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Autore: C r i s    27/09/2010    14 recensioni
Persi e poi ritrovati.
Il destino mescola le carte, noi le giochiamo.
Credete ai dèjà vu?
William e Nicole sì.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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» Déjà vu «

 

Staring at tears on the pages
Of letters that I never could've write
Now I know love isn't painless,
But it's worth the risk,
It's worth the fight
Playing it over and over
I wish that I could turn back time, baby
We were wrong, but we could be right.



 

Esattamente dieci anni prima il cellulare mi è caduto dalle mani, scivolando sulle mattonelle dell’aeroporto e infilandosi sotto le poltroncine ricoperte da una stoffa rossastra. E, a distanza di tali dieci anni, il cellulare è cascato ancora, è tornato a scivolare sulle mattonelle e, dulcis in fundo, si è fermato sotto la decima poltroncina rossa.
Sbuffo sonoramente, trascinando con una mano il trolley e andando a tentativi con l’altra per sistemare un ciuffo ribelle dietro un orecchio.
Mi chino per afferrare quel dannato apparecchio tecnologico, consapevole del fatto che la mia gonna sia troppo corta per velare le cosce e, neanche a volerlo prevenire, sento un fischio alle mie spalle.
Afferro il cellulare e mi volto, rapida, decisa a prepararlo per un nuovo volo, stavolta calcolato e premeditato. L’istinto omicida sfuma non appena due perle color d’acciaio si incastrano nei miei pozzi verdi. Mi inarco in un sorriso caloroso e lascio andare il trolley per ritrovarmi stretta nelle braccia di Luke.
Quanto mi è mancato Luke?
«Ho scommesso che ti saresti tinta i capelli di blu», bofonchia, passandomi le dita tra le ciocche di capelli e, neanche a farlo apposta, dando modo a quel ciuffo ribelle di balzarmi nuovamente davanti agli occhi.
«Chi ti autorizza nello scommettere su di me?», lo riprendo dandogli un leggero pizzico sul braccio.
Afferra il mio trolley per la maniglia e mi cinge il fianco con la mano libera.
«Il DNA. Lo abbiamo in comune, dovrà pur servire a qualcosa».
Gli occhi mi cadono al check-in.
Una ragazza ha i capelli racchiusi in una coda di cavallo, lo zainetto della Seven in spalla le ricade sulla schiena minuta e i jeans scuri le permettono di confondersi con il resto delle persone.
Non posso fare a meno di sorridere, presa dai ricordi.
«Ti stanno aspettando, sai?»
La voce di Luke mi arriva come un sussurro.
Annuisco semplicemente, tornando a volgere lo sguardo verso l’uscita.
 
