Noi
siamo i
fortunati
Mi
chiamo Audrey Cooley, faccio l'insegnante di lettere e sono appena
tornata dal
funerale di mia madre, Ambra Fontana Cooley.
Era nata
a Milano, in Italia ma si era trasferita a Toronto all'età
di 19 anni.
Mia madre
era una donna particolare, viveva a modo suo, aveva una visione molto
personale
del mondo e ogni volta che glielo si faceva notare diceva
“Si, si!” e
raccontava la storia della sua insegnante del liceo che le mise 5 1/2 in un tema
perché i suoi pensieri erano
troppo contorti.
Buona
forma, ottimo contenuto, lessico adeguato ma, purtroppo, la mente che
ci stava
dietro era troppo complicata.
Usava moltissimo la parola “assurdo”.
Le piaceva tanto.
Ogni
volta che tornava a casa dopo una brutta giornata, ci guardava e si
limitava a
dire: assurdo, quando ci sgridava per il troppo
disordine diceva sempre:
assurdo tenere le cose in questo modo. Lo diceva
anche a se stessa
quando commetteva un errore, alzava di occhi al cielo, si batteva la
mano sulla
fronte e poi sbuffava: assurdo.
In casa la consideravamo la
“Donna delle Passioni”. Infatti lei non amava
semplicemente, lei si
appassionava. Era una appassionata di libri, di film d'epoca e di serie
televisive. Considerava tutto quello che la faceva emozionare, arte.
Adorava
l'arte. Adorava un sacco di cose. Adorava la pioggia, adorava
chiacchierare,
adorava organizzare le cose nei dettagli per essere sempre preparata,
adorava
il suo lavoro di sceneggiatrice televisiva e anche se a volte ne ho
molto
dubitato, ora sono sicura che adorasse anche me, mia sorella gemella
Marilyn,
mio fratello Clark e suo marito, nostro
padre, Ryan Cooley.
Io e i
miei fratelli dobbiamo i nostri nomi a dei grandi attori del passato
che mia
madre adorava (anche se erano già morti quando lei era
ragazzina); io ho il
nome della Hepburn, mia sorella quello di Marilyn Monroe e mio fratello
quello
di uno degli attori preferiti da mia madre per eleganza e presenza
scenica: Clark
Gable, non che il protagonista maschile del film “Via col
Vento”.
La maggior parte delle persone
quando ricordano i genitori non pensano sempre ai bei momenti passanti
insieme,
ma i ricordi portano, presto o tardi, all'adolescenza ,quando erano
frequenti i
litigi e i “ti odio” sulla punta della lingua che
non si dicevano mai.
Vengono
alla memoria tutti quei giorni in cui non ci si sentiva capiti e allora
si
pensava: ma loro non sanno cosa sto passando? Non sono stati
giovani anche
loro?
Con ogni
probabilità lo penserei anche io, come tutti, ma invece no e
mi sento fortunata
per questo. Ho potuto conoscere mia madre da ragazza.
Non di
persona, certo, ma attraverso il racconto della storia con mio padre.
Sono
state le quattro ore più intense della mia vita, trascorse
in un pomeriggio di
pioggia di metà maggio del 2037. Io e Marilyn avevamo 15
anni mentre Clark 18.
Il
funerale di nostro padre era stato il giorno prima ed eravamo
sconvolti. Un
pirata della strada ce lo aveva portato via a 49 anni, senza darci un
avvertimento o una spiegazione.
Non
credo che ci rendessimo ancora conto di quello che era successo
perché le cose
erano andate troppo in fretta. Come se ci trovassimo nell'occhio di un
ciclone:
tutto il mondo ruotava vorticosamente intorno a noi, mentre noi
restavamo
fermi, senza capire. Come se aspettassimo quel particolare momento in
cui ci si
accorge che una persona non tornerà e non la vedrai
più, non importa se non gli
hai detto addio, si realizza che così stanno le cose e
bisognerà accettarle
prima o poi.
Stavamo seduti in salotto,
attorno al tavolo, guardando il posto di mio padre che sarebbe stato
vuoto da
quel giorno in poi. Avevamo gli occhi vuoti ed eravamo stanchi ma non
pensammo
nemmeno per un secondo di andarci a riposare. Rimanemmo in silenzio per
tutta
la mattina, e
quelle sedie cominciavano
a diventare scomode. A quel punto, non so come le venne in mente,
Marilyn
chiamò la mamma, lei la guardò fingendo un
sorriso, spento, poi chiese:
"Mamma,
quando hai visto papà la prima volta?"
