Giunti che furono nei pressi di una vallata riarsa e spoglia, la
schiera spartana, forte di quasi diecimila prodi opliti, si dispose con
lento pede in modo tale da allinearsi in svariate colonne, tante che
occhio umano faceva fatica ad enumerare.
Sotto un astro cocente e tormentoso quelle truppe, per quanto
formidabili fossero, non potevano reggere una simile caldana e, per di
più, i raggi di luce riflessi sulle loro scintillanti scorze
risultavano emettere una magnitudine sin troppo abbagliante per essere
sostenuta dallo sguardo di un comune mortale.
“Persino il dio Elio ci è
avverso…” si lagnò uno di quelli, ben
attento a non farsi udire dai capi più arzilli.
I fieri comandanti dei battaglioni impartivano imperiosi comandi ai
loro coscritti, con aria quieta, sicura e voce avvolgente, farebbero
tale degli zelanti e premurosi padri.
Ciò nonostante, i soldati erano ben consci della loro natura
aspra e forte, e sotto quella maschera di serena
inesprespressività, dipinta sul volto cicatrizzato dei loro
superiori, si celava una brutale ferocia che poteva scatenarsi in una
furia sanguinaria ed irriducibile …più bestiale
che umana…
I militi erano consapevoli che un loro singolo, piccolo errore gli
sarebbe costato caro, ma accettavano con cinica approvazione il fio
inflittogli dalle lame castigatrici dei severi condottieri, e, alle
volte, si arrogavano persino il gusto di soggiacere ad una dispotica
condanna per le loro imperizie.
Questi erano gli spartani.
D’improvviso, le legioni scarlatte s’aprirono; le
prominenti lance iniziarono a battere ritmicamente sugli scudi, dalla
fila più remota si levò un grido che, come un
onda, da sommesso quale era andò a crescere rimbombante,
trascinandosi verso le file più avanzate:
“KRATOS!” ripetevano a squarciagola quelle
taciturne schiere che si erano come repentinamente incendiate di
passione ed accese di esultanza.
“Generale, regalaci un’altra
vittoria!” si distinse una voce in mezzo a quel altisonante
coro.
“Signore, siamo con te! Per Sparta! Per la
libertà!” una seconda di queste si erse
più alta delle altre.
Accompagnato da quel clamore collettivo si staccò dalla
ressa un figuro silenzioso, dai bruschi lineamenti e dallo sguardo
accigliato ed acerbo; era discinto dalla cintola in su ed il suo
addome, grandioso e possente, era scalfito da diverse lacerazioni
profonde che dichiaravano da sé le innumerevoli
difficoltà attraversate in ogni frangente; dicevano
più di quanto avrebbero potuto cantare mille poeti e
verseggiatori.
Pareva non curarsi di quel grezzo schiamazzo.
“….tornate nei ranghi….”
Una tenue imposizione aveva placato quella calca infernale, come il
rombo di un tuono, travolgente e pauroso, la sua autorità
ammutolì l’entusiasmo dell’armata che
celermente tornò in postazione: le parole non fuoriuscivano
mai per più di una volta dalle sue labbra cremisi, e nessuno
poteva concedersi il lusso di distrarsi sotto la sua
guida…nessuno poteva permettersi di ritardare un suo comando
e farglielo ripetere; la pena poteva voler dire la morte…
Sotto il ridondante bussare cupo dei tamburi di guerra, una
torreggiante selva di lance andava a formarsi crescendo alle spalle di
un muro di scudi, sorretto da una lunga prima fila di giovani e valenti
guerrieri: molti di loro non avevano veduto abbastanza inverni e mai
assaporato la piacevolezza di una vera donna spartana, condiviso il
proprio godimento in una sinergia di piacere puro, percepito il suo
tiepido abbraccio o colto i suoi afrodisiaci profumi nel comune
giaciglio.
Pensieri appaganti, erano quelli... correvano ancora come flussi nella
mente del generale Kratos, che tempo prima aveva posseduto sua moglie
Lysandra e goduto del passionale abbraccio di addio di sua figlia
Calliope.
Chissà se le avrebbe ancora riviste? Probabilmente le
avrebbe attese nelle sconfinate distese dei fausti Campi Elisi
…No! cosa andava a pensare? Lui sarebbe finito di sicuro tra
le lingue di fuoco dell’Ade, tormentato per tutta
l’eternità dai suoi demoni…...questa
è la Legge per gli assassini.
Destatosi da quei foschi pensieri deconcentranti, il temerario duce
avanzò compatto sino alla testa del suo esercito, superando
gli indomiti capitani, vigili ad ogni suo minimo accenno di
autorità o cambio d’espressione.
Essi erano i combattenti più fidati e potenti che Sparta
aveva da offrire, nonché suoi vecchi amici di infanzia che
lo avevano seguito in ogni fase della sua vita; spericolati veterani di
innumerevoli battaglie: la loro sola presenza era una garanzia di
vittoria.
