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Autore: vivvinasme    29/09/2010    4 recensioni
Cosa succederebbe se la speranza svanisse, lasciando posto alla più completa oscurità?
[...] [Felicità? Miseria? Erano parole senza senso. Lei desiderava una sensazione. Grazie cui si sarebbe sentita completa.]
Genere: Malinconico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Konohamaru, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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Disclaimer: I personaggi di questa fanfiction appartengono tutti a Masashi Kishimoto. Inoltre, questa storia non ha fini di lucro.



Camminava, misurando i passi a causa dell’ignoto.
Il buio, affamato di colori, lasciava alla vista solo qualche spanna. Mentre avanzava incerta, gli alti e nodosi alberi si facevano sempre più vicini, quasi la cingessero in un mortale abbraccio.
Sapeva cosa stava lasciando dietro di sé, lo sentiva dal calore e dalle risate che andavano sempre più affievolendosi.
Lo sapeva.
Eppure proseguiva, senza sapere dove l’aspro sentiero l’avrebbe condotta. Felicità? Miseria? Erano parole senza senso. Lei desiderava una sola cosa, una sensazione. Grazie cui, ne era ormai certa, si sarebbe sentita completa.
Un passo, due, tre, dieci.
I suoi sandali non facevano alcun rumore al momento del loro impatto col suolo. E man mano che si addentrava nell’oscurità, il sentiero diventava più ripido. Sembrava sfidarla a duello. Completamente sommersa dalla tetra e densa notte, procedeva con difficoltà, incespicando, inciampando, precipitando e rialzandosi. La paura scalfita dalla forte determinazione, affrontava l’arcano, rivolgendo il lucido sguardo lì, dove una fioca luce lottava contro il lugubre paesaggio.
Non ne conosceva il motivo, semplicemente lo sentiva.
Lui era lì.
La ragione per cui aveva deciso di affrontare le sue infinite paure ed incertezze.
La ragione per cui aveva lottato fino allo stremo, per cui il suo animo era così forte e deciso.
Ce l’avrebbe fatta, da sola. Non sarebbe stata più fragile, non avrebbe più avuto bisogno di essere protetta.
Perché a percorrere il duro sentiero che la separava dal suo obiettivo, era stata lei. Era lei che accelerava il passo, e quasi senza accorgersene iniziava a correre verso il bagliore, che si faceva sempre più intenso. Mentre il vento le sferzava i capelli, la sua mente vagava verso mondi sempre più distanti, illuminati dal suo sorriso sincero. Mentre correva, si sentiva libera. Finalmente avrebbe potuto affrontare le difficoltà fissandole dritte negli occhi, finalmente avrebbe potuto combattere al loro fianco.
La luce ormai era abbagliante. Faticava a tenere gli occhi aperti, ma si costrinse a non abbassare le palpebre. Un’alta figura si ergeva immobile a pochi metri da lei. Era un ragazzo, riusciva ad intravederne le forti spalle e la robusta schiena.
Voleva parlargli, o più semplicemente abbracciarlo. Fargli capire che ormai, del suo aiuto, non aveva più bisogno. Ormai era in grado di guardare l’infinito al suo fianco, e non nascosta dietro di lui.
Felice come non mai, fece qualche passo verso il ragazzo. A dividerli, solo una manciata di respiri.
Come alienata, mosse una mano affusolata fino a posarla sulla spalla dell’ignota figura. Era fredda. Attese qualche attimo, nulla. Il ragazzo non si muoveva. Immobile, continuava a darle le spalle. Stringendo un poco la presa, ne afferrò il braccio tonico.
Stasi.
Il ragazzo non accennava a muoversi, né tantomeno si accorgeva della sua presenza.
La felicità che poco prima l’aveva riempita, svanì poco a poco, sostituita dalla sorella incertezza.
Ma non ebbe tempo di crogiolarsi nel dubbio. All’improvviso il ragazzo sparì.
Confusa, volse lo sguardo in basso, attirata da un gemito sordo. Seduto a contatto con il terreno sconnesso, le ginocchia nodose cinte dalle braccia, stava il ragazzo.
Uno strano calore la avvolse. Era sollievo. La figura si era mossa, era viva. Un attimo dopo il sollievo mutò nuovamente in paura.
Il ragazzo era scosso da violenti tremiti, e calde gocce cristalline gli inumidivano il viso. Gemette, la voce resa rauca dalle lacrime. Il dolore permeava il giovane, ed era così intenso e violento da contagiare persino l’ambiente attorno a lui, smorzando quella luce che l’aveva da sempre avvolto.
Avrebbe voluto fare qualcosa. Avrebbe voluto consolarlo, sussurrargli che sì, sarebbe andato tutto bene. Ma non lo fece. La sua voce non arrivò mai all’orecchio del ragazzo.
I gemiti si fecero sempre più intensi e acuti, sino a trasformarsi in urli di sofferenza. Il ragazzo piangeva, tremava, e affidava al vento parole sconnesse.
I biondi capelli, solitamente così splendenti e pieni di vita, erano impregnati da una mistura di lacrime e fango che li rendeva sporchi, marci.
E lei non poteva fare nulla per porvi rimedio.
Tentò di muoversi, per consolarlo, per trasmettergli il calore del proprio affetto. Oppure per scappare via?
Una misteriosa forza glielo impediva. L’aria sembrava esercitare un fortissimo attrito sulla materia.
Improvvisamente il ragazzo si afflosciò a terra, inerme. Immobile. La cute pallida, giallastra.
Per qualche ignoto motivo riuscì a sconfiggere l’invisibile ostacolo che la inchiodava a terra, e si lasciò cadere accanto al giovane, le mani aperte verso il suo forte petto, avvolte dalla consueta aura verdognola.
Il suo potere le permetteva di valutare le condizioni fisiche di qualsivoglia essere vivente. Peccato che, la figura sotto di lei, di condizioni fisiche non ne avesse proprio.
Concentrazione.
“Elimina qualsiasi interferenza esterna, finché il vuoto non colmi la mente.”
Così le era stato insegnato.
Concentrazione.
Il vuoto.
Riempiva la sua mente, ma anche il corpo del ragazzo.
Non avrebbe mai voluto ammetterlo a se stessa, ma lui era morto.
Non esisteva più.
Non avrebbe mai più sorriso.
Non avrebbe mai più sperato.
Non avrebbe mai più Amato.
 
