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Autore: OctoberRain    03/10/2010    1 recensioni
Quando una persona muore ritornano in mente tutti i bei ricordi...ecco cosa spinse una madre a raccontare una storia molto speciale ai suoi figli.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Noi siamo i fortunati

Mi chiamo Audrey Cooley, faccio l'insegnante di lettere e sono appena tornata dal funerale di mia madre, Ambra Fontana Cooley.

Era nata a Milano, in Italia ma si era trasferita a Toronto all'età di 19 anni.

Mia madre era una donna particolare, viveva a modo suo, aveva una visione molto personale del mondo e ogni volta che glielo si faceva notare diceva “Si, si!” e raccontava la storia della sua insegnante del liceo che le mise 5 1/2  in un tema perché i suoi pensieri erano troppo contorti.

Buona forma, ottimo contenuto, lessico adeguato ma, purtroppo, la mente che ci stava dietro era troppo complicata.

                Usava moltissimo la parola “assurdo”. Le piaceva tanto.

Ogni volta che tornava a casa dopo una brutta giornata, ci guardava e si limitava a dire: assurdo, quando ci sgridava per il troppo disordine diceva sempre: assurdo tenere le cose in questo modo. Lo diceva anche a se stessa quando commetteva un errore, alzava di occhi al cielo, si batteva la mano sulla fronte e poi sbuffava: assurdo.

                In casa la consideravamo la “Donna delle Passioni”. Infatti lei non amava semplicemente, lei si appassionava. Era una appassionata di libri, di film d'epoca e di serie televisive. Considerava tutto quello che la faceva emozionare, arte.

Adorava l'arte. Adorava un sacco di cose. Adorava la pioggia, adorava chiacchierare, adorava organizzare le cose nei dettagli per essere sempre preparata, adorava il suo lavoro di sceneggiatrice televisiva e anche se a volte ne ho molto dubitato, ora sono sicura che adorasse anche me, mia sorella gemella Marilyn, mio fratello Clark e suo marito,  nostro padre, Ryan Cooley.

Io e i miei fratelli dobbiamo i nostri nomi a dei grandi attori del passato che mia madre adorava (anche se erano già morti quando lei era ragazzina); io ho il nome della Hepburn, mia sorella quello di Marilyn Monroe e mio fratello quello di uno degli attori preferiti da mia madre per eleganza e presenza scenica: Clark Gable, non che il protagonista maschile del film “Via col Vento”.

                La maggior parte delle persone quando ricordano i genitori non pensano sempre ai bei momenti passanti insieme, ma i ricordi portano, presto o tardi, all'adolescenza ,quando erano frequenti i litigi e i “ti odio” sulla punta della lingua che non si dicevano mai.

Vengono alla memoria tutti quei giorni in cui non ci si sentiva capiti e allora si pensava: ma loro non sanno cosa sto passando? Non sono stati giovani anche loro?

Con ogni probabilità lo penserei anche io, come tutti, ma invece no e mi sento fortunata per questo. Ho potuto conoscere mia madre da ragazza.

Non di persona, certo, ma attraverso il racconto della storia con mio padre.

Sono state le quattro ore più intense della mia vita, trascorse in un pomeriggio di pioggia di metà maggio del 2037. Io e Marilyn avevamo 15 anni mentre Clark 18.

Il funerale di nostro padre era stato il giorno prima ed eravamo sconvolti. Un pirata della strada ce lo aveva portato via a 49 anni, senza darci un avvertimento o una spiegazione.

Non credo che ci rendessimo ancora conto di quello che era successo perché le cose erano andate troppo in fretta. Come se ci trovassimo nell'occhio di un ciclone: tutto il mondo ruotava vorticosamente intorno a noi, mentre noi restavamo fermi, senza capire. Come se aspettassimo quel particolare momento in cui ci si accorge che una persona non tornerà e non la vedrai più, non importa se non gli hai detto addio, si realizza che così stanno le cose e bisognerà accettarle prima o poi. 

