Puzzle
Festa. Ecco la parola
che più temeva Alice. Odiava la folla
di gente, la puzza di fumo che aleggiava nell’aria e la
musica assordante che impediva di fare una conversazione con qualcuno
senza urlare a squarcia gola per farsi sentire. Se poi si parlava di
festa tra ex compagni di liceo, la cosa diventava spaventosa. Mentre
percorreva il vialetto che separava il cancello alla casa di Rosalie,
sua ex compagna di liceo che aveva organizzato la suddetta festa,
incominciò a sentirsi a disagio. Si chiese
perché aveva deciso di accettare quello stupido invito, ma
non seppe trovare risposta. Ricordava di essere tornata a casa e di
aver trovato l’invito, di averci riflettuto sopra per giorni
se andare o no e alla fine, colpita da uno strano coraggio, aveva
chiamato Rosalie per avvisarla che lei ci sarebbe stata alla festa. Ma
il perché non lo sapeva. Forse nessuno
l’aveva ancora vista e sarebbe potuta fuggire da
lì. No, si impose. Hai accettato
l’invito e ora non scapperai. Bè,
facile a dirlo. Forse aveva
esagerato con il vestito, incominciò a pensare. Lo sapeva
che doveva scegliere quello nero e lungo, non questo blu che arrivava a
metà coscia. Inconsciamente,
incominciò a rallentare, come per ritardare il momento degli
incontri, ma troppo presto si
trovò
davanti al portone che la divideva dalla festa. Prese un
profondo respiro e suonò. Per qualche secondo stette
lì ad aspettare, sperando che nessuno l’avesse
sentita e perciò sarebbe tornata a casa, ma per sua sfortuna la porta
si aprì rivelando una bellissima ragazza truccata in modo
leggero, i capelli biondi mossi che coprivano le spalle e il corpo
perfetto fasciato in un elegante vestito lungo bianco. Rosalie. «Alice?»
chiese sorpresa. «In
carne ed ossa» rispose lei facendo un sorriso tirato. «Sei
venuta!» Rosalie era così felice di vederla che si
lanciò contro ad abbracciarla. Alice, presa alla sprovvista
si irrigidì, ma poi rilassandosi ricambiò
l’abbraccio. «Sono
contenta che tu sia qui» disse Rosalie, esprimendo tutta la
sua felicità per la sua presenza. Si allontanarono
e Alice le sorrise: non era proprio cambiata la sua cara vecchia amica
Rosalie. Sempre gentile con tutti. Se non la si conosceva si poteva
pensare che fosse un po’ smorfiosa, ma era una grandissima
amica. In quel preciso momento si chiese come mai non erano state in
contatto in quei cinque anni di lontananza ma con un flash
arrivò la risposta. Distrutta. Ecco
cosa era. Era una ragazza distrutta dal suo primo grande vero amore. Perché?
Perché se n’era andato? Perché era
sparito senza dirle niente? Era scomparso.
Insieme a lui, tutta la sua famiglia. Aveva provato a chiamarlo, ma il
telefono era sempre staccato. Perché? Perché era
partito così senza nessun avvertimento? Perché
l’aveva lasciata lì in balia di tutti quegli
sguardi pieni di pietà per lei? Non poteva
più stare in quella città. Tutti che la
guardavano con occhi pieni di commiserazione. Non riusciva a
sopportarlo. Tutto ciò che vedeva le ricordava lui, i loro
momenti passati insieme. In preda alla
disperazione, un mese dopo il diploma fece le valige e prese il primo
aereo per New York. Cambiò numero di cellulare e le uniche
persone di Forks con cui era in contatto erano solamente i suoi
genitori. Scosse la testa.