E lei, ormai, era sola. 
 
 
“Naruto…”
 
 
***

Sakura spalancò all’improvviso gli occhi. Avvertendo una strana umidità, si sfiorò il pallido viso. Fitti residui di scie lacrimose le solcavano le guance.
L’aveva sognato, di nuovo. Si chiese quando gli incubi sarebbero finiti.
– Probabilmente, mai. – Si ritrovò a pensare.
Si crogiolò per qualche momento del calore emanato dalle coperte, prima di alzarsi e aprire la finestra della sua piccola stanza da letto. Il suo orrendo sogno sembrava essere funto da sveglia naturale: il sole acerbo del mattino illuminava i tetti di Konoha, e le strade iniziavano ad essere popolate dai mercanti e dai numerosi ninja che si recavano al palazzo degli Hokage per vedersi assegnare le innumerevoli missioni disponibili.
La ragazza inspirò profondamente l’aria quieta che solo la mattina di Konoha poteva regalare, prima di indossare l’usuale divisa da ninja. Afferrato il borsello contenente tre Kunai, sette Shuriken, e una ben fornita scorta d’ingredienti per gli antidoti, spiccò un agile balzo dalla finestra, atterrando con grazia nel mezzo della strada.
Quel giorno aveva in programma una serie di controlli all’ospedale di Konoha, per poi riferire i risultati all’Hokage.
Nonostante potesse sembrare un’attività piuttosto noiosa, che sottraeva tempo utile agli allenamenti, Sakura adorava visitare i pazienti del reparto. Diventare un ninja medico era da sempre stato il suo più ambito obiettivo, e ora che l’aveva raggiunto, non avrebbe potuto sentirsi più fiera di se stessa.
Dopo la sconfitta di Sasori, atterrato grazie al suo aiuto, Sakura si era sottoposta a ferrei allenamenti per affinare la sua forza, ideando strategie per poterla utilizzare al meglio in battaglia. E quando non era assediata dalle pratiche d’ufficio, persino Tsunade accorreva a darle una mano.
Trattenendo un sospiro, si avviò verso l’ospedale, percorrendo le strade che erano state sfondo dei suoi giochi da bambina. Il Villaggio della Foglia amava tutti i suoi abitanti, come loro amavano le proprie case, facendo anche l’impossibile per difenderle. Era questo che rendeva Konoha così diversa dagli altri villaggi nascosti. La Volontà del Fuoco. Quel forte sentimento che teneva uniti i ninja ai loro cari, al villaggio, all’Hokage. Facevano tutti parte di una grande famiglia, e come tale ognuno era disposto ad aiutare l’altro, e ad allearsi per proteggere la propria casa.
Sakura osservò un manipolo di bambini, le cui risate avevano attirato la sua attenzione. Giocavano a fare i ninja, combattendo con qualche Kunai di legno. Probabilmente erano troppo giovani persino per frequentare l’Accademia. Non erano ancora consci dei rischi e delle tante sofferenze causati dall’essere un vero Shinobi.
E lei, Sakura, lo sapeva bene. Da quando aveva intrapreso il difficile percorso verso il suo futuro, il dolore era stato un sentimento all’ordine del giorno.
“Sa-Sakura-chan… Buongiorno…”
Una voce timida la sorprese nel mezzo dei suoi lugubri pensieri.
Si voltò, per incontrare lo sguardo candido di Hinata Hyuga. In quel momento, stretta nei suoi abiti sempre troppo larghi, due ampi aloni rossi a cingerle le guance, sembrava, se possibile, ancora più imbarazzata del solito.
“Buongiorno, Hinata! Come mai sei qui? Oggi non avevi una missione con Kiba e Shino?” A quell’interrogativo Hinata si rabbuiò, lo sguardo fisso a terra.
