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Autore: Doralice    30/09/2010    7 recensioni
Sette scalini tra Claire e Gabriel. Sette gradi di differenza da superare.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Claire Bennet, Peter Petrelli, Sylar
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Note:

E lo sapevo che non l'avevo finita con le Sylar/Claire. Anche qui un brano per capitolo (ormai è un vizio), ma il tono generale è abbastanza diverso dalle altre, è molto più zuccherosa. Spero comunque che vi piaccia. Buona lettura!







Step One: Dream


Chi sogna e chi viene sognato

non sono svegli nella stessa misura.

- Jostein Gaarder -



Il sonno era un manto leggero, bastava poco per scostarlo. Claire passò dal dormiveglia al sogno senza soluzione di continuità e attese, respirando l'aria ferma.

Emerse dall'ombra, come sempre. Si mosse cauto e silenzioso come un gatto. L'aveva fatto altre volte, ma si era sempre limitato ad osservarla incuriosito. Quella sera era diverso. Claire aveva imparato il rituale fin dalla prima volta e capì subito che era cambiato qualcosa.

Non era più atterrita come all'inizio. L'aveva abituata alla sua presenza ed ora lo guardava con la stessa curiosità. Le mani lungo i fianchi, la posa rilassata: le stava mostrando quanto era innocuo. Si azzardò ad avvicinarsi a lei e quando posò un ginocchio sul letto non reagì.

Mille allarmi scattarono nella sua testa. Scappa, – le diceva una vocina – scappa finché sei in tempo. Ma Claire non si mosse.

Avanzò piano, attento alle sue reazioni. Non parlava, non la toccava, non faceva niente. Le stava sopra e la guardava e basta. Claire lo osservò a sua volta, guardinga: i lineamenti tagliati dall'ombra, il suo odore, il suo respiro.

Ogni più piccolo rumore era moltiplicato dal silenzio. Il fruscio delle lenzuola mentre si chinò su di lei fu assordante. Continuò a non toccarla, non la sfiorò nemmeno, mentre mosse le labbra sulle sue. Claire fu così sorpresa che ancora una volta non riuscì a difendersi.

Perché difendersi, poi? Non era bloccata, non la stava costringendo.

È solo un trucco... – incalzò la vocina.

Ma era facile ignorarla. Come era facile schiudere la bocca a quell'invito. Non fu un bacio profondo, Claire quasi gli dovette rincorrere le labbra mentre le lingue si sfioravano. Aveva il fiato corto e il cuore che impazzava in petto. Voleva quel calore che le aveva fatto assaggiare, lo voleva tutto.

Si scostò da lei e la osservò tranquillo. Claire sbatté le ciglia confusa e affannata. Quando spostò una mano sulla sua guancia e l'accarezzò piano, si svegliò con un sussulto.

Stessa stanza, stessa notte, ma l'aria non era ferma. Claire si puntellò sui gomiti e lo guardò, appollaiato sul davanzale della finestra come un corvo – o un incubus. Si scambiarono una lunga occhiata, senza dire una parola. E poi lui svanì nella notte.

Claire ricadde sul letto, le mani strette sulle lenzuola e la testa annebbiata da un caotico guazzabuglio di emozioni. Le altre volte non era mai stato presente fisicamente, si era limitato ad entrare nella sua testa. Perché quella notte era lì? Cosa era cambiato?

