Anime & Manga > Il mistero della pietra azzurra
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Autore: Puglio    29/09/2010    8 recensioni
Secondo volume della saga "I Signori dell'Universo" seguito della serie "Nadia: il mistero della pietra azzurra". Nadia, Jean e gli altri sono partiti alla ricerca del significato della pietra che Kurtag ha affidato alla ragazza prima di morire. Winston è impegnato a trovare Nadia, prima che l'Ordine riesca a raggiungerla. Lisa, Michael e Hunter non riescono a rassegnarsi all'idea che la loro amica è là fuori, da sola... e intanto, i misteriosi assalitori che avevano raggiunto Nadia al porto sono ancora a piede libero...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(avviso ai lettori: questo è il capitolo conclusivo. Siccome ho pubblicato insieme gli ultimi tre capitoli, se capitate qui cliccando su «ultimo capitolo» sappiate che ci eravamo fermati al 25 parte seconda; quindi restano 25 parte terza, quarta e 26. Buona lettura!)

 

 

Quel giorno, il mare era particolarmente tranquillo. Una di quelle giornate in cui veleggiare era davvero un piacere, oltre che una semplice questione di lavoro.

Dopo tanti anni passati a bordo di navi a motore, quello era sicuramente un piacevole ritorno al passato, per lui; anche se sapeva benissimo che quello sarebbe stato l'ultimo viaggio del Cutty Surk, l'ultimo veliero che ancora batteva bandiera Inglese, e anche se lavorare per gli inglesi non era forse mai stata la sua massima aspirazione. Ma per quanto lo riguardava, al di là di tutto, quello era stato un bel viaggio: attraverso le indie orientali e Giava, per poi spingersi fin nel mar dell'Australia. Luoghi che lui conosceva bene.

Per questo aveva accettato l'incarico, quando glielo avevano proposto. E anche perché era giunto in un momento in cui aveva proprio bisogno di allontanarsi da casa.

Qualcuno bussò. Il capitano Echo Villan aprì un occhio, volgendo la testa verso la porta.

«Capitano, mi spiace disturbarla, ma è meglio se viene a vedere una cosa».

Echo scese svogliatamente dalla sua amaca, appoggiandosi con le mani alle ginocchia. Sbadigliò. Gli dispiaceva alzarsi. Si stava bene, nella penombra della sua cabina. Erano appena passate le due: e il sole, in quell'angolo di mondo, a quell'ora non concedeva nessuna tregua, né per terra, né per mare.

Si stiracchiò, lasciandosi condurre sul ponte. Non appena furono sopra coperta, un uomo del suo equipaggio gli piazzò un binocolo tra le mani, che Echo puntò sbuffando sull'orizzonte.

«Spero per voi che sia davvero importante» borbottò. L'uomo al suo fianco agitò il dito verso un punto lontano.

«Direi di sì, capitano. Guardi anche lei».

Echo mosse il binocolo lungo la linea dell'orizzonte. Non vide nulla, tranne un punto lontano che...

Aguzzò la vista, mettendo a fuoco il binocolo.

No. Non può essere...

«Ma che diamine...»

«Sono naufraghi, signore?»

Echo si sentì percorre da un brivido. Posò il binocolo, quindi «Preparatevi ad avvicinarvi. Tirate fuori le armi, e state pronti ad usarle».

L'ufficiale di bordo sussultò, sorpreso. Quindi si volse, ammiccando al resto della ciurma. «Avete sentito il capitano, razza di balordi senza palle? Muovetevi, e armi alla mano».

Lo scafo del Cutty Sark scivolò delicatamente tra le onde, fino al punto in cui un ammasso di rottami galleggiante, ondeggiava sulla superficie calma dell'acqua. Echo si sporse. Non si vedeva nessuno. A un suo cenno, un gruppo di quattro uomini si avvicinò al relitto, dopo aver calato una scialuppa. Salirono a bordo, e dopo pochi istanti tornarono fuori, portando con loro il corpo svenuto di un uomo.

«Ci sono tre persone, oltre a questo» gridò il marinaio, dopo aver deposto il corpo di Jean sul fondo della scialuppa. «Una di loro è morta».

Echo Villan lanciò un occhiata al corpo esanime di Jean, e trasse un profondo sospiro.

«Portateli a bordo» confermò. Quindi consegnò il binocolo all'ufficiale di bordo.