“Neji-kun… Ecco, lui… Ha detto a Tsunade di assegnare la missione al suo Team…” Sakura sorrise internamente. Come facevano quei due a non accorgersi del profondo sentimento che provavano l’uno per l’altra?
“E tu non immagini il motivo, Hinata?”
“N-No, Sakura-chan. Io… Non riesco a capirlo…”
“Non credi che potrebbe averlo fatto per proteggerti?”
Hinata arrossì furiosamente.
Proteggermi?
“Sì, proteggerti.”
“Io… Ecco… Pe-Perdonami, Sakura-chan, devo andare…” Ancora rossa come un buon pomodoro maturo, Hinata fece un debole cenno di saluto e corse via.
“Buona giornata, Hinata…” Sussurrò Sakura. Forse quella era la volta buona, per Hinata e Neji.
Affidando un sorriso al vento, riprese ad incamminarsi verso l’ospedale. Era incredibile come Amore colpisse le persone più inaspettate. Qualche anno prima avrebbe smentito chiunque avesse anche solo pensato che i cugini Hyuga potessero amarsi. Hinata era chiaramente innamorata di Naruto, sebbene, sfortunatamente, lo Shinobi dagli occhi azzurri non l’avesse mai ricambiata. Ma, dopo il repentino tradimento di Sasuke, tutti erano cambiati. Hinata, Neji, Kiba, Ino, Rock Lee, lei stessa, e Naruto.
No, forse era inopportuno dire che Naruto fosse cambiato.
Naruto era semplicemente morto dentro.
Aveva tentato di parlare con Sasuke, di farlo ragionare, di fargli capire ciò che avrebbe perso abbandonando tutti loro, abbandonando lui; ma la risposta fu un braccio fratturato in più punti e un grave trauma cranico.
Aveva tentato di catturare Sasuke con la forza, ma la reazione causò la morte di Asuma Sarutobi, Jounin posto a capo della sua squadra.
Dopo aver varcato per l’ennesima volta, sconfitto, le porte di Konoha, Naruto aveva smesso di vivere.
Il rifiuto del suo migliore amico, il fallimento continuo delle missioni che, esasperata, Tsunade gli assegnava, e la scoperta di non essere all’altezza di Sasuke lo avevano reso instabile. Da ormai qualche mese, Naruto trascorreva le sue giornate chiuso nel suo appartamento, uscendo solo per rifornirsi di Ramen in scatola.
I suoi doveri in quanto ninja non venivano mai trascurati, ma durante lo svolgimento delle missioni non era più il ninja vivace e imprevedibile di una volta; si limitava soltanto al puro adempimento dell’obiettivo e alla consegna del rapporto all’Hokage. La sua capacità di toccare l’anima di chiunque gli fosse accanto, il suo sorriso raggiante, il particolare luccichio nei suoi occhi azzurri, spariti.
Di Naruto era rimasto solamente il nome, perché era raro incontrarne persino la persona.
Tutti, persino l’Hokage in persona, si chiedevano che ne fosse stato del vecchio Naruto, quel ragazzo che non abbandonava mai i suoi obiettivi, che non si dava mai per vinto. E inesorabilmente si rispondevano: “Se n’è andato, insieme a Sasuke, quel giorno di sei mesi fa.”
Sakura soffriva per Naruto. Sebbene lo avesse spesso maltrattato durante gli anni, doveva ammettere di essersi affezionata al ninja che tanto somigliava allo Yondaime. Naruto era, in definitiva, il suo migliore amico. Colui che era sempre riuscito a capirla, ad aiutarla, a proteggerla. E vederlo, sentirlo stare male e abbandonarsi a se stesso, la feriva più di mille aghi conficcati nel corpo.
