Titolo: Remords
posthume Note: Ma
che cosa è questa fanfic!? BOH! E' un miscuglio inutile di
tante parole messe assieme in vari momenti di noia! Ecco cosa
è! E, come potete ben vedere, il risultato non è
dei migliori - per me è pessimo *coffcoff*. Ah!
Un ringraziamento particolare a tutti coloro che hanno letto e
recensito le fanfic precedenti! Disclaimer: Nessuno
dei personaggi qui citati è mio, maledizione.
Personaggi: Battler,
Beatrice.
Pairing: BattlerxBeatrice.
Rating: Verde.
Genere: Introspettivo,
angst.
Avvertimenti: One-shot,
missing-moment, spoiler!.
Remords
posthume
C'erano
volte in cui Battler ricordava
tutti quei giochi che avevano fatto insieme.
Li
aveva trovati orrendi, di cattivo gusto,
ingiusti e senza senso.
Il
suo obiettivo era negare la strega che
aveva davanti a sé, trovare un modo per dimostrare che lei
non esisteva, che
lei non era il colpevole dietro a tutti quegli orrendi omicidi.
L'aveva
disprezzata, odiata e aveva
desiderato più di una volta di ucciderla. Potersene tornare
a casa con la sua
famiglia, tornare da Ange, dimenticando tutto... fingendo che la strega
non
fosse mai esistita, che quei giochi non fossero mai esistiti; era
un'illusione
a cui bramava e aspirava con tutto sé stesso.
Tornare
alla vita di prima, una vita
normale: ecco cosa voleva.
Niente
streghe, niente omicidi seriali.
Era
troppo per lui, veramente troppo. Si
era stancato di quei giochi, voleva solo andare a casa.
Eppure,
quando capì cosa quei giochi
avessero fatto a Beatrice, quanto dolore le avessero provocato... non
riuscì
più a capire cosa fosse giusto o sbagliato.
Sentiva la realtà sfuggirgli di mano, un senso di confusione
farsi sempre più
spazio nei suoi pensieri, mentre osservava con sguardo afflitto la sua
avversaria immobile, muta e senza luce negli occhi che un tempo
ridevano di lui
e della sua ignoranza.
Mentre
la osservava sentiva crescere in lui
un senso di colpa, di inquietudine mista a risolutezza: doveva fare
qualcosa
per lei, non sopportava il doverla vedere in quello stato. Non
sopportava
vederla soffrire ogni volta che qualcuno pensava che
lei non esistesse,
che non fosse una strega. Non sopportava quello sguardo vacuo, quel
braccio
debole che non riusciva a reggere nemmeno una tazzina da tea. Non
sopportava il
pensiero di sapere di essere lui la causa dei dolori di quella donna.
“Ti
ucciderò.”
Sembrava passato tanto tempo da quando le aveva promesso ciò.
Tanto,
tanto tempo in cui la sua promessa
aveva vacillato più volte. Avrebbe preferito terminare la
vita della vecchia
Beatrice, magari mentre rideva di lui. Avrebbe avuto più
soddisfazione – e
risolutezza – nel farlo. Ma... non poteva uccidere questa
Beato, non ora, non
in quel modo.
Era
troppo semplice, troppo crudele.
Se
solo avesse potuto ucciderla in un modo
indolore, diretto, efficace ed istantaneo.
Invece
tutto ciò che poteva fare era
strangolarla lentamente, stringendo le dita pian piano attorno a quel
pallido
collo. Poteva sentire il respiro di lei affievolirsi, la carne sotto le
sue
mani urlare perché la lasciasse andare. La sentiva piangere,
anche se lo faceva
in silenzio. La vedeva piangere, anche se teneva gli occhi chiusi per
non
osservare ciò che le stava facendo.
…
Come erano arrivati a tutto ciò?
Erano
nemici, avversari... ma Battler non
sopportava il doverla veder soffrire in quel modo – eppure in
passato aveva
tanto bramato l'idea di poter assistere ad un simile spettacolo.
Più volte
aveva pensato a come poterla uccidere, a come mettere la parola fine a
tutto
quello...
Ma
ora, mentre osservava la strega dallo
sguardo triste e lontano, tutto ciò che poteva fare era
cercar di fermare le
lacrime che cercavano di farsi strada fino ai suoi occhi, che premevano
per
rigargli le gote. Era così sbagliato da parte sua provare
simili sentimenti per
lei, Beatrice.