                Stavamo seduti in salotto, attorno al tavolo, guardando il posto di mio padre che sarebbe stato vuoto da quel giorno in poi. Avevamo gli occhi vuoti ed eravamo stanchi ma non pensammo nemmeno per un secondo di andarci a riposare. Rimanemmo in silenzio per tutta la mattina,  e quelle sedie cominciavano a diventare scomode. A quel punto, non so come le venne in mente, Marilyn chiamò la mamma, lei la guardò fingendo un sorriso, spento, poi chiese:

"Mamma, quando hai visto papà la prima volta?"

Io e Clark ci scambiammo rapidi un'occhiata da “ma cosa ti viene in mente di chiedere” ed eravamo pronti a tirarle un calcio sotto al tavolo per impedirle di fare altre domande del genere, ma poi vedemmo gli occhi della mamma accendersi, ed un sorriso vero le comparve sulle labbra. Si passò la mano sulla guancia, piegò lievemente la testa e rise.

"La figura peggiore che abbia mai fatto!" disse.

Vedendola ridere, sorridemmo anche noi, contenti di averla distratta per un attimo.

"Cosa vuoi dire?" chiese Clark.

"Vedete, la prima volta che vidi vostro padre ero in pullman e stavo tornando da scuola. Era primavera, i primi di aprile. Mi ricordo che era una splendida giornata ma non mi era andata molto bene a scuola. Mi venne voglia di chiamare una cara amica. Lei viveva molto lontano da Milano e non ci sentivamo molto spesso, anche se entrambe lo avremmo voluto. Nicla. Me la ricordo bene! Facevamo un gioco al telefono: quando ci chiamavamo non eravamo più noi ma diventavamo qualcun altro e ci inventavamo le conversazioni. Sapevamo essere molto creative: un giorno lei era un medico e io un avvocato, un altro lei una tennista ed io una ragazza madre. Ci divertivamo a rendere le nostre vite più emozionanti anche se alla fine non  risultavano molto plausibili. Ci piaceva tanto perché riusciva a distrarci dalle nostre vite reali, che noi consideravamo monotone e noiose. Quel giorno, non so neanche perché, cominciai a parlarle in inglese ed impersonai un'attrice che sarebbe dovuta morire nella serie in cui lavorava. Era molto arrabbiata perché faceva parte del cast fin dall'inizio e perché le avevano incaricato di scrivere la scena della sua morte.  Andammo avanti così per mezz'ora buona finché Nicla dovette riattaccare e tornare alla realtà. Mi appoggiai al finestrino e sorrisi tra me e me; avevo inventato davvero una bella storia e il mio inglese non era niente male!"

"E papà quando arriva?" chiesi impaziente.

"Adesso ci arrivo Audrey. Mentre stavo pensando ai fatti miei sentii due dita battermi sulla spalla, mi girai e vidi vostro padre accompagnato da un uomo sulla trentina. L'uomo si presentò parlando inglese come Keith Moorey, regista di un noto teen-drama canadese che però in Italia non era mai stato trasmesso: Carver High School."

"Conoscesti un regista canadese su un autobus a Milano?" chiese Marilyn ridendo.

"Lo so, assurdo!" rispose la mamma.

Sapevamo che aveva lavorato come attrice per Keith prima della nascita di Clark ma non le avevamo mai chiesto niente a riguardo e lei non  ne aveva mai parlato di sua iniziativa.

"Poi?" chiese Clark.

"Poi Keith cominciò a farmi un centinaio di domande sul mio immaginario lavoro da attrice, chiedendomi nomi di registri, di serie in cui ero comparsa ed altre cose del genere. Arrivò addirittura a chiedermi un consiglio sulla sua serie, anzi, la chiamò “consulenza professionale”. Io mi vergognavo troppo a dire la verità quindi annuii sperando che la cosa sarebbe finita lì."

"Cosa ti chiese?" disse Marilyn che si era già appassionata alla storia.

"Mi chiese come far rientrare in una serie un personaggio che era morto senza metterne in discussione la morte. Il personaggio in questione era quello di vostro padre in Carver High School, Ben Morgan.  La considerai un buona opportunità per farmi due risate e diventare qualcuno di più interessante anche fuori dalle mie conversazioni telefoniche con Nicla."

"Quindi, tu continuasti a fingere?" chiese uno di noi.