Avanzai verso il check-in con il cuore in tumulto ed uno zaino che balzava in continuazione sulla schiena, urtando il mio sistema nervoso. Lacrime prepotenti istigavano i miei occhi a battere le ciglia più del dovuto, i polmoni faticavano nell’immettere ossigeno e le labbra si piegavano in un sorriso che odorava di malinconia.
Inciampai nei miei stessi piedi ed osservai il cellulare spiccare il volo per poi soggiornare al di sotto di una poltroncina rossa. Sbuffando, mi chinai per poterlo raccogliere, ma una mano mi anticipò.
Alzai gli occhi ed incrociai i suoi.
Fu un tuffo al cuore, erano esattamente sessanta minuti che il cuore mi implorava di assecondarlo, anche il solo sbirciare tra le immagini del cellulare. Si sarebbe accontentato, a differenza mia.
Afferrai il mio Nokia dalle sue mani e scattai indietro. Fortuna che quel giorno avevo legato i capelli in una coda, altrimenti avrei dovuto litigare anche con loro e non era di certo il caso.
«Credevo che non ti piacesse scappare», la sua voce assunse un tono prettamente ironico.
«Infatti non sto scappando».
La sua risata fu gioia per il mio cuore, dolore per le mie orecchie, provocazione per le mie mani sigillate a pugno.
«Tu questo come lo chiami?», domandò indicando l’aeroporto con un’occhiata veloce.
«Lo chiamo aeroporto».
«E cosa si fa all’aeroporto?»
«Si parte, non si scappa! Io non sto scappando!»
Sostenni il suo sguardo, seppur per un briciolo di secondo, con una rabbia cieca che si espandeva a macchia d’olio sul volto.
«Pinocchio aveva il naso che lo condannava. Tu hai tutta la faccia che parla da sola quando menti».
Continuava a prendersi gioco di me, non si rendeva conto probabilmente della gravità della situazione.
«Pinocchio non era stato abbordato per il semplice gusto di vincere una scommessa del cazzo! E poi Pinocchio era fatto di legno, era già fortunato che sotto la pioggia non marcisse!»
Cercai di darmi un contegno, prendendo un grosso respiro, ma il sorriso che aveva dipinto sul volto non poté che alimentare le fiamme che avevano preso posto nella mia testa.
«E’ davvero importante soffermarsi su un dettaglio? Non ti ricordavo così pignola, Nicole», soffiò avvicinandosi così in fretta da farmi indietreggiare come se avessi appena visto un ratto camminarmi davanti.
«Non ti avvicinare, William! Non sono mai stata pignola, ma forse dovrei davvero iniziare ad esserlo. Mi hai presa in giro alla perfezione, credevi che non l’avessi scoperto? Non ho intenzione di perdere altro tempo con te».
Feci per voltarmi e lasciarmelo alle spalle, insieme ai trenta giorni più belli della mia vita. In trenta giorni, avevo compleatamente perso testa, cuore ed autonomia.
La sua mano agguantò il mio polso, mi fece roteare su me stessa e mi bloccò tra le sue braccia. Alzai il viso quanto bastò per poter incrociare i suoi occhi profondi, un fremito mi attraversò il cuore e dovetti ricorrere a tutto l’autocontrollo di cui disponevo per non schiaffeggiarlo a dovere.
«Hai perso tempo con me? Lo credi davvero o è soltanto la cattiveria a farti parlare?»
Digrignai i denti e presi a dargli dei pugni sul petto, pur di allontanarlo da me.
«La cattiveria l’hai avuta tu nel momento in cui hai deciso di entrare nella mia vita! Io non sono cattiva, tu lo sei! Anzi, mi correggo, tu sei sadico, sei malvagio. Non te ne importa un fico secco dei sentimenti altrui, non ti interessa se per colpa tua ho dovuto riattaccare il cuore con la colla! A te non interessa nulla se non di te!»
Mi resi conto di aver usato un tono fin troppo elevato, ma non me ne pentii. Prima che potesse replicare, mi sciolsi dalla sua presa e portai una mano davanti al viso per non permettergli di infliggere ancora.
«Mi auguro solo che tu non sia così sadico da ripetere di nuovo la stessa esperienza».
Con gambe molli come gelatina, presi a correre verso il check-in.
Mi voltai soltanto quando oltrepassai la soglia, afferrai lo zaino con distrazione e mi resi conto che William era ancora lì, immobile, ad osservarmi scappare.
Perchè aveva ragione, io stavo scappando, ma non da lui.
Io stavo scappando da me stessa.
 