Le loro spade ghiacciate avevano oramai assaporato il tiepido sangue di
individui di ogni razza, in tutto il creato ma non erano ancora sazie
di ingozzarsi di anime, non erano ancora stanche di far divorziare le
teste dai propri corpi, volevano ancora tranciare arti e lacerare
organi.
Gli elmi lucenti come il cuore stesso delle stelle avevano veduto tutto
quello che c’era da vedere, in un mondo devastato dalle
guerre e dominato dalle boriosi ed arroganti divinità.
Infiniti graffi ed ammaccature ne denunciavano un assiduo uso
avvalorando la fondamentale importanza di una protezione per la sottile
e fragile spoglia mortale.
Criniere rosse troneggiavano sul capo dei formidabili combattenti,
spargendo timore e costernazione nelle fila di ogni armata ellenica, e
lunghi mantelli dello stesso colore si stendevano dalle ampie spalle
sino all’altezza della caviglia.
Solo un uomo, in quel geometrico schieramento era nudo in volto, e non
si concedeva il beneficio di una seconda pelle: perché gli
limitava la visuale, ed impediva ai suoi nemici di riconoscere i suoi
occhi, raggelandoli di terrore.
Solo un uomo non si avvaleva della garanzia di una protezione assoluta
che può dare uno scudo spartano: perché era
troppo pesante, e lui voleva spingersi lontano con felina sveltezza ed
implacabile foga.
Solo un uomo scrutava fremente le pallide e fosche colline davanti a
sé attendendo comparire un’ immane bestia nera
fatta di uomini e cavalli, di lance e spade.
Le sue gambe tremavano, i suoi denti sbattevano, ma non era
paura…no… non provava timore oramai da
innumerevoli lune: quella era irrequietezza.
I suoi flussi sanguigni erano colmi di adrenalina pura, i suoi occhi di
ghiaccio erano fissi ed inespressivi rivolti al di là
dell’orizzonte, i suoi muscoli guizzanti erano in tensione,
le solide mani erano stabili, ferme e carezzavano l’elsa
delle terrifiche lame, strette agli arti da alcune catene che la sua
mente scellerata e sadica aveva concepito.
Solo lui…Solo il generale Kratos.
Quando dalla vallata comparve uno dei più possenti uomini su
cui occhio si fosse mai posato, sul suo volto si dipinse un beffardo ed
inquietante sorriso.
Il gigante era contornato da putrida barba, gli occhi neri come pece,
lo sguardo arcigno fulminava il suo nemico distante; i solchi che gli
attraversavano il viso potevano dargli forse 60 inverni, ma quella soda
struttura muscolare, coperta da uno spesso manto di pelli animali, li
avrebbe certo smentiti.
…Più belva che uomo…
L’indomato capo dei barbari dell'Est ringhiava e sbraitava
come un cane rabbioso.
Alle sue spalle spuntarono copiose orde di quei bruti
selvaggi che, assieme al loro capo, iniziarono a sputare insulti e
blasfemie contro la taciturna armata scarlatta.
Una simile cagnara poteva spargere timore nei cuori di altri uomini, ma
non fra quegli spartani.
Nessuno degli aitanti ragazzi aveva soddisfatto gli appetiti di terrore
esatti dai mostruosi Phobos e Deimos, i due divini sicari
dell’assoluto Ares.
Un immane cavallo nero, grande almeno il doppio dei suoi cugini,
strepitava e nitriva scalciando tutti quei selvaggi che osavano
avvicinarsi troppo. La sua spropositata mole era tenuta salda da lunghe
catene arrugginite che alme di barbari stringevano strette tra le loro
mani volgari e sudice.
Passo dopo passo si avvicinavano lentamente verso il loro grande
sovrano, il quale strappò una catena dalle grinfie di uno
dei suoi, e con la forza di un energico strattone, con un solo braccio
trascinò la bestia verso di sé mentre con
l’altra mano ne afferrò il bislungo gozzo
stringendolo con una ferrea morza.
gli occhi di lucentezza soffusa, come pietre di luna dello stallone
gigante si persero dentro i suoi, e la sua ira bestiale si
affievolì riconoscendo la supremazia del vero padrone.
Egli montò su di esso ed effuse un terrificante
urlo di trionfo ed affermazione, atto ad incitare l’orda; poi
con carica travolgente si tuffò verso l’immobile
nemico, seguito dagli altri.
Il cavaliere sembrava puntare Kratos, che restava immobile dinnanzi al
nemico; uno dei capitani con un cenno del capo impartì un
ordine al suo battaglione, che si schierò dinnanzi al
generale formando una barriera impenetrabile.
Il selvaggio sfoderò un immane martello ed iniziò
a farlo roteare paurosamente.
Il signore spartano posò gli occhi sui suoi valorosi
figlioli, rimembrando nei loro visi pallidi l’ardore della
sua prima giovinezza, e per un brevissimo istante durato come una vita
terrena errò al di fuori del pensiero e del tempo ritornando
agli albori dei suoi primi anni.