Io e
Clark ci scambiammo rapidi un'occhiata da “ma cosa ti viene
in mente di
chiedere” ed eravamo pronti a tirarle un calcio sotto al
tavolo per impedirle
di fare altre domande del genere, ma poi vedemmo gli occhi della mamma
accendersi, ed un sorriso vero le comparve sulle labbra. Si
passò la mano sulla
guancia, piegò lievemente la testa e rise.
"La
figura peggiore che abbia mai fatto!" disse.
Vedendola
ridere, sorridemmo anche noi, contenti di averla distratta per un
attimo.
"Cosa
vuoi dire?" chiese Clark.
"Vedete,
la prima volta che vidi vostro padre ero in pullman e stavo tornando da
scuola.
Era primavera, i primi di aprile. Mi ricordo che era una splendida
giornata ma
non mi era andata molto bene a scuola. Mi venne voglia di chiamare una
cara
amica. Lei viveva molto lontano da Milano e non ci sentivamo molto
spesso, anche
se entrambe lo avremmo voluto. Nicla. Me la ricordo bene! Facevamo un
gioco al
telefono: quando ci chiamavamo non eravamo più noi ma
diventavamo qualcun altro
e ci inventavamo le conversazioni. Sapevamo essere molto creative: un
giorno
lei era un medico e io un avvocato, un altro lei una tennista ed io una
ragazza
madre. Ci divertivamo a rendere le nostre vite più
emozionanti anche se alla
fine non risultavano
molto plausibili.
Ci piaceva tanto perché riusciva a distrarci dalle nostre
vite reali, che noi
consideravamo monotone e noiose. Quel giorno, non so neanche
perché, cominciai
a parlarle in inglese ed impersonai un'attrice che sarebbe dovuta
morire nella
serie in cui lavorava. Era molto arrabbiata perché faceva
parte del cast fin
dall'inizio e perché le avevano incaricato di scrivere la
scena della sua
morte. Andammo
avanti così per mezz'ora
buona finché Nicla dovette riattaccare e tornare alla
realtà. Mi appoggiai al
finestrino e sorrisi tra me e me; avevo inventato davvero una bella
storia e il
mio inglese non era niente male!"
"E
papà quando arriva?" chiesi impaziente.
"Adesso
ci arrivo Audrey. Mentre stavo pensando ai fatti miei sentii due dita
battermi
sulla spalla, mi girai e vidi vostro padre accompagnato da un uomo
sulla
trentina. L'uomo si presentò parlando inglese come Keith
Moorey, regista di un
noto teen-drama canadese che però in Italia non era mai
stato trasmesso: Carver
High School."
"Conoscesti
un regista canadese su un autobus a Milano?" chiese Marilyn ridendo.
"Lo
so, assurdo!" rispose la mamma.
Sapevamo
che aveva lavorato come attrice per Keith prima della nascita di Clark
ma non
le avevamo mai chiesto niente a riguardo e lei non
ne aveva mai parlato di sua iniziativa.
"Poi?"
chiese Clark.
"Poi
Keith cominciò a farmi un centinaio di domande sul mio
immaginario lavoro da
attrice, chiedendomi nomi di registri, di serie in cui ero comparsa ed
altre
cose del genere. Arrivò addirittura a chiedermi un consiglio
sulla sua serie,
anzi, la chiamò “consulenza
professionale”. Io mi vergognavo troppo a dire la
verità quindi annuii sperando che la cosa sarebbe finita
lì."
"Cosa
ti chiese?" disse Marilyn che si era già appassionata alla
storia.
"Mi
chiese come far rientrare in una serie un personaggio che era morto
senza
metterne in discussione la morte. Il personaggio in questione era
quello di
vostro padre in Carver High School, Ben Morgan. La considerai un buona
opportunità per farmi
due risate e diventare qualcuno di più interessante anche
fuori dalle mie
conversazioni telefoniche con Nicla."
"Quindi,
tu continuasti a fingere?" chiese uno di noi.
La mamma
sorrise. "Oh si! E lo diedi anche, quel consiglio! Dissi che bastava
introdurre un nuovo personaggio. Una ragazza appena arrivata alla Carver
che avrebbe fatto così tante domande su questo ragazzo morto
da andare molto
vicina all'ossessionarsi, così tanto presa che avrebbe
cominciato a vederlo, a
parlarci pur rimanendo consapevole che lui non esisteva. Non doveva
essere
pazza..."