«Preparate loro un alloggio» disse, mentre si allontanava. «E chiamatemi, quando si sono svegliati».

 

 

*

 

 

Jean si risvegliò con le membra tutte indolenzite. Quando aprì gli occhi, dopo essersi guardato intorno, ci mise un attimo a capire che quegli interni di legno non potevano certo appartenere alla nave di Atlantide.

Fece per alzarsi, ma una fitta alla schiena lo costrinse a ripiombare sul letto. Si volse. Nelle cuccette a fianco a lui, Hanson e Sanson continuavano a dormire.

«Ti sei ripreso, alla fine».

Jean strizzò gli occhi. Un volto conosciuto lo fissava, sorridendogli con calore. Apparteneva a un uomo che non ricordava di conoscere, anche se i suoi lineamenti gli ricordavano prepotentemente qualcuno.

«Lei chi è?» mormorò. La voce gli uscì fiacca, e secca.

«Non mi riconosci?» fece l'uomo. «Sarà per la barba. Tu, invece, non sei per nulla cambiato. Beh, forse un po' sì» rise. Jean aggrondò.

«Echo?» mormorò. L'uomo annuì.

«Proprio io».

Jean chiuse gli occhi. Era incredibile. Tra tutti, doveva essere proprio uno degli uomini che avevano fatto parte dell'equipaggio del padre di Nadia, a salvarlo. Era un destino davvero ironico, il suo.

«Che ci facevate in mezzo al mare, a bordo di quel trabiccolo di ferro?» chiese Echo, prendendo una sedia e sedendosi accanto al suo letto.

«È una lunga storia» fece Jean. Echo sorrise.

«Bene. Tanto, non ho nessuna fretta».

Jean sospirò, quindi prese a raccontare tutto quello che aveva vissuto fino a quel momento. Non omise nulla. Anzi, più parlava, più sentiva che le forze lo riconquistavano. Era come liberarsi di un peso opprimente. Quando ebbe finito di racconare, Echo trasse un profondo sospiro, abbandonandosi contro la spalliera della sedia.

«E così, Atlantide è di nuovo tornata a farsi viva».

Jean annuì, fiaccamente. Echo sporse le labbra.

«Sai, io sono fuori da queste cose ormai; e ti consiglio di fare altrettanto».

Jean lo fissò per un po', senza dire nulla. Quindi «come va con...» azzardò. Lui scosse il capo.

«È una storia chiusa».

«Credevo vi foste sposati» fece Jean, perplesso. Da quel che ricordava, Echo e l'infermiera che lavorava insieme a lui e a tutti gli altri, ai tempi della guerra contro Gargoyle, erano sempre stati innamorati. La loro sembrava la storia perfetta, quella che non può concludersi che in un modo soltanto.

Echo nicchiò. «E lo abbiamo fatto. Ma il mio lavoro non ci ha aiutato».

«E non si poteva rimediare?»

«Non quando torni a casa e trovi lei che aspetta il figlio di un altro».

Jean restò a bocca aperta. Echo rise. «Ma non ce l'ho con lei, quindi non fare quella faccia. In fondo, la colpa è anche mia. Se non avessi voluto fare questo mestiere e stare mesi lontano da casa, forse... chissà».

«Già...» commentò Jean, senza troppa convinzione.

«Beh, ora ti lascio riposare. Quando starai meglio, vieni a farmi un saluto».

Jean lo fissò mentre si allontanava. Raccogliendo le ultime energie, lo fermò, prima che uscisse dalla porta.

«Echo, io...»

«Non è stata colpa tua» fece lui, con un sorriso. «Non tormentarti, Jean».

Jean distolse lo sguardo. Echo uscì. E lui ripiombò in un sonno inquietato da incubi.

 

 

*

 

 

Il sole scottava la pelle. Fermo sul ponte, Jean osservava le operazioni di sbarco. Il Cutty Surk aveva raggiunto Antofagasta, in Cile, pochi giorni dopo che lui e gli altri erano stati tratti a bordo. Una volta sbarcati, Sanson e Hanson avevano lasciato la nave senza troppe cerimonie, andandosene ognuno per la sua strada. Per tutta la durata del viaggio, Sanson non aveva mai rivolto la parola a Jean. Una volta, il ragazzo lo aveva visto sul ponte, da solo, appoggiato alla balaustra. Avrebbe voluto avvicinarsi e parlargli; ma mentre stava per farlo, lo vide alzare la mano e darsi uno schiaffo da solo. Jean non riuscì mai a capire perché avesse fatto una cosa del genere, ma da quel momento, per qualche strana ragione, non riuscì più ad avvicinarlo. Sentiva che doveva rispettare il suo diritto a essere lasciato in pace. Anche se questo significava creare tra loro una frattura che difficilmente si sarebbe mai ricomposta.

