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Autore: scarlet_shot    02/10/2010    0 recensioni
Si può mentire dicendo tutto e ninete?
Ci si può innamorare di qualcuno senza sapere nulla di lui?
E alla fine è davvero così importante sapere il passato di qualcuno?
Cezen' pensava che si, era importante sapere tutto. Poi è dovuto partire, scappare e nascondersi.
Sid non aveva mai mentito, e quando un tipo strano con un nome ancora più strano piomba nella sua vita continua a non farlo.
Eppure c'è qualcosa di strano in quel bel dottore, qualcosa che riguarda un tempo lontano e maledettamente vicino a Cezen'.
Questa è una storia, tra due persone, e racconta di com'è sorprendentemente facile farla finire in modo tragico.
Genere: Fantasy, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Due parole due...
Allora, questa è un originale che ho fatto usando personaggi di un'altra mia originale,
cambiando ambientazione e altre cosucce qua e là...
Non è propriamente nel mio stile, quindi è una specie di esperimento...
Spero vi piaccia e ringrazio anticipatamente tutti coloro che si fermeranno a leggere,sbirciare e se qualcuno vorrà anche commentare!
Anzi, commentate che mi fate un piacere! :)
Buona lettura, dunque...











Le Voyageur




Esistono elementi come il tempo, impossibili da controllare.
Uno di questi è il lento scorrere degli eventi, impossibili da evitare o respingere, accolti a volte con una lacrima o un sorriso.

Medeé imparò questa legge a sue spese, quando fu lasciata sola al suo destino.
Io imparai questa legge molto dopo, sulla mia pelle.
Più con una lacrima che con un sorriso, a dire il vero.
Ricordo che era Ottobre, di una stagione tristemente adeguata alla mia cattura.
Ricordo che la guardia che mi arrestò era mostruosamente giovane, era stato un mio allievo anni addietro, probabilmente uno degli ultimi.
Mi portarono al Palazzo di Giustizia, dove nemmeno il nuovo Re poteva influire più di tanto; li, in quel luogo, la legge era il generalissimo. Medeé.
Erano passati più di quarant’anni da quando lei era diventata il soldato di fiducia di Chrono.
Quando seppe di me, ci mise veramente poco a correre nella sala del consiglio. Viveva per assaporare quel momento, quello della mia umiliazione.
- Sono commossa… era tanto che aspettavo… Troppo, forse -
- Ne sono lieto, lusingato addirittura, ma preferivo la mia libertà. –
Lei mi sorrise, fredda e truce. Era cambiata dalla ragazzina che avevo conosciuto. Che avevo cresciuto.
- Se volevi la libertà, non avresti dovuto voltare le spalle al regno, Maestro… -
- E continuare ad addestrare assassino come te? –
Rise sguaiata alle mie parole, forse addirittura orgogliosa.
- Ritira quello che hai detto, rinnega la tua stupida protesta, Cezen’… alleati con me… -
La guardavo, seduta sul suo trono di ossa e pelle squamata. Era diventata una bella donna. Affascinante in quegli abiti succinti e con l’occhio che io stesso le avevo strappato coperto da una benda. Notai che vi aveva scritto un incantesimo antico su, chissà da chi l’aveva imparato.
- Fanculo, troia. –
Lei scoppiò a ridere, di nuovo.
Voleva sentirmelo dire.
Voleva un pretesto per prendersi la mia testa.
- Speravo che me lo dicessi… sai…. Mi hai sempre fatto ridere, Cez…-
- Un buon motivo per lasciarmi andare, non credi? –
Dicendolo le mostrai le mani, e i sigilli ai miei polsi. Lei non li guardò nemmeno.
- Affatto… pensavo piuttosto a una bella eseguzione. Alto tradimento… non suona bene? –
Me lo aspettavo, ma non avevo intenzione di condividere le sue idee riguardo alla mia morte.
E poi… lei rimaneva una ragazzina inesperta di fronte al suo maestro… il grande stregone Cezen’ del vento.
Ci misi un istante a liberarmi da quegli stupidi e insulsi incantesimi che dovevano sigillarmi. E ancora meno impiegai a sistemare quei quattro ragazzini che erano le guardie e raggiungerla. Lei mi guardava, impotente, con un misto di rabbia e ammirazione in volto. Non fece nulla neppure per fermarmi mentre strappavo il baffo destro del drago dall’occhio solo, suo braccio destro. Quell’orrida cosa che mi ero procurato mi permise di scappare lontano dalla Città Celeste.
Quello fu l’inizio del mio viaggio, terribile e meraviglioso allo stesso tempo.

Non so bene per quanto viaggiai, o che posti visitai, ma ricordo chiaramente quando mi ritrovai quasi senza potere, solo, in un mondo che non mi apparteneva.
E non che il mio aspetto aiutasse molto.
Ricordo che era Inverno quando arrivai in una cittadella sulla costa. Nevicava da giorni ed io stavo congelando.
Nella Città Celeste non mi sarebbe mai successo nulla di simile.
Io non sono mai stato un tipo troppo coraggioso; ho sempre amato la pace e la tranquillità del mio mondo. Per questo non potevo collaborare con il nuovo Re, dopo quello che mi avevano chiesto di fare. Ma nonostante tutto in quel momento avevo tremendamente paura.
Paura di non tornare mai più alla Città Celeste.
Paura di perdere le cose che amavo.
Paura di morire.
Mai come in quel momento, dopo più di centocinquant’anni di vita, sentivo il mio cuore battere e la voglia di sopravvivere pulsare nelle vene.
Continuai a camminare, nonostante sentivo le labbra spaccarsi e vedevo le mie mani pian piano coprirsi di tagli e sanguinare.
Sbuffando mi lasciai cadere a terra.
Sentivo tutto; dal singolo fiocco di neve che mi cadeva addosso, alle lacrime che mi bruciavano negli occhi. Dall’erba dura che scricchiolava ghiacciata sotto il mio peso, al rumore del mare in lontananza. E in quel momento disperato, in cui ero l’ombra di me stesso, pensai che dovessi avere dei capelli spaventosi.
Leccandomi il sangue dalle labbra mi alzai, tentando qualche precario passo.
Inciampai un numero infinito di volte, alzandomi subito dopo, per poi ritrovare sempre il terreno duro.
Ma di quell’ultima volta ricordo solo il buio che mi avvolse. Freddo, impalpabile e senza via d’uscita.
Ricordo che ripensai a tutto ciò che avevo fatto in quegli anni e mi resi conto di non aver fatto nulla.


A svegliarmi fu il rumore di vetri che si rompevano, seguiti subito da un “Vaffanculo” .
Cercai di aprire gli occhi, ma dovetti sbattere le palpebre più di una o due volte prima di riuscire a mettere a fuoco qualcosa.
Qualcosa che in ogni caso non riconobbi.
