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Autore: ballerinaclassica    08/10/2010    10 recensioni
«Dio, ma l'avete visto quello?»
«Ti piace? Io credo ci sia di meglio»
«Nah, non credo. Andiamo, ma hai visto che fisico? Ha un culo che-»
«A proposito di culi... Guardate quella lì.»
«Insomma, la volete smettere di parlare di culi?!»
«E perché dovremmo?»
«Lascialo perdere, Francis, lui è soltanto invidioso.»
«E che cosa te lo fa pensare, di grazia?»
«Il fatto che tu non abbia un bel culo. E non fare quella faccia. Fidati, è così, l'ho guardato tutto il tempo proprio per accertarmene.»
«Sei un idiota! Sei un cretino! Ti meriti di scivolare! Ma che sto dicendo?! Ti meriti di cadere giù dal palco! Sei un deficiente! E smettila di ridere! E voi che cosa diamine avete da guardare?! Aiutatemi, aiutatemi che lo ammazzo! Stupido! Maiale!»
[ USUK, GerIta, Spamano, PrUngheria, Franada e molto di più♥ ]
Genere: Comico, Commedia, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Allied Forces/Forze Alleate, America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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[439] Alfred F. Jones;

Ormai aveva perso il conto delle volte che Arthur aveva pronunciato il suo nome, e di quelle in cui lo aveva sostituito con un velato insulto o con un semplice e conciso “idiota”. Affondò di nuovo i denti nel suo hamburger e cercò di ignorare quella vocina acuta e petulante che si stava ancora sforzando di elencare tutte le proprietà fisico-chimiche di quella carne di dubbia provenienza.
«Vuoi stare un po' zitto? Se non te ne fossi accorto sto mangiando.»
Arthur rimase a bocca aperta, probabilmente spiazzato dal fatto che qualcuno avesse osato rivolgersi a lui con un tono tanto insofferente, e cercò di concentrare la sua attenzione su qualcosa che si trovava al lato opposto della grande sala da pranzo dell'albergo, qualcosa che ad Alfred non interessava minimamente, comunque.
Era da quella mattina che si domandava per quale assurdo motivo Arthur fosse lì con lui, con quella faccia da schiaffi e il tipico atteggiamento di chi preferiva fingere che non fosse accaduto nulla. Per la prima volta da quando si erano conosciuti, Arthur si era preso la briga di andarlo a svegliare – ossia, di andarlo a spingere giù dal letto fino a farlo agonizzare sul pavimento – e di stare assieme a lui a lezione, addirittura lo aveva aiutato quando non aveva capito alcuni passi, a causa dell'eccessiva cadenza francese della loro insegnante temporanea.
«E ho sentito dire che proprio questa mattina verrà un coreografo svedese con una specie di assistente, sai? Non vedo l'ora di fare lezione, sono sicuro che sia un tipo in gamba. Tu che ne pensi? Ci mettiamo vicini a lezione anche stamattina, ver-»
Alfred cercò di caricare il suo sguardo con tutta l'insofferenza di cui fosse capace, nonostante quel temperamento non fosse nella sua natura docile e giocherellona, ma sembrava quasi che i ruoli si fossero invertiti. Era quasi come se Arthur, con il suo rifiuto la sera precedente, avesse dato uno schiaffo all'ego di Alfred, facendogli sbattere la testa e ricordandogli che non aveva l'obbligo morale di essere gentile con lui, per quanto potesse trovare divertente gironzolargli attorno e prenderlo in giro. Che non doveva nemmeno affezionarsi troppo a quell'inglese insopportabile, anche se poi non sarebbe più riuscito ad evitarlo, e ne avrebbe pagato le conseguenze sulla sua stessa pelle, circa due settimane dopo.
«Senti, Arthur», gli disse, semi-nascosto dal terzo hamburger, «non ho niente contro di te, ma ho bisogno di mangiare immerso nella pace e nella tranquillità, altrimenti mi va storto il pranzo. E se mi va storto il pranzo, rischio di morire o di ammazzare qualcuno, magari qualcuno che sta seduto vicino a me e continua a parlare di cose che non mi interessano affatto.»
Vide Arthur guardarlo in silenzio, con un'espressione strana, probabilmente delusa, ma Alfred pensò ingenuamente che doveva essere stata soltanto una sua impressione e quindi continuò a mangiare.




