Allora…?!
Al momento non so da dove partire. Davvero. Questa è un’idea che
mi frullava dentro dal momento in cui ho letto l’ultimo capitolo del
manga.
Ho
provato a ripercorrere una piccola parte del passato (inventandola anche) per
riallacciami a quanto è successo veramente e poi concludere apertamente,
immaginando, nel finale, non solo il rapporto Roy/Riza ma anche quello con
tutti coloro che abbiamo conosciuto in quelle pagine meravigliose.
Spero vi
possa piacere,
Buona
lettura!!!
Raindrops, War and Peace
Facciamo la guerra per
poter vivere in pace
(Aristotele)
Quando
aveva deciso di uscire di casa non era certo di quello che stava per fare.
Proprio per niente. Anche perché uscire sotto la pioggia battente di
quel giorno non era proprio quella che si dice un’idea intelligente.
Specialmente se ti chiami Roy Mustang.
“ Lei è inutile sotto
la pioggia, Colonnello!”
Quelle
parole gli rimbombavano nella testa peggio di un martello pneumatico. O forse
era la voce di lei a rimbombare maggiormente?
In quel momento non avrebbe saputo dirlo.
E forse era anche per questo – principalmente per questo –
che in barba al maltempo aveva deciso di uscire di casa. Per andare da lei. Per andare a vedere come stava.
Perché il senso di colpa non aveva fatto altro che rafforzarsi in quei
giorni in cui si era costretto in solitudine, nel vuoto del suo appartamento,
come un esiliato. O un’eremita!? In fondo nessuno gli aveva detto di
comportarsi a quel modo, l’aveva deciso di lui di testa sua.
E
così si era ritrovato a pensare. A ricordare. Momenti, emozioni, anche
solo un piccolo frammento che con il tempo aveva quasi dimenticato, seppellito
negli angoli più reconditi della sua anima. E tutto era tornato a galla,
come in un film già visto mille e più volte e nonostante tutto
dimenticato. Che fosse stato troppo frettoloso nella sua vita? Che davvero
avesse preferito velarsi gli occhi fingendo di non vedere realmente ciò
che gli stava intorno? No, Roy Mustang sapeva perfettamente che non era così.
Lui sapeva di aver visto, e anche
molto chiaramente. Semplicemente aveva preferito far finta di niente, andando
avanti per la sua strada, riservando il resto al dopo.
E quel
dopo, seppur non come l’aveva immaginato, era arrivato davvero. E dire
che nell’ultimo periodo aveva quasi creduto che ciò non sarebbe
mai successo! Eppure eccolo lì, Roy Mustang, l’eroe. Il suo nome e
quello di molti altri era sulla bocca di tutti in quei giorni. E probabilmente
sarebbe stato così ancora a lungo. In fondo non era poco ciò che
avevano fatto. Neanche lontanamente. Per anni si sarebbe continuato a parlare
di quanto era successo pochi giorni prima. E per anni una parte della
verità sarebbe stata occultata ai più, in modo che questi non
potessero spezzarsi.
“ La verità è
crudele, ma è sempre giusta…”
Non
ricordava esattamente da chi avesse sentito quella frase, se fosse solo il
racconto di un racconto, ma sapeva per certo che era vera. E lui lo aveva
scoperto a proprie spese, sputando sangue e spezzandosi le ossa.
In quella
sua camminata solitaria per la città grondante d’acqua si
ritrovò più volte a fissare le ignare persone che passeggiavano
tranquille sotto la pioggia, chiacchierando allegramente, pacifiche nel non
sapere cosa davvero si nascondesse dietro ai fatti della settimana prima. E a
Roy fecero una pena inimmaginabile.
Aveva
già suonato il campanello quando, ancora una volta, si chiese che
accidenti ci era andato a fare lì. Senso di colpa? Si, forse…
Preoccupazione? Sicuramente! Qualcosa d’altro? A questa domanda non
trovò una risposta, e fu quasi tentato di filarsela. Ma proprio nel
momento in cui stava per darsela a gambe un abbaiare insistente lo fermò
dai suoi tentativi; qualche attimo dopo sentì anche dei velati
rimproveri posti senza troppa voglia. E la porta si aprì rivelando ai
suoi occhi una figura che gli fece tremare il cuore.
“
Colonnello…” Disse lei con voce bassa e roca, ricordo ancora
visibile del profondo taglio che le aveva quasi reciso la giugulare.
Da quel
flebile saluto Roy intuì che lei non era sorpresa nel vederlo lì.
