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Autore: Rain e Ren    30/09/2010    1 recensioni
" Facciamo la guerra per poter vivere in pace."
(Aristotele)
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Allora…

Allora…?! Al momento non so da dove partire. Davvero. Questa è un’idea che mi frullava dentro dal momento in cui ho letto l’ultimo capitolo del manga.

Ho provato a ripercorrere una piccola parte del passato (inventandola anche) per riallacciami a quanto è successo veramente e poi concludere apertamente, immaginando, nel finale, non solo il rapporto Roy/Riza ma anche quello con tutti coloro che abbiamo conosciuto in quelle pagine meravigliose.

Spero vi possa piacere,

 

 

 

 

 

 

 

 

Buona lettura!!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Raindrops, War and Peace

 

 

 

 

Facciamo la guerra per poter vivere in pace

(Aristotele)

 

 

 

 

Quando aveva deciso di uscire di casa non era certo di quello che stava per fare. Proprio per niente. Anche perché uscire sotto la pioggia battente di quel giorno non era proprio quella che si dice un’idea intelligente. Specialmente se ti chiami Roy Mustang.

 

“ Lei è inutile sotto la pioggia, Colonnello!”

 

Quelle parole gli rimbombavano nella testa peggio di un martello pneumatico. O forse era la voce di lei a rimbombare maggiormente? In quel momento non avrebbe saputo dirlo.  E forse era anche per questo – principalmente per questo – che in barba al maltempo aveva deciso di uscire di casa. Per andare da lei. Per andare a vedere come stava. Perché il senso di colpa non aveva fatto altro che rafforzarsi in quei giorni in cui si era costretto in solitudine, nel vuoto del suo appartamento, come un esiliato. O un’eremita!? In fondo nessuno gli aveva detto di comportarsi a quel modo, l’aveva deciso di lui di testa sua.

E così si era ritrovato a pensare. A ricordare. Momenti, emozioni, anche solo un piccolo frammento che con il tempo aveva quasi dimenticato, seppellito negli angoli più reconditi della sua anima. E tutto era tornato a galla, come in un film già visto mille e più volte e nonostante tutto dimenticato. Che fosse stato troppo frettoloso nella sua vita? Che davvero avesse preferito velarsi gli occhi fingendo di non vedere realmente ciò che gli stava intorno? No, Roy Mustang sapeva perfettamente che non era così. Lui sapeva di aver visto, e anche molto chiaramente. Semplicemente aveva preferito far finta di niente, andando avanti per la sua strada, riservando il resto al dopo.

E quel dopo, seppur non come l’aveva immaginato, era arrivato davvero. E dire che nell’ultimo periodo aveva quasi creduto che ciò non sarebbe mai successo! Eppure eccolo lì, Roy Mustang, l’eroe. Il suo nome e quello di molti altri era sulla bocca di tutti in quei giorni. E probabilmente sarebbe stato così ancora a lungo. In fondo non era poco ciò che avevano fatto. Neanche lontanamente. Per anni si sarebbe continuato a parlare di quanto era successo pochi giorni prima. E per anni una parte della verità sarebbe stata occultata ai più, in modo che questi non potessero spezzarsi.

 

“ La verità è crudele, ma è sempre giusta…”

 

Non ricordava esattamente da chi avesse sentito quella frase, se fosse solo il racconto di un racconto, ma sapeva per certo che era vera. E lui lo aveva scoperto a proprie spese, sputando sangue e spezzandosi le ossa.

In quella sua camminata solitaria per la città grondante d’acqua si ritrovò più volte a fissare le ignare persone che passeggiavano tranquille sotto la pioggia, chiacchierando allegramente, pacifiche nel non sapere cosa davvero si nascondesse dietro ai fatti della settimana prima. E a Roy fecero una pena inimmaginabile.

 

 

Aveva già suonato il campanello quando, ancora una volta, si chiese che accidenti ci era andato a fare lì. Senso di colpa? Si, forse… Preoccupazione? Sicuramente! Qualcosa d’altro? A questa domanda non trovò una risposta, e fu quasi tentato di filarsela. Ma proprio nel momento in cui stava per darsela a gambe un abbaiare insistente lo fermò dai suoi tentativi; qualche attimo dopo sentì anche dei velati rimproveri posti senza troppa voglia. E la porta si aprì rivelando ai suoi occhi una figura che gli fece tremare il cuore.