[411]
Ivan Braginsky;

Era divertente notare come Yao si affannasse per arrivare a qualcosa che non gli apparteneva, un livello troppo alto per lui, che si era rivelato uno dei migliori della sua Nazione. Secondo Ivan la sua scalata poteva dirsi conclusa lì, e il cinese avrebbe dovuto ringraziare il cielo se la giuria aveva avuto il coraggio di farlo arrivare fino a quel punto. Perché per quanto i salti fossero alti, le punte stese e le ginocchia tirate, per quanto le braccia fossero morbide, la sua era una performance fredda.
Yao restava estraniato dal suo personaggio, concentrando tutto se stesso per uscire dal suo corpo mentre ballava e osservarlo mentre si muoveva nella penombra di una sala in disuso.
E Ivan sorrideva, perché gli piaceva vederli spaventati, Yao così come tutti gli altri partecipanti, tremare dalla paura mentre salivano gli scalini del palcoscenico, deglutire e fissare i giudici come se fossero stati serial killer che puntavano loro addosso una dozzina di mitragliatrici e fucili a canne, invece che penne a sfera e block notes per prendere appunti.
«Non hai capito Yao, qui hai bisogno di piegarti di più.»
A quel punto Ivan si avvicinava lui, che era ancora inginocchiato e teneva le mani congiunte, e poggiava una mano sulla sua nuca, costringendolo col collo in avanti, in una posizione quasi fetale e del tutto innaturale, come se il ragazzo stesse pregando qualcuno, una terza persona, pur di salvarlo dalle sue grinfie.
«Ed è come se tu stessi supplicando, hai capito?»
Yao provava ad annuire, ma non ci riusciva, perché la stretta sul suo collo era troppo dolorosa, ma lui era abbastanza fiero da non provare nemmeno a lamentarsi o a chiedere a Ivan di smettere, perché aveva capito benissimo. La sua voglia di dimostrarsi forte, nonostante avesse chiesto l'aiuto di qualcuno, divertiva Ivan e al tempo stesso lo inquietava.
Yao gli sembrava una persona mansueta soltanto all'apparenza, ma dentro sembrava nascondere lo spirito di uno di quei draghi dell'oriente, capace di lottare fino ad esalare il suo ultimo respiro incandescente.
Yao stringeva così forte le mani tra di loro che le nocche diventavano pallide, la sua espressione era veramente sofferente, e la posizione in ginocchio appariva forzata, come se lui non avesse più la forza di pregare, né di stare in piedi, e rischiasse di stramazzare al suolo da un momento all'altro.
Questo era dovuto principalmente al fatto che stava ballando almeno da due ore, che aveva saltato la colazione e che non si era dato tregua nemmeno a lezione.
«Direi che va bene così,», disse Ivan, lasciando andare la sua nuca e camminando verso la porta.
«Anche domani.»
Il russo si voltò, guardandolo con un sorriso divertito, perché quel ragazzo non finiva mai di stupirlo.
«Vediamoci anche domani», ripeté Yao.



[300, 342, 559]
Francis Bonnefoy, Gilbert Beilshmidt, Antonio Fernandez Carriedo;

