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Autore: Liy    29/09/2010    2 recensioni
C'erano volte in cui Battler ricordava tutti quei giochi che avevano fatto insieme.
“Ti ucciderò.”
Sembrava passato tanto tempo da quando le aveva promesso ciò.
[Spoiler Ep5-6][BatoBea]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Battler Ushiromiya, Beatrice Ushiromiya
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Titolo: Remords posthume
Personaggi: Battler, Beatrice.
Pairing: BattlerxBeatrice.
Rating: Verde.
Genere: Introspettivo, angst.
Avvertimenti: One-shot, missing-moment, spoiler!.

Note: Ma che cosa è questa fanfic!? BOH! E' un miscuglio inutile di tante parole messe assieme in vari momenti di noia! Ecco cosa è! E, come potete ben vedere, il risultato non è dei migliori - per me è pessimo *coffcoff*.

Ah! Un ringraziamento particolare a tutti coloro che hanno letto e recensito le fanfic precedenti!

Disclaimer: Nessuno dei personaggi qui citati è mio, maledizione.



Remords posthume

 

C'erano volte in cui Battler ricordava tutti quei giochi che avevano fatto insieme.

Li aveva trovati orrendi, di cattivo gusto, ingiusti e senza senso.

Il suo obiettivo era negare la strega che aveva davanti a sé, trovare un modo per dimostrare che lei non esisteva, che lei non era il colpevole dietro a tutti quegli orrendi omicidi.

L'aveva disprezzata, odiata e aveva desiderato più di una volta di ucciderla. Potersene tornare a casa con la sua famiglia, tornare da Ange, dimenticando tutto... fingendo che la strega non fosse mai esistita, che quei giochi non fossero mai esistiti; era un'illusione a cui bramava e aspirava con tutto sé stesso.

Tornare alla vita di prima, una vita normale: ecco cosa voleva.

Niente streghe, niente omicidi seriali.

Era troppo per lui, veramente troppo. Si era stancato di quei giochi, voleva solo andare a casa.

Eppure, quando capì cosa quei giochi avessero fatto a Beatrice, quanto dolore le avessero provocato... non riuscì più a capire cosa fosse giusto o sbagliato.
Sentiva la realtà sfuggirgli di mano, un senso di confusione farsi sempre più spazio nei suoi pensieri, mentre osservava con sguardo afflitto la sua avversaria immobile, muta e senza luce negli occhi che un tempo ridevano di lui e della sua ignoranza.

Mentre la osservava sentiva crescere in lui un senso di colpa, di inquietudine mista a risolutezza: doveva fare qualcosa per lei, non sopportava il doverla vedere in quello stato. Non sopportava vederla soffrire ogni volta che qualcuno pensava che lei non esistesse, che non fosse una strega. Non sopportava quello sguardo vacuo, quel braccio debole che non riusciva a reggere nemmeno una tazzina da tea. Non sopportava il pensiero di sapere di essere lui la causa dei dolori di quella donna.

“Ti ucciderò.”
Sembrava passato tanto tempo da quando le aveva promesso ciò.

Tanto, tanto tempo in cui la sua promessa aveva vacillato più volte. Avrebbe preferito terminare la vita della vecchia Beatrice, magari mentre rideva di lui. Avrebbe avuto più soddisfazione – e risolutezza – nel farlo. Ma... non poteva uccidere questa Beato, non ora, non in quel modo.

Era troppo semplice, troppo crudele.

Se solo avesse potuto ucciderla in un modo indolore, diretto, efficace ed istantaneo.

Invece tutto ciò che poteva fare era strangolarla lentamente, stringendo le dita pian piano attorno a quel pallido collo. Poteva sentire il respiro di lei affievolirsi, la carne sotto le sue mani urlare perché la lasciasse andare. La sentiva piangere, anche se lo faceva in silenzio. La vedeva piangere, anche se teneva gli occhi chiusi per non osservare ciò che le stava facendo.

… Come erano arrivati a tutto ciò?

Erano nemici, avversari... ma Battler non sopportava il doverla veder soffrire in quel modo – eppure in passato aveva tanto bramato l'idea di poter assistere ad un simile spettacolo. Più volte aveva pensato a come poterla uccidere, a come mettere la parola fine a tutto quello...

