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Autore: Baaalow    09/10/2010    4 recensioni
[TAKE THAT]
"Shame" è appena uscita, Mark ha paura di perdere il suo migliore amico. E Gary cosa ne pensa?
Genere: Fluff, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gary Barlow, Mark Owen, Robbie Williams
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Da quando aveva sentito le prime note di quella canzone, che tanto gli ricordava Blackbird dei Beatles, Mark aveva avuto un terribile presentimento.
Era cominciato tutto come qualcosa di campato per aria, Cristo santo.
“E Robbie?” chiedevano i giornalisti, mentre i quattro erano in giro a promuovere il loro ultimo e migliore lavoro. E a quel punto il dubbio si dipingeva sui loro volti, la tensione prendeva possesso dei loro muscoli facciali e, ogni volta, Gary dichiarava a nome di tutta la band che la porta sarebbe sempre stata aperta per lui, quando sarebbe voluto tornare. Facevano tutti un sorriso conciliante al presentatore e alle telecamere, dopodiché tornavano nelle rispettive case da mogli e figli e non ne riparlavano più. Non lo facevano mai. Ma Mark non capiva Gary, non ci riusciva proprio. Non sotto questo punto di vista, almeno; per il resto, erano come il burro su una fetta di pane tostato.
Lo faceva star male il fatto che Gary non si aprisse con lui, non gli raccontasse gli anni d’inferno che quel pallone gonfiato, che una volta si faceva chiamare il suo “migliore amico”, gli aveva fatto passare. Non l’avrebbe biasimato se dopotutto non l’avesse voluto indietro, nella band. Insomma, avevano già fatto due album in quattro, strapremiati dalla critica e dal pubblico; due tour da capogiro, in tutta Europa e Inghilterra; si erano spaccati la schiena per i loro fan, e l’avevano fatto tutto da soli.
Ma Robbie, lui, cosa aveva fatto di sé stesso negli ultimi cinque anni? Si era crogiolato nel suo successo travolgente di fine anni ’90, spendendo milioni nell’acquisto di droghe e alcool che gli hanno rovinato la vita, l’aspetto e la voce. Ah, giusto, aveva anche sputato fuori due album pieni zeppi di canzonette da quattro soldi, l’ultimo dei quali pochi mesi prima del “grande annuncio”.

Diciamoci la verità, caro Robbie: quello che ti ha spinto a posare una mano sul fianco di Gary ogniqualvolta ti è possibile non è assolutamente la voglia di ritrovare un vecchio “amico”. La realtà è che tu vuoi tornare al successo. E poi ci lascerai, come hai già fatto, per continuare sul tuo cammino per nuovi BRIT Awards, a cui attribuirai il merito di una sola persona, te stesso.
Gary, Gary, amico mio, come fai ad essere così cieco? Ti lasci trascinare in abbracci forzati, progetti indipendenti, apparizioni in pubblico senza di me. Non capisci quanto la cosa mi distrugga, ma d’altronde chi ti può biasimare: ormai hai Lui.

***
Mark uscì dalla doccia, quel mattino di fine agosto, con gli occhi arrossati di un uomo che non faceva altro che piangere da almeno un’ora.
Non aveva voluto sentire Shame in anteprima, non avrebbe retto al colpo. Si era invece attaccato a Radio BBC 1 alle 7 di mattina, come ogni donna dai 15 ai 50 anni che risiedeva nel Regno Unito. Aveva voluto sbirciare il volto presumibilmente assonnato del suo Gary, constatando che tale effettivamente era; si era fatto quattro risate e poi si era concentrato sulla canzone, come non aveva mai fatto per nessuna canzone prima.
Era bella, doveva ammetterlo. Pochi accordi, in do maggiore, parole che conquistano il pubblico: una potenziale (se non certa) numero uno. Ma vederli così, scambiarsi quegli sguardi d’intesa, lo rendeva orribilmente geloso e arrabbiato. Certo, era fiero di loro, ma si sentiva tradito, straziato, dimenticato. Si era infilato sotto la doccia tiepida come sempre, ma ci era rimasto fin troppo, quel giorno. Aveva pianto, gridato, battuto i pugni contro le piastrelle bagnate, pensando che non avrebbe mai avuto indietro ciò che lui e Gary avevano condiviso negli ultimi anni; quell’amicizia profonda più del mare, la gioia di sentire la sua voce mischiata alla propria mentre duettavano, i suoi abbracci che trasudavano amore e riconoscenza. Il suo biondo partner si era venduto alla persona meno affidabile di questa Terra, meglio conosciuta col nome di Robbie Williams: e lui, Mark, non poteva fare altro che stare a guardare.