“ Colonnello…” Disse lei con voce bassa e roca, ricordo ancora visibile del profondo taglio che le aveva quasi reciso la giugulare.

Da quel flebile saluto Roy intuì che lei non era sorpresa nel vederlo lì. Sapeva che sarebbe venuto. E forse lo stava addirittura aspettando. E infatti la vide spostarsi di lato permettendogli di entrare in casa.

Il salotto – se davvero così lo si poteva chiamare – era un disastro totale e l’unica cosa che gli suggerisse quel nome erano un piccolo divano dall’aria vecchia, un tavolino di vetro e una televisione che Roy conosceva benissimo. E come avrebbe potuto dimenticarla dato che l’aveva quasi fatta scoppiare?! Si guardò intorno spaesato nel vedere ancora roba imballata negli scatoloni per poi voltarsi a fissare la donna quando la sentì chiedere la porta.

“ Non ho ancora trovato il tempo di sistemare tutto.” Disse lei intuendo i pensieri del suo superiore. “ Ma sinceramente parlando non credo abbia molto senso a questo punto.”

“ Ti riferisci all’ordine di trasferimento al Quartier Generale dell’Est?”

“ È arrivato poco fa.” E indicò la busta ancora aperta appoggiata sul tavolino.

“ Capisco.”

Si, Roy capiva davvero. E sempre. Almeno quando c’era davvero qualcosa di serio da capire; altrimenti faceva orecchie da mercante e via che si continua.

“ Si accomodi pure.” Disse Riza distogliendolo dall’analisi che ancora stava facendo alla sua casa. “ Può sedersi sul divano mente io preparo un tè caldo.” E scomparve in cucina. Che poi, scomparve non era proprio vero. La cucina, una piccola stanza adiacente al soggiorno, non aveva una porta che celasse la sua inquilina, e quindi Roy aveva una netta visione del suo Tenente che armeggiava con i fornelli.

Guardandola un sorriso gli scappò naturale. In quella Riza che stava preparando il tè rivedeva la figura della ragazzina che aveva conosciuto tanto tempo prima; quella ragazzina che gli rispondeva per le rime e lo accudiva quando, non ancora pratico, si bruciacchiava da solo i polsi o il naso. Quella ragazzina che, seduta nella grande biblioteca di casa Hawkeye, leggeva tranquillamente questo o quel libro, essendo per lui una compagnia discreta ma tangibile. Quella ragazzina che non si faceva scrupoli ad arrampicarsi su quel grande melo per coglierne i frutti rossi e che non aveva paura ad accettare le sue sfide senza senso che più di una volta li avevano cacciati nei guai. Quella ragazzina ch’era stata una presenza fissa e sincera per tutta la sua adolescenza e, in seguito, per tutto il tempo ch’era venuto. Il tempo dei sogni davanti ad una tomba; il tempo degli ideali più grandi di qualsiasi cosa, talmente forti da far svelare i segreti più pericolosi;  il tempo della guerra di Ishbar, di quei sogni e di quegli ideali spezzati, gettati nella polvere senza premura alcuna e lavati con il sangue d’innocenti a cui loro stessi avevano tolto la vita; e poi il tempo del rialzarsi, del fare nuovi sogni, del continuare ad andare avanti, sempre insieme, l’uno la forza dell’altra. Avevano passato così tanto tempo assieme che Roy si rese conto che, nei trent’anni che aveva vissuto, venti erano parte integrante dei ventisette di Riza. Incredibile come si fosse reso conto di una cosa così semplice solo in quel momento.

La mano diafana della donna che gli posava elegantemente la tazza davanti al naso lo distolse da quei pensieri. Sentii il divano piegarsi accanto a lui e un attimo dopo Riza vi sprofondò dentro con un sospiro soddisfatto.

“ Le conviene berlo finché è ancora caldo. Dopo non ha per niente un buon sapore.” Disse mentre rigirava pigramente la tazza bollente tra le mani candide che ancora portavano tagli e bende. Così come quelle del Colonnello.

Lui prese la tazza e ne bevve un sorso prima di appoggiarla nuovamente sul tavolino e fissare la donna che gli stava affianco. Era così bella! Anche con i capelli nuovamente corti, come tanti anni prima. E l’impulso di toccarli era troppo forte per non arrendersi ad esso.

“ Cosa?”
“ Perché li hai tagliati? Stavi così bene prima.” Disse accarezzando le corte ciocche bionde, lisce e morbide come la seta.