Sapeva che sarebbe venuto. E forse lo stava addirittura aspettando. E infatti
la vide spostarsi di lato permettendogli di entrare in casa.
Il salotto
– se davvero così lo si poteva chiamare – era un disastro
totale e l’unica cosa che gli suggerisse quel nome erano un piccolo
divano dall’aria vecchia, un tavolino di vetro e una televisione che Roy
conosceva benissimo. E come avrebbe potuto dimenticarla dato che l’aveva
quasi fatta scoppiare?! Si guardò intorno spaesato nel vedere ancora
roba imballata negli scatoloni per poi voltarsi a fissare la donna quando la
sentì chiedere la porta.
“ Non
ho ancora trovato il tempo di sistemare tutto.” Disse lei intuendo i
pensieri del suo superiore. “ Ma sinceramente parlando non credo abbia
molto senso a questo punto.”
“ Ti
riferisci all’ordine di trasferimento al Quartier Generale
dell’Est?”
“
È arrivato poco fa.” E indicò la busta ancora aperta
appoggiata sul tavolino.
“
Capisco.”
Si, Roy
capiva davvero. E sempre. Almeno quando c’era davvero qualcosa di serio
da capire; altrimenti faceva orecchie da mercante e via che si continua.
“ Si
accomodi pure.” Disse Riza distogliendolo dall’analisi che ancora
stava facendo alla sua casa. “ Può sedersi sul divano mente io
preparo un tè caldo.” E scomparve
in cucina. Che poi, scomparve non era
proprio vero. La cucina, una piccola stanza adiacente al soggiorno, non aveva
una porta che celasse la sua inquilina, e quindi Roy aveva una netta visione
del suo Tenente che armeggiava con i
fornelli.
Guardandola
un sorriso gli scappò naturale. In quella Riza che stava preparando il
tè rivedeva la figura della ragazzina che aveva conosciuto tanto tempo
prima; quella ragazzina che gli rispondeva per le rime e lo accudiva quando,
non ancora pratico, si bruciacchiava da solo i polsi o il naso. Quella
ragazzina che, seduta nella grande biblioteca di casa Hawkeye, leggeva
tranquillamente questo o quel libro, essendo per lui una compagnia discreta ma
tangibile. Quella ragazzina che non si faceva scrupoli ad arrampicarsi su quel
grande melo per coglierne i frutti rossi e che non aveva paura ad accettare le
sue sfide senza senso che più di una volta li avevano cacciati nei guai.
Quella ragazzina ch’era stata una presenza fissa e sincera per tutta la
sua adolescenza e, in seguito, per tutto il tempo ch’era venuto. Il tempo
dei sogni davanti ad una tomba; il tempo degli ideali più grandi di
qualsiasi cosa, talmente forti da far svelare i segreti più pericolosi; il tempo della guerra di Ishbar, di quei
sogni e di quegli ideali spezzati, gettati nella polvere senza premura alcuna e
lavati con il sangue d’innocenti a cui loro stessi avevano tolto la vita;
e poi il tempo del rialzarsi, del fare nuovi sogni, del continuare ad andare
avanti, sempre insieme, l’uno la forza dell’altra. Avevano passato
così tanto tempo assieme che Roy si rese conto che, nei trent’anni
che aveva vissuto, venti erano parte integrante dei ventisette di Riza.
Incredibile come si fosse reso conto di una cosa così semplice solo in
quel momento.
La mano
diafana della donna che gli posava elegantemente la tazza davanti al naso lo
distolse da quei pensieri. Sentii il divano piegarsi accanto a lui e un attimo
dopo Riza vi sprofondò dentro con un sospiro soddisfatto.
“ Le
conviene berlo finché è ancora caldo. Dopo non ha per niente un
buon sapore.” Disse mentre rigirava pigramente la tazza bollente tra le
mani candide che ancora portavano tagli e bende. Così come quelle del
Colonnello.
Lui prese
la tazza e ne bevve un sorso prima di appoggiarla nuovamente sul tavolino e
fissare la donna che gli stava affianco. Era così bella! Anche con i
capelli nuovamente corti, come tanti anni prima. E l’impulso di toccarli
era troppo forte per non arrendersi ad esso.
“
Cosa?”
“ Perché li hai tagliati? Stavi così bene prima.”
Disse accarezzando le corte ciocche bionde, lisce e morbide come la seta.
