Quinta classificata al "Wicked and lovely, incantevole e pericolos" di the forgotten dreamer
A
causa di alcuni problemi della giudice, le storie sono state valutate da Ro-chan
che ringrazio vivamente per il lavoro svolto. Lascio a seguito il link dei risultati, nel caso
qualcuno fosse interessato a leggerli.
http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9268924&p=10
Dedico inoltre questa fic a Ro-chan, per ringraziarla ancora una volta e un po' più degnamente.
Grazie.
Eternity Damn
[Eternità
Dannata]
Quando
come un coperchio il cielo pesa
grave e
basso sull'anima gemente
in preda a
lunghi affanni […],
Quando la
terra è trasformata in umida prigione[...],
a un
tratto furiosamente scattano campane,
lanciando
verso il cielo un urlo atroce
come
spiriti erranti, senza patria,
che si
mettono a gemere ostinati.
E lunghi funerali lentamente senza tamburi
sfilano né musica dentro l’anima;
vinta, la Speranza piange
e
l'atroce Angoscia sul mio cranio
pianta, despota, il suo vessillo
nero.
Il cielo era una
distesa vermiglia; le rocce, nere, appuntite, contrastavano con esso, svettando
nella loro nuda gloria.
L’aria fremeva per le acute grida dei demoni
dell’inferno.
La pioggia intanto inumidiva l’aria, appesantendola e
intensificando l’odore dolciastro che permeava quei luoghi.
Ino stringeva a
sé le gambe, cingendo le ginocchia con le braccia e cullandosi a occhi
chiusi.
Non voleva vedere il luogo in cui era finita.
Aveva sempre avuto
paura di morire, di cadere nelle profondità degli Inferi, ma si era sempre detta
che non c’era motivo per temere quell’eventualità: lei non era cattiva, forse un
po’ superficiale, ma non cattiva.
Eppure, mentre moriva, aveva sentito la
paura stringerle lo stomaco in un triste presagio e, all’improvviso, aveva
saputo con precisione cosa sarebbe stato della sua anima.
Dannata, per
sempre.
Si era aggrappata alla vita con ogni forza, stringendo quel labile
filo che, alla fine, si era spezzato.
E ora Ino attendeva di sapere cosa
sarebbe stato davvero del suo spirito.
Ferma in quel luogo, gemeva piano
mentre le lacrime premevano sui suoi occhi.
Non avrebbe pianto, perché non
era da lei.
Saggiò con le mani la consistenza della terra, aggrappandovisi
involontariamente, come a cercare un appiglio.
Il terreno era umido, intriso
di mille goccioline di pioggia e, insieme ad essa che scendeva dal cielo
orizzontalmente, sembravano creare un’immensa prigione.
La sua
prigione.
Intorno a lei, anime piagnucolanti strisciavano in preda a chissà
quali tormenti, lo sguardo vuoto perso a contemplare qualcosa lontano anni o
secoli.
Serrò di nuovo gli occhi e pregò ancora che qualcuno la salvasse, in
qualunque modo, purché quel tormento avesse fine.
Ino aveva sempre creduto
che ci fosse un Dio, in cielo: nonostante le troppe le pene che affliggevano il
mondo, lei pensava che anch'esse dovessero avere un perchè, uno scopo nel piano
divino.
Credeva in un Dio misericordioso e buono e come tale avrebbe aiutato
uno dei suoi figli; lui non l'avrebbe abbandonata.
Quasi qualcuno avesse
ascoltato le sue richieste, una mano si posò sulla sua spalla, lieve come il
battito di una farfalla, ma Ino sobbalzò comunque.
Si voltò di scatto, così
in fretta che se fosse stata ancora umana- e viva- avrebbe provato dolore al
collo.
Davanti a lei, intanto, era comparsa una figura di uomo.
Ino lo
guardò, le labbra scarlatte aperte a disegnare una piccola o, i grandi
occhi cerulei spalancati dalla sorpresa.
L’uomo intanto ricambiò quello
sguardo, ma nei suoi occhi non c'era sorpresa, quanto amara
rassegnazione.
Era tremendamente bello, si rese conto Ino osservandolo con
attenzione: i capelli biondi, scompigliati, erano incollati al viso a causa
della pioggia; anche i suoi occhi erano azzurri, proprio come quelli di
Ino.
La ragazza incontrò quello sguardo e rimase a fissarlo, dimentica di
tutto il resto: quegli iridi blu erano così calme, così tristi che Ino non poté
non sentirsi quasi al sicuro davanti ad essi.
Erano occhi troppo belli
per appartenere a un demone dell'Oltretomba.
All'improvviso, mentre quello
sguardo sembrava trafiggerla e inchiodarla, Ino sentì una strana sensazione di
tranquillità e di serenità farsi strada dentro di lei.