<"..doveva
solo innamorarsi di un ragazzo che non solo era morto ma che non aveva
mai
nemmeno conosciuto!" finì la frase Marilyn.
"Si,
l'idea era quella."
Clark,
seduto di fianco a me, mi afferrò improvvisamente la mano,
io mi girai di
scatto e lo vidi a bocca spalancata. La mamma lo guardò
sorridendo e annuì.
Io e
Marilyn non capivamo, quando gli chiedemmo spiegazioni, Clark disse:
"Ecco
come cominciò a lavorare per Keith e
perché si trasferì a Toronto!"
"Si,
Clark, Keith adorò la mia storia, ed euforico disse che
avrebbe sicuramente
fatto così. Poi, mi squadrò il viso e disse:
potresti essere tu!"
"Nooooooo!"
sospirò di stupore Marilyn.
"A
quel punto non potei fare altro che raccontare tutta la
verità, dicendo che
avevo mentito, che non ero affatto un'attrice. Mi scusai e feci per
andarmene."
"Non
dirmi che papà è venuto dietro a convincerti!"
disse Marilyn mostrando la
sua tipica vena romantica.
"Assolutamente
no, lui non disse nulla per tutto il tragitto in pullman, la prima
volta che mi
parlò fu il giorno dopo, quando mi disse che sarei stata in
grado di recitare
se solo lo avessi voluto. Quelle sue parole furono quello che mi diede
il
coraggio di accettare il lavoro, ma chi che mi seguì
sull'autobus fu Keith. Mi
chiese almeno di pensarci, di non rifiutare a priori ma io stroncai
tutte le
sue speranze dicendo che non avrei mai potuto essere un'attrice in
Canada,
primo perché non
avevo mai recitato e
non ne ero capace, e poi perché le attrici sono sempre
bellissime, altissime e
magrissime...e io non lo ero."
"Autostima
a mille..." dissi sottovoce.
Prontamente
mi arrivò una gomitata da Marilyn.
"Audrey!" urlò riprendendomi.
"No,
Marilyn," disse mamma "Audrey non ha torto, mi sottovalutavo parecchio
ed
ero insicura, ma d'altronde era il mio carattere. Tornando alla storia,
io
avevo rifiutato di netto l'offerta di Keith Moorey ma lui non
sembrò curarsene,
infatti mi porse il suo biglietto da visita. Qualche mese dopo, a
Toronto mi
disse che aveva insistito tanto perché sapeva che ero
un'attrice da come avevo
parlato al telefono con Nicla, lo sapeva prima di che me ne rendessi
conto io
stessa."
La
guardammo un po' straniti. La mamma se ne accorse e disse con i suoi
soliti
occhi rivolti verso l'alto:
"Filosofo
o no, ti fece cambiare idea!" disse Clark.
"Infatti..."
riprese a raccontare la mamma "Mi mise la pulce nell'orecchio e non
feci che
pensarci per tutto il pomeriggio. Avevo sempre amato Toronto e ancora
non
sapevo cosa fare della mia vita. Quindi mi dissi: perché non
l'attrice?"
"E
così partisti!!! Che fortuna che hai avuto mamma!" disse
Marilyn con gli
occhi che le brillavano.
"Ovviamente
non fu tutto così semplice, ci vollero due settimane per
sistemare tutto, per
queste cose ci vuole un contratto, sono piene di dettagli da definire
per non
parlare di vostro Zio Marco!"
"Non
voleva che partissi?" chiesi.
"Non
è che non voleva, diciamo che non ne era molto convinto.
Dopo la morte dei
nostri genitori eravamo rimasti solo noi due e gli sarebbe stato
difficile
separarsi da me. Ma poi ha accettato, non mi aveva mai vista lottare
per una
cosa che volevo. Questo fu tutto merito di vostro padre. Ed
è così che nacque
il personaggio di Kendra in Carver High
School."
Ci
guardammo in silenzio chiedendoci come mai non avessimo mai voluto
sapere
niente della storia dei nostri genitori. C'erano mille domande che
volevo farle
ma non sapevo decidermi.
Poi
mamma si alzò, si avvicinò ad un mobile del
salotto ed aprì uno dei cassetti
tirandone fuori una scatola lilla a righe bianche. Tornò al
tavolo e l'aprì
davanti a noi.