 
«Ciao Allison, sono Nicole. Ho saputo che hai avuto un bambino. Wow, il mondo cambia davvero. Sono in città, al momento, e mi chiedevo se ti andasse di prendere una cioccolata calda. Non sono smemorata, tu e il caffè non andate d’accordo, ecco perchè ti propongo la cioccolata. In caso tu stessi a dieta, allora ci vedremo anche solo per bere dell’acqua. Richiamami».
Aggancio non appena odo il bip della segreteria telefonica e sospiro, sprofondando nella poltrona blu scuro del Brontolo’s.
Essendo in vacanza, non dovrei avere nessuna preoccupazione al mondo, no?
Esattamente, nessuna.
E invece ne ho talmente tante da far concorrenza al Presidente Obama.
Prima di tutto, sono tornata a Londra dopo ben dieci anni. Neanche per le vacanze di Natale sono tornata a far visita alla mia famiglia, ho sempre temuto il fatidico ritorno a casa e non so cosa, probabilmente il buon senso,  mi ha fatto desistere dal prendere il primo volo disponibile e tornare a camminare per le strade dell’unica città che abbia mai tenuto piede nel mio cuore.
Con grande gioia, sposto lo sguardo dal menù alla finestra, dalla finestra al vaso, dal vaso di nuovo al menù.
Questo posto non è cambiato di una virgola.
Decido di prendere il solito, mozzarella e pomodoro, come la prima volta che ci sono entrata, dieci anni prima. Io e la mia dannata fissazione per la dieta, è sempre stato un vizio il mio probabilmente, o un semplice pallino da non riuscire a cacciare.
Data l’ordinazione, prendo a sgranocchiare qualche arachide. La scelta salutare non si abbina affatto con quell’antipasto, c’è da dirlo.
Estraggo dalla borsa il mio blocco con penna, quando la poltrona dinanzi la mia viene occupata da una figura imponente che toglie luce al mio foglio.
Alzo il volto, pronta a far sloggiare il matto che abbia solamente pensato di poter occupare un posto al mio tavolo, quando mi trovo a dilatare le pupille. Manca poco che boccheggio, di questo ne sono consapevole, ma un briciolo di dignità mi è rimasto.
Sbatto le palpebre, ancora incredula, ritrovandomi dinanzi quel sorriso.
Non può essere.
Sembra di rivivere quella scena, un déjà vu.
E, neanche a farlo apposta, chiudo il blocco-note e sostengo quegli occhi con diffidenza e con il cuore salito in gola, del tutto impazzito, proprio come dieci anni prima.
 
