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Autore: breath_    28/09/2010    6 recensioni
Questa one shot l'ho scritta in un periodo durante il quale avevo una fissa incredibile con il film "Underworld: la ribellione dei Lycans" penso lo conosciate :)
E' semplicemente una scena del film citato in alto in cui si vedono i due innamorati in due condizioni diverse; lui schiavo che cerca di convincere lei figlia del vampiro piu' importante a non partire per la foresta. E nonostante queste condizioni il loro amore è vero e incredibilmente forte.
Una cosa non molto originale, lo so, ma mi piace in modo particolare scrivere le scene dei film in versione one shot.
Le parti in corsivo sono scene passate. E ho cambiato i nomi dei personaggi.
Spero vi piaccia almeno un po'. La posto anche per farvi conoscere il mio modo di scrivere.
:)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un alito di vento mi spettinò i capelli e mi sentii costretto a fissare il cielo e perdermi nell'immensità plumbea che, in un certo senso, mi proteggeva. Osservai, poi, per qualche istante il cancello del castello che si apriva velocemente lasciando passare alcuni dei guerrieri che solitamente si trovavano all'interno. Dopo poco riconobbi un cavallo molto grande, audace e nero più della pece stessa; a cavallo di quest'ultimo si trovava una figura combattente. La riconobbi subito. Sospirai amaramente rendendomi conto di quel che avrebbe voluto fare durante la notte in arrivo.

Era buio, c'era freddo e un po' di umidità. Il branco dei miei consanguinei non era molto distante, ne potevo percepire l'intenso odore. Erano in agguato, e la stessa sera avrebbero attaccato, ne ero certo. Non sapevo esattamente cosa fare. Bloccato lì, all'interno di quelle immense mura che non mi permettevano nemmeno il respiro. Avevo il collare, esatto. Proprio come i cani, come dei prigionieri dei servi. Io ero un prigioniero. Era un collare speciale. Nero lucido e contornato di punte d'acciaio, all'interno, che sfioravano il mio collo. Se avessi desiderato trasformarmi sarei morto trafitto da quelle punte. La legge era quella. Catene e vita. Libertà e morte.

Continuavo a battere il ferro caldo con un martello dal manico di legno molto sporco e leggermente unto. Un'immensa fornaia si mostrava ai miei occhi, da dove uscivano dei pezzi di ferro che io avrei dovuto battere e modellare. Avevo la vita, avevo le catene, avevo una specie di lavoro, e poi... avevo Lei. La vidi scendere dal cavallo con tutta la sensualità e l'audacia di sempre e passare scattante al mio fianco, prima di partire alla perlustrazione della foresta durante la notte oscura.

«Gwynne...», le afferrai il polso destro prima di poter fare un altro passo e sparire nel buio della foresta.

Si voltò di scatto e mi scrutò con un'espressione abbastanza sorpresa; «Araton, cosa fai quì? Dovresti essere dentro le mura del castello» bisbigliò avvicinandosi ancor più alla mia figura, sempre in allerta e cercando di non farsi scorgere dalle guardie di suo padre. Mi immersi nei suoi occhi così scintillanti e vitali; nonostante ci fosse buio pesto riuscivo a carpire ogni spiraglio di luce che fuoriusciva da essi. Gwynne, la mia amata Gwynne. Pelle chiara e brillante. Occhi celesti e lucenti. Corpo da guerriera, che lei sfruttava come arma letale per far cadere un uomo ai suoi piedi. Ma io mi ero semplicemente inchinato ai suoi piedi.

«Sto lavorando», le indicai con lo sguardo il ferro poggiato sul grosso bancone davanti a me.

Il suo sguardo fece una sosta per qualche secondo osservandolo. Seguivo ogni suo movimento. Il suo respiro era sereno e vellutato, mi colpiva le guance riscaldandole. La sua espressione, però, non aveva niente di sereno. Cercai per qualche istante di decifrarla, invano però. Alle volte era così facile carpire cosa volesse dire o cosa stesse pensando, ma in quel frangente mi era parsa la cosa più difficile che potevo fare.