Quando non era impegnata con Tsunade e l’ospedale, Sakura andava a trovare l’amico. L’ultima volta l’aveva trovato steso a terra in posizione supina, che scrutava con sguardo vuoto il soffitto. Aveva mantenuto la stessa espressione, anonima, distaccata, durante l’intero incontro.
La ragazza scosse la testa, come per liberarsi di qualcosa intrappolato tra i rosei capelli. Non voleva pensare a certe cose. Soprattutto in quel momento; aveva bisogno di concentrazione per visitare i pazienti che le spettavano, e inoltre era piuttosto in ritardo. Rinchiuse Naruto ed il suo appartamento in un remoto angolo della sua mente, dove si affollavano i pensieri scomodi e malinconici, in attesa di essere richiamati durante i momenti di tristezza.
L’ospedale di Konoha, un edificio bianco dall’alto tetto blu, era un luogo affollato, dove numerosi ninja usavano sostare in seguito ad una missione faticosa. Quel giorno la costruzione era particolarmente trafficata, tanto che quando Sakura varcò il robusto portone principale, la ragazza addetta all’accoglienza le fece subito segno di avvicinarsi da dietro il bancone, tentando di sovrastare con l’esile mano la folla.
“Haruno-kun, finalmente è arrivata! Tsunade-sama la sta aspettando al piano di sopra, stanza 7B.”
“Grazie mille, Ikita-san.” Con un cenno di saluto, Sakura cercò di farsi spazio tra i numerosi ninja che popolavano il corridoio, sino ad arrivare alle scale.
Davanti alla stanza 7B la aspettava una bionda donna, mentre batteva il piede fasciato dallo zoccolo a terra, in segno di stizza. Tsunade sapeva essere terribile, quando Sakura arrivava in ritardo agli appuntamenti.
“Sakura! Sbrigati, andiamo.” La possente voce della formosa donna le giunse chiara alle orecchie sebbene distasse qualche metro da lei. Sakura la raggiunse correndo; era meglio non contraddire mai Tsunade-sama quando si arrabbiava.
“Bene. Questo è il signor Tahiko.” Disse autoritaria Tsunade, le mani che le cingevano gli ampi fianchi, indicando un uomo sulla cinquantina, seduto sulla barella.
“Lamenta dolore alla gamba, devi controllare che sia tutto apposto.”
“Si, Tsunade-sama!”
“Io devo andare, lascio qui la lista dei pazienti. Buon lavoro, Sakura!”
“Arrivederci, Tsunade-sama.” Sakura tirò un sospiro mentre controllava l’arto del signor Tahiko. Chissà cosa frullava in testa a Tsunade.
– Avrà di nuovo perso alla lotteria... – Si rispose, trattenendo a stento una risata.
Dopo qualche minuto di minuziosa indagine, Sakura elaborò la sua diagnosi.
“Abbiamo finito, signor Tahiko. Il dolore che lamenta è la conseguenza di una tendinite che affligge il ginocchio.”
“Guarirà presto?” Domandò il paziente, gli occhi scuri accesi di preoccupazione.
“Certo, non si preoccupi. Deve solo applicare questo impasto per qualche settimana, e vedrà che il suo ginocchio tornerà come nuovo!” Lo rassicurò Sakura con un dolce sorriso. Era anche per questo che aveva scelto di diventare ninja medico; le dava un profondo senso di soddisfazione poter aiutare le persone.
Il signor Tahiko si alzò allegro dalla barella, sostenuto da un resistente bastone da passeggio, e indirizzando un cenno di saluto al giovane medico, uscì dalla stanza.
Sakura, preparandosi ad un’infinita sfilza di nomi, osservò il foglio dei pazienti successivi. Come aveva previsto.
– Sarà una lunga giornata… – Pensò con un sospiro.
 