Entrai al Brontolo’s augurandomi di trovare un posto a sedere.
Quella  Domenica avevo saltato il pranzo familiare proprio per non dovermi sorbire la predica della nonna. Non riusciva a capire che io e i carboidrati avevamo dichiarato guerra!
Avevo messo sù la bellezza di 7 kg.
Mi sedetti ad un tavolo che affiancava un’ampia finestra e presi a giocare distrattamente con il menù.
Perfetto, tutto sembrava andarmi contro.
Perchè dovevano spiattellarmi come primi piatti le Lasagne o magari la pasta al forno? Non sapevano che c’erano persone deboli di cuore che sono leggendo una tale prelibatezza potevano rischiare l’infarto?
Una ragazza dall’aspetto ben curato mi si avvicinò e mi chiese cosa volessi ordinare.
‘Delle patatine fritte’, pensai immediatamente, ma scacciai quel pensiero con rabbia e borbottai un «Una caprese, per favore» tra i denti.
La ragazza segnò anche l’acqua minerale e sgattaiolò via dalla mia vista. Afferrai il blocco-note che tenevo sempre con me nella borsa e presi a scarabocchiare delle parole senza senso. A volte mi aiutava anche il solo disegnare delle forme poco definite, l’importante era scaricare la tensione.
Stetti davvero per raffigurare un piatto di Lasagne fumanti, quando la luce venne oscurata dalla sagoma di un ragazzo che si sedette dall’altro lato del tavolo e mi sorrise.
Riconobbi immediatamente a chi appartenesse.
William Cooper.
Avevo sempre ritenuto persone come lui poco adatte nel vivere sul Pianeta Terra, ma non potevo di certo rinnegarle. Se non lo faceva Dio, perchè dovevo farlo io?
«Potresti almeno chiedere se è libero, quel posto, prima di sederti come se niente fosse», precisai agitando la punta della mia Bic.
«Non c’è seduto nessuno, quindi presumo sia libero. Oh, aspetta!», si finse scioccato, inarcando un sopracciglio, «Non dirmi che c’è il tuo amico immaginario! Non vorrei averlo schiacciato. Ehi, tutto bene?», abbassò lo sguardo, alzandosi leggermente dalla poltrona per guardare sotto il suo sedere, poi si aprì in un sorriso compiaciuto e tornò a sedersi, «Credo che sia morto, condoglianze».
«Non si fanno le condoglianze con il sorriso».
«Ma le mie erano sentite», precisò annuendo prontamente.
Sbuffai e chiusi con uno scatto il blocco-note.
«Non ci sono tavoli a disposizione, Cooper?»
«Sì, ce ne sono a bizzeffe in realtà. Ma il tavolo migliore è questo».
Non concordavo sul fatto che ce ne fossero a bizzeffe, anzi, se guardavamo bene erano pochi i tavoli rimasti vuoti.
Inarcai un sopracciglio, leggermente curiosa, ma prettamente infastidita per il suo comportamento.
Quel ragazzo non mi era mai piaciuto, andavamo alle elementari insieme e aveva tagliato una ciocca di capelli alla mia migliore amica, sapendo quanto tenesse ai suoi boccoli biondi.
«E come mai? Non dirmi che ti piace la vista, non ti credo così romantico», sbottai portandomi a visionare le unghie come se fossero così interessanti.
«La vista mi piace eccome», replicò asciutto, puntando i suoi occhi chiari nei miei. Sentii una scossa attraversarmi la schiena e mi trovai a schiudere le labbra per intimargli di andar via e lasciarmi in pace. Invece rimasi muta come un pesce.
Non ero stupida, pur avendo quindici anni certe allusioni le capivo ampiamente.
Arrivarono i miei pomodori con la mozzarella e mi sentii andare a fuoco il viso per quanto i suoi occhi si fossero fossilizzati sul mio piatto.
Forse avrei fatto meglio ad ordinare le patatine fritte, non ci sarebbe stato niente di anomalo.
«Ci manteniamo in linea?», domandò ironico, chiedendo subito dopo alla ragazza di portargli una birra.
«Non puoi ordinare una birra in pieno giorno spacciandoti per maggiorenne quando invece non lo sei», gli feci notare addentando un pomodoro e senza neanche preoccuparmi di offrire.
«Non ho mai detto di essere maggiorenne. Annabell mi conosce», precisò con un sorriso sfrontato.
Restammo a fissarci di sottecchi finchè il mio piatto non arrivò a termine proprio come il suo bicchiere.
Soffocai l’impulso di fargli ingoiare anche i fiori sul tavolo e feci per alzarmi, quando mi bloccò per un polso.
«Torni domani?»
Me ne andai senza dargli nè una certezza nè una negazione.
Non se la meritava affatto.
 