Ma ora, mentre osservava la strega dallo sguardo triste e lontano, tutto ciò che poteva fare era cercar di fermare le lacrime che cercavano di farsi strada fino ai suoi occhi, che premevano per rigargli le gote. Era così sbagliato da parte sua provare simili sentimenti per lei, Beatrice.

Non doveva sentirsi in colpa. Era una cosa giusta da fare. Era per il suo bene, e per quello della sua famiglia...

Ma per Beatrice? Cos'era meglio per lei?

Davvero ucciderla era l'unico modo per vincere quel gioco?

Sapeva già quale fosse la risposta, anche se la trovava orrenda ed inumana in quel momento.

Quello che le stava facendo... era crudele. Nessuno potrebbe mai meritare una simile tortura.

Eppure lui lo stava facendo; la stava torturando da diverso tempo e senza accorgersene – anche se le aveva annunciato sin dal secondo gioco che quella loro sfida 'sarebbe stata una tortura anche per lei, finché non si sarebbe arresa a lui', Battler sapeva bene che quelle sue parole non erano state pronunciate con quello scopo.

Mai... Mai e poi mai avrebbe immaginato che sarebbe arrivato il giorno in cui lei sarebbe stata così debole ed indifesa, resa un giocattolo di quelle streghe che si erano presentate come semplici “osservatrici” e che avevano finito per rubar loro il loro gioco.

“Beato...?”

Lei non rispose. Aveva lo sguardo perso in lontananza, come fisso su qualcosa che solo lei poteva vedere e che a Battler sfuggiva – 'senza amore non si può vedere'.

Le farfalle dorate avevano smesso di volteggiare nella Terra Dorata da quando Beatrice aveva perso quella luce nei suoi occhi, quel suo entusiasmo per i loro giochi e per ogni piccola cosa. Solo i petali delle rose dorate volteggiavano nell'aria, staccandosi dal loro fiore senza forza, come a rispecchiare la padrona di quel mondo e di quel frammento. Danzavano attorno a loro placidamente, sospinti da un vento leggero che esisteva solo per loro.

Era buffo come Battler considerasse tutto ciò magnifico e triste allo stesso tempo. Era buffo come definisse il paesaggio “la cosa più bella che avesse mai visto” e continuava a fissare Beatrice mentre lo pensava. Era buffo il suo groviglio di pensieri, così stupidi, così importanti e così contraddittori.

“Beato...?”, la chiamò ancora una volta, fissandola dall'altra estremità del tavolo a cui sedevano.

Virgilia non c'era. Nemmeno Ronove era con loro. Erano soli, come era già capitato altre volte. E anche se erano loro due ad esser lì, uno davanti all'altra, Battler non poteva fare a meno di sentirsi irrimediabilmente solo, abbandonato in mezzo al nulla. Da solo. Si sentiva smarrito, come se avesse perso il suo punto di riferimento in quel lungo – infinito, interminabile – viaggio.

Odiava quella situazione. Avrebbe fatto di tutto per riavere la vecchia Beato indietro, avrebbe dato qualsiasi cosa per sentir la parola “incompetente” uscire da quelle labbra ora così pallide.

“Beato... rispondi, per favore...”

La osservò attentamente quando si voltò a guardarlo, lo sguardo ancora spento e triste e quegli occhi privi di vita che non comunicavano nulla all'infuori di un dolore che Battler non poteva evitarle. Aveva un'espressione così... innocente, non da lei, in volto. Sembrava una persona totalmente diversa da quella che era stata un tempo... sembrava così giovane e fragile.

Così diversa... eppure era lei. Infondo, dentro di lei, oltre quegli occhi tristi e vitrei, dovevano esserci ancora lei e la sua personalità esuberante, quella sua risata ineducata per la quale veniva sempre ripresa da Ronove. E forse, un giorno, lei sarebbe tornata come prima...

“Ma chi voglio prendere in giro?”

Battler sbuffò, accasciandosi sulla sedia, il capo volto all'indietro.

