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Autore: LaU_U    07/10/2010    0 recensioni
Uno sconosciuto con uno sguardo triste passa le sue serate al tavolo di un pub. Quale sarà la sua storia? Cosa avranno visto i suoi occhi?
I segni lasciati dalla Guerra del Tempo sul Dottore.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Doctor - 9
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Mi accorsi di lui solo dopo alcuni giorni. Sono tante le persone che passano le loro serate, notte dopo notte, ad un tavolino nell’angolo di un pub e dal bancone non mi era sembrato diverso dai tanti poveracci che avevo visto costantemente nei quattro anni in cui avevo lavorato lì. Se ne stava in silenzio davanti ai suoi bicchieri, non più di tre per sera, e li fissava senza degnare di uno sguardo nient’altro. Fu quando una volta andai a prendere i boccali verso l’orario di chiusura e mi avvicinai che rimasi colpita da lui. Di uomini disillusi e distrutti ne avevo visti molti, ma qualcosa nel suo sguardo sembrava andare oltre la depressione che poteva derivare da un divorzio o dalla perdita del posto di lavoro. Mi sembrò quasi di percepire la fine di un intero mondo e la cosa mi lasciò turbata, togliendomi il sonno, quella notte.

La sera successiva era ancora là, al tavolino accanto all’ingresso della cucina e il viavai dei camerieri non lo turbava minimamente. Era completamene impassibile. Venne però al bancone a chiedermi dove fosse il bagno, fissandomi coi suoi occhi spenti. Lo seguii con lo sguardo mentre apriva la porta e accendeva la luce, rimanendo d’un tratto impalato con gli occhi che puntavano dritto di fronte a sé. Abbassò la testa e tornò a sedersi con un’aria, se possibile, ancora più seria di prima. Cosa poteva rendere un uomo incapace perfino di guardarsi allo specchio?

Volli saperne di più e così decisi di raggiungerlo al suo tavolo.
«Offre la casa» gli dissi porgendogli un piatto di patatine fritte.
Lui lo guardò senza interesse e non disse nulla.
«Sono solo patatine, non mordono mica» cercai di scherzare.
«Non ce n’è bisogno, grazie.»
Non pensavo che uno spuntino l’avrebbe reso euforico, ma chissà mai che non gli avrebbe rasserenato un pizzico la serata.
«Se ti interessa il ketchup, chiamami» conclusi raggiungendo il mio posto dietro al bancone.

Tornai al suo tavolo una mezz’ora più tardi, dopo che l’uomo aveva chiesto ad un cameriere una quarta birra.
«Vedo che hai gradito le patatine, mi fa piacere.»
Cercai di apparire il più allegra possibile. «Ecco la tua ordinazione. Oggi ci diamo alla pazza gioia, eh?» esclamai, alludendo al bicchiere in più rispetto alle ordinazioni usuali. Quanto mi sentivo stupida a mostrare un atteggiamento così brioso ad uno sconosciuto che appariva tutt’altro che divertito, ma mi sembrava il modo migliore per non finire nel turbinio della sua tristezza. La reazione fu comunque nulla e feci per andarmene. Tuttavia cambiai idea, non potendo accettare che una persona non mi degnasse neanche di una risposta. Tornai al tavolo e mi sedetti di fronte a lui, guardandolo dritto negli occhi, che, in quel momento, puntavano i miei.
«Potresti almeno dire grazie a qualcuno che ti serve da bere, non credi?»
Qualcosa nella sua impassibile fermezza parve incrinarsi, anche se lui tentò di non darlo a vedere.
«Non pretendo un’ode alla mia gentilezza, ma un sorriso potrebbe essere sufficiente.»
Cosa mi desse il diritto di trattare così un cliente, proprio non lo sapevo, ma avevo tutta l’intenzione di scuoterlo dalla sua insopportabile apatia.
«Non penso che tu sia tanto depresso da non potere neanche mostrare un piccolo sorrisino ad una cameriera.»
In realtà pensavo esattamente il contrario delle parole che pronunciai.
«Io non credo che tu mi conosca» disse d’un tratto l’uomo, fissandomi con occhi infiammati. Stavo giocando col fuoco e ora me ne rendevo conto, ma a quel punto sarebbe stato da stupidi tirarsi indietro.
«Ti conosco benissimo, invece. Di gente come te ne vedo a bizzeffe tutte le sere per tutto l’anno, Natale compreso. Pensate di essere gli unici al mondo a stare male, ma siete migliaia solo in questa città. Tutti soffrono, non ve l’hanno detto?»
Quell’aggressività ingiustificata non passò inosservata neanche agli occhi del proprietario del pub, che vidi fissarmi con lo stesso sguardo d’ira che aveva lo sconosciuto davanti a me e che, in quel momento, mi faceva quasi paura.
«Tu non sai niente di me. Tu non hai la minima idea di cosa mi sia successo.»
Qualcosa all'interno di lui scattò e l’uomo depresso, ma innocuo, lasciò il posto alla persona arrabbiata che aveva dentro. Uscì dal suo silenzio e si mise a raccontare, con una voce piena di odio e di dolore:
«Non è rimasto nessuno, nessuno di loro. Sono morti tutti e io sono l’ultimo. Tutto il mio pianeta è stato distrutto nella Guerra del Tempo. Gallifrey è scomparso e ho visto tutto accadere sotto i miei occhi...»
«Sì, sì, sì…» lo interruppi. «Io ne ho viste di cose che voi umani non potreste immaginarvi. Lo conosco anche io quel film, sai?»
Forse mi sbagliavo, forse non era nulla più che quel poveraccio che gli avevo fatto credere di vedere seduto davanti a me e che ora pensava di stupirmi raccontandomi storie assurde su fantomatiche guerre spaziali.