«Non hai capito, Antonio, io intendo qualcosa di ancora più grande!»
«Tipo un mausoleo?»
«Non esattamente, voglio una tomba enorme, con una statua gigantesca che mi rappresenti. In cui ho in mano la testa di una tigre e un serpente avvolto attorno al collo, e calpesto i resti di un coccodrillo. In più deve avere le ali, delle enormi ali luccicanti di brillanti e il mio nome deve essere inciso nell'oro.»
Francis sollevò un sopracciglio e si chiese da dove nascessero tutte le stravaganze di Gilbert, se suo fratello era così semplice da ridurre la sua camera da letto a una branda militare e una lampadina che pendeva dal soffitto, un arredamento spartano che però rispecchiava con esattezza oscena la personalità di Ludwig. Gilbert aveva passato metà della mattina a mostrare le sue foto, alcune erano più vecchie ed ingiallite, altre erano recenti, e lo ritraevano circondato da ragazze su una spiaggia del sud America o mentre faceva parapendio tra le valli e le catene montuose del Belgio.
C'erano fotografie di tutti i tipi, e Antonio aveva chiesto incessantemente per ore ed ore per quale assurdo motivo Gilbert le avesse portate tutte con sé, ma non aveva ancora ricevuto risposta, e adesso si rigirava tra le mani l'intera famiglia Beilshmidt, profondamente mutata nel tempo, e la guardava con aria curiosa.
Ludwig poteva avere sì e no sei anni, ma il berretto verde gli conferiva già un'aria di giovane leva in prova per il servizio militare. Il signore e la signora Beilshmidt aveva un'espressione seria, sopracciglia aggrottate e un'aria molto austera che, accostata ai tre enormi cani accovacciati ai loro piedi, gli conferiva qualcosa di inquietante. Gilbert, infine, nonostante fosse parecchio più giovane di adesso e leggermente più vecchio di suo fratello, non sembrava avere avuto un cambiamento così radicale. Sorrideva, mostrando i suoi canini appuntiti e l'espressione di chi crede di poter scalare una montagna con le mani legate dietro la schiena.
«E quindi tu sei più grande di Ludwig...», mormorò Antonio, senza poter staccare gli occhi dalla foto.
Francis, che stava osservando Gilbert mentre studiava nella sua stanza, adornata di letto a baldacchino e gigantografia personale su una parete, alzò il mento di scatto e guardò attentamente entrambi.
«Davvero?», chiese a Gilbert.
«Davvero.»
«Non sembra.»
«E perché scusa?»
«Beh, perché... Lui è così serio-»
«E io no?»
«No.»
«Tu sembri un bambino», aggiunse Antonio.
Gilbert tolse la foto dalle sue mani e la infilò in mezzo al mucchio, in modo tale che non la ritrovasse, poi si prese la briga di scegliere personalmente le foto da mostrare ai suoi amici, onde evitare altri inconvenienti simili.
«La vostra casa è strana...», mormorò Francis, «Alcune stanze mi ricordano una caserma, altre un campo di concentra-»
«Non dirlo.»
Gilbert nascose anche la foto che stava guardando Francis, e gliene porse una meno incriminante, in cui Ludwig indossava un antiestetico costumino a righe e lui era intento a prendere il sole... Ovviamente né Francis, né Antonio potevano immaginare che, quella stessa sera, Gilbert si era lamentato fino alle lacrime delle ustioni che aveva ottenuto grazie alla sua bella pensata.
«E poi vorrei tanto sapere che cos'ha la tua casa in più della mia.»
Francis raccontò che la casa era stata arredata a suo gusto, per fortuna, con una raffinatezza equivoca e decadente, che la sua famiglia indossava abiti pomposi e barocchi, mentre i servitori avevano abiti blu notte e camicie di seta. Antonio chiese se il maggiordomo si chiamasse Ambrogio, Francis rispose che Ambrogio era morto di vecchiaia un paio di anni prima, e che il maggiordomo attuale era uno sfaccendato greco che avevano pensato più volte di licenziare, ma che alla fine continuava a poltrire sul divano del salotto.
Disse che su tutti i mobili c'erano dozzine di oggettini in porcellana, tanto piccoli che se la domestica ne rompeva uno, nessun membro della famiglia sembrava accorgersene. Quegli oggettini erano accompagnati da enormi vasi cinesi, pieni di colori e disegni, e dentro i vasi cinesi c'erano piume di pavone che talvolta arrivano fino al soffitto. Sulle mensole d'oro sua madre aveva fatto mettere degli incensi profumati, in modo tale che, quando Francis tornava dal collegio inglese in cui studiava, poteva mescolarsi di nuovo all'odore della sua casa, senza che quello tipico britannico prendesse il sopravvento su di lui. C'erano tendaggi di damasco, paraventi e lampade a stelo che le donne delle pulizie, fasciate nei loro vistosi vestiti da operetta, si affannavano a spolverare ogni giorno.
«Fantastico! E hai qualche foto?», chiese Antonio.
«No, mi dispiace, le ho lasciate tutte a casa.»
«Che peccato!»
Antonio era una persona ingenua, e alle mirabolanti avventure di Gilbert e alla raffinatezza della vita di Francis, aveva contrapposto la sua casa umile e la sua vita ordinaria, in cui suo padre scalpitava per andare a vedere la Corrida il fine settimana e sua madre diffondeva volantini affinché abolissero quello scempio.
«Viviamo in un vecchio monolocale in periferia», disse, «A volte manca l'acqua calda, oppure la corrente elettrica, però mio padre non ci fa mancare mai niente. In più io ho trovato lavoro come cameriere in un bar, quindi riesco a pagare le lezioni di danza senza dover chiedere aiuto a loro.»
Francis era completamente estraneo a quella realtà in cui, nel ventunesimo secolo, i figli dovevano affannarsi per mantenersi e per non gravare troppo sulle spalle della propria famiglia. Gilbert stesso si stupiva della naturalezza con cui Antonio lo raccontava, nonostante lui stesso avesse dovuto sopportare molte fatiche fin da bambino, ma più perché suo padre voleva che lui e suo fratello Ludwig diventassero presto due uomini forti e responsabili che non per un bisogno vero e proprio di denaro. Quindi fissarono Antonio un po' stupiti, come se si trattasse di una specie di alieno armato di vassoi e tazzine di caffé, tortillas calde e suadente accento spagnolo.
«Forte la Corrida», fu l'unico commento di Gilbert.