D'un tratto, si rese
conto che sarebbe andato tutto bene, perchè lui voleva solo che lei stesse bene,
che fosse al sicuro.
Sembrava che una sottile elettricità crepitasse intorno
a loro, tale era l'intensità con cui i loro sguardi si intrecciavano e non si
abbandonavano.
Ino perse per un attimo il contatto visivo e fu allora che le
vide: grandi, scure ali nere che sporgevano tra le scapole con maestà.
E
allora Ino sentì il pericolo, la paura montare di nuovo dentro di sé.
Sentì,
in qualche modo, che lui non era affatto la sua salvezza, ma non riuscì ad
allontanarsi anche se sapeva che, volendolo, avrebbe potuto farlo.
Avrebbe
potuto correre via, lontano in quel mondo che sembrava sconfinato, nascondersi e
passare l'eternità con la sola compagnia di sé stessa.
Avvertì dentro di sé
qualcosa di nuovo, uno strano bisogno di avere accanto quell'uomo sconosciuto:
anche se lui è la sua morte, la sua dannazione eterna, lei ne ha
bisogno.
Perciò non si allontanò; perciò rimase ferma lì, immobile come fosse
pietrificata.
Era come se dipendesse da lui.
“Non avere paura di me. Non
ti farò del male”
“Non ne ho” ed era vero: anche se sapeva cosa la attendeva,
non lo temeva perchè sarebbe stata con lui. Quasi accettò il suo destino, pur di
averlo accanto ancora e ancora, per l'eternità.
Lui le tese una mano e lei la
strinse, come se fosse un'ancora a cui aggrapparsi.
La pelle di lui era calda
a contatto con quella di lei, gelida.
Sul suo viso devastantemente bello non
c'era gioia, ma una sconfinata tristezza e, forse, voglia di proteggerla.
Si
alzò, senza mollare la presa, come se cercasse di attingere la forza di compiere
quel passo in fondo inevitabile da lui.
Lui la guardò, con amarezza, con
rassegnazione: sembrava volerle chiedere scusa, dirle che non era colpa
sua.
Che doveva andare così.
Ino sorrise, nonostante la paura, nonostante
il terrore per l'ignoto che la attende: sapeva che era vero, che lui stava
facendo solo il suo lavoro.
Sentì che, se avesse potuto, lui l'avrebbe
salvata.
Ma non poteva, era questo il punto: poteva solo spingerla verso la
dannazione eterna.
Lui annuì e si incamminarono verso un grande arco di
pietra, mano nella mano.
Si fermarono quando oramai si intravedevano, tra le
tenebre, gradini di pietra che scendevano per chissà quanti metri, verso le
viscere della terra.
“Dimmi il tuo nome”
“Ino, io sono Ino”
“Io sono
Naruto, Ino. Andiamo, ora.”
Ino non sussultò, non tremò, non gridò, non cercò
di scappare. Sospirando, chiuse gli occhi e accettò ciò che sarebbe stato.
Il
suo destino, la dannazione.
Scomparvero, inghiottiti dalle ombre oltre le
quali si trovava qualcosa che nessun vivo avrebbe mai potuto descrivere.
In
lontananza, un urlo squarciò il silenzio di quei luoghi, mentre un'altra anima
scendeva verso l'Inferno.
La Speranza crollò il capo davanti alla Dannazione,
vinta.
Fine
Note dell’autore: Questa storia è stata un parto: ci ho lavorato per
giorni e ha subito varie modifiche, prima di arrivare ad essere ciò che è
ora.
Credo che l'interpretazione che ho dato al
concetto di “incantevole e pericoloso” necessiti di una spiegazione: le due
parole non sono citate nella storia, ma dal modo in cui Ino vede Naruto,
così bello prima e poi pericoloso, penso che traspaia l'idea.
Ino non ne ha
paura, ma ciò nonostante lui è effettivamente pericoloso, in quanto consiste
nella sua dannazione eterna. Il loro,
poi, è un rapporto un po' complicato: non lo si può catalogare come amore, anche
se forse potrebbe diventarlo, a suo modo.
Non è
paura, perchè in fondo Ino non ne ha.
E' forse
attrazione e, più che altro, dipendenza. Forse
addirittura suggestione e incanto.
Nonostante le revisioni, ancora non mi convince, ma
dopotutto non sono mai perfettamente certa di aver fatto un buon lavoro, indi
per cui invio lo stesso, nella speranza di sbagliarmi.
Questa poesia, che poi in realtà è solo una parte
di essa, è tratta dal libro “I fiori
del Male” di Bauderlaire. La poesia
si intitola “Splean”, ossia Milza poiché per gli antichi nella milza aveva sede
la malinconia.
In realtà questa storia non parlerà di malinconia,
ma di qualcosa di molto più “duro a morire”, ma nonostante ciò ho trovato la
poesia perfetta allo scopo.
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