***

“Deushi-sama, questo mi sembra un semplice raffreddore, non c’è bisogno di preocc – ” Un rumore di porta sbattuta interruppe la voce stanca di Sakura, e un Konohamaru più preoccupato che mai apparve sulla soglia della stanza.
“Sakura-chan, Sakura-chan! E’ terribile! Terribile!” Il viso del giovane ragazzo era piegato in una smorfia di dolore, e qualche lacrima minacciava di scappare dagli occhi castani. Le mani accompagnavano con ampi gesti il suo strepitare, che stava provocando non poca irritazione alla signorina Deushi, figlia del Damyo della regione.
“Insomma, cos’è tutto questo bailamme?” Esclamò in tono autoritario la giovane ragazza, indicando Sakura. “Tu, continua a visitarmi.”
Sakura non le rispose; sapeva che per far disperare in tal modo l’altrimenti allegro Konohamaru poteva soltanto essere successo qualcosa di grave.
“Mi scusi, Deushi-sama, torno tra poco.” Furono le vaghe parole biascicate da Sakura nel correre fuori dalla stanza.
“Sakura-chan, ti ho cercato a lungo!” Esclamò disperato Konohamaru, il fiato mozzato dall’ansia.
“Che succede, Konohamaru?” Sussurrò Sakura, chiudendosi la porta alle spalle, la mente popolata da lugubri immagini sanguigne.
“Naruto!” Nell’udire il nome dell’amico, il ninja medico impallidì. “E’… E’… Semplicemente, scomparso…”
“… Che cosa vuoi dire?” Esalò Sakura, mentre ripensava alle numerose fughe dell’imprevedibile ninja per liberare Sasuke dalla sua colpa.
“Stamattina, come mio solito, sono andato a casa sua. Lui non esce mai così presto, no?” L’interrogativo di Konohamaru era disperato, non curioso.
“Mai.” Rispose automaticamente Sakura, come in trance.
“Bene.” Silenzio. Konohamaru attese qualche attimo per urlare: “Non c’era! Oggi non c’era! La casa era vuota! L’ho cercato all’Accademia, all’Ichiraku Ramen, al campo d’allenamento, alle terme, persino!”
Ad un occhio esterno, sarebbe parsa strana la preoccupazione che colmava i due ragazzi, rendendo i loro occhi lucidi e le cuti pallide come l’astro lunare.
Ma Naruto, con il passare dei mesi, era diventato sempre più instabile, tanto che a volte neanche l’Hokage in persona riusciva a frenare i suoi momenti di rabbia. Infatti, la rabbia era apparentemente l’unico sentimento rimasto ad albergare in lui. Rabbia per l’abbandono di Sasuke, rabbia per la sua incapacità di riportarlo a casa, rabbia per gli sguardi disgustati di alcuni abitanti del villaggio, che sfruttavano la sua debolezza per attaccarlo ancora più pesantemente. Durante uno scatto d’ira, Naruto era fuggito dal Villaggio, per imbattersi in un gruppo di pericolosi Mukenin del villaggio della Nebbia. Quando una squadra AMBU l’aveva trovato, era in condizioni pessime, più morto che vivo.
“Calma, Konohamaru. Riflettiamo… Dove potrebbe essere andato Naruto?” Una domanda rivolta più a se stessa che all’amico. Konohamaru si cinse il capo con le mani, in un tentativo di concentrazione, vanificato dal forte tremore degli arti.
“Non lo so… Non lo so…” Il giovane ninja fece un lungo respiro. “Sakura, ho paura che sia fuggito di nuovo.” L’atmosfera si fece elettrica.
“Se anche fosse, lo andremo a cercare e lo riporteremo a casa. Deve smettere di comportarsi in questo modo.” Konohamaru fece un passo indietro, quasi spaventato dal tono adulto e autoritario della ragazza. Avendo avuto a che fare con due ragazzi come Naruto e Sasuke, avendo sofferto alle loro spalle, era comprensibile che fosse maturata così in fretta.
“Va bene, Sakura-chan.”
Sakura si forzò a sorridere, per tranquillizzare l’agitato Shinobi. Ma, intimamente, era colma della più profonda delle paure. Era frustrante non poter aiutare Naruto, e il timore di averlo perso per sempre la scoteva non poco.
“Ora vai, Konohamaru. Credo di sapere dove potrebbe essere Naruto. Ti avvertirò, nel caso l’avessi trovato.”
“Grazie, Sakura-chan. Spero che il tuo intuito non fallisca.”
“Lo spero anch’io.” Con un sorriso, Konohamaru si voltò e percorse il lungo corridoio, visibilmente sollevato.
Naruto aveva sempre detto di avere un legame speciale con Sasuke. Aveva tentato di tutto, per convincerlo a tornare a Konoha. La causa della sua continua sofferenza era proprio il Mukenin dagli occhi magnetici, di cui la stessa Sakura era innamorata.
Partendo da questi presupposti, Sakura si era fatta un’idea di dove potesse essere Naruto. E, mentre salutava distrattamente la signorina Deushi – che non aveva omesso la sua indignazione per l’estenuante attesa sulla barella –, continuava a sperare disperatamente di non essersi sbagliata.
 