No, non doveva pensarci ora. Non doveva rovinarsi l’umore con
degli stupidi ricordi. Ovviamente non
rimpiangeva le decisioni che aveva fatto in passato, anzi: a New York
aveva studiato per diventare giornalista e ora lavorava perThe New York
Times ed
era felicissima così, perché il suo sogno si era
realizzato. Ma pensare a
quel periodo
della sua vita, bruciava ancora. Come se avesse ancora una ferita
aperta e non riuscisse a guarirla. Ogni tanto nella sua mente sbucava
qualche ricordo scomodo e quella ferita, sul petto vicina al cuore,
bruciava talmente tanto che si ritrovava a boccheggiare nei peggiori
casi. «Vieni»,
Rosalie la riportò
sul pianeta Terra. «La festa è
dall’altra parte». Camminarono per
un corridoio e parlarono di tutto ciò che era accaduto nei
loro anni di lontananza. Alice si decise di dare il suo nuovo numero a
Rosalie e lei, commossa, accettò molto volentieri
l’idea di poterla sentire quando sarebbero state di nuovo
lontane. Arrivarono in un
grande atrio e Alice incominciò a sentire la musica che
rimbombava nel salone di fronte a loro. Rosalie aprì la
porta e un’enorme stanza era di fronte a lei, con tutti i
volti che aveva cercato di dimenticare. Fortunatamente, non la stavano
guardando come l’ultima volta. La musica non
era molto alta e questo ad Alice andava più che bene. Vide un tavolino
pieno di Martini e decise di prenderne uno. Le serviva un po’
di alcool nel corpo per affrontare tutta la serata.
Sorseggiò il suo drink e grazie al suo gusto famigliare si
sentì subito a casa. Girò un po’ per la
stanza, cercando di passare inosservata, ma ogni tanto c’era
qualcuno che la riconosceva e si fermava a fare due chiacchiere.
Nessuno toccava l’argomento. Nessuno parlava di quel periodo.
Nessuno osava toccare l’argomento che scottava. Dopo varie
fermate da diverse persone iniziò a parlare con la storica
coppia: Bella ed Edward. Quei due erano insieme ancora dal liceo ed era
fantastico il loro rapporto. Si amavano e lo si capiva da come si
guardavano, da come si muovevano in sincrono, da come parlavano e dal
diamante sul suo anulare sinistro vicino alla fede. Ma la prova
più grande era quel piccolo rigonfiamento nella pancia di
Bella che entrambi già adoravano. «Ci
siamo sposati il 13 agosto dell’anno scorso» stava
dicendo Bella. «E qualche mese dopo ho scoperto di essere
incinta» ammise con occhi lucidi. «A che
mese sei di gravidanza?» chiese Alice interessata. Aveva
sempre adorato Bella, ma aveva perso tutti i contatti anche con lei.
Era contentissima che la sua amica aveva coronato il suo sogno
d’amore. Quando erano ragazzine passavano le serate in
compagnia ad immaginarsi il loro futuro e Bella aveva sempre immaginato
ciò che ora aveva: sposata con Edward, con un figlio tutto
loro. Un po’ la invidiava, si ritrovò ad ammettere
a se stessa. In quel momento
arrivò uno dei camerieri che sussurrò qualcosa
all’orecchio di Rosalie. «Scusate»
disse Rosalie, «È arrivato un
ritardatario». Detto questo si
dileguò verso la porta da cui erano entrate circa
un’ora prima. Alice stette
lì un po’ con gli altri, a parlare di tutto e di
più. Quando Rosalie arrivò, aveva una faccia
sconvolta. «Rosalie?»