Una camera scura e spoglia, dove il misero arredamento era composto da un vecchio comò, un piccolo armadio, il letto su cui ero sdraiato e una sedia vicina a quest’ultimo dove poggiava su una lampada impolverata.
Notai che le tende erano scostate e lasciavano intravedere la notte scura. Luna nuova.
La porta era socchiusa, e dalla luce dall’altra parte venivano rumori da casa.
Provai ad alzarmi, ma appena tentai, una scarica di dolore mi arse lungo tutto lo scheletro. Abbandonai l’impresa lasciandomi cadere nuovamente sul materasso.
Lentamente mi girai su un fianco e richiamai le ginocchia al petto; non mi accorsi nemmeno di riaddormentarmi.
La seconda volta che mi sveglia in quella casa era il tramonto. Lentamente mi alzai.
Addosso avevo i miei pantaloni e una maglia non mia che mi stava decisamente larga. Non troppo, ma comunque larga era.
Barcollai fino allo specchio, e li scoprii di avere un aspetto orrendo, senza parlare dei capelli. Solo allora mi accorsi di avere le mani fasciate, mentre le labbra erano come le ricordavo.
Sospirai, e mi preparai psicologicamente a quello che avrei trovato dall’altra parte della porta della camera.
Era un appartamento piuttosto piccolo, sempre arredato minimamente, giusto lo stretto necessario per vivere bene, nulla di più.
Cercai la cucina.
Non si muoveva nulla e c’era un silenzio irreale, quasi inquietante. Mi sedetti al tavolo e aspettai.
Erano le otto passate e fuori era già buio, ma ancora nessuno sembrava tornare. Così mi avvicinai ai fornelli e provai a cucinare qualcosa.
Ero sempre stato un pessimo cuoco, ma una mia… creazione era meglio che morire di fame. Proprio mentre cercavo delle uova nel frigorifero, scattò la serratura della porta. Quando mi vide armeggiare in cucina si bloccò davanti all’ingresso.
- Ti sei svegliato da molto? –
Io mi schiarii la voce.
- Penso… penso fossero circa le sei… emh… volevo spettare… ma mi era venuta fame… così… -
- Non preoccuparti, preparo subito qualcosa... –
Detto questo si chiuse la porta alle spalle.
“Lui” era un tipo alto, piuttosto snello, con un’assurda capigliatura di uno strano color azzurro scuro. Ma i suoi occhi, erano meravigliosi. Aveva le iridi color argento.
Era impacciato e timido, diceva di fare il medico.
Per poco non mi strozzai con l’omelette.
- Non mi si addice, vero? –
- Per nulla…-
-Me lo dicono tutti… Piuttosto… io mi chiamo Sid. –
- Cezen’… piacere… -
Mi osservò qualche secondo in silenzio poi mi chiese se un forestiero. Era più un’affermazione che una domanda.
- Cosa te lo fa dire? Il mio nome? –
Lo guardai, rideva persino con quegli occhi freddi, indagatori, inumani.
- Non solo…. Il tuo aspetto… i tuoi vestiti… cose così. –
Annuii, poi finimmo di cenare in silenzio.
Non sapevo perché non parlasse, doveva avere tantissime domande.
Tipo doveva chiedermi da dove venivo, cosa ci facevo mezzo assiderato nella neve… o più semplicemente chi ero.
Non mi chiese nulla.
A quel punto io non parlai per l’imbarazzo.
Dopo cena tornò a guardarmi.
- Devo controllarti le ferite… -
Io lo guardai, poi alzai le mani fasciate e lui annuì.
Sparecchiò, lavò quei due piatti che erano stati usati, poi si dedicò a me.
In qualche modo, mi è sempre piaciuto essere al centro dell’attenzione.
Sid, questo, lo imparò alla svelta.
Mi tolse le bende delicatamente, aveva un tocco lieve, quasi non lo sentii sfiorarmi.
Il dolore dei tagli, invece, quello lo sentivo chiaramente; comunque non dissi nulla, sospirai soltanto quando me li disinfettò.
- Scusa… -
Alzai lo sguardo su di lui, non mi guardava nemmeno. Era concentrato su quello che stava facendo. Arrossii per la mia misera figura.
- Non preoccuparti…-

In quei primi giorni in cui iniziammo la nostra convivenza, io e Sid non ci incontrammo quasi mai; giusto a cena.
Lui era mattiniero, io no.
Lui lavorava, io no.
Lui apparteneva a quel mondo, io no.
Dopo una settimana di andirivieni e poche parole capitò il giorno in cui l’ambulatorio chiuse.
Mi alzai che erano già le dieci passate, Lui era sveglio dalle sei. Come diavolo facesse ancora non ne ho idea.
- Buongiorno…-
Faceva uno strano effetto non vederlo in completo, ma l’abbigliamento da tutti i giorni gli donava di più.
-Di pronto ho solo il caffè… se vuoi ti preparo qualcos’altro… -
- Ah... no, no. Il caffè è perfetto… -
Bhè… Lui era veramente bravo a cucinare, a pulire, a cucire. Si occupava persino di un buffo animaletto.
- Un criceto. È un criceto… si chiama Zack. –
 Me lo presentò così, prendendolo per la collottola e lasciandomelo cadere sulle mani.
Zack era una palla nocciola a macchie bianche. Tondo. E morbido. E pigro.
Talmente tanto da essere quasi mio rivale.
- Ti somiglia, sai?-
- Eh? Anch’io ho le guance paffute? –
- No… piuttosto… -
Era bravo a cambiare discorso.
- ormai sono quindici giorni che vivi qui, e non che mi dispiaccia… ma almeno potresti dirmi qualcosa di più oltre al tuo nome? –
Rimasi a bocca aperta, incapace di parlare.
Sospirai.
- Io… io… -
Lui mi guardò.
Passarono almeno dieci minuti prima che qualcuno iniziasse a parlare.
Che comunque fu lui.
Io tenevo ostinatamente gli occhi puntati su Zack, che dormiva.
- Mm… un cognome? –
- Non ho un cognome… -
- Famiglia? Hai qualcuno? –
- Nessuno, a parte una sorella che non vedo da anni. –
- Da dove vieni? –
-… Bhe… ecco… io sono… io vengo… dalla Città Celeste. –
Lui mi fissava, quasi spaventato.
- La Città… Celeste. Sei uno… tu sei uno Stregone? –
Annuii e Sid si alzò dal tavolo, si avvicinò alla finestra e non disse più nulla.
- Non sei obbligato a credermi… -
Nulla. Non si mosse nemmeno. Allora sospirai avvicinandomi.
- Possiamo sempre… far finta di nulla… -
Fu lui a sospirare questa volta. Aveva un viso tremendamente sconvolto, dovetti chiamarlo tre volte prima di ricevere risposta.
- Sid? Tutto bene? –
Mi annuì, sorridendo appena, debolmente.
- Non pensavo di rivedere uno stregone dopo tutto questo tempo… -
- Eh? Come dici? –

Quella sera non mi rispose.
E non lo fece nemmeno tutte le altre volte che glielo chiesi.