D'un tratto poggiò la sua esile e delicata mano sulla mia; istantaneamente il mio sguardo si posò sulle guardie che, per fortuna, erano distratte da altro.

«Torna dentro, Araton. Quì fuori è pericoloso» sussurrò la donna dagli occhi celesti stringendo freneticamente la mia mano fra le sue così fresche e setose. Quasi mi sfuggì una piccola risata pensando che potesse preoccuparsi di me, quì incatenato, e non pensasse minimamente a se stessa.

«Gwynne, io sono al sicuro. Sei tu quella in pericolo», accarezzai dolcemente la sua mano poggiata al bancone di legno e mi chinai lentamente a sfiorarla con le labbra. «Non andare nella foresta, ascoltami», mi rialzai dal mio inchino e adagiai le mie labbra sulle sue.

«Araton, non c'è pericolo», il suo volto non si era scomposto di un millimetro.

«Sì invece. E' molto pericolosa la foresta» ripetei ancora mentre il mio tono cominciava a diventare instabile e terrorizzato all'idea di cosa potesse succederle di lì a poco.

Mi guardò incuriosita dalle mie parole. Le sarebbe piaciuto sapere quello che sentivo, quello che provavo.

«Manda qualcun altro» dissi fra i denti.

Scosse leggermente il capo con fare distratto. Era così dannatamente testarda. «Cosa succede, Araton?» chiese guardandomi ingenuamente.

Racimolai un po' di fiato che si era arrestato dinanzi al suo sguardo: «L'altra notte, quando ti ho lasciata andare...», trattenni il fiato, «Sul serio, fatti sostituire Gwynne» affermai poi schietto e supplichevole.

 

«Devi già andare?», le baciai il collo come se fosse servito a trattenerla ancora un po' fra le mie braccia.

Il cielo spaventoso. Il fresco colpiva la pelle. Il vento irritante. Gli ululati, i rumori, le catene. Era tutto indecifrabile e anche un minimo scricchiolìo pareva terrificante al cospetto della notte.

Il suo corpo nudo, spoglio di paure e coraggio, si rifugiava nel mio. Le accarezzai i fianchi, la schiena. Salii fino al seno e provai a scaldarla un po'.

Annuì guardandomi: «Tra qualche ora sorgerà il sole. Devo mettermi al riparo», un tenero sorriso si distese sul suo volto.

Come poteva un tenero sorriso posarsi sul viso di una vampira accativante? In quel momento la risposta non riusciva a darmi pace.

Gwynne, la forte e coraggiosissima vampira, in quel momento aveva trovato rifugio fra le mie possenti braccia. Ed il suo sorriso era riuscito perfino a farle prendere un po' di colore. Era come se, dopo avermi mostrato il suo corpo, dopo avermi donato il suo corpo, fosse inevitabilmente arrossita.

La guardai dolcemente stringedola contro il mio petto. «Stai con me. Rimani fra le mie braccia ancora un po'» sussurrai percorrendo con la mia mano destra la linea della sua coscia.

Eravamo sdraiati. Entrambi su un fianco -lei destro io sinistro- e l'uno di fronte all'altra. Nudi. Spogli di tutto quello che ci rendeva nemici. Privi del nostro coraggio. Le gote rosate, il respiro affannato e un filo d'imbarazzo steso sui nostri volti.

«Non posso, Araton. Devo andare. Mio padre mi starà cercando», si sedette e mi fissò per qualche secondo. Aspettò che mi fossi seduto anch'io per posare le sue dolci labbra sulle mie e rilasciare un po' della sua calda saliva su di esse. Poi si mise in piedi, afferrò i suoi indumenti e frettolosamente si vestì. Indossò il coraggio. Affilò i canini. Riprese il suo colore pallido e tenebroso. La sua espressione divenne cupa e rigida. Nascose dentro sè tutte le emozioni, l'amore, l'imbarazzo, la paura.