La mamma sorrise. "Oh si! E lo diedi anche, quel consiglio! Dissi che bastava introdurre un nuovo personaggio. Una ragazza appena arrivata alla Carver che avrebbe fatto così tante domande su questo ragazzo morto da andare molto vicina all'ossessionarsi, così tanto presa che avrebbe cominciato a vederlo, a parlarci pur rimanendo consapevole che lui non esisteva. Non doveva essere pazza..."

<"..doveva solo innamorarsi di un ragazzo che non solo era morto ma che non aveva mai nemmeno conosciuto!"  finì la frase Marilyn.

"Si, l'idea era quella."

Clark, seduto di fianco a me, mi afferrò improvvisamente la mano, io mi girai di scatto e lo vidi a bocca spalancata. La mamma lo guardò sorridendo e annuì.

Io e Marilyn non capivamo, quando gli chiedemmo spiegazioni, Clark disse:

"Ecco come cominciò a lavorare per Keith e perché si trasferì a Toronto!"

"Si, Clark, Keith adorò la mia storia, ed euforico disse che avrebbe sicuramente fatto così. Poi, mi squadrò il viso e disse: potresti essere tu!"

"Nooooooo!" sospirò di stupore Marilyn.

"A quel punto non potei fare altro che raccontare tutta la verità, dicendo che avevo mentito, che non ero affatto un'attrice. Mi scusai e feci per andarmene."

"Non dirmi che papà è venuto dietro a convincerti!" disse Marilyn mostrando la sua tipica vena romantica.

"Assolutamente no, lui non disse nulla per tutto il tragitto in pullman, la prima volta che mi parlò fu il giorno dopo, quando mi disse che sarei stata in grado di recitare se solo lo avessi voluto. Quelle sue parole furono quello che mi diede il coraggio di accettare il lavoro, ma chi che mi seguì sull'autobus fu Keith. Mi chiese almeno di pensarci, di non rifiutare a priori ma io stroncai tutte le sue speranze dicendo che non avrei mai potuto essere un'attrice in Canada, primo perché  non avevo mai recitato e non ne ero capace, e poi perché le attrici sono sempre bellissime, altissime e magrissime...e io non lo ero."

"Autostima a mille..." dissi sottovoce.

Prontamente mi arrivò una gomitata da Marilyn.
"Audrey!" urlò riprendendomi.

"No, Marilyn," disse mamma "Audrey non ha torto, mi sottovalutavo parecchio ed ero insicura, ma d'altronde era il mio carattere. Tornando alla storia, io avevo rifiutato di netto l'offerta di Keith Moorey ma lui non sembrò curarsene, infatti mi porse il suo biglietto da visita. Qualche mese dopo, a Toronto mi disse che aveva insistito tanto perché sapeva che ero un'attrice da come avevo parlato al telefono con Nicla, lo sapeva prima di che me ne rendessi conto io stessa."

La guardammo un po' straniti. La mamma se ne accorse e disse con i suoi soliti occhi rivolti verso l'alto:

"Filosofo o no, ti fece cambiare idea!" disse Clark.

"Infatti..." riprese a raccontare la mamma "Mi mise la pulce nell'orecchio e non feci che pensarci per tutto il pomeriggio. Avevo sempre amato Toronto e ancora non sapevo cosa fare della mia vita. Quindi mi dissi: perché non l'attrice?"

"E così partisti!!! Che fortuna che hai avuto mamma!" disse Marilyn con gli occhi che le brillavano.

"Ovviamente non fu tutto così semplice, ci vollero due settimane per sistemare tutto, per queste cose ci vuole un contratto, sono piene di dettagli da definire per non parlare di vostro Zio Marco!"

"Non voleva che partissi?" chiesi.

"Non è che non voleva, diciamo che non ne era molto convinto. Dopo la morte dei nostri genitori eravamo rimasti solo noi due e gli sarebbe stato difficile separarsi da me. Ma poi ha accettato, non mi aveva mai vista lottare per una cosa che volevo. Questo fu tutto merito di vostro padre. Ed è così che nacque il personaggio di Kendra in Carver High School."

Ci guardammo in silenzio chiedendoci come mai non avessimo mai voluto sapere niente della storia dei nostri genitori. C'erano mille domande che volevo farle ma non sapevo decidermi.