Così dopo qualche tempo smisi di chiedere e iniziai a usare la magia per sciocchezze, come accendere candele, forno e fornelli, o spostare le cose.
Il mio preferito era far levitare Zack.
Almeno fino a quando Sid non lo riprendeva.
Così passavo le giornate, mentre lui era a lavoro, tra qualche incantesimo da bambini e qualche libro.
A lui piaceva leggere, tanto. In quella casetta senza quasi mobili era pieno di libri di ogni genere. Poi una mattina di una domenica di Gennaio saltò su con una strana frase.
-… Penso… sia ora di trovarti qualcosa da fare, Cez… -
- Eh? A me? –
Chiusi il libro senza metterci il segno.
- Già… non puoi rimanere in casa senza fare nulla per il resto della vita! Persino Zack fa più di te! –
Effettivamente Zack aveva imparato a sistemarsi il cotone dove dormiva.
- Almeno impara a cucinare… o a pulire… -
- Ooook… non può essere così difficile… -
Durante la settimana successiva i vigili del fuoco vennero a casa nostra tre volte. Cucinare nel mondo umano è dannatamente difficile. Così Sid si arrese.
- Ok, lasciamo stare. Non preoccuparti… Io cucino e porto a casa i soldi… Tu ti occupi delle spese e riordini… che ne dici? –
Questo mi piaceva molto di più, ma comunque di problemi ce n’erano.
- Non puoi uscire così! –
- … Così come? I tuoi vestiti non mi stanno poi così larghi… -
- Non parlavo dei vestiti… -
Poi indicò i miei capelli e l’orecchino che avevo al naso. All’epoca portavo i capelli talmente lunghi che quasi toccavano terra.
- No! I miei capelli non si tagliano, né l’orecchino si toglie. –
- almeno uno dei due, Cez! –
- Non se ne parla, “dottore”. Ti ho mai detto qualcosa per i tuoi capelli o per il tatuaggio? -
 Sospirò rassegnato… quasi rassegnato.
- almeno lascia che te li leghi…-
- Cosa? Sai pettinare i capelli tu? –
Lo sapeva fare. Ed era anche maledettamente bravo. In qualche modo ti faceva sentire importante, mentre li pettinava e li sistemava. Sembrava quasi di entrare nella corazza che si era creato.
- Dove l’hai imparato? –
- Anni fa… stavo con un’accompagnatrice. M’insegnò a rimetterle a posto i capelli.-
- Oh… -
La cosa più bella era che mentre lo faceva il suo viso assumeva un’espressione tanto serena che lo faceva sembrare un altro.

Col passare del tempo era diventata una cosa abituale, e pian piano anche la gente del posto iniziò ad affezionarmi a me, come me, che mi stavo affezionando a loro. Avevano iniziato a intravedermi quando iniziai ad accompagnare Sid a fare le commissioni; poi avevo iniziato ad andare a prenderlo in ambulatorio.
E in un batter d’occhio arrivò l’Estate.
- Ciao Cezen’! Il solito? –
- Salve Signora Marlen! Eh, si… il solito. Al nostro dottore non piacciono i cambiamenti in cucina… -
- Heee… come sta Sid? Lo vedo sempre un po’ affaticato, dovrebbe prendersi un aiutante… -
- Glielo dico anch’io… ma sa com’è, Signora… Più testardo di un mulo… -
- Già… ecco! Sono diciassette e otto! –
- Ecco a lei… a presto, Signora! –
- A presto Cezen’! –
Un aiutante…
A lui l’avevo proposto una sola volta ed era andato su tutte le furie, non ho mai capito perché la prendesse così male. Così quella sera, quando arrivai in ambulatorio e mi trovai davanti quel giovanotto che lo supplicava per l’ennesima volta di prenderlo come assistente, non potei fare a meno di pensare al lato buffo della situazione.
- La prego, Dottor Silver… le potrei essere utile! Anche solo come fattorino! –
- Non se ne parla. –
- Suvvia dottore, mi lasci almeno provare… -
Aveva quasi le lacrime agli occhi. E Sid stava per arrostirlo.
- Che cosa succede qui? Sid! Non dirmi che hai sedotto il ragazzino e dopo non hai voluto concludere! Sarebbe un sacco sconveniente… -
- Smettila di dire coglionate, Cez… Vuole un lavoro… -
- E daglielo allora! –
Provò a dire qualcosa, ma alla fine sospirò soltanto… Sapevo che in quell’istante mi odiava.
-… E va bene. Inizi Lunedì. Sii puntuale. –
- Alle otto in punto sarò qui, grazie Dottor Silver! –
- Se, se… sparisci ora. Voglio chiudere e andare a casa. –
Lo accompagnai alla porta, prima che lui ci ripensasse. Era un ragazzino appena laureato, si chiamava Marc Wainer ed era buffo.
- Grazie mille anche a lei, Signor Cezen’… probabilmente senza il suo intervento non mi avrebbe mai ascoltato…-
- Ma no… alla fine avrebbe detto di si per sfinimento… -
- Dice? –
- Certo! Lo conosco, ormai… Bhe… è tardi, meglio che tu rientri… A presto Marc! –
- A presto! –
Sid uscì poco dopo, mi guardava truce. Io gli sfoderai il mio più bel sorriso.
Imprecò un po’ tra se e se mentre rientravamo a casa, ma alla fine non era arrabbiato. Non troppo almeno.
- Sei andato a fare la spesa? Preso tutto? –
- Certo, non preoccuparti… sono andato anche a pagare le bollette. –
- Avevi abbastanza soldi? –
- Me ne hai lasciati anche troppi, Sid… -
Stava per aggiungere qualcosa, ma appena entrato nel vialetto si bloccò. Quando alzai lo sguardo capii il perché. Dahlia, ferma in piedi sulla nostra veranda. Quando voltandosi lo vide ci corse incontro.
- Sid! –
Io velocizzai il passo ed entrai prima di loro. Mi chiusi la porta alle spalle e lasciai le buste e il mio mazzo di chiavi sul tavolo, poi mi trascinai fino al letto e lì mi accasciai.
Poco dopo li sentii rientrare. Parlavano, del più e del meno. Poi iniziarono a discutere.
Dahlia in passato era stata un’accompagnatrice. Era stata anche la sua amante.
Obbiettivamente lui aveva buon gusto in fatto di donne, lei era davvero bella. Capelli biondi, occhi grandi, lunghe gambe e labbra rosse. Una vera diva.
Peccato che dentro fosse marcia come poche.

Discutevano perché lei voleva tornare da lui.
- Non puoi capire Sid! Quell’uomo è pazzo… -
- Chi? Tuo marito? –
- Si! Mi picchia, per favore…. Ti prego Sid… aiutami! –
- Io ho saputo che voleva divorziare da te. Per qualcuna che non era innamorata dei suoi soldi e basta… tu cosa mi dici Dahlia? –
Silenzio per qualche istante, poi lei gli urlò contro. E lui le rispondeva gridando.