Attese l'alba senza dormire.

~~~

Dire che era euforica sarebbe un eufemismo. Non aveva chiuso occhio, eppure non si era mai sentita così carica. Aveva la mente in fibrillazione: sentiva il bisogno di capire, di vedere chiaro. E c'era solo una persona che poteva aiutarla in tal senso.

Toh, il mio zio preferito! –

Non chiamarmi così, – la rimproverò Peter – mi fai sentire vecchio! –

Toh, il mio giovane zio preferito. – lo canzonò dandogli una spallata.

Le scompigliò i capelli con uno sbuffo divertito.

Cosa posso fare per te? – le chiese.

Offrirmi il pranzo. –

Alzò gli occhi al cielo: – A parte quello. –

Non ti sfugge niente, eh? – sogghignò.

Lamentati anche. –

La mensa dell'ospedale era quasi vuota a quell'ora. S'infilarono lì e a metà pasto, quando ormai aveva capito che non poteva più rimandare, lanciò la bomba.

Ho bisogno di sapere cos'è successo nell'incubo di Sylar. –

Peter la guardò con un'espressione indecifrabile.

È tornato a cercarti? –

Abbassò lo sguardo sul piatto: – In un certo senso. –

Claire... – fece in tono ansioso.

È tutto apposto. – lo tranquillizzò con un sorriso – Ti va di raccontarmi? –

Lo vide aprire la bocca e richiuderla, titubante.

Non posso. – disse con aria affranta.

Lo immaginavo. – borbottò tra sé.

È una cosa troppo... – s'interruppe sentendo le sue parole – non sei arrabbiata? –

Scosse la testa: – Non so cosa sia successo, ma non deve essere stata una gita a Disneyland. –

Non è quello. – disse con un piccola smorfia – Io non avrei problemi, non con te... ma... –

Si tratta della sua testa. – concluse lei.

Peter si strinse nelle spalle con un piccolo “Già”. Claire sospirò davanti a quel vicolo cieco: avrebbe potuto anche arrivarci da sola in fin dei conti, ma le serviva una conferma.

Vorrà dire che dovrò andare direttamente da lui. – rifletté.

Tu vuoi...? – balbettò lui incredulo – Credevo che lo odiassi. –

Gli lanciò un'occhiata obliqua.

Non lo so. – batté le palpebre accigliata – Non capisco cosa... lui è cambiato. –

E ti basta questo? – fece sorpreso.

Tu non ti sei fatto problemi ad accettarlo, perché dovrei farmene io? – ribatté puntandosi una mano al petto.

Non era polemica, voleva solo capire. Peter si lasciò andare contro la sedia e la guardò perplesso.

È che... non credevo... – disse confuso – Claire, cosa state combinando? –

Ma non lo so. – ripeté seccata, stufa di tutti quei dannati “non lo so” – È per questo che ho bisogno di parlargli. –

Be', l'indirizzo ce l'hai. – le fece notare.

È il coraggio che mi manca. – ammise ficcandosi le mani sotto le cosce e facendosi piccola piccola.

Peter le passò un braccio attorno alle spalle.

Ehi, non sei tu la cheerleader che si è lanciata dalla ruota panoramica in diretta nazionale? – scherzò.

Già, – fece lei a mezzabocca – sembra passato un secolo, eh? Come va con Emma? –

Il volto di Peter si aprì in un sorriso: – Alla grande. Non cambiare discorso.–

Beccata!

Non hai un orologio da farti aggiustare? –

No. – borbottò imbronciata.

Allora rompine uno. – le suggerì scherzoso.

Come si permetteva di scherzare sulle sue disgrazie?! Gli pizzicò il fianco. Peter reagì mettendola sotto e sfregando il pugno sulla sua testa.

Ehi! – protestò divincolandosi da lui – Sono una signora, che cavolo! –

Te ne ricordi sempre quando ti fa comodo. – ridacchiò lasciandola andare.

Andrai da lui? – aggiunse, tornando serio.

Non lo so. – mugugnò scrollando le spalle.

Dovresti eliminarne qualcuno di questi “non lo so”. – l'ammonì saggiamente.

Claire decise che aveva ragione nel momento in cui si ricordò del suo vecchio carillon.


.~:°:~.


Stava lavorando ad un Roskopf di metà ottocento, quando sentì il tintinnio della porta. Irrigidì la presa sulle pinze, perché quel dlin-dlon lo stava aspettando da una vita.

La vide avanzare a passi incerti, una scatolina stretta in mano a mo di scudo, gli occhi sgranati. Si chiese quanto avrebbe resistito prima di crollare al suolo svenuta.

Ehi. – fece, cercando di apparire il più naturale possibile e ottenendo come risultato di sentirsi un perfetto idiota.

Lei rispose con un flebile “Ciao” e posò la scatolina sul bancone. Gabriel aveva la sgradevole sensazione di averle fatto rizzare i capelli sulla nuca.

Si schiarì la voce: – È un carillon. –

Vedo. – fece lui aprendolo e studiandolo.

Si è rotto. – precisò lei, infilando le mani in tasca e guardandosi intorno nervosamente.

Gabriel le lanciò un'occhiata da sopra gli occhiali e capì all'istante due cose. Numero uno: quando era agitata era ancora più carina, gli faceva venire voglia di baciarla. Numero due: il punto numero uno significava che era fottuto.

Ripassa in settimana. – le disse mettendo il carillon da parte.

Claire si morse le labbra e lo guardò di traverso, masticò un “Ok” e scappò via. Gabriel fissò la porta sgomento per un lungo istante, infine scosse la testa e tornò al Roskopf.

~~~

Aprì la porta di casa e un miagolio lo accolse. Guardò in basso: la palla di pelo come al solito faceva il ruffiano. Cosa gli fosse passato per la testa quel giorno che se l'era trovato davanti al portone, non lo sapeva proprio, fattostà che l'aveva preso con sé e adesso Gatto aveva messo radici nel suo appartamento. Sì, lo chiamava Gatto e basta: Tenente Colombo docet.

Era nero, spelacchiato e aveva gli occhi di colore diverso. Forse si era fatto infinocchiare da questo, dal suo aspetto che gli ricordava così tanto sé stesso. Ogni tanto ci parlava e lui lo guardava con l'aria svagata di chi si chiede “che cazzo vuole questo?” e lui un po' si sentiva una patetica zitella, ma non ci badava più di tanto.

Lo agguantò e lo lanciò via pigramente. Si tolse il cappotto e sfogliò la posta – bollette, bollette, bollette, pubblicità, riunione condominiale, pubblicità. Controllò che come sempre non ci fossero messaggi in segreteria, annaffiò le piante, diede le crocchette a Gatto.