“ In
realtà non era mia intenzione.” Sospirò lei per niente
infastidita da quella carezza lieve. Anche perché se così non
fosse stato Roy avrebbe già avuto un proiettile conficcato in chissà
quale parte del corpo. “ Quando mi hanno ricucita hanno dovuto
tagliarmeli perché intralciavano il lavoro dei medici.”
Roy si
scansò da lei più in fretta di quanto avrebbe voluto.
Era colpa
sua. Sempre e solo colpa sua. Se lei era ferita, se aveva il corpo percorso da
cicatrici, anche se aveva dovuto
tagliarsi i capelli. Era solo ed esclusivamente colpa sua e dei suoi sogni del
cazzo. Quanto ancora dovevano rischiare quelli che lo circondavano prima che
lui raggiungesse il suo scopo? Quanti ancora dovevano soffrire per lui?
“ Non
colpevolizzarti. Non è colpa tua quanto successo.” Disse lei
intuendo i suoi pensieri. Era davvero un libro così aperto per lei? A
tal punto? E perché, improvvisamente, il lei cortese di prima era scomparso?
Ci stiamo per confrontare noi, vero
Riza? Io e te. Roy e Riza. Come avrebbe dovuto essere già da tanto
tempo.
“
Sono io che ho deciso questa scalata folle verso un obbiettivo che forse non
avrei mai raggiunto. E tu…tu sei una pazza! Tu sei completamente
fuori.” Esclamò colpevolizzandosi ancora. Improvvisamente si
sentiva svuotato di tutte le energie. La voglia, i sogni e gli ideai non
riusciva più nemmeno a vederli nella nebbia di rimorsi che lo avvolgeva.
“ Si,
sono una pazza.” Annuì lei con fare gentile. Il suo volto, tuttavia,
era sereno e tranquillo. Non c’era ombra di pentimento o rancore.
Sembrava essere in pace con il mondo. “ Perché solo una pazza
avrebbe scelto di seguire un uomo quasi dilaniato de un’idea infantile e
da un obbiettivo più grande di lui e di tutti coloro che lo
circondavano. Un uomo che, alla vista dell’assassino del suo migliore
amico, ha quasi ceduto alla vendetta lasciandosi trasportare da essa in un
baratro senza fine.”
“
Scusami…”
Riza lo
fissò dolcemente; non la guardava, il viso coperto dalle mani e i gomiti
appoggiati sulle ginocchia. Sembrava solo l’ombra dell’uomo
ch’era stato, del suo
Colonnello. Eppure, per qualche strana ragione, sapeva che l’uomo che le
sedeva accanto era lo stesso che aveva scelto di seguire fino e oltre
l’Inferno.
“ Se
tu… Se non ci fossi stata tu, in quel momento io…” Le parole
morirono lentamente: Roy non aveva più la forza per continuare. Il peso
della colpa della quale si era quasi macchiato gli gravava sulle spalle come un
macigno. Sembrava che lo annullasse. Che gli impedisse di respirare.
“ Io
ci sarei stata comunque.” Disse Riza tornando a rigirare la tazza ora
tiepida tra le dita sottili. “ Non chiedermi come faccio a saperlo. So
per certo che ci sarei stata comunque.”
Lui la
fissò stranito: da quando Riza Hawkeye si lasciava andare a simili
affermazioni?! Va bene che lui aveva conosciuto l’altro lato della donna
che ora sedeva con lui su quel divano vecchio, ma così proprio non
l’aveva mai vista.
“ Da
quando credi nel destino?” Le chiese beffardo sorridendo leggermente.
“ Non
ci credo. Il destino non esiste, siamo noi a forgiare il nostro futuro.
Però…” La vide respirare a fondo e chiudere gli occhi
cercando le parole giuste. “ So solo che sarebbe stato così.
È sempre stato così…semplice. Normale.” E stavolta si
voltò a sorridergli apertamente. E a Roy sembrò un angelo. Un
angelo che per colpa delle sue parole aveva sporcato le sue ali candide
seguendolo all’Inferno.
“
Normale…?!” Mormorò piano. Stranamente la parola aveva un
suono dolce, saturo di calore e sicurezza. Si, Riza aveva ragione: era normale!