Sid era un uomo orgoglioso, Dahlia era una donna velenosa.
Dopo circa un’ora da quando erano arrivati, lui cacciò quella che era stata la sua Dahlia. Lei uscì sbattendo la porta.
Poi Sid venne in camera e si sedette vicino a me, sul letto.
- Abbiamo urlato tanto? –
- Naa… credo che al porto non vi abbiano sentito. –
Mi sorrise.
- Vado a preparare la cena. –
- D’accordo. –
Uscì dalla stanza ed io decisi di fare la cosa più stupida che mi venne in mente. Mutai il mio aspetto… in quello di Dahlia.
Sapevo che le mancava, ero sicuro anche che fosse ancora innamorato di quella donna.
E detto fra noi, sono sempre stato bravo in questi giochetti.
Ero perfetto; nell’aspetto, nella voce, nei movimenti… ero lei.
Quando entrai in cucina, lui mi dava le spalle, così mi avvicinai lentamente, cercando di non far rumore. Mi vide nel riflesso sul vetro della credenza.
Era sorpreso, quando si voltò verso di me non sapeva neppure cosa dire. Rimase semplicemente a guardarmi, a bocca aperta.
D’altra parte il mio ruolo era più semplice. Bastava fare un bel sorriso, allungare le mani sulle sue spalle e farle scivolare fino a suo viso. E, in fine, portarlo verso di me.
Riuscii a malapena a sfiorare le sue labbra che mi fermò.
- Cezen’. Ti prego… torna al tuo aspetto. –
Provai a ignorarlo e cercai di baciarlo ancora, ma lui mi fermò nuovamente.
- Ti prego… -
Quando tornai al mio aspetto mi diede nuovamente le spalle, come se nulla fosse accaduto. Non potevo accettarlo.
- Sid… -
- mhm? –
- Perché non ti piaccio? –
Si fermò. Pietrificato quasi. Non alzò nemmeno la testa.
- Cosa ti viene in mente, ora? –
- Allora perché non vuoi baciarmi? … o toccarmi? Perché non vuoi fare l’amore con me? –
Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, girando appena la testa.
- Che cosa cambierebbe se venissi a letto con te? Guadagnerei qualcosa? –
- Forse riusciremmo a trovare un po’ di felicità entrambi… -
Sospirò.
- O forse non cambierebbe nulla, ma, in ogni caso…. Non perderemmo neppure nulla. –
Mi avvicinai ancora, passai le mani sui suoi fianchi e appoggiai la fronte alla sua schiena.
- Fallo per me. –
A quel puntò vi voltò. Aveva un’espressione indescrivibile…. Un misto di sentimenti che ancora oggi mi fanno morire di vergogna.
Fu lui, quella volta, a chinarsi su di me, per baciarmi.
E naturalmente io contraccambiai.
In qualche modo arrivammo al divano, che tutto sommato non fu la scelta migliore. Vecchio e scomodo, quando nella camera accanto c’era un letto praticamente nuovo.
Ma ripensando oggi a quel Sabato non cambierei nulla.
Sid era dolce, come lo era in tutte le cose che faceva. Fui io, dunque, a trascinarlo su di me, a guidare le sue mani sui bottoni e sulle cerniere dei miei abiti, guidandole poi sulla mia pelle. Poi… bhè, poi fu lui a prendere l’iniziativa.
Col senno di poi avrei potuto scegliere un altro momento, con diverse parole e gesti… ma desideravo disperatamente legarmi a Sid.

Ho sempre tentato di “legarmi” alle persone, forse perché ho sempre avuto il terrore di rimanere solo.
Sono stato il “compagno” di un’infinità di Streghe e Stregoni… ma non avevo mai provato qualcosa come quello che provavo stando con lui. Sentimenti unici e insostituibili.
Come il piacere che mi diede quella notte, come tutte le altre dopo. Unico e insostituibile.
Un piacere e un sentimento così forte e intenso da essere quasi doloroso.
Semplicemente, per la prima volta, m’innamorai.
Probabilmente perché Sid mi completava alla perfezione.
Quando mi svegliai erano appena passate le sei, lui non c’era. Subito pensai che se ne fosse andato appena mi ero addormentato, poi notai di non essere nella sala, sul vecchio divano. Ero in camera. Sbuffai alzandomi, cercai qualcosa con cui coprirmi ed entrai in sala. Né li, né in cucina c’era traccia di Sid. Iniziai a raccogliere i vestiti sparsi in giro mentre mi chiedevo dove fosse finito quando sentii accendersi l’acqua della doccia. Sorrisi e tornai in camera, lasciando i vestiti sul comò tornai a letto. Senza neanche farlo apposta mi riaddormentai.
A svegliarmi fu l’ormai familiare “vaffanculo” di Sid, che aveva fatto cadere qualcosa, ma non voleva accendere la luce. Quando si accorse che lo stavo guardando mi sorrise e venne a stendersi al mio fianco.
- ciao... –
-Ciao. –
Aveva i capelli bagnati, che sembravano addirittura più lunghi e scuri non tirati in quell’assurda cresta che tutti i santi giorni si ostinava a portare.
- Come ci sono finito qui? –
- Ti ci ho portato io. Quel divano è micidiale per dormirci… -
- tu ci dormi da mesi… -
- appunto. –
Mi voltai verso di lui. Sembrava un'altra persona rispetto a qualche ora prima.
- Scusa. –
- Per cosa? –
Mi accarezzava i capelli sorridendo.
- Ieri sera… non dovevo prendere l’aspetto di quella… non dovevo obbligarti. –
- Non mi sembra che tu possa obbligarmi a fare qualcosa con la forza. Quello che ho fatto ieri, l’ho fatto perché volevo, Cezen’, non perché tu mi hai obbligato. –
Non dovevo avere un’espressione troppo convinta, lo capii dal suo sospiro.
Passai tutta la domenica dormicchiando. Sentivo Sid trafficare in cucina, e ogni tanto entrava in camera per cercare qualcosa. Mi chiamò giusto per cena.
Da quel giorno iniziammo a dormire insieme tutte le sere, e siccome in ambulatorio c’era Marc, Sid iniziò a prendersela con calma.
E velocemente arrivò ancora Ottobre.
Era passato un anno esatto da quando ero andato via… da quando ero fuggito dalla Città Celeste, e, come una maledizione, gli effetti cominciarono a manifestarsi.
Siccome metà della mia anima era legata laggiù, in un’altra dimensione, lontana da quello che vivevo allora, la mia energia pian piano si esauriva.
Passavo parecchio tempo dormendo, nel tentativo di recuperare la magia.
Anche per dei piccoli incantesimi dovevo dormire parecchie ore. Sapevo che Sid si stava preoccupando, ma nonostante tutto, non affrontai mai l’argomento.
Una sera, dopo aver fatto l’amore, ci mettemmo a parlare.