[288]
Kiku Honda;

Quel giorno era il suo turno, e Kiku aveva ringraziato il cielo che non ci fosse nessuno a cospirare per una sua caduta o per una sempre scivolata, accovacciato davanti a un televisore che aveva le sue stesse origini. Gli altri ballerini avrebbero frequentato una lezione extra, una specie di stage con un coreografo venuto direttamente da Stoccolma e con un nome impronunciabile che era stato strillato, sussurrato e detto dalle labbra di tutti quegli strani europei che partecipavano al concorso almeno un milione di volte ciascuno.
Stava finendo di truccarsi, nonostante odiasse l'odore di tutta quella roba che gli imponevano di mettersi in faccia. Kiku preferiva essere più semplice, così come lo era il suo costume. Aveva vietato categoricamente alla sua insegnante di cospargergli il corpo di vernice color bronzo e di addobbarlo di cianfrusaglie dorate come se si fosse trattato di una specie di albero di Natale in scala ridotta.
Kiku aveva stretto al petto il suo semplice paio di pantaloncini dorati, vagamente luccicanti e la cintura gialla che avrebbe stretto in vita. In più si aggiungeva il paio di scarpette color carne, con le suole leggermente consumate dal tempo e dai continui esercizi.
Infine aveva bloccato sulla testa una rigida corona color bronzo, che mano a mano che saliva sfumava nel colore del rame, fino ad avere una punta brillante. Quella non era stata scelta da lui, purtroppo, e aveva patito fino a che non era stato obbligato a portarla con sé.
Kiku credeva che nella forza dei suoi muscoli sottili e nella tecnica che aveva appreso più da solo che con i suoi maestri, osservando video di vecchia data dei padri della danza, risiedeva il vero spirito del ballerino, quello che apprendeva molto osservando gli altri e che faceva pratica avvolto in un'aurea di religioso silenzio, piuttosto che nella baraonda che si creava con una ventina di ballerini rumorosi e pieni di aspirazioni. Nulla di meno e nulla di più, non c'era bisogno di fronzoli inutili e quant'altro, un costume appariscente non era necessariamente efficace. Peccato che i suoi insegnanti non sembrassero capirlo ogni volta che lui provava a spiegarglielo.
«
Numero duecentottantotto, Kiku Honda, dall'Accademia del Tokyo Ballet. Lui interpreta la variazione dell'Idolo d'Oro dalla Bayadére di Ludwig Minkus ...»



