AMARA LIBERTA’
Mi innamorai dei suoi occhi
grigi, freddi e calcolatori, ma con una strana e seducente fiamma di vita che
li animava e li scaldava dal profondo, come quando guardi nel mare d’inverno,
la vita brulica, ma mai a causa tua.
Questo amore fu la mia
condanna.
Dieci anni di amore, dieci
anni di dolore.
Draco l’aveva capito da
subito, non gli interessavo affatto, come potevo d’altronde, ma con me giocava,
per ottenere quello che voleva, per accrescere il suo ego, per sentirsi meglio
e spesso per compiere il lavoro sporco, per non lordarsi ancor di più quelle
mani già rosse del sangue versato.
E intanto soffrivo le pene
dell’inferno, le pene dell’amore malato, senza che lui se ne curasse, senza che
nulla riuscisse a sciogliere quel suo cuore di ghiaccio.
I miei amici avevano
condannato questo amore malsano, ma non volevo più ascoltare i loro consigli,
era troppo tardi. Sono andata nei guai molte volte, molte volte mi convincevo
che lui non era la persona giusta, che era sempre Malfoy, che non sarei mai
riuscita a cambiarlo, ma ogni volta che incontravo quegli occhi di ghiaccio ci
cascavo di nuovo, senza però sciogliere le catene che mi tenevano imprigionata
con tanta forza a lui.
Infine rimasi da sola,
sola ad acconsentire a tutte le richieste di quel mostro che aveva in mano il
mio cuore e lo trattava come un calzino usato.
Dicevo sempre di sì, avevo
seppellito il mio orgoglio e il mio spirito Grifondoro, finché non mi chiese l’impossibile,
beffandomi di me con quel ghigno che tanto avevo amato.
Di uccidere un uomo.
Di uccidere un babbano,
feccia come me, fango indegno di sporcargli gli stivali. Questa richiesta mi
sconvolse, ma non osai dire di no a quello che ritenevo l’amore della mia vita.
Che sciocca.
Andai all’appuntamento e
incontrai l’uomo. Non ci potevo credere. Era mio padre.
Il mio cuore già debole si
rese conto di quello che dovevo fare e non riuscì a rimanere integro. Si
spezzò, si frantumò in milioni di piccoli pezzi, come quando cade dalla
credenza un prezioso bicchiere di cristallo. Tutti i pensieri, le riflessioni,
che avevo compiuto in dieci anni di solitudine e disperazione si rivelarono in
tutta la loro verità, capii quello che tutti mi avevano posto davanti agli
occhi, ma a cui non avevo mai voluto credere, che aveva finto di non vedere.
Scappai.
Corsi verso la sua villa
principesca, senza neanche riuscire a trovare la forza per smaterializzarmi,
lui, ne ero certa, sapeva dell’orribile parricidio che mi aveva chiesto di
commettere. Salii le scale della sua grandiosa casa e lo trovai in camera da
letto, con una delle sue puttanelle abituali.
Presi la bacchetta che
avevo nascosto nella tasca interna del cappotto. Gli occhi di lui non erano più
freddi come un tempo, ma pieni di paura. Non gli permisi di supplicarmi.
Puntai alla testa, fra quegli
occhi che avevo tanto amato; la forza della disperazione riuscì a farmi
pronunciare la maledizione che mi aveva sempre terrorizzata.
Ma in fondo, erano solo
due parole.
“Avada Kedavra!”
Finalmente libera. Mi sono
conquistata quest’amara libertà col sangue, con dieci anni di orrori, ma è
finita.
Ora posso cominciare a
vivere.
Jules_Black: ti ringrazio molto per la tua bella recensione. Sono contenta che una poesia venuta fuori in un momento di sclero ti sia piaciuta tanto. Spero che apprezzerai anche questo sclero post- greco xD baci, Lethe