Io stavo giocando con il suo tatuaggio… facevo seguire alle mie dita il corpo di quella serpe bianca, che dal suo braccio si faceva strada fino al petto, accompagnata dalle onde, e aveva quello strano sentore di “già conosciuto”.
- Cez… -
- Mmh? –
- Com’è ora la Città Celeste? –
- Vuoi sapere com’è la mia città? –
- Se una parte di te è rimasta la, significa che è un posto meraviglioso… -
Non capii subito come faceva a saperlo. Sul momento ripensai a quel posto. Si, la Città Celeste era meravigliosa. Ma anche terrificante.
- Si e no… La Città Celeste è il posto più bello che possa esistere, ma allo stesso tempo… anche il peggiore… -
- Perché? –
- Devi sapere che circa cent’anni fa c’era un altro sovrano. Più stupido e ottuso dell’odierno, tanto che proprio quest’ultimo e suo fratello, i figli del re, mossero una rivolta contro di lui. Si dice che fu il maggiore dei due, Iperione, a tagliargli la testa. –
- Quindi il nuovo sovrano è Iperione? –
- No… Iperione lasciò il trono a suo fratello, Chrono. Direi che non si sono mai visti due fratelli così identici senza essere gemelli. Ma per quanto si possano assomigliare, i loro caratteri sono uno l’opposto dell’altro.
Si dice che Iperione sia il più pericoloso e incontrollabile. Di Chrono, invece, più gestibile e malleabile che sia nato per ricoprire le vesti di re. –
- Se era il più potente, perché ha lasciato il posto al fratello? –
- Al grande Iperione non importava nulla del regno. Lui voleva la conoscenza, non il potere. –
- Allora… perché avrebbe dovuto uccidere lui il padre? –
- Perché amava suo fratello, e per appoggiarlo tolse di mezzo tutto ciò che poteva essergli d’intralcio. Vedi, nonostante le differenze loro erano molto legati, perché anche nel nostro mondo loro erano unici. Era risaputo da tutti che loro non sono stregoni. Sono figli di un demone. È chiamata Kyral, la strega.
Fu lei a consegnarli da bambini al padre… e per continuare a proteggere il fratello, Iperione uccise il re, consegnò a Chrono il regno e gli rimase affianco… almeno, fino a quando lui non cambiò… -
- In cosa cambiò? –
- Chrono fu accecato dal suo potere. Iniziò a tradire gli ideali che avevano condiviso. Iniziò a muovere guerre per espandere il suo regno… Divenne uguale al padre. Così, durante l0ultima guerra Iperione se ne andò, tradendo Chrono. –
- Anche tu te ne sei andato per lo stesso motivo? Per la guerra? –
- No… ma sarebbe stato meglio. –
Mi guardava in silenzio… gli si leggeva in faccia che voleva sapere di più, ma nonostante ciò non mi forzò a parlare. Mai. Né quella notte, né durante le altre.
All’epoca mi sembrò un gesto di grande fiducia. Invece era rispetto.
- Io non sono coraggioso. Non sono mai stato portato per i combattimenti… però, nonostante tutto, la gente si fida di me. –
- Eri una spia… -
- La peggiore di tutte…. Non mi sono mai macchiato le mani di prima persona… ma ho tradito così tanta gente… a causa mia sono morte tante persone. Troppe. Quando non riuscii più a sopportarlo abbandonai.  Abbandonai tutto, sia il mio ruolo di spia, che quello da insegnante… Amici, allievi… persi tutto e divenni un ricercato. Il più importante, dopo Iperione… -
- Bhe… non male… -
- Cosa?-
- Essere il più grande ricercato dopo un principe… -
Sid sapeva sempre cosa dire o fare per alleggerire la situazione.
- Tu, invece? Chi sei realmente, Sid Silver? –
- Io? Un amabile dottore di una piccola città sulla costa, e l’amante di un ricercato interdimensionale… -
- Sul serio… tu non sei un normale dottore. –
- La verità? –
Annuii. Ero curioso, volevo sapere tutto di lui.
- Io sono nato in una grande città, vicina a un deserto immenso. Ma siccome c’era una guerra, mia madre portò via da lì me e mio fratello che eravamo solo dei bambini. Crescemmo separati da lei, così appena ci fu l’opportunità entrammo nell’esercito, convinti che se fossimo riusciti a diventare militari saremmo riusciti a trovarla. Poi arrivarono le vere spedizioni in guerra, e non era come l’avevamo immaginato. Persi mio fratello, e ancora oggi non so se mia madre è ancora viva… alla fine capitai in questa città, e decisi di diventare medico… -
- Ora capisco tante cose… -
Mi guardava stranito.
- Si… il tatuaggio… il tuo personale gusto per l’arredamento… -
Mi sorrise. Mi baciò. E rifacemmo l’amore.
Passammo tante sere come quella, semplicemente perfette.
Iniziammo anche a uscire, senza preoccuparci troppo delle reazioni degli altri, che furono anche piuttosto divertenti.
Quando andavo ad aspettarlo in ambulatorio, il Signor Sweten, il vecchio marinaio che si fermava a chiacchierare tutti i giorni con Sid, aveva iniziato a chiamarmi “la moglie del dottorino”, Marc arrossiva sempre quando lo sentiva.
La Signora Marlen invece ci rimproverava di averci messo troppo e così di averle fatto perdere una scommessa con la moglie del macellaio. Era bello vivere così.
Il quindici Dicembre, esattamente trecentosessantacinque giorni dopo il mio arrivo nella sua vita, cadeva di martedì, così Sid si prese tutta la giornata libera, per noi.
E decise di portarmi al molo.
Mi stavo preparando per uscire quando sul pavimento della camera, mezzo nascosto dal mobile, notai un vecchio medaglione, identico al mio, solo molto più antico. Era il riconoscimento degli stregoni della Città Celeste. Stupidamente non gli diedi importanza.
Passammo una giornata perfetta, sembrava non dovesse finire mai. Mi lasciò correre, gridare, sfogare… quando mi fermai lo vidi andare verso il pontile, lo raggiunsi e lo abbracciai.
-Ciao… -
- Ciao!  Che cosa fai qui da solo? –
- Guardavo il cielo. Non sarai geloso anche delle stelle, spero… -
- Con te non si sa mai…-
C’era la luna. Un’inquietante luna argentata, uno specchio ipnotico che rifletteva solo ciò che voleva.
- Guarda… ha lo stesso colore dei tuoi occhi… -
A quelle parole mi guardò in un modo che se ci ripenso oggi, dopo tanto tempo, mi si stringe il cuore; aveva riempito senza accorgersene quei magnifici occhi argentati con una malinconia e un amore unici. Ma prima che potessi dire altro lui mi fermò.
- Cos’è tutto questo romanticismo? Sei sicuro di stare bene? –
- Idiota… era un complimento. –
Lo sapeva.
Una volta tornati a casa lo guardai cucinare. Mi piaceva da matti guardarlo trafficare in cucina.
-Sai… stavo pensando che più che ai miei occhi… -
Parlava dandomi ancora le spalle.