chiese Alice. «Che succede?». Rosalie la guardò
con uno strano sguardo. «Niente!» disse sorridendo
nervosamente. Alice era
confusa: chi era alla porta? Rosalie
scappò via con una scusa trascinandosi dietro Bella. Alice confusa
lasciò i ragazzi a parlare tra di loro e iniziò a
girare per la grandissima sala. La casa era
davvero grande e bellissima. Internamente era molto elegante, con
mobili in stile antico e affreschi in ogni stanza. Fuori
c’era un’enorme parco perfettamente curato con
piante qua e là e una grande piscina sul retro. Vide che
c’era una porta finestra, da dove sentiva entrare
l’aria fresca e decise di uscire per prendere una boccata
d’aria. Prima di uscire prese un altro Martini che bevette
tutto in un sorso. Fuori c’era una luna stupenda, grande e
bianca come la neve ed il cielo era meravigliosamente stellato. Alice
ringraziò che per quella sera ci fossero poche nuvole e si
perse a vedere quel meraviglioso cielo che a New York era difficile ammirare e non si accorse
che qualcuno le si era avvicinato. «Bellissima
serata, vero?» disse una voce. Un brivido percorse Alice, un
po’ per la sorpresa, un po’ perché
quella voce le ricordava qualcosa. «Già»
rispose, distogliendo lo sguardo dal cielo e abbassandolo per vedere da
chi proveniva la voce. E le si gelarono
le vene. Le gambe
diventarono molli. La testa
incominciò a girare. La ferita nel
petto si squarciò e cominciò a pulsare in modo
talmente doloroso che si ritrovò ad annaspare in cerca
d’aria. Non riusciva a
credere a ciò che vedeva. Il suo viso
era nell’ombra, ma quei capelli e le spalle illuminati dalla
luce che usciva dalla sala
li avrebbe
riconosciuti ovunque. Sentendosi lo
sguardo addosso, il ragazzo si voltò verso di lei e la vide,
si bloccò e sgranò gli occhi. Rimasero immobili a
guardarsi, non credendo di essere realmente uno di fronte
all’altro dopo tanto tempo. «Alice»
sussurrò Jacob. Il suo viso era
mezzo illuminato dalla luce della luna, che in quel momento per
entrambi era sparita, come tutto il resto: erano solo loro due,
finalmente insieme. Lui fece un
passo verso di lei e alzò il braccio per accarezzarle la
guancia destra che era rigata dalle lacrime di Alice che, incapace di
trattenerle, le aveva lasciate scorrere. «Ti ho
trovato» sussurrò lui, fissandola intensamente
negli occhi. Ormai i
singhiozzi di Alice la facevano tremare e lui
l’abbracciò stretta, dove lei si lasciò
andare in un pianto liberatorio. Finalmente si sentì a casa
tra quelle braccia, immersa nel suo profumo di menta fresca e vento,
mai dimenticato. Lei si aggrappò alla sua maglietta: non
voleva lasciarlo più andare via, e lui, capendo
ciò che lei stava pensando, disse: «Sapevo che ti
avrei trovata qui, e ora non ti lascerò mai
più». Alice allontanò il viso dal suo
petto in modo da poter parlare, ma restando comunque abbracciata a lui
e rispose, con voce roca dal pianto: «Non fare promesse. Non
potrei sopportare un’altra delusione». Gli occhi di lui
si addolcirono e incominciò ad accarezzarle la schiena
provocandole dei brividi. «Non
avevo scelta, tesoro» iniziò Jacob, mentre Alice
si era sciolta al nomignolo che aveva usato. «L’ho
fatto solo per proteggerti». «Perché?»
chiese lei. Stava forse
sognando? Quante volte aveva immaginato una situazione simile a quella,
dove loro erano di nuovo uniti e sapere il perché di quel
gesto avventato? Forse troppe
volte, ma finalmente ora poteva scoprire la verità. Jacob chiuse gli
occhi e sospirò. Quando li riaprì,
guardò Alice e incominciò a parlare. «La
mattina dopo del diploma mi svegliai e vidi i miei genitori preparare
valigie buttando dentro qualche vestito e cibo. Chiesi cosa stesse
succedendo e mi risposero di prendere il minimo necessario in una
valigia perché in dieci minuti saremmo partiti. Tornando in
camera presi il cellulare per chiamarti, per avvisarti che sarei
partito ma il tuo telefono era spento. Preparai la valigia come mi