Avvolto nel suo asciugamano bianco, era proteso in avanti, appoggiando ai gomiti al ripiano del bagno dove si trovavano i due lavandini: si guardava allo specchio, sperando di scovare qualcosa che l’avrebbe aiutato in qualche modo, ma vedeva solo un uomo triste e svuotato di ogni sentimento positivo. Si passò una mano tra i capelli, lasciandoci dei profondi solchi con le dita; poi i suoi occhi azzurri ripresero a lacrimare. Senza essere capace di fermarsi, Mark si sedette per terra, con la schiena appoggiata al freddo muro del bagno, lasciando che le lacrime si mischiassero con le gocce d’acqua che erano rimaste sul suo petto, assaggiando il gusto amaro della perdita. Rimase così fino a quando Emma non bussò alla porta.
“Amore, sei lì dentro?”
Nessuna risposta. La donna bussò di nuovo.
“Mark, so che ci sei, ti prego, aprimi!”
Mark, non senza sforzi, riuscì a dirle di entrare.
Lo spettacolo che si presentò agli occhi di Emma era a dir poco straziante: non aveva mai visto suo marito in quello stato. Si inginocchiò accanto a lui, gli diede un bacio sulla guancia e gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarla negli occhi. I suoi erano rossi, stanchi e gonfi di lacrime.
“Mark, tesoro, che ti è successo?” iniziò, con voce preoccupata, carezzandogli i capelli.
“Io.. Gary..” provò a dire Mark, prima di affondare il viso tra la spalla e il collo di sua moglie e riprendere a piangere.
“Ehi, ehi, amore, calmati, su. Asciuga queste lacrime e parlami con calma.” sussurrò lei, dolcemente, passando le dita sulle sue guance scavate da fiumi di lacrime. Gliele asciugò, e lo baciò, stringendolo a sé.
“Ti amo, piccola” riuscì a dire lui, dopo un po’ che lei lo abbracciava. “Grazie, non so che farei senza te.”, continuò, finalmente sorridendole.
Emma lo strinse più forte e ricambiò le parole dolci, prima di parlare di cose più serie.
“Amore, ti prego, parlami dei problemi con Gary”.
Il dolore si dipinse sul suo volto.
“H-hai sentito la radio prima?” le chiese, trattenendo le lacrime.
“Sì, ero in cucina. Beh, la canzone è bella, mi sembra! Qual è il problema, Mark?”
“Non li hai visti. Sembrava che ci fossero solo loro due, in effetti SONO solo loro due ora. Non voglio perdere Gary, non è giusto!” gridò, con voce rauca.
“Non lo perderai, Markie, credimi!” provò a calmarlo la moglie.
“Tu non capisci, Emma.” disse bruscamente Mark, liberandosi dalle braccia della bionda. Si alzò in piedi e uscì dal bagno, andandosi a chiudere in camera da letto.
Sua moglie lo rincorse per farlo ragionare, ma lui non ne volle sapere di aprire la porta. Si vestì come meglio poté, poi si distese sul letto a osservare il soffitto e pensare. Pensava a Gary, come al solito. Tutti i suoi pensieri erano rivolti a lui, quando non erano insieme. Credeva in lui, conosceva il suo cuore e i suoi pensieri, si sentiva legato a lui in maniera indissolubile: ecco cosa vuol dire scrivere canzoni insieme. E ora, alla prima occasione, il suo migliore amico l’aveva dimenticato? No, non poteva assolutamente accettarlo.
Prima di ricominciare a piangere, si sporse a prendere il cellulare sul comodino, per ritornare disteso come prima, le gambe semidivaricate. Aveva ancora i capelli bagnati, stava inumidendo tutto il copriletto, ma non gliene fregava niente. Si concentrò sul comporre il numero di Gary, che conosceva a memoria. Appena ebbe finito, mentre stava per premere il tasto verde che avrebbe iniziato la chiamata, il telefono gli vibrò tra le mani, facendo sprigionare nell’aria le note del ritornello di Patience: Gary lo stava chiamando.
Non ebbe nemmeno il tempo di sorprendersi, dato che la voce dell’amico gli augurò un buongiorno prorompente e allegro. La sue voce calda era sempre una cura per le sue ferite più profonde, doveva ammetterlo.
“Markie!! Ben svegliato, bello addormentato! Immagino tu non abbia ascoltato Chris Moyles questa mattina..” azzardò Gary.
Idiota. Lo sapeva benissimo che l’aveva fatto.
“In verità, Gaz, ho sentito.” rispose, freddo.
“Non ne dubitavo, infatti.” rise il biondo. “Beh, come ti sembra?” chiese, speranzoso.
“Bella, complimenti a tutti e due.”
“Grazie, amico. Ma.. Markie? Che hai?”
Mark sospirò lungamente, prima di rispondere.
“Gaz, dobbiamo parlare. Faccia a faccia.” disse, serio.
“Ok, Mark. Vieni da me quando vuoi, non c’è Dawn oggi.”
“Grazie, Gary. Arrivo tra poco, il tempo di prendere la macchina.”
“A tra poco, Markie!”