La mamma
dalla scatola prese una fotografia e ce la porse.
C'era
raffigurato tutto il cast della quarta serie di Carver High
School e in
un angolo, seduta sui gradini vedemmo nostra madre; era giovanissima,
ci disse
che era il 2009 ed aveva appena compiuto 19 anni. Poi sorrise e ci
sfidò a
trovare papà. Guardammo quei volti più e
più volte ma non riuscimmo a
riconoscerlo e quando lei ce lo mostrò non credemmo ai
nostri occhi.
"Ma...era...era..."
balbettò Clark
"Lo
so" disse la mamma.
"Sicura
che sia lui?" chiesi.
"Oh
si assolutamente."
"Assurdo."
dissi io, il mio primo assurdo che però
non fu l'ultimo.
Lasciò
la foto sul tavolo, chiuse la scatola e la mise sul pavimento.
"Sembrate
così diversi...fa strano pensarvi insieme da giovani" disse
Clark non
riuscendo a staccare gli occhi dal viso di papà a 21 anni.
"Diversità..."
sospirò la mamma passandosi le mani sul viso. "Questo fu il
motivo di una
delle nostre rotture."
"Una
delle vostre, mamma? Quante volte avete rotto?" chiesi.
"Tre."
"Davvero?"
fece Marilyn.
"Beh,
tecnicamente due..."
"Cosa
centrava l'essere diversi?" chiese Clark.
"L'ultima
volta che rompemmo, fu lui a lasciare me. Non volevamo le stesse cose.
Cioè, le
volevamo per il presente, ma non per il futuro. Vostro padre riguardo
all'amore
era esattamente come te> disse mentre accarezzava il mento di
Marilyn
"Quando
siete tornati insieme tu e papà?" chiesi.
"Ci
rincontrammo quando un talk show invitò me, vostro padre, ed
altri personaggio
di Carver High School per un intervista. La serie
si era ormai
conclusa un paio di
anni prima, alla
fine della quinta stagione e giravano voci per un film che
però non fu mai
girato. Appena ci vedemmo nei camerini fu così
spiazzante...non ne avete idea.
Mi resi conto di quanto mi era mancato, in fondo lui era un grande
amico per
me, mi aveva sostenuta ed aiutata i primi tempi a Toronto, con la mia
recitazione, con la pronuncia di alcune parole, con le scene dei
baci...Mi disse
che anche per lui era così e decidemmo di restare amici."
"tzè...amici..."
disse Clark.
"Infatti,
noi non eravamo capaci di essere amici e infatti due settimane dopo..."
Mamma
lasciò in sospeso la frase ma non ci volle molto a capire
come sarebbe finita.
Se fino a quel momento Marilyn si era appassionata alla storia, adesso
ne era
completamente rapita. Sorrideva, a volte le tremavano le mai e il suo
piede non
smetteva di tamburellare sotto al tavolo. C'erano mille
curiosità che lei
voleva soddisfare ed era lo stesso anche per me e Clark.
"Primo
bacio?" disse a voce timida Marilyn.
Il viso
pallido che la mamma aveva da due giorni riprese colore e
cominciò a mordersi
il labbro inferiore, cosa che faceva quando era nervosa o cercava di
non
sorridere troppo.
"Beh,
ce n'è uno ufficioso e uno ufficiale."
Non
capimmo cosa volesse dire.
"Spiegati
meglio, mamma!" dissi.
"Il
bacio ufficioso avvenne nel parcheggio della palestra che frequentavo
un paio
di giorno dopo averlo conosciuto. Mi disse che gli mancava la sua
palestra
abituale e allora gli proposi di venire a fare la lezione di prova
gratuita
nella mia. Ammetto che mi fu difficile staccargli gli occhi di dosso.
Vostro
padre non era quello che si può definire bello, lo vedrete
dalla foto, ma aveva
un fascino particolare, una particolare espressione che affiancato ad
un bel
sorriso mi fecero perdere la testa. Un paio d'ore dopo uscimmo dalla
palestra e
ci accorgemmo che c'era un forte temporale. L'acqua veniva
giù a secchi e
vedevo passanti che nonostante l'ombrello erano fradici. Gli dissi
“sarà meglio
fare una corsa!” ma lui non mi rispose. Credendolo di fianco
a me iniziai a
correre verso la macchina finché mi girai e notai che stava
passeggiando
lentamente ad una decina di metri. Tornai verso di lui, mi
guardò e rise. Poi
mi disse “Non ho mai camminato sotto la pioggia fino ad
inzupparmi!” Ah bè,
pensai, sono messa bene! Mi misi piano a camminargli vicino fino a
quando disse
“Ora tocca a te fare qualcosa che non hai mai
fatto.” e io risposi “perché
dovrei?” e lui, come se fosse la cosa più naturale
del mondo disse “perché l'ho
fatto io.”"