Lui fece un “miao” poco convinto e Gabriel si accigliò: – Zitto e mangia. –

Si guardò intorno con aria smarrita: cazzo, era davvero una patetica zitella!

Si abbandonò sul divano strofinandosi il volto. Lo sguardo gli cadde sul capotto appeso, con la tasca che spiccava gonfia. Si avvicinò e lo osservò con diffidenza. Alla fine cedette e tirò fuori il carillon: se l'era portato via così, senza un motivo.

Tornò a sedersi rigirandoselo tra le mani come fosse un cubo di Rubik, mentre Gatto saltava affianco a lui e prendeva a farsi le pulizie.

Gabriel sollevò il coperchio, come aveva già fatto, e caricò la rotella. Il suono ne uscì distorto e scordato, mentre la ballerina non accennò neanche un passo di danza. Lo portò all'orecchio e chiuse gli occhi... eccolo, lo sentiva fluttuare... sarebbe bastato poco, appena un gesto, per rimettere tutto a posto.

Ma non oggi.

Tornò a guardarlo e fermò il meccanismo. Lo posò sul tavolino davanti a sé e accarezzò distrattamente Gatto.

Credi che tornerà? –

Gatto si stiracchiò e gli balzò sulle gambe, appallottolandosi per bene e facendo pur-pur. Gabriel lo guardò truce mentre gli piantava le unghie nei jeans: quelle bestie avevano uno strano modo di dimostrare affetto.

Ahio. – fece in tono d'avvertimento.

Gatto alzò il musetto verso di lui e Gabriel scrutò quegli occhi anomali.

E non guardarmi con quell'aria di commiserazione. – lo rimproverò.

Gatto socchiuse gli occhi e aumentò le fusa con aria soddisfatta.

Come parlare al vento...

Gabriel guardò ancora una volta il carillon. Allungò la mano per richiudere il coperchio e una scarica improvvisa di ricordi gli invase la testa.

Sandra Bennet che lo impacchetta con carta color pesca. Sorride al marito mentre mette un fiocchetto dorato sopra.

Claire che lo stringe tra le manine paffute, la carta strappata, la bocca sporca di crema e cioccolato aperta in un sorriso sdentato.

Claire che ascolta il suono e osserva la ballerina, incantata. Noah Bennet apre la porta della sua cameretta e lei richiude in fretta il coperchio e spegne l'abat-jour. “'Notte Orsetta.” “'Notte papà.”

Claire in tutina da danza, che imita la ballerina davanti allo specchio.

Claire che entra veloce in camera e nasconde sotto il coperchio una lettera scritta a mano ripiegata otto volte. Lo richiude premendoci sopra il palmo come a volerlo sigillare. È tutta rossa, gli occhi le brillano dall'emozione.

Claire apre il coperchio e fissa svogliata la ballerina, grattandosi la nuca con una matita. La voce di Zack la ridesta dalla noia. Si sporge verso la finestra, fa un saluto e scappa fuori dalla stanza, abbandonando i compiti di biologia.

Claire che urla “Ridammelo!” a Lyle e lo rincorre giù per le scale. Lyle ride, non guarda dove va, inciampa e il carillon cade a terra. Claire lo riagguanta e si chiude in camera con i lacrimoni e le guance gonfie di rabbia. Piange silenziosamente guardando il carillon rotto.

Claire dorme. Noah entra in camera sua e le fa una carezza. Chiude il carillon e si ferma sulla porta a discutere sottovoce con Sandra. Claire apre gli occhi nel buio, prende il carillon e lo schiude. Guarda la ballerina senza vederla.

Claire è nella sua stanza del campus. Tira fuori il carillon dalla valigia e lo posa con cura sopra il comodino. Si guarda attorno nervosamente e infine sorride ad un ragazza che fa capolino dalla porta. “Claire.” “Gretchen.” Si tendono la mano.

Claire che afferra il carillon e lo stringe fino a far sbiancare le nocche. Non piange, trema come una foglia. Lo lascia andare e si raggomitola sul letto in posizione fetale.

Claire che tiene il carillon davanti a sé come uno scudo, ferma, pietrificata davanti alla vetrina di un orologiaio del Queens.

Gabriel si scostò di scatto, portandosi le mani alle tempie.

Psicometria di merda! – imprecò tra i denti, sentendo il dolore crescere e pulsare.

Un miagolio. Gabriel guardò Gatto interrogativo.

Sì, hai ragione. – borbottò strizzando la base del naso – Prima o poi devo imparare. –

Si alzò dal divano, obbligandolo a balzare giù. Barcollò fino alla sua stanza e si lasciò cadere sul letto.

Tornerà.

Tornerà. – disse a Gatto, che aveva già occupato il suo solito posto ai piedi del letto.

Tornerà. – si ripeté girandosi di fianco.

Aveva dato il via al meccanismo più pericoloso e delicato e potente. Adesso doveva solo aspettare e osservare. E sperare che non s'inceppasse qualcosa.

   
 
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