Mentre guidava a una velocità normalmente non consentita, Mark pensava alle parole giuste da dirgli. Doveva riuscirci, se avesse perso quel treno non ce ne sarebbero stati altri. Arrivò nel cortile della casa di Gary, uscì dalla macchina e guardò nervosamente l’orologio, per paura di aver perso troppo tempo, quando invece erano passati appena otto minuti dalla telefonata. Si ravviò il ciuffo, il suo antistress preferito, e salì la scalinata che conduceva alla porta. Suonò e, nemmeno cinque secondi dopo, il suo amico venne ad aprirgli la porta. Mark non ci pensò troppo e gli gettò le braccia al collo, respirando il suo profumo che gli faceva girare la testa ogni volta. Gary lo strinse a sua volta, anche se non capì molto bene il senso di quell’abbraccio. Quando si separarono, Gary lo invitò ad entrare e lo fece accomodare in salotto, sul divano di pelle nera dove erano nate tante canzoni. Chissà se anche Shame era stata concepita lì, si chiese Mark; mentre ci pensava, non si rese conto di avere lo sguardo perso nel vuoto.
“Markie? Ci sei?” fece Gary, agitandogli una mano davanti agli occhi per farlo risvegliare dal suo torpore.
“Uh? Oh, sì, scusa Gaz. Pensavo.” si giustificò Mark, toccandosi i capelli per l’ennesima volta quel giorno.
“Dovevi parlarmi, giusto?”
Oh, merda. Ecco. Il momento era arrivato. Ed era ora o mai più. Forza Mark, parla.
“Sì, dovevo parlarti. Vuoi sapere cosa ho fatto stamattina, dopo aver ascoltato la vostra canzone?” cominciò, marcando l’accento sull’aggettivo possessivo. “Ho iniziato a piangere, e non ho smesso fino alla tua telefonata. E lo sai perché, Gary Barlow? Perché tu ti sei dimenticato di me. Ormai ci siete solo tu e lui.” disse, tutto d’un fiato, fissando i suoi occhi lucidi sugli oceani blu dell’amico.
“Una volta c’ero IO con te, Gaz. Eravamo le menti della band, scrivevamo le canzoni insieme, eravamo solo io e te.” Gli afferrò una mano, la strinse.
“Ho paura che lui ti porterà via da me. Non voglio perderti, Gary.” confessò, sull’orlo delle lacrime.
Gary gli strinse a sua volta la mano, prima di iniziare a parlare.
“Markie, nessuno mi porterà via da te. Robbie non significa niente per me in confronto ai miei sentimenti per questo piccolo matto col cappello, che si dimena sul palco accanto a me, mi palpeggia e mi fa sognare ogni volta. Non mi perderai, Markie, per nessuna ragione al mondo. Piuttosto morire.” gli rispose Gary, sincero, rivolgendogli un dolce sorriso.
Mark si illuminò in volto e lo abbracciò ancora più forte di prima, ricambiato. Due o tre lacrime caddero comunque dai suoi occhi, inumidendo la maglietta nera del biondo, mentre dalla bocca di Mark uscirono spontaneamente due parole.
“Ti amo.”
Gary si irrigidì sul colpo, interrompendo l’abbraccio e guardandolo negli occhi, serio.
“Cosa?”
Merda! Da dove era venuta fuori quella dichiarazione? In quel contesto?!
“Io.. Gaz, scusa, non dovevo dirlo. Dimenticalo, è tutto come prima, ok?” si affrettò a dire Mark, rosso in volto. Aveva rovinato tutto, come al solito.
Gary sorrise, gli occhi che brillavano.
“Oh Markie..” sospirò, prima di infilare una mano tra i morbidi capelli del compagno e avvicinare la sua testa alla propria, cercando le sue labbra.
Di colpo Mark dimenticò tutti i rancori che gli aveva portato nelle ultime quattro ore. Il tempo si fermò, il suo cuore pure, o almeno l’impressione fu quella. A mezzo centimetro dalla sua bocca, si bloccò un attimo: voleva godersi il momento. Gary gli rivolse uno sguardo interrogativo: poi Mark chiuse gli occhi, sorrise e si lasciò andare.
I baci di Gary erano morbidi e delicati, come aveva immaginato. Teneva gli occhi chiusi, completamente perso nell’estasi del momento. Gary lo stringeva a sé, lo accarezzava in tutto il corpo, passava la lingua sulle sue labbra.. Era perfetto.
Dopo svariati minuti passati a baciarsi, si sorrisero dolcemente e Mark canticchiò:
“Words come easy when they’re true..”
Gary sorrise, rapito dalla voce del compagno. Lo strinse e lo baciò sul collo.
“Lo vedi perché non è possibile che io mi dimentichi di te? Mi fai perdere la testa, qualunque cosa tu faccia.” disse, tra i baci, e aggiunse: “Ti amo, Mark, stupido nano geloso!”
Il suddetto rise, prima di posargli un bacio sul naso e sospirare:
“Avanti, dillo che la mia gelosia ti lusinga, pallone gonfiato che non sei altro.”
Gary rivolse gli occhi al cielo e il suo viso assunse un’espressione furba.
“Mmh, non lo so.. Ora scusami, devo vedere Robbie..” lo provocò.
Mark si alzò dal divano e gli si sedette sopra, prima di dire con tono minaccioso:
“Tu non vai da nessuna parte, Gary Barlow.” e riprese a baciarlo, più intensamente di prima, senza la minima intenzione di smettere fino alla fine dei suoi giorni.
Ce l’aveva fatta: era suo. E se Rob lo voleva, beh.. Avrebbe dovuto vedersela con lui.
  
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