"Disse
davvero così?" chiesi stupita.
"Lo
so che è insolito, ma lui era fatto così, e per
quanto strano possa essere, mi
lasciai convincere."
"Cosa
feci che non avevi mai fatto?" chiese Clark.
"Baciai
un ragazzo sotto la pioggia." disse la mamma mentre con calma volse lo
sguardo verso lo scrosciare dell'acqua sul davanzale della finestra.
Capii come
era nato il suo amore per la pioggia.
"Perché
questa versione è ufficiosa?" chiese Marilyn.
La mamma
si voltò di nuovo verso di noi e rispose: "Perché
quel bacio non contava!
Era un gioco!"
"Quello
vero allora?"
"Il
giorno dopo. L'avevo accompagnato all'albergo dopo avergli mostrato
dove
compare delle cartoline, lui scese dalla macchina, mi salutò
e richiuse la
portiera. Ero così immersa nei miei pensieri che non lo vidi
avvicinarsi alla
mia portiera e in un attimo, l'aveva già aperta e mi stava
baciando, e non era
affatto un gioco."
Marilyn
si sporse verso la mamma. "A me lo puoi dire; ha baciato bene?"
Sorrise
assaporando i ricordi. "Altroché!"
"Poi
come continuò la cosa?" chiesi.
"Restammo
nell'atmosfera delle cose fresche e nuove anche nei due giorni
successivi, ci
baciammo tantissimo, parlammo in continuazione e lo portai in giro per
Milano.
Poi, finalmente, mi decisi ad accettare l'offerta di Keith Moorey e
allora le
cose si fecero complicate. Insieme decidemmo che non era il caso di
stare
insieme o cose del genere ora che eravamo colleghi, sarebbe stato solo
di
intralcio al lavoro.!
"Ci
rimasi male?" chiese Marilyn.
"Non
più di tanto, in verità. Non avevo avuto ancora
il tempo di affezionarmi
seriamente, mi ero convinta che avremmo superato alla svelta quei
giorni e che
saremmo diventati buoni amici e colleghi affiatati."
Quella
storia
batteva di gran lunga le numerose commediole romantiche che Marilyn mi
faceva
vedere e che amava tantissimo. Il racconto non fece altro che
alimentare le sue
speranze di vedere, un giorno, le sue smielate fantasie avverarsi.
"E
questa fu la vostra prima rottura." Conclusi io.
"La
prima delle tre." confermò Clark.
"Come
si arrivò alla rottura numero due?" chiesi.
Marilyn
mi guardò fredda. "Sempre la solita cinica tu, eh? Quello
che Audrey voleva
dire...> riprese riferendosi a mia madre <...era: come vi
siete rimessi
insieme?"
"Quello
che Audrey voleva dire è quello che Audrey ha detto." dissi.
Questa
volta da Clark, il calcio sotto al tavolo arrivò veramente
ed entrambe restammo
zitte per ascoltare la mamma.
"Avvenne
mentre giravamo l'ultima puntata della quarta serie di Carver
High School.
Non fu semplicemente una delle tante scene insieme con bacio finale a
cui ormai
eravamo abituati, ma quella in cui Kendra decise di
dire addio a Ben
perché non era reale ed era tempo di vivere la sua vita. Fin
qua tutto bene,
penserete voi, ma a quel punto Ben doveva
allontanarsi da casa di Kendra
sotto la pioggia, Kendra lo doveva guardare
andarsene via, lo doveva
inseguire e baciarlo dicendo che aveva cambiato idea."
"Uh..."
intervenne Marilyn "La pioggia.."