- … quella luna aveva il color avorio dei tuoi capelli. –
Lo disse tutto d’un fiato, appoggiando i piatti al tavolo. Sapevo di essere arrossito. Gli sorrisi, ma per tutta la serata non parlammo.
Ci scambiavamo solo occhiate significative, e alla fine non lo lasciai nemmeno sparecchiare. Gli saltai letteralmente addosso, guidandolo fino in camera.
A metà del breve percorso l’avevo già spogliato della camicia. Appena oltre la soglia avevo le mani nei suoi pantaloni.
Lo baciavo. Violento ed egoista. Lo spinsi sul materasso e salii a calcioni su di lui; sentii le molle del materasso cigolare sotto il nostro peso, sentii le sue mani accarezzarmi la schiena e passare con una lentezza snervante sotto la maglietta.
Vivo ancora nel ricordo delle sue dita che sfiorano la pelle della schiena, dei fianchi, del petto; delle sue labbra calde, che dalla mia bocca passano al mento, al collo, alla clavicola… sopra il cuore. Una scia imprecisa di baci e morsi che al loro passaggio mi lasciavano segni rossi sulla pelle.
Quando mi alzai, alcune ore dopo, e accesi la luce, mi fermai a guardare il mio riflesso nello specchio. Era un bizzarro contrasto.
Ripercorrendo con le dita ogni segno che avevo sul corpo, rivissi con la mente ogni attimo di quell’intimità appena passata…
Lui che decide di capovolgere le posizioni, il suo peso su di me, le sue mani che accarezzavano il mio viso, il suo profumo nella mia testa, il suo sapore nella mia bocca. Le mie mani nei suoi capelli, i suoi sospiri e i miei gemiti, il materasso scricchiolare ad ogni sua spinta, lo stesso battito dei nostri cuori…
Mi voltai verso di lui, dormiva. Fuori diluviava e lui non si era nemmeno coperto. Mi arrampicai sul letto; gli scostai i capelli dalle spalle e iniziai a baciargli la schiena e le spalle. Poi scesi sul tatuaggio e risalii sul collo. Non accennava a svegliarsi.
Allora lo morsi.
- Cezen’ ti avevo sentito! –
Lo scavalcai con parte del busto.
- Non mi piace essere ignorato… -
- L’avevo capito… dimmi, mi hai staccato un pezzo di carne? –
- No… ma per un po’ ti rimarrà il segno. –
Si girò sulla schiena, mi guardava sorridendomi.
- Che ore sono? –
Mi sdraiai su di lui, di peso, senza preoccuparmi di fargli male, e tirai la coperta fino alle mie spalle. Avevo freddo. Poi presi l’orologio che aveva messo sulla sedia lì vicina.
- Le tre e un quarto. –
- Piove? –
- C’è un temporale…. Non è buffo? –
Lui alzò appena la testa, guardandomi senza capire. Mi chiedeva cosa con lo sguardo. Io gli sorrisi puntando i gomiti sul suo petto, reggendomi la testa con le mani.
- Io… io ho sempre manovrato il vento… spesso pioveva quando ero di cattivo umore… o tirava il vento quando ero felice… ma stanotte, sono così felice da poter toccare il cielo, eppure fuori diluvia. –
Sid si voltò verso la finestra, non aveva tirato le tende e si vedeva chiaramente la pioggia battere sui vetri e i lampi nel cielo.
- Tutti dicono che la pioggia è malinconica… io la trovo felice, invece. –
- Davvero? Mi spieghi perché, bel dottore? –
Tornò a guardarmi, mi spostò i capelli dal viso in modo dolce.
- Sai perché piove normalmente? –
- Certo… due correnti opposte s’incontrano e così via –
Mi annuì, ma dal suo sguardo capii che intendeva qualcosa di più.
- Vedi… le due correnti che s’incontrano possono unirsi una sola volta perché dopo si annullano… quindi è nel momento della loro massima felicità che piove… un po’ come se noi due potessimo fare l’amore una sola volta e poi non rivederci mai più… io cercherei di far diventare quel momento il più felice di tutti. –
Lo guardai prima stupito, poi nel modo più dolce che potei, alzandomi poi su di lui per guardarlo negli occhi, e baciarlo.
- Non ti facevo tanto romantico, Sid… -
Lui mi sorrise.
- Non sono romantico… se fossi romantico ti chiederei di legarmi a te. Ti chiederei sempre di guardarmi con quegli occhi. –
- Si… questo è romantico. –
Lo dissi in un sospiro, tornando ad appoggiare la testa sul suo petto.
- Cezen’ –
- Mmh? –
- Promettimi di credermi sempre… -
Non compresi subito cosa voleva dire, il vero significato di quelle parole, ma feci la scelta giusta. Che non mantenni.
- Lo prometto. –
Mi addormentai fra le sue braccia che mi stringevano a lui.
Ricordo che quella notte sognai una serpe bianca, che si muoveva come in un flusso d’acqua. Aveva un medaglione identico al mio, solo più antico e potente. Lentamente mi si avvicinava con uno sguardo dolce e malinconico. Per tutto il tempo del sogno quella serpe mi protesse da tutto ciò che poteva saltare fuori dall’oscurità.
Quando mi sveglia Sid era già andato a preparare il pranzo. Feci per alzarmi, quando la vidi. Fiera e arrogante, appoggiata al mobile di fronte al letto. Fu un sussurro.
- Medeé. –
Lei mi sorrise.
- Ci ho messo tanto a trovarti, Maestro. –
Scesi dal letto e abbassai il capo. Alla fine mi aveva trovato e dovevo allontanarmi da lui.
- Vestiti Cezen’. Sei in arresto. –
In quell’istante entrò lui. Si pietrificarono entrambi appena si videro.
- … non avrei mai pensato di rivederti … -
Lei gli parlava come se lo conoscesse da tempo.
- Sei cresciuta… sei diventata una bella donna, Medea. –
 “Cosa?” lo pensai subito.
- Tu, invece, sei sempre stato bellissimo, Iperione… -
Quel nome mi colpì peggio di una pugnalata; lei si mise a ridere.
- Non glielo avevi detto? Te lo sei scopato senza dirgli nulla? Non è da te Iperione… su… mostragli il tuo vero aspetto! –
Lui mi guardava, ma non riuscì a sostenere il mio sguardo. Abbassò la testa e pronunciò quella formula antica e potente.
La figura che avevo davanti aveva i capelli più lunghi e più chiari, poco più alto e muscoloso. Aveva due linee scure che scendevano dagli angoli degli occhi, ma quelli non mutarono.
Era bello e fiero come un principe.
E dire che degli indizi ne aveva sparsi. E non aveva fatto nulla per nascondere niente.
Mi aveva raccontato la sua storia, una storia che sapevo. E il medaglione, le sue parole, il sogno… e il tatuaggio. Iperione era il serpente bianco, come Chrono era il leone dorato.
Perché non l’avevo capito?