Poi mamma si alzò, si avvicinò ad un mobile del salotto ed aprì uno dei cassetti tirandone fuori una scatola lilla a righe bianche. Tornò al tavolo e l'aprì davanti a noi.

La mamma dalla scatola prese una fotografia e ce la porse.

C'era raffigurato tutto il cast della quarta serie di Carver High School e in un angolo, seduta sui gradini vedemmo nostra madre; era giovanissima, ci disse che era il 2009 ed aveva appena compiuto 19 anni. Poi sorrise e ci sfidò a trovare papà. Guardammo quei volti più e più volte ma non riuscimmo a riconoscerlo e quando lei ce lo mostrò non credemmo ai nostri occhi.

"Ma...era...era..." balbettò Clark

"Lo so" disse la mamma.

"Sicura che sia lui?" chiesi.

"Oh si assolutamente."

"Assurdo." dissi io, il mio primo assurdo che però non fu l'ultimo.

Lasciò la foto sul tavolo, chiuse la scatola e la mise sul pavimento.

"Sembrate così diversi...fa strano pensarvi insieme da giovani" disse Clark non riuscendo a staccare gli occhi dal viso di papà a 21 anni.

"Diversità..." sospirò la mamma passandosi le mani sul viso. "Questo fu il motivo di una delle nostre rotture."

"Una delle vostre, mamma? Quante volte avete rotto?" chiesi.

"Tre."

"Davvero?" fece Marilyn.

"Beh, tecnicamente due..."

"Cosa centrava l'essere diversi?" chiese Clark.

"L'ultima volta che rompemmo, fu lui a lasciare me. Non volevamo le stesse cose. Cioè, le volevamo per il presente, ma non per il futuro. Vostro padre riguardo all'amore era esattamente come te> disse mentre accarezzava il mento di Marilyn

"Quando siete tornati insieme tu e papà?" chiesi.

"Ci rincontrammo quando un talk show invitò me, vostro padre, ed altri personaggio di Carver High School per un intervista. La serie si era ormai conclusa  un paio di anni prima, alla fine della quinta stagione e giravano voci per un film che però non fu mai girato. Appena ci vedemmo nei camerini fu così spiazzante...non ne avete idea. Mi resi conto di quanto mi era mancato, in fondo lui era un grande amico per me, mi aveva sostenuta ed aiutata i primi tempi a Toronto, con la mia recitazione, con la pronuncia di alcune parole, con le scene dei baci...Mi disse che anche per lui era così e decidemmo di restare amici."

"tzè...amici..." disse Clark.

"Infatti, noi non eravamo capaci di essere amici e infatti due settimane dopo..."

Mamma lasciò in sospeso la frase ma non ci volle molto a capire come sarebbe finita.
Se fino a quel momento Marilyn si era appassionata alla storia, adesso ne era completamente rapita. Sorrideva, a volte le tremavano le mai e il suo piede non smetteva di tamburellare sotto al tavolo. C'erano mille curiosità che lei voleva soddisfare ed era lo stesso anche per me e Clark.

"Primo bacio?" disse a voce timida Marilyn.

Il viso pallido che la mamma aveva da due giorni riprese colore e cominciò a mordersi il labbro inferiore, cosa che faceva quando era nervosa o cercava di non sorridere troppo.

"Beh, ce n'è uno ufficioso e uno ufficiale."

Non capimmo cosa volesse dire.

"Spiegati meglio, mamma!" dissi.

"Il bacio ufficioso avvenne nel parcheggio della palestra che frequentavo un paio di giorno dopo averlo conosciuto. Mi disse che gli mancava la sua palestra abituale e allora gli proposi di venire a fare la lezione di prova gratuita nella mia. Ammetto che mi fu difficile staccargli gli occhi di dosso. Vostro padre non era quello che si può definire bello, lo vedrete dalla foto, ma aveva un fascino particolare, una particolare espressione che affiancato ad un bel sorriso mi fecero perdere la testa. Un paio d'ore dopo uscimmo dalla palestra e ci accorgemmo che c'era un forte temporale. L'acqua veniva giù a secchi e vedevo passanti che nonostante l'ombrello erano fradici. Gli dissi “sarà meglio fare una corsa!” ma lui non mi rispose. Credendolo di fianco a me iniziai a correre verso la macchina finché mi girai e notai che stava passeggiando lentamente ad una decina di metri. Tornai verso di lui, mi guardò e rise. Poi mi disse “Non ho mai camminato sotto la pioggia fino ad inzupparmi!” Ah bè, pensai, sono messa bene! Mi misi piano a camminargli vicino fino a quando disse “Ora tocca a te fare qualcosa che non hai mai fatto.” e io risposi “perché dovrei?” e lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo disse “perché l'ho fatto io.”"