“ In realtà non era mia intenzione.” Sospirò lei per niente infastidita da quella carezza lieve. Anche perché se così non fosse stato Roy avrebbe già avuto un proiettile conficcato in chissà quale parte del corpo. “ Quando mi hanno ricucita hanno dovuto tagliarmeli perché intralciavano il lavoro dei medici.”

Roy si scansò da lei più in fretta di quanto avrebbe voluto.

Era colpa sua. Sempre e solo colpa sua. Se lei era ferita, se aveva il corpo percorso da cicatrici, anche se aveva dovuto tagliarsi i capelli. Era solo ed esclusivamente colpa sua e dei suoi sogni del cazzo. Quanto ancora dovevano rischiare quelli che lo circondavano prima che lui raggiungesse il suo scopo? Quanti ancora dovevano soffrire per lui?

“ Non colpevolizzarti. Non è colpa tua quanto successo.” Disse lei intuendo i suoi pensieri. Era davvero un libro così aperto per lei? A tal punto? E perché, improvvisamente, il lei cortese di prima era scomparso?

 

Ci stiamo per confrontare noi, vero Riza? Io e te. Roy e Riza. Come avrebbe dovuto essere già da tanto tempo.

 

“ Sono io che ho deciso questa scalata folle verso un obbiettivo che forse non avrei mai raggiunto. E tu…tu sei una pazza! Tu sei completamente fuori.” Esclamò colpevolizzandosi ancora. Improvvisamente si sentiva svuotato di tutte le energie. La voglia, i sogni e gli ideai non riusciva più nemmeno a vederli nella nebbia di rimorsi che lo avvolgeva.

“ Si, sono una pazza.” Annuì lei con fare gentile. Il suo volto, tuttavia, era sereno e tranquillo. Non c’era ombra di pentimento o rancore. Sembrava essere in pace con il mondo. “ Perché solo una pazza avrebbe scelto di seguire un uomo quasi dilaniato de un’idea infantile e da un obbiettivo più grande di lui e di tutti coloro che lo circondavano. Un uomo che, alla vista dell’assassino del suo migliore amico, ha quasi ceduto alla vendetta lasciandosi trasportare da essa in un baratro senza fine.”

“ Scusami…”

Riza lo fissò dolcemente; non la guardava, il viso coperto dalle mani e i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Sembrava solo l’ombra dell’uomo ch’era stato, del suo Colonnello. Eppure, per qualche strana ragione, sapeva che l’uomo che le sedeva accanto era lo stesso che aveva scelto di seguire fino e oltre l’Inferno.

“ Se tu… Se non ci fossi stata tu, in quel momento io…” Le parole morirono lentamente: Roy non aveva più la forza per continuare. Il peso della colpa della quale si era quasi macchiato gli gravava sulle spalle come un macigno. Sembrava che lo annullasse. Che gli impedisse di respirare.

“ Io ci sarei stata comunque.” Disse Riza tornando a rigirare la tazza ora tiepida tra le dita sottili. “ Non chiedermi come faccio a saperlo. So per certo che ci sarei stata comunque.”

Lui la fissò stranito: da quando Riza Hawkeye si lasciava andare a simili affermazioni?! Va bene che lui aveva conosciuto l’altro lato della donna che ora sedeva con lui su quel divano vecchio, ma così proprio non l’aveva mai vista.

“ Da quando credi nel destino?” Le chiese beffardo sorridendo leggermente.

“ Non ci credo. Il destino non esiste, siamo noi a forgiare il nostro futuro. Però…” La vide respirare a fondo e chiudere gli occhi cercando le parole giuste. “ So solo che sarebbe stato così. È sempre stato così…semplice. Normale.” E stavolta si voltò a sorridergli apertamente. E a Roy sembrò un angelo. Un angelo che per colpa delle sue parole aveva sporcato le sue ali candide seguendolo all’Inferno.