Caddi in ginocchio e con la coda dell’occhio lo vidi scattare verso di me, ma Medeé glielo impedì. Sentivo che urlava il mio nome, ma non riuscii a voltarmi verso di lui.
- Niente scherzi. Siete entrambi in arresto. –

Nel tragitto verso la Città Celeste li sentii parlare. Avevo cresciuto una donna velenosa anch’io.
- Eppure l’aveva detto Azrachena… trovato uno, avrei trovato anche l’altro. Uniti per sempre. Ma… non avrei mai pensato uniti in questo modo… -
Azrachena era l’unica strega che poteva sbirciare nel mio futuro, e nel mio presente.
È sempre a fianco del re, come sua conigliera, come sua sposa. Una fedele guardia silenziosa.
Azrachena era ed è mia gemella, mia metà.
Lui non rispose. Sentivo i suoi occhi su di me, ma non lo guardai.
- Evidentemente abbiamo gli stessi gusti, Medeé… -
La vidi tirargli uno schiaffo.
A pensarci bene, ormai, dopo vent’anni avrei dovuto ascoltarlo.
Ora che ne rimane solo un’anima dentro un cristallo.
Ora che porto i nostri medaglioni appesi alla cintura.
Dovevo credergli.
Quando ci portarono a palazzo, ci chiusero nelle carceri. Eravamo nella stessa… ma si assicurarono che lui non potesse fare nulla… per me non ce ne fu bisogno.
Mi ero raggomitolato contro la parete di fronte a lui. Ci guardavamo, e a volte lui tentava di parlarmi… ma io non lo ascoltavo, non credevo a ciò che diceva. Non credevo alle sue scuse.
Con tutti i sigilli e le catene che gli avevano messo non poteva muoversi, però ci provava comunque.
Era testardo.
Poi venne il giorno, e non so dopo quanto tempo di prigionia, che lo stesso Chrono si presentò al suo cospetto. Erano identici.
- … Guardati, Iperione… non sei nemmeno l’ombra di chi eri in passato. -
- Nemmeno tu. Una volta avevi dei principi… o almeno dicevi di averne. –
Sentii l’ira del re. Sentii anche quando lo picchiò e Sid… Iperione… non disse più nulla.
Allora gli tirò i capelli per guardarlo in viso.
- … Perché te ne sei andato? Perché mi hai lasciato? Sapevi che avevo bisogno di te… -
- Sei stato tu. Tu mi hai cacciato… quando hai deciso di abbandonare la tua natura. Quando hai deciso di diventare quello che non eri. –
Non gli fece nulla. Si voltò verso di me e mi raggiunse.
- … è per questo viso che ti sei lasciato arrestare? Eh, fratello? –
Mi fece mettere in piedi, mi alzò il viso. Mi guardava, ma non saprei dire con che espressione.
- Effettivamente non hai torto. –
Se avesse potuto… se avesse potuto non saprei cosa gli avrebbe fatto.  Iperione lo guardava con una tale rabbia da mettere i brividi persino a me.
- Mi piacerebbe sapere se è così bravo… il gemello della mia Azrachena… -
Aveva fatto scivolare la mano dalla mia guancia alle labbra, e da lì al collo.
In quell’istante rimbombò in tutta la cella il rumore sordo di ossa rotte. Sia io che il re ci voltammo verso di lui. Si era lussato la spalla e rotto il gomito del braccio destro per fermarlo e salvarmi.
- Lascialo stare, Chrono. –
Chrono non apprezzò quel gesto.
- Lui rimarrà in questa cella per l’eternità. Fra una settimana tu sarai giustiziato. –
Lo disse ringhiando, Iperione l’aveva ferito più profondamente di quanto potesse immaginare. Poi uscì, lasciandoci soli, con troppe parole difficili da dire.
- Sid… principe Iperione… lasciami curare la spalla… -
Lui non rispose, così mi avvicinai.
- Lascia stare. –
-Ma… -
- Lascia stare, ho detto. –
Mi fermai non troppo lontano da lui, mi sedetti contro il muro e smisi di guardarlo.
- Ti prego Cezen’… ti prego… non trattarmi così. –
Aveva degli occhi così sofferenti, ma io mi sentivo troppo tradito per perdonarlo.
 Oggi sarei corso da lui, avrei creduto a ogni singola parola che aveva detto. Ma allora ero troppo stupido e orgoglioso per perdonarlo, nonostante lo amassi da impazzire.
Non parlammo più. Ogni tanto tornava Chrono e andava da lui.
- Sai fratello… mi crei qualche problema… non riesco a decidere come ucciderti senza rovinare il tuo bel viso… -
 A me degnava solo qualche sguardo.
Il quarto giorno fu Iperione a chiamarlo.
- Ho una richiesta, Chrono… -
- Quale? –
Sperava gli chiedesse perdono.
- Cezen’… lui devi lasciarlo andare. –
- Perché dovrei? In fondo era ricercato per tradimento… senza contare che è a causa sua se tu ti sei fatto catturare… -
- Non farmi fare ciò che non voglio, fratello. Liberalo. –
- Dopo… dopo l’eseguzione sarà libero. –
- Va bene… -
In quel momento mi accorsi della profonda debolezza del Leone davanti al Serpente.
Chrono ci sperò fino all’ultimo che Iperione chiedesse di fermare l’eseguzione; ma lui non lo chiese mai. Non lui. Era troppo orgoglioso, troppo sicuro di se per abbassarsi a tanto.
- Perché? Perché hai chiesto della mia libertà? –
Non chiese altro al re, oltre la mia libertà. Lo odiai per questo.
- Perché ti amo troppo per permetterti di morire qui dentro. –
Lui era il tipo di persona che si preoccupava per gli altri.
Ricordo che un giorno, quando ancora per me era Sid, tornò a casa dall’ambulatorio sconvolto. Aveva dovuto dire a una madre che il figlio non sarebbe arrivato ai dieci anni. Ne aveva nove.
Quella sera non cucinò. Entrò in camera e si sedette sul letto, con la testa fra le mani . mi sedetti al suo fianco e gli chiesi cosa fosse successo.
- Non sono riuscito a guarirlo… -
Se ne stava seduto, guardando la finestra con le mani aperte abbandonate sulle gambe. Per guardarlo in viso dovetti mettermi davanti a lui.
- Eppure… eppure ci ho provato. Ho sempre guarito tutti… ero l’unico in grado di farlo… -.
Mi strinse la maglia.
- Perché non ci sono riuscito? –
Aveva appoggiato la fronte al mio petto. Fu l’unica volta che lo vidi piangere. Ed io non potei fare altro che abbracciarlo.
Il quinto giorno fu il re a far chiamare qualcuno. Me.
Mi fece portare nella sua biblioteca, grande, spaziosa, lussuosa. Sicuramente più accogliente di casa…nostra.
Mi chiese un'unica cosa.
- Parlami di lui. Parlami di come avete vissuto. –
Non penso che volesse sapere esattamente tutto, ma io glielo dissi comunque.