"Disse davvero così?" chiesi stupita.

"Lo so che è insolito, ma lui era fatto così, e per quanto strano possa essere, mi lasciai convincere."

"Cosa feci che non avevi mai fatto?" chiese Clark.

"Baciai un ragazzo sotto la pioggia." disse la mamma mentre con calma volse lo sguardo verso lo scrosciare dell'acqua sul davanzale della finestra. Capii come era nato il suo amore per la pioggia.

"Perché questa versione è ufficiosa?" chiese Marilyn.

La mamma si voltò di nuovo verso di noi e rispose: "Perché quel bacio non contava! Era un gioco!"

"Quello vero allora?"

"Il giorno dopo. L'avevo accompagnato all'albergo dopo avergli mostrato dove compare delle cartoline, lui scese dalla macchina, mi salutò e richiuse la portiera. Ero così immersa nei miei pensieri che non lo vidi avvicinarsi alla mia portiera e in un attimo, l'aveva già aperta e mi stava baciando, e non era affatto un gioco."

Marilyn si sporse verso la mamma. "A me lo puoi dire; ha baciato bene?"

Sorrise assaporando i ricordi. "Altroché!"

"Poi come continuò la cosa?" chiesi.

"Restammo nell'atmosfera delle cose fresche e nuove anche nei due giorni successivi, ci baciammo tantissimo, parlammo in continuazione e lo portai in giro per Milano. Poi, finalmente, mi decisi ad accettare l'offerta di Keith Moorey e allora le cose si fecero complicate. Insieme decidemmo che non era il caso di stare insieme o cose del genere ora che eravamo colleghi, sarebbe stato solo di intralcio al lavoro.!

"Ci rimasi male?" chiese Marilyn.

"Non più di tanto, in verità. Non avevo avuto ancora il tempo di affezionarmi seriamente, mi ero convinta che avremmo superato alla svelta quei giorni e che saremmo diventati buoni amici e colleghi affiatati."

Quella storia batteva di gran lunga le numerose commediole romantiche che Marilyn mi faceva vedere e che amava tantissimo. Il racconto non fece altro che alimentare le sue speranze di vedere, un giorno, le sue smielate fantasie avverarsi.

"E questa fu la vostra prima rottura." Conclusi io.

"La prima delle tre." confermò Clark.

"Come si arrivò alla rottura numero due?" chiesi.

Marilyn mi guardò fredda. "Sempre la solita cinica tu, eh? Quello che Audrey voleva dire...> riprese riferendosi a mia madre <...era: come vi siete rimessi insieme?"

"Quello che Audrey voleva dire è quello che Audrey ha detto." dissi.

Questa volta da Clark, il calcio sotto al tavolo arrivò veramente ed entrambe restammo zitte per ascoltare la mamma.

"Avvenne mentre giravamo l'ultima puntata della quarta serie di Carver High School. Non fu semplicemente una delle tante scene insieme con bacio finale a cui ormai eravamo abituati, ma quella in cui Kendra decise di dire addio a Ben perché non era reale ed era tempo di vivere la sua vita. Fin qua tutto bene, penserete voi, ma a quel punto Ben doveva allontanarsi da casa di Kendra sotto la pioggia, Kendra lo doveva guardare andarsene via, lo doveva inseguire e baciarlo dicendo che aveva cambiato idea."

"Uh..." intervenne Marilyn "La pioggia.."

"Già," riprese la mamma "Così doveva essere la scena  e così l'abbiamo fatta solo che dopo averlo baciato mi sfuggì “Ti amo”. Vostro padre mi guardò sorpreso. Per fortuna riuscii a rimediare con “Ti amo, Ben.” A Keith la mia improvvisata piacque e decise di non farci rifare la scena ma Ryan non si era dimenticato quello che avevo detto. Tornò da me chiedendomi una spiegazione che io, ovviamente, riempii di bugie. Dopo che ebbi finito di spiegarmi, mi guardò e con la sua particolare espressione che tanto mi aveva colpita, disse “Peccato che non fosse vero, perché allora ti avrei detto che è lo stesso anche per me."

