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Autore: eli777    01/10/2010    0 recensioni
Una storia all'interno di un'altra storia. Paola, giovane tutor universitaria è stanca di trovarsi alle prese sempre con gli stessi, soliti studenti insulsi e svogliati. Fino a che incontra due adolescenti che la colpiscono e la incuriosiscono all'istante. A loro racconterà la storia di Lavinia e Bassanio e del loro amore delicato e tormentato.
Una fanfiction che strizza l'occhio alla tragedia Shakesperiana e alle meravigliose favole di Oscar Wilde.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Paola chiuse gli occhi percependo una nuova fitta che le attanagliò la parte destra del capo, la luce intensa del mattino le impediva di aprirli così indossò gli occhiali da sole, almeno avrebbe posto un ulteriore schermo difensivo tra sé e quella masnada di ragazzetti insulsi. Quando aveva accettato quel lavoro da tutor era entusiasta, sentiva di poter davvero contribuire proficuamente all’ orientamento di quegli studenti che si sarebbero voluti rivolgere a lei. Era piena di idee, di gioia di vivere, di voglia di trasmettere la necessità di avere una passione nella vita, di qualsiasi genere, per poterla difendere con le unghie e con i denti. Galileo si era fatto mettere al rogo per difendere una propria convinzione.

Si era dovuta invece confrontare con sguardi vacui e capacità lessicali ignobili, per non parlare poi dell’aspetto con cui si presentavano. Non era mai stata una maniaca dell’ordine, ma quando si vedeva un coglioncello (o coglioncella) con una felpa tutta storta, i jeans calati sui fianchi che non lasciavano alcunché all’immaginazione, biancheria stropicciata, gomme da masticare ruminate a bocca aperta senza sosta, i cinque minuti le giravano. Eccome se le giravano.

Certo se sotto quell’aspetto avessero nascosto un minimo di spessore non avrebbe tanto storto il naso, ed invece le conversazioni andavano avanti in questa maniera: - Mi dai la guida dello studente? – Buongiorno innanzi tutto! – Sì, vabbè. Sta guida? – Per quale facoltà sei propenso? – Pro … che? – Che studi ti piacerebbe fare! Sbottava, la pazienza già notevolmente provata. – Ah! Boh! Quello che ha scelto il mio amico. Dice che se facciamo Lingue ci sono diverse pollastrelle in giro. A quel punto prendeva un lungo, lunghissimo respiro e posava con cura la guida sul banco per evitare di sbatterla sulla testa del vichingo di turno … aveva veramente il terrore del suono che potesse produrre il vuoto spinto sepolto sotto quei capelli ingelatinati. 

Il peggio del peggio erano le giornate come quelle: l’evento dell’orienteering. Doveva accogliere nel suo amato dipartimento di studi classici un’intera classe di liceali in piena crisi ormonale. Non avevano rispetto per nulla, strappavano arance dall’alberello nel cortine, calpestavano e gettavano rifiuti d’ogni genere sul prezioso lastricato in pietra, e la cosa peggiore; il motivo per cui li schifava con tutta se stessa, era che passavano oltre senza degnare d’uno sguardo la finestra. Ma come potevano essere così tanto vuoti, così tanto disinteressati alla bellezza fino al punto di non riuscire a riconoscerla nemmeno se veniva loro parata dinanzi agli occhi.

Si sentiva sconfitta, amareggiata. Non pretendeva tanto, solo un po’ di curiosità. Doveva inoltre essere del tutto sincera con se stessa, dopo le prime esperienze catastrofiche si era lasciata abbattere, inorridita, e non aveva tentato più il minimo approccio con i ragazzi. Dava loro ciò che chiedevano, tanti saluti e grazie.

Quella mattina la scolaresca sembrava abbastanza disciplinata, erano entrati, tutti più o meno con gli auricolari alle orecchie, e ciondolanti si erano diretti verso il salone centrale dove ci sarebbe stata l’accoglienza e poi una breve presentazione del piano di studi da parte della professoressa Gemma. Laura, la docente, era molto più conciliante di lei, le sorrideva bonaria blandendola, dicendole che quello schifo che provava era a causa della sua giovane età. Col tempo avrebbe imparato ad apprezzarli, a capirli, a trovare le chiavi giuste per dischiudere i loro gusci, aiutandoli a nascere come studenti e poi successivamente come uomini.