***

 
Il vento freddo della sera le feriva profondamente il viso, tanto da imprimere due nitide chiazze rosse sulle lisce gote.
Il tramonto a Konoha era un fenomeno magnifico. Il cielo e le sue mille sfumature si riflettevano sui tetti delle abitazioni, dipingendoli di rosa, giallo, azzurro e bianco. Sakura avrebbe passato l’eternità seduta sull’erba fresca, a contemplare il meraviglioso quadro che era la natura.
Infatti, mentre correva disperata verso la sua meta, non poté non notare quanto fosse bello il crepuscolo in quel momento. Si ritrovò a sperare che anche Naruto potesse goderne ancora.
Saltando elegantemente da un tetto all’altro, sorpassò il palazzo degli Hokage, la sua abitazione, quella di Naruto e quella di Sasuke, sino ad atterrare con un tonfo di fronte all’alto portone del quartiere Uchiha. Sakura osservò quanto quel luogo, un tempo orgoglio del Villaggio della Foglia, fosse dimesso ed abbandonato. Il muschio ricopriva la maggior parte della superficie degli alti muri, facendoli somigliare a pareti naturali.
Ora che neanche Sasuke vi risiedeva, il quartiere Uchiha non era più frequentato da nessuno, tranne gli avventurosi bambini che spesso s’inoltravano all’interno delle ampie case cinte dalla vegetazione spontanea.
C’era un che di malinconico, in quella visione.
Ma lei non aveva tempo per rimpiangere gli antichi fasti.
Deglutendo, si avviò lungo la strada, che fu presto affiancata da un piccolo lago. Il suo sguardo andò subito al pontile, sulla cui estremità era seduta una figura, le gambe immerse nell’acqua. I capelli biondi risplendevano alla luce del tramonto assumendo una miriade di tonalità diverse, catturando inesorabilmente l’attenzione di Sakura.
La ragazza sorrise teneramente, l’aveva trovato.
Naruto si fece perno con le mani dietro la schiena e reclinò la testa, gli occhi chiusi. Anche da quella distanza i caratteristici baffi erano inconfondibili. Sakura, però, notò con un leggero tremore che il ragazzo aveva perso molto peso, e non aveva più quelle guance paffute che lasciavano spesso spazio ai suoi sorrisi contagiosi.
Sakura mosse qualche passo. Senza un apparente motivo, Naruto sembrò percepire la sua presenza, e voltò il capo verso la giovane Shinobi. Gli occhi blu sovrastavano due profonde occhiaie, da far invidia persino a Gaara. Lo sguardo che puntò contro Sakura era triste, ma allo stesso tempo sereno. Non l’aveva mai guardata in quel modo.
Con la mano, le fece cenno di avvicinarsi. Sakura ovviò la distanza che li separava con qualche agile salto, sedendosi accanto all’amico.
Osservandolo da vicino, poté notare il pesante senso di stanchezza che l’intera figura le dava. Tutto in Naruto era esausto; le gambe, le braccia, gli occhi spenti, il viso triste.
“Non trovi che il tramonto sia stupendo, Sakura?” Anche la voce era stanca, il tono ben lontano da quello energico di una volta. – Probabilmente, – Pensò Sakura – Queste sono le prime parole che mi rivolge da due mesi a questa parte. – Però non gli si poteva dar torto.
“Già, è bellissimo…” Constatò Sakura, continuando ad osservarlo contemplare il cielo che si faceva sempre più scuro.
“E’ sublime, ma un fenomeno fugace, come la vita.”
“La vita è effimera, ma è saggio l’uomo che non ne sperpera neanche un attimo, lottando arduamente per i propri amici, per i propri obiettivi.” Sakura tirò un sospiro; era strano dire a Naruto quello che egli stesso non aveva mai mancato di ripetere.
“A che serve lottare per i miei obiettivi, se mi sfuggono di mano ogni volta che ci provi?” Disse Naruto, il tono inquietantemente calmo.
“Si ottiene ciò che si brama se si continua a combattere, mantenendo sempre fede alla parola data.” Ormai non ci credeva neanche lei stessa.
“Ti sbagli, non è cosi.” Un sussurro, impercettibile.
“Cosa hai detto, Naruto?”
“TI SBAGLI! Ti sbagli… E’ tutto sbagliato…” Urlò Naruto, in preda alla disperazione, la rabbia che deformava i suoi dolci tratti.  Nel sussurrare l’ultima parola, si prese il viso con le mani, celando malamente qualche lacrima scappata al suo labile autocontrollo.