“ Normale…?!” Mormorò piano. Stranamente la parola aveva un suono dolce, saturo di calore e sicurezza. Si, Riza aveva ragione: era normale! Il loro rapporto era sempre stato così. Normale! Era cresciuto poco a poco, come cresce una pianta. Prima erano stati semplici compagni di lettura, poi qualcosa aveva iniziato a mutare. Le prima parole, i primi sorrisi… E poi via! I giochi e le scampagnate quando erano sicuri che il padre di lei non si accorgesse della loro assenza; le chiacchierate e gli accesi dibattiti in cui si perdevano per ore, argomenti a volte futili su cui ognuno di loro aveva però idee e opinioni precise; i piccoli gesti quotidiani, come sbucciare una mela e curare una bruciatura; e infine l’entrata nella loro giovane vita della guerra. Che fosse stato allora che qualcosa era definitivamente cambiato? Che fosse stato in quel momento che, per la prima volta, il loro rapporto si era solidificato e gesti e parole avevano assunto un altro significato? Ne Roy ne Riza avrebbero saputo dirlo. Forse proprio perché era stato normale.

Il loro era sempre stato un rapporto alquanto strano, eppure a ciascuno era sempre andato bene così. E andava ancora bene.

“ Basta recriminare, Roy.” Gli disse improvvisamente prendendogli il viso e accarezzandone il profilo giovanile in cui ritrovò un po’ del ragazzino ingenuo e combina guai che aveva conosciuto quasi vent’anni prima. “ Non serve a nessuno ora. Abbiamo affrontato una guerra e ne siamo usciti nonostante i sogni distrutti. Ci siamo ripromessi di cambiare questo paese e ce l’abbiamo fatta. E nonostante una seconda guerra sia stata il prezzo da pagare va bene così.” La sua mano tracciò dolcemente la linea del naso e poi discese lungo le labbra sottili.

“ Ma le ferite…”
“ Le ferite guariscono. Il corpo si risana, Roy. E le cicatrici che rimangono sono i segni della vita e delle scelte che abbiamo fatto. Saranno un monito, il ricordo sempre presente della strada sulla quale abbiamo deciso di camminare, così da non poter più perdere la via.” Le dita di lei accarezzarono il pomo d’adamo e si tuffarono infine nella camicia di lui. Lui che la strinse forte cadendo di schiena e trovandola accoccolata accanto a se, dove avrebbe sempre voluto averla. Dov’era il suo posto di sempre.

“ Abbiamo fatto una guerra per avere la pace. E anche se sembrerà un paradosso mi sta bene così. E mi sta bene continuare a seguirti nella strada che ti porterà in alto.” Lui si staccò da lei e la osservò negli occhi come se fosse pazza. Effettivamente aveva confessato di esserlo. Lei sorrise e gli accarezzo le palpebre. “ Questi tuoi occhi vedono di nuovo, e questo vuol dire che non ci si può fermare. La vetta non è ancora stata raggiunta. E fino a che non sarai lì io non ti lascerò.”
“ E dopo?” Chiese lui in un sussurrò stringendola più forte a se, inebriandosi del profumo dei suoi capelli.

“ Dopo continuerò ad esserci. Sempre e comunque. Non ti libererai di me tanto facilmente.” E se questo era una sfida, Roy Mustang era certo di voler perdere.

Riza aveva ragione, si disse mentre la sentiva stretta accanto a se, il cuore che pulsava di vita così come il suo.

Lui era là. I suoi occhi potevano nuovamente vedere il paese che avrebbe difeso con le unghie e con i denti.

Lei era lì. Le ferite che già si stavano rimarginando e la determinazione che bruciava di viva fiamma nelle sue iridi.

Erano loro. Erano insieme. E improvvisamente Roy si accorse del motivo che l’aveva spinto a casa di Riza quell’uggioso pomeriggio. Era perché lei gli ricordava la pioggia, che lui tanto odiava. Lui era il Fuoco, e odiava l’Acqua. Ma l’Acqua lo completava. Così come Riza completava il suo cuore.

Non si erano detti dolci “ti amo” e simili frasi melense. Non serviva, non a loro. Loro erano insieme. Loro c’erano. E i rimorsi e rancori si erano dissolti. Una volta per tutte.

 

 

 

East City era proprio come la ricordavano. Sembrava che fossero passati secoli da quando c’era stato il trasferimento a Central, eppure erano solo pochi mesi.

Roy e Riza avevano convenuto di riappropriarsi degli appartamenti ch’erano stati loro un tempo per prima cosa. In seguito avrebbero messo a posto anche il resto. Perché c’erano ancora debiti che aspettavano ad essere saldati. E nessuno di loro due aveva mai amato avere conti in sospeso.

Un salto al comando militare per registrale il loro arrivo e poi via nuovamente, stavolta diretti in un luogo ch’era proprio solo a loro.