«William».
La voce mi esce atona, non riesco a dar forma ai miei sentimenti, contrastanti tra loro.
William sorride e si passa una mano tra i capelli.
«Non credevo di rivederti».
I nostri occhi si incrociano e il petto prende a stringere il cuore in una morsa d’acciaio.
È cambiato, è più uomo adesso, ha dei lineamenti così definiti che sembra una statua, anzichè un classico essere umano. Le sue labbra carnose sono ancora più invitanti di un tempo, i capelli sono più corti, pur sempre biondi. Probabilmente gli unici a non aver subito variazioni sono i suoi occh, profondi e azzurri.
«Credevi male», ribatto abbozzando un sorriso.
Sono passati dieci anni, continuo a ripetermi, dieci lunghi anni.
Ma non posso fare a meno di sentire una fitta mostruosa al petto.
Ho amato William, nella mia ingenuità, nella mia poca abilità di rapportarsi agli altri, io l’ho amato senza pregiudizi, pensando che fosse il classico amore da superare ogni ostacolo. Peccato che al primo tutto fosse crollato come un enorme piramide di carte da gioco.
Il cameriere mi serve il piatto di pomodori e mozzarella, augurandomi buon appetito, e gli occhi di William scintillando.
«Ti rendi conto che questo l’abbiamo già vissuto?»
A differenza di anni prima, porto il piatto al centro del tavolo e gli porgo l’altra forchetta. William infilza un pomodoro e se lo porta alle labbra, pensieroso.
«Di certo adesso non hai schiacciato Freud», lo rassicuro con occhi apprensivi.
William sembra confuso, come se avesse perso un passaggio, poi si apre in un sorrido divertito.
«Allora c’era davvero! Mi spiace, ha gradito i miei fiori al funerale?»
«Erano crisantemi?»
«No, girasoli».
«Non si regalano girasoli ai morti, Will!»
Scoppia a ridere e agguanta il mio stesso pomodoro.
Ci guardiamo negli occhi con una scintilla particolare, lascio andare il pomodoro soltanto perchè ne ho intravisto uno migliore.
«Dov’è che sei fuggita, poi?»
La sua domanda mi spiazza.
Dovrei essere matura, adesso. Non dovrei prendermela per quest’insinuazione, dovrei semplicemente riderci su e parlargli di quanto sia stata fantastica l’Italia.
Invece mi trovo ad abbassare lo sguardo, indurire la mascella e torturare il povero pomodoro.
La mano libera di William si posa sulla mia immobile sul tavolo e sento il sangue ibernarsi nelle vene. Ritraggo la mano di scatto e la porto in grembo.
«Io non sono fuggita», mi trovo a rispondere con voce malferma.
William sorride e scuote il capo. «Sempre la solita».
Alzo gli occhi con rabbia e gli punto contro la forchetta.
«Non sono la quindicenne di un tempo, William. Sono cambiata, sono cambiate tante cose. Anche tu sei cambiato».
Si trova ad annuire alle mie parole.
«Hai ragione, ma non cambia il fatto che tu sia scappata, Nicole. Senza neanche pensare che probabilmente era qui che dovevi restare, affrontare la situazione e darmi modo di spiegarti».
L’intensità con cui mi guarda rende la mia voce ancor più leggera. Mi schiarisco la gola e do modo ai pensieri di prender forma.
«Non c’era niente da spiegare. Avevi già dato le tue motivazioni. Era stato un gioco, okay, ci sta. Eravamo ragazzini entrambi, capitano certe cose», prendo un grosso respiro e addento della mozzarella, «Ma non mi sono pentita di essere partita, mi sono trovata bene lì».
«Cazzo, Nicole! Se solo per un secondo tu la smettessi di pensare a me come un ragazzino coglione accecato dalla voglia di scavallare gli altri, forse riusciresti ad ammettere che la tua è stata una reazione esagerata! È vero, è iniziato come un gioco, volevo davvero vedere fino a che punto ci fossimo spinti, quella scommessa era stata soltanto la spinta decisiva. Era da tempo che volevo avvicinarti, ma qualcosa mi frenava! Tutto ciò che è accaduto dopo il nostro incontro non è stato affatto premeditato, è capitato perchè lo volevamo entrambi».
Ad ogni sua parola mi si stringe lo stomaco. Queste sono le spiegazioni alle quali ho aspirato per anni, da ragazzina. Spiegazioni che bramavo nel cuore della notte, non riuscendo a chiudere occhio per il troppo dolore.