La osservai attentamente indossare i suoi vestiti, sistemarsi un ciuffo color pece dietro l'orecchio e avanzare verso il buio.

«Aspetta...», indossai anch'io velocemente i miei indumenti e corsi verso lei. La afferrai per i fianchi facendola girare e la guardai negli occhi.

«Ho fretta», mi sorrise maliziosa.

«Io no», la baciai freneticamente e le morsicai dolcemente il labbro inferiore facendola irrigidire appena.

«Ti amo» disse poi sciogliendosi da quel bacio e allontanandosi distrattamente. La guardai confuso e sorridente. Anch'io, pensai. Ti amo dannatamente.

Non appena scomparì attraverso il buio alzai gli occhi al cielo ed un lontano ululato mi mise in allarme.

I licantropi vicini. Il loro odore mi bruciava nel sangue. Il calore dei loro corpi sembrava essere vicinissimo. Erano come degli ululati in codice; io li conoscevo bene quei codici. Il nervosismo, la paura, l'ansia e la voglia di lottare si nascondevano nel loro calore, nel loro odore e soprattutto nei loro ululati. Avrebbero attaccato.

 

«Araton, no», il suo sguardo divenne quasi un rimprovero; «So quello che faccio, fidati», continuò a pungermi con i suoi splendidi occhi.

Attorno a noi le guardie si muovevano, sistemavano i cavalli, affilavano le spade. Alcuni ci fissavano e poi si scambiavano qualche sguardo d'intesa. Forse capendo, forse pensando. Non mi sfiorava piu' di tanto il loro pensiero. Mai sarebbero stati capaci di dire tutto al padre di Gwynne. Li avrebbe ringraziati con la morte, nient'altro.

Afferrai in malo modo il ferro che stavo battendo, poi la guardai: «Io so quello che faranno i licantropi» soffiai mentre un brivido di paura graffiava la mia schiena e strappava la pelle del mio petto.

«Niente che non si possa fermare con armi e cavalli» replicò lei orgogliosa. La odiai per qualche istante. Rischiava. Si feriva. La sua vita era aggrappata ad una spada tagliente, ad un cavallo e alle guardie ignoranti che le coprivano le spalle. Non le importava dei rischi, dei pericoli, della morte.

«Gwynne...» sussurrai digrignando i denti, «Perchè opponi resistenza ai consigli? Dannazione! Fatti sostituire, ti supplico!». Persi la ragione. Adiavo dover essere vulnerabile. Ma sapevo cosa i licantropi fosse capaci di fare... perchè sapevo farlo anch'io.

Il cuore mi esplodeva al pensiero di lei sotto le loro manacce. Scalpitava forte, lacerva, ululava. Chiedeva ascolto. Mormorava paura. Non sopportavo niente di tutto questo. Che fosse così difficile non pensare. Non sopportavo vederla lottare, rischiare.

Si avvicinò pericolosamente alle mie labbra. «Nel caso non te ne fossi accorto, mio uomo, so badare a me stessa», il suo tono diventò seducente. Surreale. Malizioso.

Mi trovai annientato. Dal suo profumo, dal suo corpo, dal suo sguardo. Aveva vinto, ancora una volta aveva vinto lei.

«E poi...», alzò lo sguardo e lo posò sulle grandi mura del castello, «Puoi guardarmi le spalle da lì» disse con un leggerissimo sorriso che le distendeva le labbra.

Scossi il capo mentre un sorriso addolciva la mia pelle. Come poteva?

Mi protesi verso il suo viso e le rubai un bacio a fior di labbra. Lei ricambiò, poi si voltò e avanzò verso il suo bellissimo cavallo nero lucente.

La osservai da dietro. In un modo o nell'altro le avrei coperto le spalle. Mi sarei anche fatto uccidere pur di salvarla o difenderla. Tutto, per lei.

   
 
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