"Già,"
riprese la mamma "Così doveva essere la scena e così
l'abbiamo fatta solo che dopo averlo
baciato mi sfuggì “Ti amo”. Vostro padre
mi guardò sorpreso. Per fortuna
riuscii a rimediare con “Ti amo, Ben.” A Keith la
mia improvvisata piacque e
decise di non farci rifare la scena ma Ryan non si era dimenticato
quello che
avevo detto. Tornò da me chiedendomi una spiegazione che io,
ovviamente,
riempii di bugie. Dopo che ebbi finito di spiegarmi, mi
guardò e con la sua
particolare espressione che tanto mi aveva colpita, disse
“Peccato che non
fosse vero, perché allora ti avrei detto che è lo
stesso anche per me."
"Che
carino!" esclamò Marilyn.
"Si,
è vero, restammo insieme fino all'estate successiva, ma poi
ricevette un
offerta per un film a Los Angeles. Non poteva rifiutare, non voleva e
soprattutto non glielo avrei mai permesso. Ci lasciamo
perché nessuno dei due
credeva alle relazioni a distanza, ma quando il film si
rilevò mal organizzato,
disastrosamente finanziato dovettero lasciar perdere e mandare a casa
gli
attori, tornò a Toronto e dato che entrambi non stavamo
uscendo con nessun
altro e per amarci, ci amavamo ancora, volemmo riprovare a stare
insieme e andò
bene. Almeno fino alla rottura numero tre di cui vi ho già
parlato."
"Eravate
così complicati tu e papà!" dichiarò a
voce alta Clark.
"Puoi
giurarci!" disse la mamma. Poi si alzò e si diresse verso la
cucina a
prepararsi una tazza di tè. Clark le corse dietro e convinto
che noi dal
salotto non riuscissimo a sentire nulla, disse alla mamma: "Adesso che
siamo
noi due soli me lo puoi dire. Siamo due adulti, le ragazzine sono di
là quindi
mi puoi rispondere..." si guardò un attimo intorno per
accertarsi che io e
Marilyn non fossimo lì ad origliare e chiese: "E per quanto
riguarda la
vostra prima volta?"
"Ehm...Clark,
tesoro, abbiamo aspettato il matrimonio, ovviamente!"
Sentendo
questa risposta io e mia sorella ci precipitammo in cucina.
"Mamma,
non ti aspetterai mica che ti crediamo, vero?" dissi io.
"Ma
ti pare?" mi appoggiò Clark.
"Assurdo..."
sospirò con gli occhi al cielo. "E va bene, ve lo
dirò. È strano essere in
una cucina perchè è proprio qui che successe"
Immediatamente,
quasi in sincro, io e i miei fratelli balzammo all'indietro oltre la
soglia
della cucina togliendo prontamente le mani da qualunque cosa stessimo
toccando
in quella stanza.
"Bleah!"
Nostra
madre scoppiò a ridere.
"Ma
non in questa, avevo 20 e andai a trovarlo..."
"Mamma,
mamma!" lo interruppe Clark "Ho cambiato idea...niente dettagli, per
favore!"
E,
sorridendo e inorridendo tornammo a sederci al tavolo in salotto.
Passammo
così anche il resto del pomeriggio, facendo domande a
raffica ed ottenendo
risposte intrise di ricordi. Non avevo mai creduto alle anime gemelle
oppure
alla sola persona che si ama per la vita, per i miei genitori fu
così. Non
erano importate le molteplici rotture, o i tanti Nick ed offerte di
lavoro
lontane che si erano susseguite, alla fine tornavano sempre l'uno
dall'altra,
esattamente come quando si posizionano due calamite a distanza e le si
vede
tremare fino a unirsi di nuovo. In quel periodo ero in quella fase
della vita
in cui cercavo di respingere tutto quello che rappresentasse
autorità come i
miei insegnati ma soprattutto i miei genitori.
In quel
momento capii che se solo avessi chiesto a papà di
raccontarmi come avesse
conosciuto la mamma lui mi avrebbe risposto e non so cosa avrei dato
per
sentire la storia dal suo punto di vista. Tante volte immaginai di
chiedergli
cosa pensò quando la mamma gli disse che lo amava mentre
stavano recitando una
scena, o come gli sembrò strana quella ragazza che sui
pullman si inventava
storielle al telefono. Mille risposte che non avrei mai avuto. Mi
sentii in
colpa ed invadere dal dolore. Mi sarebbe mancato.
La mamma
finì la storia raccontandoci della nostra nascita e delle
vacanze al mare in
Italia. A quel punto nessuno di noi avrebbe sopportato una parola di
più. Ci
alzammo e chiudendoci ognuno in una stanza diversa piangemmo per la
prima volta
la morte di quell'uomo, sognatore e romantico, che fu un buon padre e
marito
per tutti noi.