Non
doveva sentirsi in colpa. Era una cosa
giusta da fare. Era per il suo bene, e per quello della sua famiglia...
Ma
per Beatrice? Cos'era meglio per lei?
Davvero
ucciderla era l'unico modo per
vincere quel gioco?
Sapeva
già quale fosse la risposta, anche
se la trovava orrenda ed inumana in quel momento.
Quello
che le stava facendo... era
crudele. Nessuno potrebbe mai meritare una simile tortura.
Eppure
lui lo stava facendo; la stava
torturando da diverso tempo e senza accorgersene – anche se
le aveva annunciato
sin dal secondo gioco che quella loro sfida 'sarebbe stata
una tortura anche
per lei, finché non si sarebbe arresa a lui',
Battler sapeva bene che
quelle sue parole non erano state pronunciate con quello scopo.
Mai...
Mai e poi mai avrebbe immaginato che
sarebbe arrivato il giorno in cui lei sarebbe stata così debole
ed indifesa,
resa un giocattolo di quelle streghe che si erano presentate come
semplici
“osservatrici” e che avevano finito per rubar loro
il loro gioco.
“Beato...?”
Lei
non rispose. Aveva lo sguardo perso in
lontananza, come fisso su qualcosa che solo lei poteva vedere e che a
Battler
sfuggiva – 'senza amore non si può
vedere'.
Le
farfalle dorate avevano smesso di
volteggiare nella Terra Dorata da quando Beatrice aveva perso quella
luce nei
suoi occhi, quel suo entusiasmo per i loro giochi e per ogni piccola
cosa. Solo
i petali delle rose dorate volteggiavano nell'aria, staccandosi dal
loro fiore
senza forza, come a rispecchiare la padrona di quel mondo e di quel
frammento.
Danzavano attorno a loro placidamente, sospinti da un vento leggero che
esisteva solo per loro.
Era
buffo come Battler considerasse tutto
ciò magnifico e triste allo stesso tempo. Era buffo come
definisse il paesaggio
“la cosa più bella che avesse mai visto”
e continuava a fissare Beatrice mentre
lo pensava. Era buffo il suo groviglio di pensieri, così
stupidi, così
importanti e così contraddittori.
“Beato...?”,
la chiamò ancora una volta,
fissandola dall'altra estremità del tavolo a cui sedevano.
Virgilia
non c'era. Nemmeno Ronove era con
loro. Erano soli, come era già capitato altre volte. E anche
se erano loro due
ad esser lì, uno davanti all'altra, Battler non poteva fare
a meno di sentirsi
irrimediabilmente solo, abbandonato in mezzo al nulla. Da solo. Si
sentiva
smarrito, come se avesse perso il suo punto di riferimento in quel
lungo –
infinito, interminabile – viaggio.
Odiava
quella situazione. Avrebbe fatto di
tutto per riavere la vecchia Beato indietro, avrebbe dato qualsiasi
cosa
per sentir la parola “incompetente”
uscire da quelle labbra ora così
pallide.
“Beato...
rispondi, per favore...”
La
osservò attentamente quando si voltò a
guardarlo, lo sguardo ancora spento e triste e quegli occhi privi di
vita che
non comunicavano nulla all'infuori di un dolore che Battler non poteva
evitarle. Aveva un'espressione così... innocente, non da
lei, in volto.
Sembrava una persona totalmente diversa da quella che era stata un
tempo...
sembrava così giovane e fragile.
Così
diversa... eppure era lei. Infondo,
dentro di lei, oltre quegli occhi tristi e vitrei, dovevano esserci
ancora lei
e la sua personalità esuberante, quella sua risata
ineducata per la quale
veniva sempre ripresa da Ronove. E forse, un giorno, lei sarebbe
tornata come
prima...
“Ma
chi voglio prendere in giro?”
Battler
sbuffò, accasciandosi sulla sedia,
il capo volto all'indietro.
Che
situazione patetica, si disse, fissando
il paesaggio dorato ora sottosopra. Le rose sembravano guardarlo
dall'alto in
basso, ridendo di lui – 'stupido, sciocco e
semplice umano!'