"Che carino!" esclamò Marilyn.

"Si, è vero, restammo insieme fino all'estate successiva, ma poi ricevette un offerta per un film a Los Angeles. Non poteva rifiutare, non voleva e soprattutto non glielo avrei mai permesso. Ci lasciamo perché nessuno dei due credeva alle relazioni a distanza, ma quando il film si rilevò mal organizzato, disastrosamente finanziato dovettero lasciar perdere e mandare a casa gli attori, tornò a Toronto e dato che entrambi non stavamo uscendo con nessun altro e per amarci, ci amavamo ancora, volemmo riprovare a stare insieme e andò bene. Almeno fino alla rottura numero tre di cui vi ho già parlato."

"Eravate così complicati tu e papà!" dichiarò a voce alta Clark.

"Puoi giurarci!" disse la mamma. Poi si alzò e si diresse verso la cucina a prepararsi una tazza di tè. Clark le corse dietro e convinto che noi dal salotto non riuscissimo a sentire nulla, disse alla mamma: "Adesso che siamo noi due soli me lo puoi dire. Siamo due adulti, le ragazzine sono di là quindi mi puoi rispondere..." si guardò un attimo intorno per accertarsi che io e Marilyn non fossimo lì ad origliare e chiese: "E per quanto riguarda la vostra prima volta?"

"Ehm...Clark, tesoro, abbiamo aspettato il matrimonio, ovviamente!"

Sentendo questa risposta io e mia sorella ci precipitammo in cucina.

"Mamma, non ti aspetterai mica che ti crediamo, vero?" dissi io.

"Ma ti pare?" mi appoggiò Clark.

"Assurdo..." sospirò con gli occhi al cielo. "E va bene, ve lo dirò. È strano essere in una cucina perchè è proprio qui che successe"

Immediatamente, quasi in sincro, io e i miei fratelli balzammo all'indietro oltre la soglia della cucina togliendo prontamente le mani da qualunque cosa stessimo toccando in quella stanza.

"Bleah!"

Nostra madre scoppiò a ridere.

"Ma non in questa, avevo 20 e andai a trovarlo..."

"Mamma, mamma!" lo interruppe Clark "Ho cambiato idea...niente dettagli, per favore!"

E, sorridendo e inorridendo tornammo a sederci al tavolo in salotto.

Passammo così anche il resto del pomeriggio, facendo domande a raffica ed ottenendo risposte intrise di ricordi. Non avevo mai creduto alle anime gemelle oppure alla sola persona che si ama per la vita, per i miei genitori fu così. Non erano importate le molteplici rotture, o i tanti Nick ed offerte di lavoro lontane che si erano susseguite, alla fine tornavano sempre l'uno dall'altra, esattamente come quando si posizionano due calamite a distanza e le si vede tremare fino a unirsi di nuovo. In quel periodo ero in quella fase della vita in cui cercavo di respingere tutto quello che rappresentasse autorità come i miei insegnati ma soprattutto i miei genitori.

In quel momento capii che se solo avessi chiesto a papà di raccontarmi come avesse conosciuto la mamma lui mi avrebbe risposto e non so cosa avrei dato per sentire la storia dal suo punto di vista. Tante volte immaginai di chiedergli cosa pensò quando la mamma gli disse che lo amava mentre stavano recitando una scena, o come gli sembrò strana quella ragazza che sui pullman si inventava storielle al telefono. Mille risposte che non avrei mai avuto. Mi sentii in colpa ed invadere dal dolore. Mi sarebbe mancato.

La mamma finì la storia raccontandoci della nostra nascita e delle vacanze al mare in Italia. A quel punto nessuno di noi avrebbe sopportato una parola di più. Ci alzammo e chiudendoci ognuno in una stanza diversa piangemmo per la prima volta la morte di quell'uomo, sognatore e romantico, che fu un buon padre e marito per tutti noi.