Oggi,
ripensando a questa giornata, sono tornata nella mia vecchia casa e ho
pianto
la morte di mia madre esattamente dove avevo pianto per quella di mio
padre.
Quando
mi sono sentita ben sfogata mi sono ricordata della scatola lilla e
bianca.
Quando mia madre la aprì per farci vedere quella fotografia
mi ricordai di
averla vista piena di altre cose. Sperando che fosse rimasta dove me la
ricordavo ho aperto il cassetto del mobile in salotto. Si, era
lì, solo con il
lilla sbiadito e il bianco un po' ingiallito. Ho trovato altre foto
promozionali della serie ed anche il copione originale della famosa
scene della
pioggia.
Ho
osservato bene una foto incorniciata dei miei genitori. Sentendo le
lacrime
risalire, mi sono lasciata sfuggire la foto dalle mani ed il vetro
della
cornice si è frantumato sul pavimento.
Mi sono
abbassata a raccogliere i cocci ma tra la foto e la cornice era
incastrato un
foglio a quadretti tutto stropicciato su cui riconobbi l'ordinata
calligrafia
di mio padre.
Ho letto
cosa aveva scritto in un attimo e non ho potuto fare a meno di
chiedermi se in
passato la mamma lo avesse notato nonostante papà l'avesse
nascosto.
Dopo
anni a pentirmi di non sapere il suo lato della storia mi sento onorata
di
averne trovato anche solo un frammento. Mi sento meglio e da oggi sono
sicura
che quando andrò a lavorare domani e tutti i giorni che
verranno, parlando ai
miei studenti di Oscar Wilde o di altri autori che amo molto, mi
sentirò felice
perché per lui dovrebbe essere così.
Tengo
a sottolineare che questa non è altro che la cronaca di
quello che è successo
oggi.
L'unico
motivo che mi spinge a scrivere è la voglia di non
dimenticare quello che ho
sentito.
Oggi
ho portato Ambra a conoscere gli altri.
Era
tanto nervosa. Pensava che di non riuscire ad inserirsi tra di noi.
Diceva
che era perché eravamo un gruppo già formato.
Appena
dopo le presentazioni qualcuno ha notato che non smetteva di sorridere.
Le
abbiamo chiesto perché lo facesse e lei ha detto
“Sorrido perché sono entrata
nel gruppo dei fortunati.”
Inizialmente
abbiamo riso come se la cosa non avesse senso e lei ci è
rimasta un po' male.
Poi
le ho chiesto di spiegarsi meglio.
Ha
detto: “Voi siete i fortunati, anzi, Noi siamo i Fortunati.
Pensate quanta
gente va a lavorare ogni mattina in un posto che odia, che la opprime,
ma purtroppo
non può smettere perché ha bisogno del lavoro.
Tutte
quelle persone sono insoddisfatte, magari addirittura infelici. E le
persone
che sono appagate dal lavoro chissà quanto hanno dovuto
aspettare! Forse anni
insoddisfacenti in piccoli uffici o qualcosa del genere. Invece noi,
guardiamoci, noi abbiamo a malapena vent'anni e stiamo facendo il
lavoro dei
sogni! Non solo dei nostri sogni ma anche quelli di tanti altri ragazzi
là
fuori. Sapete cosa pensano quei ragazzi? Pensano a quanto siamo
fortunati. E lo
siamo davvero!!! Lo siamo perché siamo giovani e felici. Non
significa che va
sempre tutto bene nelle nostre vite, ma sappiamo che abbiamo qualcosa
di bello
con cui consolarci quando il resto va male, sappiamo che c'è
quel qualcosa che
renderà la nostra prossima giornata stupenda.>
Era
bello vedere come e quanto le brillavano gli occhi.
Ci
siamo guardanti tra noi e abbiamo capito che aveva ragione. Alcuni lo
hanno
capito per la prima volta. Abbiamo capito che è vero. Noi lo
siamo.
NOI
SIAMO I FORTUNATI.
Ryan Cooley, 24 Aprile 2009
_______________________
Non so bene perchè la pubblico solo adesso...
oggi è il mio diciottesimo compleanno ed invece di stare
fuori ad abriacarmi =} me ne sto a casa a scrivere qualcosina...mi ero
quasi dimenticata di aver scritto questo ma ora mi va di sapere cosa ne
pensate!
1abbraccio OctoberRain