua naturale risevatezza facendolo sentire come violentato. Non poteva avere nessun luogo in cui rifugiarsi per riflettere, per studiare i testi che aveva raccolto, o semplicemente per stare un po' con sè stesso quando gli andava. Era un continuo esporsi alla gente, alle persone, al mondo esterno.
I primi tempi, quando era arrivato a realizzare che questo sarebbe stato il futuro gli era parso di impazzire.
Uno psichiatra l'avrebbe chiamata 'agorafobia'. 'Crisi di panico'.

Lui desiderava seguire gli ideali di Atena, era quello che voleva, era la sua vita e sentiva di non volere tornare al Tempio, almeno per ora. D'altra parte gli pareva di soffocare nel vedere costantemente attorno a sè un paesaggio mutevole, mai uguale e per questo apparentemente infido.
Ovviamente aveva reagito a tutto questo come suo solito.
Senza dire una parola.

Milo non era mai stato particolarmente empatico, e se si fosse trattato di un'altra persona non si sarebbe accorto di nulla finchè questa non avesse cercato di strozzarlo nel sonno. Ma qui non si trattava di 'un'altra persona'.
Questo era il suo chiuso, asociale, amato Camus.

Non cercò di intavolare un discorso con lui.
Solo, da un certo momento in avanti, iniziò ad imporre tacitamente a sè ed al compagno dei piccoli gesti.
Sciocchezze, nulla di più.
Un bacio sulla fronte appena svegli. Una lieve pressione sul polso prima di uscire. La promessa strappata di potergli ogni tanto pettinare i rossi capelli (adorava i suoi capelli, e Camus doveva combattere tutte le volte che Milo vi metteva mano per impedirgli di riempirli di treccioline). Il bucato nel lavandino che insisteva nel fare da solo, lasciando all'altro il 'compito bagnato' di strizzare i capi. Le dita a lisciare le ciocche color rubino del compagno prima di dormire.
La prima notte passata nell'ennesimo ostello sconosciuto, Milo faceva l'amore con lui, non importava quanto stanchi fossero. Lo prendeva dolcemente, concedendosi tempo, con spinte profonde e lente, stringendolo a sè sotto le coperte, mormorandogli sulle labbra piccole frasi che a volte Camus nemmeno capiva ma che avevano l'inverosimile effetto di rassicurarlo, così come lo avevano lo strano ed ormai familiare calore del corpo del compagno, la frizione tra i loro busti, le braccia del cavaliere di Scorpio così strettamente avvolte attorno a lui a stringerlo, a stringerlo forte come per lasciare che fosse solo la sua fisicità a comunicare con lui, sussurrandogli di non preoccuparsi, di non temere, perchè sarebbe sempre stato lì.
Gli regalò un diario, e Camus prese a scrivere con regolarità.
Piccole cose che Milo fece diventare quelle abitudini giornaliere che al compagno mancavano, da portare con loro ovunque andassero.
Loro stessi divennero la loro quotidianità.

Di lì a poco, Camus si calmò.
Si abituò a quelle minuzie che il compagno gli sommistrava pazientemente con insospettabile perspicacia.
Non ne avevano mai parlato apertamente (Milo sapeva quanto sarebbe stato imbarazzante per il suo piccolo, adorato ghiacciolo musone), tranne una notte, poco prima di addirmentarsi dopo avere fatto l'amore -era stato Camus ad averlo, questa volta-.
-Camus?
un mormorio nel buio.
-Mh..?
Camus si stava perdendo nei fumi del sonno.
-Sei felice?
Silenzio.
-Si
A Milo non era servito sapere altro.
Fino a quel giorno, evidentemente.

Camus aveva attraversato due anni nel corso di un battere di ciglia.
E doveva rispondere alla domanda del compagno.
Ora. Prima che il silenzio si protraesse tanto da non poter non sottintendere un lavorìo mentale così febbrile.

Come avrebbe potuto spiegare a Milo che, nel profondo, ancora si sentiva confuso nell'udire il rumore del proprio bagaglio che cadeva sul pavimento di una nuova stanza?
Come avrebbe potuto spiegargli che nonostante tutto, un lieve tremito lo percorreva quando ne apriva le cinghie e disponeva i propri vestiti in un cassetto?
Come avrebbe potuto spiegargli che quegli abiti gli sembravano grottescamente fuori posto e piccoli in quei ripiani sconosciuti?
Come avrebbe potuto spiegargli la reticenza che ancora albergava in lui nel conoscere nuove persone, nell'imparare nuovi nomi, nel memorizzare nuovi volti?

E come, come, come diavolo avrebbe potuto dirgli che in quei momenti di smarrimento gli veniva da cercarlo con lo sguardo, e che nel riconoscere la sua figura, i suoi capelli dorati, i suoi occhi turchesi che lo accoglievano, il suo volto così familiare -amato-, si sentiva a casa ovunque si trovassero?

Semplice.
Non poteva.

-No- rispose impassibile -non lo desidero-

In quel momento bussarono alla porta, e Camus andò ad aprire.
Fu una fortuna per Milo perchè i suoi capelli, che da pochi mesi si tagliato da sè ('Sono bellissimo!' aveva esclamato soddisfatto rimirandosi allo specchio), erano troppo corti per nascondere il sorriso divertito che era andato a dipingersi sul suo volto.
Camus si sarebbe offeso a morte, se l'avesse visto.

-Milo?
-Mh..?
-Sei felice?
...
-Si

  
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