Love's
erised.
Erised
stra
ehru oyt ube cafru oyt on wohsi.
Aveva
avuto tutta l’estate per prepararsi a quel giorno. Si era
chiesto più volte
come sarebbe stato, avrebbe provato rabbia? Dolore? Simpatia, forse?
Ammise di
aver fantasticato un po’ troppo. Quel Potter era tale e quale
a suo padre,
arrogante e presuntuoso perché aveva scoperto chi era
davvero.
Era
come vedere il suo peccato mortale camminargli davanti agli occhi.
Vederlo era
un tormento.
Eppure…non
riusciva a fare a meno di guardarlo, ogni tanto, quando lui non gli
prestava
attenzione. Lo guardava di sottecchi, cercando il suo sguardo. Cercando
lei. Perché
lei era lì, era ancora in quegli occhi che gli aveva donato,
in quella vita che
gli aveva donato, per due volte. E a volte riusciva a vederla, in
battito di
ciglia, in un guizzo o in un bagliore.
Si
sentiva quasi meglio in quegli istanti.
Quella
sera, la notte di Halloween, così lontana ma così
vicina da quella della
terribile notte, Severus Piton stava seguendo il professor Raptor.
Camminava veloce
e lui gli stava dietro, aspettando che compisse la mossa sbagliata. Il
nevrotico
insegnante si fermò di scatto e si voltò. Ma non
poteva vederlo, il suo incanto
di Disillusione era solido. Si udirono altri passi e Raptor
aprì velocemente
una porta e si nascose. Il custode, il signor Gazza, apparve con il suo
gatto
in fondo al corridoio. Lo percorse del tutto, fermandosi ad ascoltare,
poi se
ne andò. Poco dopo Raptus uscì dalla stanza in
fretta e si diresse dalla parte
opposta rispetto a quella dei passi che si udivano allontanarsi. Fu
allora che
lo vide. Mentre la porta si chiudeva alle spalle del professore,
Severus vide
un bagliore, come una luce riflessa su una superficie. Si
voltò per inseguire l’uomo
ma quella luce aveva qualcosa di attrattivo. Decise di seguire
l’istinto, tanto
quel viscido non avrebbe combinato altro per quella notte, non con il
custode
da quel lato del castello.
Aprì
piano la porta, senza farla cigolare, e se la richiuse alle spalle. La
stanza
era lunga e spoglia, se non per qualche scrivania, un armadio e un
altissimo
specchio coperto in parte da un telo bianco. La luce, ne era certo,
proveniva
da lì. Si avvicinò cautamente, togliendosi
l’incantesimo di dosso.
Tese
la mano, chiedendosi se era veramente quello che pensava fosse, un
oggetto di
grandissimo valore e magia, che era nel castello da molto tempo ma che
lui non
aveva mai visto. Silente era stato sempre molto cauto nel rivelare
particolari
di quello specchio. Afferrò la stoffa e la lasciò
cadere in terra. La cornice
era dorata ed elaborata finemente. In cima si poteva leggere una
scritta:
Erouc
li am
otlov li ottelfir non
Severus
lesse quella frase, cercando nella sua mente a che lingua potesse
appartenere. Poi
capì.
“Non
rifletto il volto ma il cuore,” sussurrò nel
silenzio.
Aveva
paura. Non voleva posare gli occhi su quella superficie, ma era
più forte di
lui, perché sapeva cosa ci avrebbe visto. O meglio chi.
Conosceva i poteri
dello Specchio delle Brame quasi più di chiunque altro.
Si
guardò. All’inizio non vide che la sua stessa
immagine riflessa, il naso a
punta, i capelli neri, li occhi profondi come pozzi. Poi, al suo
fianco,
apparve una figura, una donna dai capelli rossi e gli occhi verdi, che
gli
sorrideva e gli posava una mano sulla spalla.
Severus
cadde in ginocchio. Non poté controllarsi,
cominciò a tremare e a emettere
gemiti strazianti, come un animale ferito. Le lacrime caddero senza che
nulla
potesse fermarle, i suoi occhi fissi in quelli dolci di Lily Evans che
si
rifletteva in quello specchio, più viva che morta nella sua
mente. Lei gli
accarezzava i capelli e lui riuscì a sentirla per un breve
istante, sentì il
suo tocco delicato, il suo bacio posato sulla guancia e la sua voce che
gli
diceva che era il suo migliore amico, che era l’unico che
aveva avuto il suo
cuore. Sev posò le dita sulla dura superficie, cercando di
afferrarla, di
riportarla lì, nel mondo con lui.
“Mi
dispiace, Lily. Mi dispiace così tanto,” disse
gemendo.
Non
c’era nulla al mondo che potesse riparare il danno che aveva
fatto. Solo una
cosa poteva riscattarlo, fare in modo che lei non fosse morta invano,
ma non
gli avrebbe comunque riportato lei, non avrebbe mai curato il suo
rimorso. Era una
lacerazione, la ferita di un incantesimo tanto forte da non poter
essere
guarita. Harry Potter portava una cicatrice sulla fronte, e lui, come
ricordo
di quella notte, portava un baratro sanguinante in mezzo al cuore, che
stillava
sangue ad ogni pulsazione. Avrebbe voluto restare lì per
sempre, con lei
accanto. Si addormentò, sfinito e svuotato, dopo una notte
di dolore.
Undici
anni dopo, il tempo, medicina di ogni male, non aveva guarito niente.
“Molto
meglio, grazie Minerva,” rispose.
Entrato
nella Sala Grande si diresse al suo posto. E incrociò lo
sguardo dell’uomo che
lo teneva nel cucchiaino, che cercava disperatamente di non farlo
cadere. Lo guardò
profondamente e lo ringraziò con lo sguardo.
Lui
annuì e sorrise. Severus,
guardando
nuovamente di sottecchi Harry Potter, capì che forse avrebbe
potuto farcela.
Perché
Lily
non fosse morta invano.
Praying
time will bring you near, I'll wait for your love.
-One
day, Trading Yesterday-