«Tu davvero non puoi sapere niente di me» disse lui con un sorriso di superiorità.
«Né tu di me» sbottai.
«Io tiro avanti giorno dopo giorno, lavorando in questo squallido locale ogni sera senza mai prendermi una vacanza. Se fosse per me riempirei un bello zaino e manderei a quel paese tutto e tutti, ma purtroppo e per fortuna ho un bambino a casa che non ha nessun altro che me su cui contare.»
Davvero non mi spiegavo perché avessi scelto di portare avanti un tale discorso con quell’uomo. Pronunciare quelle parole non fece altro che riportare di nuovo alla mente dei ricordi di abbandono che avevo cercato più volte di superare. Non potei impedire ai miei occhi di diventare lucidi.
«E allora me ne infischio del dolore del passato e guardo avanti per dare un futuro, se non a me, almeno a mio figlio.»
Lo sconosciuto rimase immobile a fissarmi, con una nota di incredulità negli occhi. Forse qualche parola l’aveva raggiunto. O forse no, ma ormai non importava più.
«Ora scusami, ma domani devo alzarmi presto per andare a cercare un altro lavoro, dato che qui non mi vorranno sicuramente più.»
Lasciai la sedia e dopo aver recuperato la mia giacca, mentre il proprietario del locale mi malediceva in tutti i modi, uscii dal pub per raggiungere la fermata dell’autobus. Forse sarei riuscita a prendere l’ultimo evitando così di tornare a casa a piedi.

Faceva freddo in strada e gli sbuffi del mio respiro si formavano davanti alla mia bocca, disperdendosi nell’aria.
«Offre la casa.»
Me lo ritrovai davanti con un sacchetto di patatine fumanti. Le presi, incredula e poi l’uomo se ne andò, senza aggiungere altro. Lo vidi allontanarsi lungo la via, fino quando, ad un tratto, svoltò un angolo e scomparve.
Quale fosse il senso di quel regalo non lo seppi mai. Forse era solo senso di colpa, o magari gratitudine, oppure niente di niente. Non rividi neanche più quello sconosciuto. Ma mi piace pensare di averlo aiutato a riprendere la sua strada, dovunque essa porti.



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Ho scritto questa one-shot per un concorso sul forum Torch Who, sul tema della Guerra del Tempo. Ho aspettato a pubblicarla qui fino a quando non sono stati dichiarati i vincitori per non svelare chi fosse l'autore. Sono piuttosto soddisfatta di aver raggiunto il terzo posto, anche perchè c'erano altre ff molto belle, che vi consiglio di leggere seguendo il link che ho messo (e andando nella sezione Writing). Anche se ho il dubbio che buona parte delle persone che leggono le fan fiction del Doctor Who qui conoscano già quel forum.
La scelta di parlare di Nine mi è venuta immediata, dato che è lui che esce dalla misteriosa Guerra del Tempo. Ho pensato però di cambiare il punto di vista e volevo inventarmi una companion. Alla fine mi sento di averlo fatto, anche se è la companion di una sera che non vedrà mai il TARDIS né tutto quello che è in grado di fare quel grand'uomo del Dottore. Il mio tentativo era di lasciare un alone di mistero sulla vicenda e sul personaggio. Ad una semplice cameriera deve apparire molto eccentrico un viaggiatore dello Spazio-Tempo, anche se non è consapevole che egli lo sia. Dopotutto noi ben sappiamo quanto sia grosso il segno che i Dottori lasciano nelle persone che hanno la fortuna di incontrarli.

   
 
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