Al contrario del cugino, Hanson diceva di non essere arrabbiato, ma stavolta era Jean che non riusciva a parlare con lui. Lo sentiva responsabile per aver riportato Nadia nella sua vita. Sapeva di essere ingiusto e che così facendo feriva il suo amico di sempre; ma per quanto ci provasse, proprio non riusciva a parlargli.

«Tutto bene?»

Jean si volse. Echo prese posto accanto a lui, appoggiandosi alla balaustra di legno smaltato. Entrambi fissavano il molo, che brulicava di persone indaffarate.

«È davvero una bella nave» fece Jean, riferendosi al Cutty Sark. Echo si volse ad abbracciare la nave con uno sguardo, quindi annuì.

«Peccato che quando torneremo, verrà messa in pensione» disse, con un sospiro. Estrasse una sigaretta dalla tasca e la mise in bocca, accendendola. Prima di riporre il pacchetto, fissò Jean pensieroso, quindi gliene porse una. Lui rifiutò cortesemente.

«Tutto finisce, prima o poi» fece Echo, picchiando leggermente con l'indice sopra la sigaretta. La cenere cadde volteggiando, rapita dalla brezza leggera che spazzava il pontile.

«Già» mormorò Jean, in tutta risposta. «Proprio così».

«Sai già dove andrai?» gli disse Echo. Jean sospirò. Temeva quella domanda, perché sapeva fin troppo bene la risposta. Ci aveva pensato per giorni, senza mai chiudere occhio.

«Ho un favore da chiederti» disse. Echo lo fissò di sbieco.

«Qualunque cosa» fece, curioso.

«Voglio sapere dove si trova».

Echo lo fissò per un attimo, senza capire. Quindi «sei impazzito, per caso?» fece, impallidendo improvvisamente. «Nadia è partita. Non c'è nulla che tu possa fare per...»

«Io no. Ma forse, se...»

«Non ti aiuterà».

Jean strinse le labbra.

«Nonostante tutto, voglio provare a chiederglielo».

Echo sospiro. Trasse una boccata di fumo e lo espirò completamente.

«Come vuoi» fece, aggrondando. «Ma non dire che non ti avevo avvertito».

 

 

*

 

 

Quando la campanella suonò, i bambini schizzarono fuori dai banchi, disponendosi in fila ordinata davanti alla porta. Il bidello, fermo sulla soglia, li osservava uscire con un sorriso sulle labbra.

«Ma come? Non salutate la maestra?» disse, tutto allegro. I bambini si volsero verso la cattedra, dove la loro insegnante li fissava divertita.

«Arrivederci, signora maestra» dissero, praticamente in coro. Lei sorrise.

«A domani, bambini» rispose. Non appena furono usciti, la giovane maestra sospirò, riponendo i i suoi fogli nel cassetto della cattedra. Quindi si alzò, prese il cancellino e cominciò a pulire la lavagna.

«Miss Lugensius, non dovrebbe fare queste cose... è il mio lavoro».

«Non c'è problema, signor Parker» fece lei, con un sorriso. «Non è poi una gran fatica. Piuttosto, vorrebbe ringraziare sua moglie per aver tenuto mio figlio anche oggi? La ragazza che se ne occupa di solito è ancora ammalata, e...»

«Non si deve preoccupare di questo» fece l'uomo con un sorriso, agitando le mani in segno di scusa. «Lei è più che felice di occuparsi di quel piccolo. Sa, dopo aver cresciuto cinque figli...»

«Mi chiedo davvero come abbia fatto!» fece la donna, con un sorriso, inarcando le sopracciglia.

«Beh, se tutti i figli fossero come il suo bambino, non ci sarebbero mai problemi» fece Parker, sincero. «È davvero un bravo bambino. É stata molto brava a crescerlo...»

Lei lo fissò, aggrondando. Lui avvampò.