dissero loro e dopo neanche qualche minuto eravamo in macchina. Provai
a richiamarti ma mio papà mi buttò il telefonino
fuori dalla macchina in corsa, dicendo che se volevo che non ti
succedesse niente, non avrei dovuto chiamarti per un po’. In
poche parole dovevamo far perdere le nostre tracce». Jacob si
fermò, ed Alice ricordò i giorni dopo la sua
scomparsa con una nuova prospettiva. Non riusciva a
capire il motivo di una fuga così veloce che gli chiese il
motivo. «Mio
zio, fratello gemello di mio papà, era nei guai con la
giustizia, con dei pezzi grossi ed era ricercato, ma avevano sbagliato
ricerche e stavano venendo a prendere noi, convinti che fossimo le
persone giuste». «E
poi?» lo incitò Alice. «Catturarono
mio zio – che ora è in un carcere isolato non si
sa dove – qualche mese dopo la nostra partenza. In
quell’arco di tempo eravamo continuamente in movimento per
non farci rintracciare. Quando finalmente potei chiamarti, il tuo
numero non era più attivo». Lo sguardo di
Jacob era talmente triste che Alice appoggiò una mano sulla
sua guancia per consolarlo. «Sono stata per un mese a Forks
dopo la tua partenza, ma non riuscivo più a sopportare gli
sguardi compassionevoli dei nostri amici. Ogni cosa mi ricordava te e
non riuscivo a sopportarlo. Così mi sono trasferita a New
York cercando di cambiare vita e per..» Alice si bloccò,
arrossendo. «E per
cosa?» chiese curioso Jacob. «Bè»
cominciò lei abbassando lo sguardo, «per
dimenticarti». Il corpo di
Jacob si irrigidì. «E ci sei riuscita?»
chiese con voce incolore. Lei
alzò lo sguardo per incontrare il suo e rispose in modo
sincero: «No, non ci sono riuscita neanche per un
minuto», ammise. «Continuavo a pensarti, a
sognarti, a immaginare il tuo profumo, i tuoi occhi, il tuo corpo, la
tua voce». Lui sorrise, uno
di quelli che gli illuminarono gli occhi ed Alice lo trovò
ancora più bello. Gli
accarezzò i capelli e la rassicurò.
«Non ho mai smesso di pensarti, mio piccolo dolce
amore». Lei sorrise,
commossa al ricordo di quando lui la chiamava sempre così ai
tempi del liceo. Jacob cinse con
entrambe le braccia la vita di Alice. Finalmente
insieme. Finalmente vicini. Unici. «Sai,
forse sapevo che ti avrei incontrato in questa festa» disse
Alice. «E
come mai?» chiese Jacob curioso. «Non
so, ma avevo come la sensazione che stasera la mia vita sarebbe
cambiata». «Non
è cambiata», corresse Jacob. «Hai
solamente trovato l’ultimo pezzo del tuo puzzle».
3^ Classificata ‘Puzzle’ di ColeiCheAmaEdward
Originalità: 10
Un’AU veramente affascinante e originale, che mi ha tenuta inchiodata allo schermo del computer fino alla fine. Complimenti! ^^
Stile: 9.5
Quasi perfetto, se non fosse stato per qualche virgola fuori posto.
Lessico e grammatica: 8.5
Purtroppo ho notato che nella coniugazione dei verbi hai usato una ‘o’ di presente invece di una ‘ò’ di passato remoto. Ciò ti ha penalizzata insieme agli avverbi ‘qua’ e ‘la’, i quali vanno accentati per esprimere il concetto di vicino e lontano.
Sviluppo della trama: 6
Mannaggia alla memoria! =) come da contest i due personaggi avrebbero dovuto vivere un momento che non sarebbe più tornato, quindi Alice non avrebbe dovuto più vedere Jacob e viceversa. Purtroppo ho dovuto toglierti molti punti per questo ‘insignificante’ particolare.
Ubicazione dei personaggi nel contesto: 13
I personaggi ci sono e, come ho detto precedentemente, sono ben caratterizzati; ottima anche la stesura del luogo del terrazzo, nonostante avresti dovuto approfondirlo un po’ di più.
Gradimento personale: 4
Mi è molto piaciuto, non c’è che dire. Corretto lo stile e non ho trovato nessuna difficoltà nel leggerla. Brava!
51/60
Ciao a tutte! Eccomi qua che pubblico la mia ennesima One-shot :)
Ringrazio Bimba Sognatrice per il suo giudizio. Come mio primo constet a cui ho partecipato devo dire che sono molto soddisfatta :)
Spero piaccia anche a voi :)