Fu
quando iniziò a socchiudere gli occhi
che la notò... c'era qualcosa, qualcuno,
fra quelle rose. Una figura
indistinta, sfocata, che danzava fra le farfalle e i petali dorati,
come
trasportata da una musica inesistente, i lunghi capelli biondi che
ondeggiavano
sospinti da un vento assente. Si muoveva con leggerezza e grazia, con
estrema
lentezza.
E
Battler scattò in piedi facendo cadere la
sedia e si voltò di colpo—
“Be-Beato...!?”
—ma
quella figura, quel miraggio, era già
scomparso.
Beato
era ancora seduta davanti a lui,
immobile... come sempre.
Beato
non stava danzando, non avrebbe
potuto farlo.
Era
solo la sua mente che gli faceva brutti
scherzi, che non gli dava tregua – sensi di colpa?
Dannata
strega... riusciva a farlo diventar
pazzo anche senza parlare o muoversi. Iniziare ad immaginarsi cose non
era un
buon segno – come non lo era il giocare contro una strega
affermando che lei
non esistesse, sebbene fosse davanti a lui e potesse parlarle...
Eppure,
anche se solo per un attimo e per
un motivo che non riusciva ancora ad afferrare bene, Battler aveva
sorriso.
Vedendo quell'illusione di Beatrice che danzava Battler aveva sorriso,
aveva
sentito un calore nel petto che non provava da molto – da
quando Beato si era
ridotta in quello stato, in effetti.
“Aaah...”,
chiuse gli occhi, sperando che
aprendoli si sarebbe accorto che quello era stato tutto un suo sogno.
Sì...
si sarebbe svegliato sulla barca per
Rokkenjima circondato dai suoi famigliari. Avrebbe raccontato del suo
sogno a
George-aniki e Jessica lo avrebbe preso in giro, dicendogli di crescere
e di
trovarsi una ragazza, invece di sognarla. Maria probabilmente avrebbe
ascoltato
rapita il suo racconto, sarebbe stata l'unica a credere fermamente in
ciò che
avrebbe detto.
La
leggenda sarebbe rimasta leggenda.
Sì...
niente omicidi. Era stato tutto un
brutto sogno.
Eppure
quando riaprì gli occhi fu
nuovamente l'immagine di Beato ad accoglierlo, il capo abbassato mentre
si
rifletteva nel poco tea che le era rimasto nella tazzina. Probabilmente
voleva
berlo, ma non ne era in grado.
Battler
sorrise tristemente e si alzò dalla
sedia, avvicinandosi a lei e stringendole le mani che reggevano la
tazzina. La
aiutò a bere, un senso d'oppressione sempre più
forte nel petto.
Era
stato lui a ridurla così. Era colpa sua
se Beato non parlava, se non rideva, se i suoi occhi avevano perso la
loro luce
e se non riusciva nemmeno a bere da sola il tea.
Come
avrebbe potuto ucciderla?
Come
avrebbe potuto negare ora l'esistenza
della donna che aveva davanti?
Sentiva
le sue mani fredde sotto alle sue,
sentiva il suo respiro mentre sorseggiava il tea.
Lei
era lì. Era lì con lui, e questo era
innegabile – era la verità assoluta, non c'era
bisogno di blu o rosso per
confermarlo.
“Beato...
ne vuoi ancora un po'?”, domandò,
prendendole la tazzina dalle mani e poggiandola sul tavolo.
“............”
Sorrise
senza motivo Battler per quel suo
ennesimo silenzio. Un sorriso triste il suo, pieno di malinconia e
rimorsi – e
nel petto sentiva un dolore indescrivibile.
Si
sarebbe fatto perdonare, si disse.
L'avrebbe fatta tornare a sorridere e ridere. Avrebbe trovato un modo
per
vincere quel gioco senza doverla uccidere – non avrebbe
sopportato l'idea di
vederla sparire.
“Beato”,
si inginocchiò davanti a lei per
guardarla negli occhi e strinse quelle mani fredde fra le sue,
“non lascerò che
tu scompaia, okay?”
“............”
E
mentre Beato annuiva lentamente con una
lacrima che le rigava il volto, BATTLER smise di osservare quel
frammento e si
strinse nel mantello, sprofondando nel divanetto del suo studio.