Il loro rapporto era sempre stato così. Normale! Era cresciuto poco a
poco, come cresce una pianta. Prima erano stati semplici compagni di lettura,
poi qualcosa aveva iniziato a mutare. Le prima parole, i primi sorrisi… E
poi via! I giochi e le scampagnate quando erano sicuri che il padre di lei non
si accorgesse della loro assenza; le chiacchierate e gli accesi dibattiti in
cui si perdevano per ore, argomenti a volte futili su cui ognuno di loro aveva
però idee e opinioni precise; i piccoli gesti quotidiani, come sbucciare
una mela e curare una bruciatura; e infine l’entrata nella loro giovane
vita della guerra. Che fosse stato allora che qualcosa era definitivamente
cambiato? Che fosse stato in quel momento che, per la prima volta, il loro
rapporto si era solidificato e gesti e parole avevano assunto un altro
significato? Ne Roy ne Riza avrebbero saputo dirlo. Forse proprio perché
era stato normale.
Il loro era
sempre stato un rapporto alquanto strano, eppure a ciascuno era sempre andato
bene così. E andava ancora bene.
“
Basta recriminare, Roy.” Gli disse improvvisamente prendendogli il viso e
accarezzandone il profilo giovanile in cui ritrovò un po’ del
ragazzino ingenuo e combina guai che aveva conosciuto quasi vent’anni
prima. “ Non serve a nessuno ora. Abbiamo affrontato una guerra e ne
siamo usciti nonostante i sogni distrutti. Ci siamo ripromessi di cambiare
questo paese e ce l’abbiamo fatta. E nonostante una seconda guerra sia
stata il prezzo da pagare va bene così.” La sua mano
tracciò dolcemente la linea del naso e poi discese lungo le labbra
sottili.
“ Ma
le ferite…”
“ Le ferite guariscono. Il corpo si risana, Roy. E le cicatrici che
rimangono sono i segni della vita e delle scelte che abbiamo fatto. Saranno un
monito, il ricordo sempre presente della strada sulla quale abbiamo deciso di
camminare, così da non poter più perdere la via.” Le dita
di lei accarezzarono il pomo d’adamo e si tuffarono infine nella camicia
di lui. Lui che la strinse forte cadendo di schiena e trovandola accoccolata
accanto a se, dove avrebbe sempre voluto averla. Dov’era il suo posto di
sempre.
“
Abbiamo fatto una guerra per avere la pace. E anche se sembrerà un
paradosso mi sta bene così. E mi sta bene continuare a seguirti nella
strada che ti porterà in alto.” Lui si staccò da lei e la
osservò negli occhi come se fosse pazza. Effettivamente aveva confessato
di esserlo. Lei sorrise e gli accarezzo le palpebre. “ Questi tuoi occhi
vedono di nuovo, e questo vuol dire che non ci si può fermare. La vetta
non è ancora stata raggiunta. E fino a che non sarai lì io non ti
lascerò.”
“ E dopo?” Chiese lui in un sussurrò stringendola più
forte a se, inebriandosi del profumo dei suoi capelli.
“
Dopo continuerò ad esserci. Sempre e comunque. Non ti libererai di me
tanto facilmente.” E se questo era una sfida, Roy Mustang era certo di
voler perdere.
Riza aveva
ragione, si disse mentre la sentiva stretta accanto a se, il cuore che pulsava
di vita così come il suo.
Lui era
là. I suoi occhi potevano nuovamente vedere il paese che avrebbe difeso
con le unghie e con i denti.
Lei era
lì. Le ferite che già si stavano rimarginando e la determinazione
che bruciava di viva fiamma nelle sue iridi.
Erano loro.
Erano insieme. E improvvisamente Roy si accorse del motivo che l’aveva
spinto a casa di Riza quell’uggioso pomeriggio. Era perché lei gli
ricordava la pioggia, che lui tanto odiava. Lui era il Fuoco, e odiava
l’Acqua. Ma l’Acqua lo completava. Così come Riza completava
il suo cuore.
Non si
erano detti dolci “ti amo” e simili frasi melense. Non serviva, non
a loro. Loro erano insieme. Loro c’erano. E i rimorsi e rancori si erano
dissolti. Una volta per tutte.
East City
era proprio come la ricordavano. Sembrava che fossero passati secoli da quando
c’era stato il trasferimento a Central, eppure erano solo pochi mesi.
Roy e Riza
avevano convenuto di riappropriarsi degli appartamenti ch’erano stati
loro un tempo per prima cosa. In seguito avrebbero messo a posto anche il
resto. Perché c’erano ancora debiti che aspettavano ad essere
saldati. E nessuno di loro due aveva mai amato avere conti in sospeso.
Un salto al
comando militare per registrale il loro arrivo e poi via nuovamente, stavolta
diretti in un luogo ch’era proprio solo a loro.