Il telefono prende a suonare e distolgo gli occhi dai suoi soltanto dopo una manciata di secondi.
Con felicità e graditudine, leggo il messaggio di Allison, la quale mi da appuntamento nel pomeriggio.  Ripongo il cellulare nella borsa assieme al blocco-note e faccio per alzarmi.
«Devo and...»
«Aspetta», la sua mano agguanta il mio polso e rimango folgorata dal flash back che squarcia la mia povera testa.
Tutto come un tempo.
«Rivediamoci qui, domani. Dammi una possibilità, Nicole, la possibilità che mi hai negato tempo fa. Dammi la possibilità di dimostrarti che sono cambiato, sì, ma non del tutto. Voglio che tu impari a conoscermi nuovamente, che impari ad innamorarti di me come accadde dieci anni fa. E voglio che tu mi dia l’opportunità di innamorarmi di te, ancora una volta».
Il mio cuore perde un battito.
I miei occhi non abbandonano i suoi.
Forse sto sognando, chissà. I fantasmi del passato a volte tornano per perseguitarci nel periodo più felice della nostra vita.
Peccato che quel periodo non sia ancora arrivato per me, forse devo ancora viverlo e William può aiutarmi.
Gli regalo un breve sorriso, scomparendo solo dopo aver saldato il conto alla cassa.
Sembra che il destino si diverta nel farmi rivivere le tappe fondamentali del mio passato. Londra ha sempre avuto un forte ascendente su di me, mi ha regalato tante emozioni in passato e potrebbe regalarmene altre adesso.
Prendo la decisione più sensata della mia vita, fermandomi dinanzi il Tamigi.
Dieci anni prima, quando mi aveva chiesto se fossi tornata l’indomani, non gli avevo risposto, ma ero tornata.
E oggi, dieci anni dopo, pur non avendo risposto, so già che capirà, so già che lo troverò di nuovo seduto lì, ad aspettarmi dinanzi un piatto di sofisticate Lasagne fumanti.
Mi ha aspettata.
Nonostante tutto, William mi ha aspettata.
Merita un’altra possibilità per questo?
La risposta la ottengo non appena il giorno successivo varco la soglia di Brontolo’s.
William è lì, le Lasagne nei rispettivi piatti ed un sorriso smagliante sul volto. Si alza dalla poltrona e mi viene incontro, afferra i miei fianchi e poggia le sue labbra sulle mie.
«Riviviamo proprio tutto, eh?»
Si siede sulla poltrona, ma anzichè farmi sedere dall’altro capo del tavolo, mi trascina al suo fianco e si volta nella mia direzione, imboccandomi un pezzo di Lasagne.
«Non proprio tutto», sussurra poi dandomi un bacio a fior di labbra.
«William, tempo fa non ti avrei permesso di baciarmi al primo appuntamento».
«Secondo. Questo è il secondo», mi rimbecca prendendo un’altra forchettata.
«Neanche al secondo, come minimo al terzo».
«E’ vecchio stile e noi non dobbiamo partire proprio da zero», sorride malizioso e mi trovo ad assecondarlo.
Non stiamo vivendo un déjà vu.
Stiamo semplicemente vivendo una seconda occasione, insieme.
Valeva la pena di aspettare dieci anni per tutto questo.

 
 

Why do we say things we can't take back
Why do we miss what we never had
Both of us fell to the ground
The love was so lost, it couldn't be found
Why do you tend to forget whose vain
I'm tired of crying out at the sound of your name
Why don't we turn this around, love ain't the enemy
Don't you want to be lost then found
Lost then found, lost then found
Love ain't the enemy
We could be lost then found


Leona Lewis – Lost then Found.

 
 
 

Angolo della scrittrice:
Ebbene, ho avuto un’illuminazione improvvisa, sarà che il titolo mi ha ispirata un sacco o.ò
Però è stata un’idea scritta di getto, non fatemene una colpa se ho deciso di postare questo obbrobbrio, spero solo che piaccia.
Ci sono tante cose dette e non dette, magari avrei dovuto precisare di più cose del passato, magari avrei dovuto farla finire in un altro modo, non so, avrei dovuto fare tante cose o magari proprio niente XD

Resta di fatto che ringrazio tutti voi che la leggerete <3

   
 
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