I ragazzi erano già tutti entrati. Aveva il tempo di rilassarsi per alcuni minuti. Si voltò e lo sguardo le cadde su una coppia di adolescenti. Un ragazzo ed una ragazza che si tenevano per mano, fermi, impalati dinanzi alla finestra. Incuriosita li raggiunse. – Voi non entrate? La presentazione sta per iniziare. – Oh. Ci scusi. Noi, a dir la verità sappiamo già cosa vogliamo fare, non potremmo rimanere ancora un attimo qui? Paola li aveva osservati con più attenzione, erano graziosi nelle loro magliette a mezze maniche. Soprattutto quella di lui la colpì, David Bowie. Un ragazzo che ascoltava il Duca Bianco non poteva esser cattivo. – E cosa vorreste studiare? – Storia dell’arte. Aveva risposto lei all’istante. Una vocetta dolce, infantile. Teneri. Erano davvero teneri. – D’accordo, nel salone sulla destra potrete trovare diverse brochure, guide, vi accompagno. – Noi … veramente … ci può dire di che anno è questa finestra? Paola strabuzzò gli occhi. Non ci poteva credere. – Vi interessa la finestra? – Sì, perché? E’ un reato? Aveva sghignazzato il ragazzo con una punta di sarcasmo. Quei due le piacevano sempre più – No, certo che no. Se avete tempo vi posso raccontare la storia di questa finestra. – Sì. Se non le da disturbo. – Mi disturba molto di più che nessuno me lo chieda.

Si erano seduti su una panca di pietra posta davanti alla finestra e con un profondo sospiro di soddisfazione Paola aveva cominciato:

Questa finestra … è speciale. E’ stata datata intorno al XVII secolo, ma le origini non sono certe. Ha però  un storia, una leggenda molto romantica. In questa casa viveva una ricca famiglia di nobili. Essi avevano una figlia, Lavinia, la cui bellezza era rinomata nelle corti vicine e lontane. Aveva i capelli neri come l’ebano e grandi occhi da cerbiatto. Ma la fanciulla era cieca per cui passava la maggior parte del tempo chiusa nella propria stanza. Diversi pretendenti si proponevano ai genitori della ragazza, ma Lavina li respingeva tutti. Amava la solitudine, e soprattutto amava cantare. Aveva una voce limpida e cristallina.

Un giorno un giovane falegname di nome Bassanio passava sotto la finestra della ragazza, e appena la vide se ne innamorò all’istante. Trascorreva ore in silenzio in questo cortile a contemplarla, sulla panchina dove noi siamo seduti, finché, pazzo d’amore, col disperato bisogno di parlarle, un giorno si arrampicò ad una siepe che cresceva di lato alla finestra e lasciò alla fanciulla un fiore intagliato nel legno sul davanzale. Ogni giorno, al tramonto, le lasciava un piccolo dono, solo per vedere il suo meraviglioso volto illuminarsi di gioia e ridere felice.

Una volta mentre lui era intento a lasciare una delle sue sculture Lavinia si affacciò, e, avvertendo la sua presenza, chiese spaventata – Chi sei? Il falegname all’inizio non rispose, poi le sussurrò - Un’anima che ti ama. Da quel momento i due giovani passarono sempre l’ora del crepuscolo insieme, mormorandosi dolci parole d’amore finché lei lo pregò di rivelarsi, e lasciare che lo potesse vedere, facendosi toccare il volto. Ma Bassanio troppo intimorito e spaventato dalla bellezza della ragazza le confessò di essere un fantasma. Lei, per il dolore, cadde ammalata. Il giovane falegname era disperato. I nobili genitori cercarono ogni cura per guarire la loro figlioletta ma nulla sembrava efficace. Stava morendo.

 Il falegname allora si presentò ai genitori di Lavinia, promettendo una cura per la loro adorata figlia. Chiese di poterla vedere sola nelle sue stanze, ed i parenti pronti a qualsiasi cosa, acconsentirono. Quando fu al capezzale della ragazza si sedette accanto a lei mormorandole  – Amore mio. Sono qui. Sono io. Ma lei non poteva credergli. Allora Bassanio le raccontò ogni cosa e le promise che l’avrebbe sposata , poi la baciò delicatamente sulle labbra.

            La ragazza guarì ma i suoi genitori non acconsentirono al matrimonio, inorriditi dalla natura sociale inferiore del falegname. Lui, senza arrendersi, ogni notte saliva alla finestra di Lavinia e per dimostrarle di non essere un fantasma intagliava un pezzo della finestra, chiedendo in cambio un bacio. Una notte, prima che lui potesse incominciare, Lavinia prese per mano Bassanio e lo condusse nella propria stanza, fermandosi accanto al proprio letto. Quel giaciglio coperto da lenzuola bianche, di cotone, quel letto intatto, puro, parvero al falegname il simbolo dell’innocenza dell’amata. La fanciulla sciolse la stretta e tremando lasciò cadere la veste candida che le scivolò ai piedi con un fruscio, modellandosi in morbide onde. Gli apparve in tutta la sua delicatezza e fragilità, una bimba, il suo corpo minuscolo avvolto nella sottoveste avorio. Il corpo illuminato dalla luce eterea della luna, le mani dalle dita sottili e vibranti strette nervosamente in grembo, in attesa.