Villa
Hawkeye era proprio come l’avevano lasciata tanti anni prima. Riza,
quando era entrata in Accademia, si era premurata di impacchettare la casa
così come stava e di lasciarla a marcire da sola. In cuor suo non le
importava un granché di quell’edificio; ciò che voleva,
ciò che inseguiva, i suoi ricordi, erano tutti legati ad una persona. E
quella persona non si trovava più in quella casa.
Una volta
davanti alla grande villa furono entrambi d’accordo che fosse meglio non
entrare. Ambiente sporco a parte non c’era nulla che li portava a
superare quella porta. Non c’era più nulla dentro quella casa.
Solo ricordi che sarebbe stato meglio far occultare se mai fosse stato
possibile.
Passarono
minuti ad osservare l’edificio abbandonato e freddo prima di voltarsi per
dirigersi altrove; c’era un altro posto in cui dovevano andare prima di
potersi ritenere soddisfatti.
La tomba
del maestro Hawkeye era fredda e priva di fiori. Nessuno sarebbe mai andato a
portargliene, e tanto meno l’avrebbe fatto Riza. Non aveva nulla da
spartire con quell’uomo nonostante il suo ultimo pensiero fosse andato a
lei. Era, appunto, l’ultimo. Perché per lui lei era sempre passata
in secondo piano. Sempre e comunque. Davanti a tutto c’era
l’Alchimia.
E poi,
silenziosi com’erano arrivati, se ne andarono. Non era quello il luogo a
cui appartenevano. Il passato era passato. E non sarebbe mai più
ridiventato presente.
Faceva
caldo quel giorno. Il sole batteva limpido e alto nel cielo.
In Quartier
Generale Centrale di Central City era stato rimesso completamente a nuovo e
ora, nell’immenso piazzale, militari e civili si accalcavano per quella
che sarebbe stata una data che nessuno avrebbe mai dimenticato. Tutti –
militari in alta uniforme e civili vestiti al meglio – attendevano con ansia
l’entrata in scena di Roy Mustang, Alchimista di Fuoco e, entro pochi
istanti, nuovo Comandante Supremo.
Il giorno
era finalmente arrivato. E ora Roy poteva farsi vedere davanti a tutta la
popolazione di Amestris.
In prima
fila, in alta uniforme e con il sorriso che non voleva andarsene, stavano Havoc
– perfettamente reintegrato –, Breda, Feury, Falman, Ross, Brosh e
Armstrong. Poco dietro tutti i soldati dell’est e del nord affiancati dai
loro compagni del sud e dell’ovest. E poi tanti altri. Persone che Roy
aveva conosciuto e che stimava infinitamente. Persone che avrebbe tenuto nei
suoi ricordi per sempre.
Tra i
civili, in prima fila, Roy distinse Edward e Winry con i figli, accompagnati da
Al e May. E le chimere. E con loro c’erano anche quei folli di Lin e Lan
Fan, venuti ad assistere al sogno che si realizzava. Perché anche tutti
loro, al pari suo, sarebbero stati le colonne per l’Amestris che
avrebbero costruito tutti insieme. Come colleghi. Come compagni. Come amici.
Accanto a
lui, sul palco, da una parte stava Grumman, pronto a cedergli il testimone, e
dall’altra c’era Riza. Si, perché lui l’aveva voluta
ad ogni costo. Erano arrivati là insieme, avrebbero proseguito insieme.
E ora che Grumman aveva fatto abolire quella stupida regola sulla
fraternizzazione…
Roy non
sentì quando gli vennero tolte le mostrine per mettergli le nuove. Non
sentì nemmeno il boato che esplose e la banda dell’esercito che
aveva iniziato a suonare. Senza farsi vedere strinse forte la mano della donna
che gli stava accanto e le sorrise. E nel momento stesso in cui lo fece lo
stesso identico sorriso si delineò sulla labbra di tutti coloro che
avevano vissuto in prima fila quelli ch’erano stati i giorni più
bui. Lo stesso sorriso. Lo stesso legame. Com’erano arrivati là
assieme così sarebbero andati avanti insieme. Come avevano sempre fatto.
Come avevano scoperto di saper fare così bene. La guerra non era che un
ricordo. Il ricordo che aveva preceduto la pace. Ora aveva inizio la loro nuova vita insieme.
E
chissà come sarebbe stata presa la notizia che, oltre che Comandante
Supremo, Roy Mustang stava per diventare anche marito e padre?!
Come vi sembrava???
Fatemi sapere. Anche tramite critiche. Non preoccupatevi.
Alla prossima.
Baci Baci Rain!!!