Sakura, commossa dalla pietosa scena, lo cinse con le braccia, tentando di infondergli un pizzico di speranza, di felicità.
“Forse, forse sono io quello sbagliato…” Soffiò Naruto, il volto premuto nell’incavo del collo di Sakura.
“Non osare neanche solo pensare una cosa del genere, Naruto!” Lo rimproverò Sakura, la tristezza che la invadeva nell’udire le dolorose parole dell’amico.
Naruto si alzò di scatto, dandole le spalle.
“E perché non dovrei? Dimmi, perché? Lui mi odia, ci odia. Ed è tutta colpa mia.” Mentre parlava, i tremiti lo scuotevano. Sakura non capiva come fosse arrivato a tali conclusioni. Faceva male.
“Naruto, non – ”
“NO! Adesso devi ascoltarmi, Sakura! Sasuke… Lui è sempre stato il mio rivale. O meglio, sono io che l’ho fatto diventare tale, perché sentivo che il nostro legame sarebbe diventato forte. Eravamo entrambi soli, lui era amato da tutti, io odiato. Da quando siamo stati assegnati al Team 7, ho cercato in tutti i modi di attirare la sua attenzione. Insultandolo, sì, perché sapevo che il nostro rapporto fatto di scontri e rivalità era quanto di più puro potessi desiderare. Lo consideravo un fratello, e sembrava che lui facesse lo stesso…” Riprese fiato. “Appunto, sembrava! Senza dirmi nulla, senza alcun preavviso, mi ha abbandonato! Capisci, Sakura? Abbandonato! Colui che per me era tutto, che è tutto, mi ha rifiutato. Lo stesso ragazzo che mi salvò la vita qualche anno fa, mi ha rifiutato! Senza alcun pudore, troncando ogni legame… Ha persino ucciso Asuma! Che ne è di Sasuke, che ne è del ragazzo che ha superato insieme a noi tante missioni? Eh?”
Lo sfogo di Naruto era quanto di più straziante Sakura avesse mai visto. Mentre urlava fiumi di parole, oceani di lacrime scendevano copiosamente dagli occhi azzurri, rovesciandosi sul legno del piccolo pontile. Sebbene stesse soffrendo, Sakura era intimamente felice. Durante tutti quei mesi, Naruto non si era mai confidato con nessuno, e finalmente rendeva partecipe l’amica del suo dramma interiore.
“E’ andato, Naruto… E credo sia andato per sempre.” Ammise Sakura, forse troppo dura.
“Io…” In piedi, immobile nel darle le spalle, Naruto esitò.
“Naruto, non è facile. Non lo è per nessuno di noi, me compresa. So che è banale, ma a volte se si tiene davvero ad una persona, è meglio lasciarla andare…” Parole vuote, scarne.
“Io…”Naruto boccheggiava, in cerca delle giuste parole.
“Non voglio farti del male, solo aiutarti… Anch’io tengo a te.” Sussurrò Sakura, le lacrime che avevano cominciato il loro viaggio verso il lago.
“IO… L’AMO! L’amo, sto impazzendo per lui! L’amore mi sta consumando, non riesco a vivere senza di lui, senza potergli dire quanto lo ami, quanto teng – ”
La lacrima ferma sull’orlo del suo mento non trovò mai la via di fuga.
Silenzio.
Il Sole era ormai calato, lasciando spazio alla fredda atmosfera notturna. Le prime, timide stelle si riflettevano perfettamente sull’acqua immobile del lago, trasportando il cielo in terra.
Era ormai sceso il buio, ma una tiepida luce illuminava le due figure strette a formarne una sola.
Sakura era serena, perché finalmente era riuscita ad intravedere il vecchio Naruto. Finalmente conosceva il motivo di tanta sofferenza. E si sentiva di nuovo in pace con se stessa, mentre poggiava il viso sulla schiena dell’amico, ormai non più scossa da tremori.
Naruto era felice, perché, sebbene non avrebbe mai potuto confessare i suoi sentimenti a Sasuke, era riuscito ad alleggerire il pesante strato di dolore, rabbia e odio, condividendolo con Sakura.
Entrambi sapevano che non avrebbero mai più potuto godere dell’affetto di Sasuke, del ninja traditore. Entrambi avrebbero sentito la mancanza di qualcosa nella loro vita. Forse le loro anime sarebbero state incomplete, forse ciò che avevano raggiunto non era nulla in confronto a quello che avevano davanti a loro.