Oggi, ripensando a questa giornata, sono tornata nella mia vecchia casa e ho pianto la morte di mia madre esattamente dove avevo pianto per quella di mio padre.

Quando mi sono sentita ben sfogata mi sono ricordata della scatola lilla e bianca. Quando mia madre la aprì per farci vedere quella fotografia mi ricordai di averla vista piena di altre cose. Sperando che fosse rimasta dove me la ricordavo ho aperto il cassetto del mobile in salotto. Si, era lì, solo con il lilla sbiadito e il bianco un po' ingiallito. Ho trovato altre foto promozionali della serie ed anche il copione originale della famosa scene della pioggia.

Ho osservato bene una foto incorniciata dei miei genitori. Sentendo le lacrime risalire, mi sono lasciata sfuggire la foto dalle mani ed il vetro della cornice si è frantumato sul pavimento.

Mi sono abbassata a raccogliere i cocci ma tra la foto e la cornice era incastrato un foglio a quadretti tutto stropicciato su cui riconobbi l'ordinata calligrafia di mio padre.

Ho letto cosa aveva scritto in un attimo e non ho potuto fare a meno di chiedermi se in passato la mamma lo avesse notato nonostante papà l'avesse nascosto.

Dopo anni a pentirmi di non sapere il suo lato della storia mi sento onorata di averne trovato anche solo un frammento. Mi sento meglio e da oggi sono sicura che quando andrò a lavorare domani e tutti i giorni che verranno, parlando ai miei studenti di Oscar Wilde o di altri autori che amo molto, mi sentirò felice perché per lui dovrebbe essere così.

 

Tengo a sottolineare che questa non è altro che la cronaca di quello che è successo oggi.

L'unico motivo che mi spinge a scrivere è la voglia di non dimenticare quello che ho sentito.

Oggi ho portato Ambra a conoscere gli altri.

Era tanto nervosa. Pensava che di non riuscire ad inserirsi tra di noi.

Diceva che era perché eravamo un gruppo già formato.

Appena dopo le presentazioni qualcuno ha notato che non smetteva di sorridere. Le abbiamo chiesto perché lo facesse e lei ha detto “Sorrido perché sono entrata nel gruppo dei fortunati.”

Inizialmente abbiamo riso come se la cosa non avesse senso e lei ci è rimasta un po' male.

Poi le ho chiesto di spiegarsi meglio.

Ha detto: “Voi siete i fortunati, anzi, Noi siamo i Fortunati. Pensate quanta gente va a lavorare ogni mattina in un posto che odia, che la opprime, ma purtroppo non può smettere perché ha bisogno del lavoro.

Tutte quelle persone sono insoddisfatte, magari addirittura infelici. E le persone che sono appagate dal lavoro chissà quanto hanno dovuto aspettare! Forse anni insoddisfacenti in piccoli uffici o qualcosa del genere. Invece noi, guardiamoci, noi abbiamo a malapena vent'anni e stiamo facendo il lavoro dei sogni! Non solo dei nostri sogni ma anche quelli di tanti altri ragazzi là fuori. Sapete cosa pensano quei ragazzi? Pensano a quanto siamo fortunati. E lo siamo davvero!!! Lo siamo perché siamo giovani e felici. Non significa che va sempre tutto bene nelle nostre vite, ma sappiamo che abbiamo qualcosa di bello con cui consolarci quando il resto va male, sappiamo che c'è quel qualcosa che renderà la nostra prossima giornata stupenda.>

Era bello vedere come e quanto le brillavano gli occhi.

Ci siamo guardanti tra noi e abbiamo capito che aveva ragione. Alcuni lo hanno capito per la prima volta. Abbiamo capito che è vero. Noi lo siamo.

NOI SIAMO I FORTUNATI.

 

Ryan Cooley, 24 Aprile 2009

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Ho scritto questa storia più di  un anno fa mentre ero a casa con l'influenza.
Non so bene perchè la pubblico solo adesso...
oggi è il mio diciottesimo compleanno ed invece di stare fuori ad abriacarmi =} me ne sto a casa a scrivere qualcosina...mi ero quasi dimenticata di aver scritto questo ma ora mi va di sapere cosa ne pensate!

1abbraccio OctoberRain

  
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