[388]
Feliciano Vargas;

Feliciano annuiva costantemente, ad intervalli di dieci secondi circa, scuoteva la testa su e giù e poi sorrideva, fingendo di aver capito. Quella era la tecnica più efficace per garantirsi che il maestro non si arrabbiasse con lui, e la usava da quando aveva sei anni circa.
Feliciano aveva un caschetto marrone che ondeggiava con ogni movimento della testa, era alto poco meno di un metro e socchiudeva gli occhi o li teneva chiusi, affermando che quella era soltanto la tecnica segreta che usava per non dover guardare tutte le cose brutte e spaventose che succedevano nel mondo. Era l'ultimo della sua sbarra, e le dita sottili stringevano il legno, le sopracciglia si aggrottavano e lui doveva copiare gli altri bambini, perché non ricordava assolutamente niente di quanto aveva appena detto loro l'insegnante. Quella non era una bella cosa, gli spiegava Lovino al telefono, perché prima o poi gli altri ragazzini avrebbe cominciato a prenderlo in giro. E così infatti era accaduto.
Feliciano era un bambino socievole e non attaccava mai briga con nessuno, preferiva privarsi di metà del suo pranzo pur di dividerlo con qualche amico, ma non ne aveva mai avuto l'occasione.
Finché non aveva conosciuto lui.
«Ve, Lud! Dopo posso starti vicino? Non ricordo mai gli esercizi, tu invece hai una memoria di ferro! Ho provato a chiederlo anche ad Arthur, ma lui mi ha mandato a quel paese dicendo che oggi non voleva avere a che fare con gli idioti, specialmente quelli americani. Lud, io non sono americano, quindi credo che Arthur si sia sbagliato... Beh, si è sbagliato di sicuro, dato che io non sono nemmeno idiota. Lud, allora ho chiesto a mio fratello, però Antonio se l'è portato via mentre Lovino strillava! Lud, aiuto! Non so come fare, perfino Gilbert mi ha detto di no! E lui non mi dice mai di no! A questo punto penso che mi toccherà andare a chiedere a Fran-»
«Puoi stare vicino a me», disse Ludwig in una risposta secca, impedendo a Feliciano di continuare a travolgerlo con quel fiume di parole pronunciate con un inglese a dir poco deleterio, «ma devi giurarmi che ti comporterai bene e che non mi darai fastidio.»
Feliciano scattò con la velocità di un lemure e Ludwig si trovò stretto in un abbraccio che avrebbe incrinato addirittura le sue di ossa. Così poggiò le mani sulle spalle di Feliciano e lo staccò con tutta la dolcezza di cui era capace, sempre che si potesse parlare di dolcezza, almeno nel suo caso.
«Questo rientra nel darmi fastidio.»
«Lud, sei sempre così gentile con me! Grazie!»
«Non lo faccio per te, lo faccio per aiutare gli altri e tenerti lontano da loro.»
«Ve, Lud, tu hai un cuore così grande! Ti preoccupi sempre per tutti quanti!»
«Ma cosa c'è di sbagliato in te?»
Feliciano continuò a sorridere con un'aria raggiante, mentre Ludwig si sedeva sul pavimento a riscaldarsi e scuoteva la testa afflitto. In cuor suo, l'italiano sapeva che Ludwig aveva bisogno di qualcuno che gli stesse accanto, perché per quanto ostentasse il suo stile di vita solitario, per quanto lo si vedesse sempre da solo, sempre accigliato, scontroso quasi come Arthur, anche lui aveva bisogno di qualcuno con cui dividere il pranzo.
L'insegnante di Stoccolma entrò circa venti minuti dopo, quando tutti i ballerini erano in fila lungo la sbarra, era seguito da un ragazzo minuto, biondo e dall'aria molto timida. Poco dopo scoprirono che si chiamava Tino e che era uno dei migliori ballerini tra le accademie scandinave arrivato a Parigi soltanto per quella lezione dimostrativa.
«E mi piacerebbe assistere a tutte le altre performance, a partire da domani», aveva confessato più tardi.