Villa Hawkeye era proprio come l’avevano lasciata tanti anni prima. Riza, quando era entrata in Accademia, si era premurata di impacchettare la casa così come stava e di lasciarla a marcire da sola. In cuor suo non le importava un granché di quell’edificio; ciò che voleva, ciò che inseguiva, i suoi ricordi, erano tutti legati ad una persona. E quella persona non si trovava più in quella casa.

Una volta davanti alla grande villa furono entrambi d’accordo che fosse meglio non entrare. Ambiente sporco a parte non c’era nulla che li portava a superare quella porta. Non c’era più nulla dentro quella casa. Solo ricordi che sarebbe stato meglio far occultare se mai fosse stato possibile.

Passarono minuti ad osservare l’edificio abbandonato e freddo prima di voltarsi per dirigersi altrove; c’era un altro posto in cui dovevano andare prima di potersi ritenere soddisfatti.

La tomba del maestro Hawkeye era fredda e priva di fiori. Nessuno sarebbe mai andato a portargliene, e tanto meno l’avrebbe fatto Riza. Non aveva nulla da spartire con quell’uomo nonostante il suo ultimo pensiero fosse andato a lei. Era, appunto, l’ultimo. Perché per lui lei era sempre passata in secondo piano. Sempre e comunque. Davanti a tutto c’era l’Alchimia.

E poi, silenziosi com’erano arrivati, se ne andarono. Non era quello il luogo a cui appartenevano. Il passato era passato. E non sarebbe mai più ridiventato presente.

 

 

 

 

Faceva caldo quel giorno. Il sole batteva limpido e alto nel cielo.

In Quartier Generale Centrale di Central City era stato rimesso completamente a nuovo e ora, nell’immenso piazzale, militari e civili si accalcavano per quella che sarebbe stata una data che nessuno avrebbe mai dimenticato. Tutti – militari in alta uniforme e civili vestiti al meglio – attendevano con ansia l’entrata in scena di Roy Mustang, Alchimista di Fuoco e, entro pochi istanti, nuovo Comandante Supremo.

Il giorno era finalmente arrivato. E ora Roy poteva farsi vedere davanti a tutta la popolazione di Amestris.

In prima fila, in alta uniforme e con il sorriso che non voleva andarsene, stavano Havoc – perfettamente reintegrato –, Breda, Feury, Falman, Ross, Brosh e Armstrong. Poco dietro tutti i soldati dell’est e del nord affiancati dai loro compagni del sud e dell’ovest. E poi tanti altri. Persone che Roy aveva conosciuto e che stimava infinitamente. Persone che avrebbe tenuto nei suoi ricordi per sempre.

Tra i civili, in prima fila, Roy distinse Edward e Winry con i figli, accompagnati da Al e May. E le chimere. E con loro c’erano anche quei folli di Lin e Lan Fan, venuti ad assistere al sogno che si realizzava. Perché anche tutti loro, al pari suo, sarebbero stati le colonne per l’Amestris che avrebbero costruito tutti insieme. Come colleghi. Come compagni. Come amici.

Accanto a lui, sul palco, da una parte stava Grumman, pronto a cedergli il testimone, e dall’altra c’era Riza. Si, perché lui l’aveva voluta ad ogni costo. Erano arrivati là insieme, avrebbero proseguito insieme. E ora che Grumman aveva fatto abolire quella stupida regola sulla fraternizzazione…

Roy non sentì quando gli vennero tolte le mostrine per mettergli le nuove. Non sentì nemmeno il boato che esplose e la banda dell’esercito che aveva iniziato a suonare. Senza farsi vedere strinse forte la mano della donna che gli stava accanto e le sorrise. E nel momento stesso in cui lo fece lo stesso identico sorriso si delineò sulla labbra di tutti coloro che avevano vissuto in prima fila quelli ch’erano stati i giorni più bui. Lo stesso sorriso. Lo stesso legame. Com’erano arrivati là assieme così sarebbero andati avanti insieme. Come avevano sempre fatto. Come avevano scoperto di saper fare così bene. La guerra non era che un ricordo. Il ricordo che aveva preceduto la pace. Ora aveva inizio la loro nuova vita insieme.

E chissà come sarebbe stata presa la notizia che, oltre che Comandante Supremo, Roy Mustang stava per diventare anche marito e padre?!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come vi sembrava???

Fatemi sapere. Anche tramite critiche. Non preoccupatevi.

Alla prossima.

Baci Baci Rain!!!

   
 
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