«Mi perdoni» farfugliò, improvvisamente a disagio. Lei scoppiò a ridere.

«Signor Parker, ma di cosa si scusa? Lo sanno tutti che vivo sola».

L'uomo abbozzò, arrossendo. Quindi «Ah, mi perdoni... ma prima che mi dimentichi: c'è un signore che è venuto a cercarla. Dice che ha bisogno di parlarle e che è molto urgente».

La giovane maestra lanciò un'occhiata all'orologio, appeso sopra la porta. Quindi si rabbuiò.

«Adesso? Non è ora di ricevimento».

«Gliel'ho detto, ma lui dice che deve assolutamente parlarle. Dice così».

Lei aggrondò.

«Dovrei anche andare a prendere mio figlio...»

«Se vuole ci pensiamo noi. Mia moglie lo riporterà a casa, e aspetterà con lui che voi torniate».

La maestra si piantò le mani sui fianchi, sbuffando. Lanciò un'occhiata di sbieco al vecchio signor Parker, che la fissava incoraggiante.

«Non so se posso chiederle una cosa del genere...»

«Non è un problema, davvero».

Lei allargò le braccia. «In questo caso, non so come ringraziarvi, tutti e due» disse, porgendo all'uomo le chiavi di casa sua. «Farò prima che posso».

«Non si deve preoccupare» fece l'uomo, salutandola con un sorriso.

Speriamo solo che sia una cosa veloce, pensò lei.

Mentre aspettava, si mise a raccogliere i quaderni che i bambini, nella fretta, avevano lasciato sui banchi. Era decisamente seccata. Certa gente non ha proprio ritegno, pensò. Presentarsi a quell'ora... anche lei aveva una vita, e un figlio che la aspettava a casa. Possibile che fosse tanto difficile da capire?

Dei passi risuonarono lungo il corridoio. Lei inarcò un sopracciglio, sforzandosi di assumere un'aria cortese. Quando bussarono, però, quasi non riuscì a sollevare gli occhi.

«Di che cosa voleva parlarmi, signor...»

Non può essere...

Impallidì. Con una mano cercò la superficie della cattedra, appoggiandovisi per non cadere.

«Tu?» mormorò, fissando l'uomo che si trovava davanti a lei, fermo sulla porta. «Cosa ci fai qui?»

Jean entrò nella classe, togliendosi il cappello. Con un sorriso, alzò lo sguardo triste, posandolo su di lei.

«Ciao Electra» fece. «È bello rivederti».

 

 

 

Cari lettori, eccoci finalmente giunti alla fine di questa seconda parte. Voglio ringraziarvi tutti di cuore per aver seguito questa storia fino qui... e voglio ringraziarvi per gli incoraggiamenti e i suggerimenti che tutti mi avete dato. Scrivere è davvero una delle cose più belle della vita, e devo ammettere – senza alcuna piaggeria – che scrivere per lettori come voi lo è ancora di più.

Spero che questa ultima parte vi sia piaciuta. Devo dire che l'ho terminata un poco affaticato, e credo che in alcuni punti possa aver risentito di un certo calo... spero me non me ne vorrete.

Tra qualche settimana comincerò a pubblicare i primi capitoli della terza parte. Credo due, tre settimane al massimo. Giusto il tempo di ordinare le idee e rinfrescare l'ispirazione.

Per il momento, vi ringrazio ancora tutti, citandovi in ordine alfabetico: berlinguer, il primo a seguirmi, il primo a recensire; Christine8, fedele anche con il computer che fa le bizze; Daydreamer, che riesce sempre a farmi riflettere su aspetti importanti della storia e dei personaggi; Nadia1986, che mi ha fornito suggerimenti preziosi; SallyBrown, che con le sue recensioni riesce sempre a darmi una carica di ispirazione. A tutti voi, ancora grazie!

Per concludere, aggiungo che l'inserimento del personaggio di Electra è dovuto a una suggestione fornitami da Nadia1986. Per questo ci tengo a ringraziarla, perché mi ha effettivamente permesso di modificare in modo sostanziale la trama originale, dandole una sfumatura inattesa e, a mio avviso, interessante. Staremo a vedere se così sarà anche per voi, se ancora vorrete continuare a seguire ciò che scriverò.

A presto, e ancora una volta grazie!

 

Puglio

  
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