Feliciano si guardava attorno con un'espressione sicura, davanti a lui c'era Ludwig e questo gli bastava per non farlo sentire troppo in ansia, in quel momento per lui tutto era perfettamente normale e ogni cosa andava esattamente come doveva andare. Non si era nemmeno accorto della presenza fantasma di Matthew, delle occhiate di puro odio che si scambiavano Alfred e Arthur, di Antonio che allungava le mani sul suo sventurato fratellone, di Elizaveta che tirava fuori da chissà dove una padella e che la dava in testa a Gilbert, di Ivan e Yao che erano arrivati in un silenzioso ritardo e che sembravano già stanchi e provati. Feliciano badava soltanto alla schiena forte del suo Ludwig e sorrideva, perché non doveva fare altro che copiare.
Il maestro si rivelò meno severo di quanto sembrasse, aveva un cipiglio burbero e la faccia di chi non accetta errori o distrazioni, ma alla fine era stato silenzioso e la collera che sembrava controllare in silenzio in realtà si era dimostrata inesistente. Si chiamava
Berwald Oxenstierna e Feliciano non riuscì mai a pronunciare il suo nome correttamente, ma il maestro non sembrava nemmeno ascoltarlo, si limitava a fissare Tino che prendeva le sue veci e che quindi sillabava con gentilezza quel nome all'italiano, nonostante ogni suo sforzo per farglielo ricordare si rivelasse totalmente inutile.
A fine lezione Tino aveva la bocca più stanca delle gambe, a furia di avvicinarsi a Feliciano e ripetere ogni lettera a voce alta come se stesse parlando con un mezzo sordo, Matthew continuava a essere invisibile anche per il loro insegnante temporaneo (in effetti sembrava essere invisibile per tutti, meno che per Francis, che sussurrava qualcosa riguardo a un invito a cena), Arthur e Alfred avevano finito il loro scambio di occhiate rabbiose e avevano cominciato a sfoderare il loro repertorio di frecciatine sarcastiche, che colpivano i difetti fisici, tra i quali spiccavano le sopracciglia di uno e lo stomaco dell'altro, quanto quelli caratteriali, accusando il carattere cinico tipicamente inglese e l'egocentrismo dilagante di cui Alfred era letteralmente malato. Antonio non si era ancora dato per vinto, e infatti sfoggiava un grosso livido violaceo sullo zigomo e si reggeva lo stomaco mentre agonizzava dopo una testata di Lovino, e a Gilbert, forse per solidarietà con l'amico, era toccato lo stesso destino e infatti esibiva un enorme bernoccolo sulla fronte, mentre Elizaveta sorrideva soddisfatta e metteva via la padella. Ivan e Yao erano già spariti, Feliciano non sapeva dove, ma non se ne preoccupò molto, perché aveva qualcosa di più importante a cui pensare.
«Lud! Guarda che cosa ho qui!», strillò, afferrando Ludwig per la manica della felpa e scuotendo il suo braccio.
«Pizza!»
In una scatola di latta Feliciano aveva chiuso il suo pranzo, avvolgendolo amorevolmente in una carta gialla. Ludwig notò che il pranzo era stato preparato per due, e automaticamente pensò che lui avesse intenzione di consumarlo con suo fratello.
«No, non è per Lovino!», gli spiegò in fretta, quando Ludwig accennò andare via, «L'ho preparato per noi due! Siamo amici, no? Quindi pranziamo insieme!»
E a quel punto, Feliciano mollò il suo braccio e infilò un pezzo di pizza nella bocca semi aperta di Ludwig, ridendo per la sua espressione buffa.





Vorrei innanzitutto chiedere scusa per il ritardo, e poi spiegare perché non posso rispondere alle recensioni. Sono all'università (;___;”) e il mio internet mi dà un po' di problemi ... diciamo anche che fa cagare. E' difficile anche riuscire a postare e a leggere i commenti, e questa cosa è veramente fastidiosa! Spero di avere una pennina per metà mese o al massimo arriverà a Novembre (nella speranza che arriverà), nel frattempo continuo a pensarvi e a scrivere tanto per voi. =)

Nonostante la mancanza di risposte, mi piacerebbe leggere qualche recensione (e a chi non piacerebbe?) e cercare di rispondervi non appena ne avrò l'occasione! C:

Kisu<3

   
 
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