Che situazione patetica, si disse, fissando il paesaggio dorato ora sottosopra. Le rose sembravano guardarlo dall'alto in basso, ridendo di lui – 'stupido, sciocco e semplice umano!'

Fu quando iniziò a socchiudere gli occhi che la notò... c'era qualcosa, qualcuno, fra quelle rose. Una figura indistinta, sfocata, che danzava fra le farfalle e i petali dorati, come trasportata da una musica inesistente, i lunghi capelli biondi che ondeggiavano sospinti da un vento assente. Si muoveva con leggerezza e grazia, con estrema lentezza.

E Battler scattò in piedi facendo cadere la sedia e si voltò di colpo—

“Be-Beato...!?”

—ma quella figura, quel miraggio, era già scomparso.

Beato era ancora seduta davanti a lui, immobile... come sempre.

Beato non stava danzando, non avrebbe potuto farlo.

Era solo la sua mente che gli faceva brutti scherzi, che non gli dava tregua – sensi di colpa?

Dannata strega... riusciva a farlo diventar pazzo anche senza parlare o muoversi. Iniziare ad immaginarsi cose non era un buon segno – come non lo era il giocare contro una strega affermando che lei non esistesse, sebbene fosse davanti a lui e potesse parlarle...

Eppure, anche se solo per un attimo e per un motivo che non riusciva ancora ad afferrare bene, Battler aveva sorriso. Vedendo quell'illusione di Beatrice che danzava Battler aveva sorriso, aveva sentito un calore nel petto che non provava da molto – da quando Beato si era ridotta in quello stato, in effetti.

“Aaah...”, chiuse gli occhi, sperando che aprendoli si sarebbe accorto che quello era stato tutto un suo sogno.

Sì... si sarebbe svegliato sulla barca per Rokkenjima circondato dai suoi famigliari. Avrebbe raccontato del suo sogno a George-aniki e Jessica lo avrebbe preso in giro, dicendogli di crescere e di trovarsi una ragazza, invece di sognarla. Maria probabilmente avrebbe ascoltato rapita il suo racconto, sarebbe stata l'unica a credere fermamente in ciò che avrebbe detto.

La leggenda sarebbe rimasta leggenda.

Sì... niente omicidi. Era stato tutto un brutto sogno.

Eppure quando riaprì gli occhi fu nuovamente l'immagine di Beato ad accoglierlo, il capo abbassato mentre si rifletteva nel poco tea che le era rimasto nella tazzina. Probabilmente voleva berlo, ma non ne era in grado.

Battler sorrise tristemente e si alzò dalla sedia, avvicinandosi a lei e stringendole le mani che reggevano la tazzina. La aiutò a bere, un senso d'oppressione sempre più forte nel petto.

Era stato lui a ridurla così. Era colpa sua se Beato non parlava, se non rideva, se i suoi occhi avevano perso la loro luce e se non riusciva nemmeno a bere da sola il tea.

Come avrebbe potuto ucciderla?

Come avrebbe potuto negare ora l'esistenza della donna che aveva davanti?

Sentiva le sue mani fredde sotto alle sue, sentiva il suo respiro mentre sorseggiava il tea.

Lei era lì. Era lì con lui, e questo era innegabile – era la verità assoluta, non c'era bisogno di blu o rosso per confermarlo.

“Beato... ne vuoi ancora un po'?”, domandò, prendendole la tazzina dalle mani e poggiandola sul tavolo.
“............”

Sorrise senza motivo Battler per quel suo ennesimo silenzio. Un sorriso triste il suo, pieno di malinconia e rimorsi – e nel petto sentiva un dolore indescrivibile.

Si sarebbe fatto perdonare, si disse. L'avrebbe fatta tornare a sorridere e ridere. Avrebbe trovato un modo per vincere quel gioco senza doverla uccidere – non avrebbe sopportato l'idea di vederla sparire.

“Beato”, si inginocchiò davanti a lei per guardarla negli occhi e strinse quelle mani fredde fra le sue, “non lascerò che tu scompaia, okay?”

“............”

E mentre Beato annuiva lentamente con una lacrima che le rigava il volto, BATTLER smise di osservare quel frammento e si strinse nel mantello, sprofondando nel divanetto del suo studio.


   
 
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