Gli raccontai di come tutto era cominciato e di come l’avevo incontrato in quel piccolo paese sulla costa. Delle persone che gli volevano bene. Gli parlai dell’ambulatorio e di come lui amava fare il medico, di quella piccola casa, e persino di Dahlia.
Chrono aveva chiuso gli occhi e s’immaginava ciò che raccontavo.
Poi arrivai a parlargli di noi, di quando eravamo solo noi due. Di quando facevamo l’amore, della prima e dell’ultima, ma anche di tutte le altre volte. Gli descrissi come mi toccava, dove lo faceva, dei suoi baci. Come sfiorava il mio tatuaggio o di come io sfioravo il suo. Della sensazione fantastica che avevo quando lui era dentro di me, e del suo viso quando arrivava all’orgasmo.
Gli raccontai di quando Zack morì e lui mi aveva consolato.
Gli raccontai delle cose che gli piacevano, dei suoi libri e delle sue canzoni preferite, di quando gli accarezzavo i capelli o di quando gli baciavo la pelle dietro l’orecchio per svegliarlo.
A quel punto mi fermò. Subito pensai di aver parlato troppo.
- Volevo capire se anche tu ami Iperione, come lui ama te… -
Mi vergognai, tanto, troppo. Ma non era sufficiente.
- Sai perché non fugge dalla prigione? –
-… per i sigilli che gli hai fatto mettere? –
Lui scosse la testa in un no silenzioso.
- Perché ama sia te che me. –
- Tu lo stai condannando a morte. –
- Lui credeva in me, nei nostri ideali… ma non esiste un regno con due re. Se lui muore io divento l’unico. -
- Tu sei un bastardo figlio di puttana. –
- Io ho dovuto… ho dovuto. Una guerra tu la vedi come un massacro, io come un mezzo per difendere il mio popolo. –
- Stronzate. Tu ti sei preso il trono, tu sei il re. Tu decidi! –
- Quando si è re, ben poche cose sono semplici. Torna da lui, fa gli sciogliere i sigilli e mettici a posto il braccio. –
Non mi diede il tempo per ribadire. Quando mi ritrovai in cella, davanti a lui, non sapevo come chiamarlo.
- Principe… sciogli i sigilli… devo curarvi il braccio. –
- No. –
- Ti prego… -
- Non posso farlo. –
-Cazzo, Iperione! Sciogli quei fottuti sigilli! So che puoi farlo, quindi non dire stronzate. –
Mi guardava incredulo.
Ci mise un istante a liberarsi, poi cadde in ginocchio. Mi fece impressione vederlo così fragile.
Gli misi a posto il gomito, ma la spalla lussata volle metterla a posto lui.
- Va bene così. –
Sono ancora convinto che rimettere un arto lussato in asse sia una delle cose più dolorose da vedere.
Dopo dovetti sorreggerlo io. Sentivo il suo petto alzarsi e abbassarsi contro la mia spalla. Avevo appoggiato la testa nell’incavo del suo collo, respirando il profumo della sua pelle, poi ci appoggiai su le labbra e baciai quel pezzo del suo corpo.
Il principe Iperione, il mio Sid. Il giorno seguente sarebbe stato quello della sua eseguzione. Oggi, vent’anni esatti dopo il suo ultimo addio, sono uno dei migliori cacciatori di taglie al servizio di Chrono. Abbandonai tutto, di nuovo, per stare al fianco della persona che aveva ucciso l’uomo che amavo.
Porto il suo medaglione, la sua anima proprio sopra il cuore, dormo nel suo letto. Tutto come se Iperione fosse al mio fianco. Ma non c’è.
E tutto perché lui me lo chiese; mi chiese di rimanere al fianco di suo fratello, quel giorno. Quando me lo portarono via.
Il re non permise che io fossi presente, che lo vedessi mentre gli strappava il cuore.
Poi me lo riportò, dentro un cristallo bianco. Mi riportò l’unica persona che avevo amato dentro un ciondolo. Una cosa quasi divertente.
Si era seduto di fronte a me, nella sua bella biblioteca. Aveva ancora le mani sporche del suo sangue.
- Questo apparteneva a te. E anche ora ti appartiene. –
Mi ero ripromesso di non piangere davanti a lui, presi il cristallo dalle sue mani senza dire nulla.
- Lui era mio. E mio rimarrà. Ma forse, per te, che gli hai tolto la vita con le tue mani è difficile da capire. –
- Era mio fratello. –
- L’hai giustiziato comunque. –
Silenzio. Un pesante silenzio insostenibile. Sospirai, ripensando alla sua ultima notte. Alla nostra… ultima notte. Mi aveva baciato, mi aveva accarezzato. Mi aveva parlato di noi, di lui… e di Chrono. Mi aveva raccontato di come aveva conosciuto Medeé dopo che l’avevo abbandonata, di come lei era innamorata di me.
Mi fece promettere che sarei rimasto al fianco di suo fratello, nonostante tutto.
Poi, poco prima di andarsene mi aveva sussurrato quelle due parole che avevo sempre atteso.
Scossi il capo tornando a guardare il re.
- Gli ho promesso di rimanere con te, al tuo fianco. Medeé è la prova che ero bravo in quello che facevo. –
Mi guardava senza parlare, rendendo quasi più doloroso stare in sua presenza.
- D’accordo. Sei libero. Fai quello che ti pare. –
- Oh, no… non sonolibero. –
Mi bruciava talmente tanto. Quella situazione, com’ero finito li. Tutto.
- Chrono… -
Non riuscii a tenere gli occhi aperti per dirglielo. Per chiederglielo.
- Voglio vederlo. –
Volevo salutarlo un ultima volta, e lui non poté fare altro che concedermelo.

Era bello anche così, senza vita. Lo baciai sulla fronte e lo salutai; gli dissi “addio, amore mio” e “aspettami”.
E ora so per certo che lui mi sta aspettando, ed io non vedo l’ora di riaverlo; perché le notti in cui lui mi viene a trovare in sogno non mi bastano più.
Voglio avere più d’illusione di un po’ di pace, che comunque il mattino mi strappa via di dosso. Per questo sono arrivato a questo punto, oggi.
Mi chiedo chi sarà il primo ad accorgersene… probabilmente Medeé.
E mi dispiace di questo, perché non volevo abbandonarla un’altra volta.
Ho scritto queste pagine perché volevo che lei capisse cos’ho provato io, nel trovarlo e nel perderlo, anche se non avevo il diritto di farlo, dopo tutto.
Non avevo mai capito quanto fosse bello il sangue misto all’acqua, forse è per questo, che lei è così. Ha capito prima di me questa bellezza sfuggente…
O, più probabilmente, è una bellezza che si capisce solo quando si vuole raggiungere qualcuno.
Allora anche i tagli ai polsi non fanno più male, perché so che fra poco potrò stare con la persona che avevo scelto.
Perciò chiedo scusa, e, semplicemente… dico addio.





end












  
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