Ma, insieme, avevano trovato la serenità.





Spazio di Vivvi:

Ok, lo so. E' orrenda. Il fatto è che avevo un'idea in mente, e anche molto buona. Poi però ho iniziato a scrivere ed è uscito fuori questo. Una giornata in una Konoha diversa, più matura e triste. Una giornata vista da Sakura, personaggio che molti, troppi tendono a sottovalutare o addirittura ad odiare, ma che secondo me ha una personalità molto forte. I tempi sono cambiati, l'Akatsuki è stata sterminata e a Konoha vige la pace. Ma, come avrete potuto notare, la quiete e solo apparente. La partenza improvvisa di Sasuke ha scosso tutti in modo diverso, soprattutto Naruto. Ok, ora mi direte: "Ma Naruto è assolutamente OOC, come hai potuto fare uno sgarro del genere?!" Sì, Naruto è diverso. Come anche Sakura. L'avviso di OOC lo metto per questioni formali, ma secondo il mio parere Naruto non lo è affatto. La sua più grande qualità è l'essere sempre allegro, vivace, e saper trasmettere quest'allegria alle persone accanto a lui. Ma cosa succederebbe se proprio il suo più grande pregio lo portasse a continue delusioni? In fondo, Naruto senza Sasuke è come la notte senza la Luna, e quindi mi sembrava giusto tratteggiarlo in questo modo. Il finale non è ne bello, ne brutto. Chi l'ha detto che una storia debba avere per forza un finale? La mia vuole essere soltanto la descrizione di un ipotetico giorno in un ipotetico mondo, e non necessita di un finale. O meglio, lascio alla vostra fervida immaginazione crearlo.
Spero che apprezziate questo mio lavoro. Un bacione a tutti!

Vivvi.

   
 
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