Bassanio cadde ai suoi piedi, sopraffatto, la cinse tra le braccia stringendola, sentendo le sue gambe sottili tremare sotto di sé. Piangeva, vinto dall’emozione, dalla paura di non sapere come fare, come amarla. Lavinia s’inginocchiò anch’ella prendendo il viso dell’amato tra le mani, baciandolo, facendolo sospirare. Lui la prese tra le braccia e la adagiò delicatamente sul letto. Provò a seguire con la punta delle dita una vena che correva, palpitando, dalla base della sua gola fino al seno. Lo strinse con delicatezza nel palmo della mano, sotto la sua pelle poteva sentire il suo cuore battere al ritmo del suo respiro tremante. – Lavinia, mia dolce Lavina. Mormorò lui impacciato - Insegnami come fare, mostrami tu come amarti. Io non posso, dinanzi a questo io sono niente. E lei, cieca, mostrò a lui i sentieri del suo corpo. Guidò le sue mani, le sue labbra, creando dal nulla un mondo privato, fatto di silenzi e sospiri, di carezze e baci che sapevano di frutta, un mondo scuro eppure luminoso. Quando la prese la sentì completamente abbandonarsi a lui, concedersi con tutta se stessa, senza paura, senza timore. E Bassanio seppe in quell’istante che non era lei a non vedere, era sempre stato lui, lui, lui!

 Lui a non immaginare, a non capire cosa fosse l’amore, l’abbandono, il trasporto. Si muoveva in lei piano, dolcemente e la sentiva fremere, legarlo con braccia e gambe a sé, ma non ce n’era bisogno. Era suo, lo sarebbe stato per sempre. Lavinia aveva visto per la prima volta chi lui fosse veramente, l’amava per ciò che era, gli stava donando la completezza di sentirsi uomo, in tutta la propria pochezza, fragilità. E lei comunque lo amava. Amava il falegname, amava il fantasma codardo, amava lui. Sentì il suo corpo vibrare come la corda di uno strumento musicale e la sua anima di riempì di un delicato languore, mentre lei si sollevava contro di lui in un ultimo spasmo. Si abbandonò a quella sensazione poggiando il mento alla sua spalla, la guancia premuta al suo collo mentre il piacere giungeva come una cascata d’acqua limpida che lo travolse e gli fece dimenticare di esistere, di essere un uomo, perché in quel momento non c’era lui, non c’era lei, ma una cosa sola. Sfinito, completamente tramortito, giacque su di lei, il respiro affannoso, il corpo disfatto. Le prese la mano, la baciò e poi se la portò alla guancia, sul cuore, la strinse nella propria mano, e poi dov’erano uniti per mostrare a lei quel che aveva sentito lui. I loro corpi fusi in un unico abbraccio, le loro anime che ormai si appartenevano. – Sposami mia piccola Lavinia. Rendimi meritevole d’essere uomo. Sii mia anche se mai potrò meritarti. – Sì, mio dolce Bassanio. Come puoi pensare che non mi meriti? Io non voglio altri che te.

 Il giovane, impazzito di gioia, scolpì un cuore nella finestra dicendole che quello era il suo pegno per la ragazza. Le donava tutto il suo amore, tutto il suo cuore. Le promise che avrebbe messo ogni cosa a posto e la notte seguente l’avrebbe portata via con sé.

            Ma un pretendente respinto vide il falegname uscire all’alba dalla stanza della ragazza e raccontò ai suoi genitori ogni cosa. Bassanio venne ucciso. Quando Lavinia lo seppe si avvelenò per raggiungere il proprio amore. Ma un angelo clemente trasformò la ragazza in una scultura. Da allora, ogni tanto, nelle notti buie si può sentire il rumore di uno scalpello risuonare in questo giardino e una voce cristallina cantare.

            - Vedete ragazzi, la scultura è il bassorilievo in basso a sinistra e accanto alle mani della fanciulla potete notare un piccolo cuore. Paola si voltò, ancora emozionata dal racconto. I due ragazzi si stringevano l’una all’altro. Lui la teneva stretta al petto, e lei sembrava piangere. – Cosa c’è? Stai male? – No. Aveva risposto il ragazzo con gli occhi lucidi. Paola lo guardò con più attenzione, era davvero bello, gli occhi castani liquidi, i lineamenti armoniosi ma forti, la linea del naso diritta e severa, le labbra piene – E’ che … lei si chiama Lavinia. Paola sorrise dolcemente, avrebbe voluto accarezzare quei meravigliosi capelli neri, lucidi come l’involucro di un castagna, sulla testolina piegata. Poi un pensiero le attraversò all’improvviso la mente e senza nemmeno rendersene conto gli chiese – E tu? Lui aveva sorriso e aveva avvolto Lavinia ancora più a sé, come a volerla tenere tutta. – Io non mi vergognerò mai più del mio nome. Non rimprovererò mai più l’amore di mia madre per Shakespeare. Io mi chiamo Bassanio.

 

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 Il racconto di Lavinia e Bassanio è presente in una mia storia ma l’idea mi piaceva particolarmente così ho deciso di svilupparlo e inserirlo tra le storie originali. Spero lo possiate apprezzare. I nomi dei protagonisti appartengono a una tragedia di Shakespeare che amo particolarmente: il Tito Andronico. La storia della finestra è naturalmente originale ma purtroppo questa finestra non esiste.

  
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