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Autore: Rowena    11/10/2010    1 recensioni
La gita scolastica di quest’anno dell’Osaka High sarà in California.
Oh no. No no no, non può essere!
Ci deve essere un errore: questa giornata sembrava così promettente, il tempo splendido e una giornata a caccia di saldi con la mia migliore amica in programma, quindi perché si deve abbattere su di me questa disgrazia?
Non è giusto, non me lo merito.
Genere: Comico, Demenziale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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Mentre scendiamo dal pullman, recuperiamo le nostre valigie – quel tirchio di Umeda non ha intenzione di pagare anche un solo cent di mancia ai facchini, ecco la verità, ma preferisce giustificarsi ricordandoci che siamo tutti giovani e forti – valigie che sono poi state ammucchiate accanto alle lunghe tavolate apparecchiate per noi, mi sono resa conto di essere un po’ meno nervosa.
Forse perché alla fine aveva ragione Julia e non vedevo l’ora di stare di nuovo con i miei amici, forse perché Sano ha reagito in maniera assolutamente normale alla notizia delle regole che ci ha dato la Preside. Non so neanche perché mi sono preoccupata così tanto, alla fine, basterà assicurarsi che stia lontano da qualunque genere di alcolici – che sono comunque vietati in gita scolastica! – e non dovrebbe esserci il minimo problema.
La cena è anche il primo momento che abbiamo per rilassarci: all’aeroporto è stata una bolgia generale e il pullman non è l’ambiente ideale perché i ragazzi si esprimano al loro peggio. Questa volta, tuttavia, mi sento di nuovo davvero parte del gruppo; come se non fossi stata via neanche un giorno, mi ritrovo a sedere accanto a Nakatsu e Nanba, mentre i due brindano con la coca-cola alla mia salute e intonano una canzoncina per la quale fortunatamente non conoscono la traduzione in inglese. In un altro momento sarebbe comparso il nostro dottore dal nulla per punirli per bene, specie a fronte di certe rime, ma a quanto pare i pasti sono sacri anche per Umeda.
E io mi ritrovo a ridere come non mi capitava da un pezzo, fino a tenermi la pancia dolente, mentre Sano mi osserva dall’altra parte del tavolo con un mezzo sorriso divertito. È bello essere a casa, può sembrare una banalità ma è così che mi sento, ora che finalmente ho smesso di preoccuparmi.
“Ehi, Mizuki, ma non c’è niente di giapponese sul menu”, esclama Sekime notando che i piatti sono tutti americani.
“Più che altro non c’è niente d’ipocalorico!” si lamenta invece Nakao, orripilato. “Che c’è, avete deciso di attentare alla mia linea?”
“Beh, la cucina di questo paese non è certo famosa per il controllo delle calorie”, rispondo io ridendo, specie alla faccia del mio amico che sembra appena aver scoperto di essere all’inferno. “Consiglio un bell’hamburger per tutti, però, è il mio piatto preferito!”
I ragazzi si guardano l’un l’altro e approvano, ovviamente raccomandandosi col cameriere di abbondare con le patatine fritte e i condimenti. Questa volta non dico niente, ridendo sotto i baffi: la prima lezione da imparare negli Stati Uniti è che le porzioni saranno comunque esagerate, quindi non è necessario farle ingigantire. Anche se conoscendo l’appetito di alcuni dei ragazzi, non mi stupirei se chiedessero perfino il bis…
“Ma sono enormi!” pigola Nakao quando gli viene messa davanti la sua cena. “Mi verrà la cellulite solo a guardare questo piatto, figuriamoci a ingerirlo…”
La risata collettiva è immediata, ma gli altri si fanno meno problemi e cominciano a mangiare di gusto. In aereo hanno mangiato malissimo, scopro, e hanno davvero voglia di rifarsi.
“E quanti giri di pista saranno necessari per riprendersi, domani mattina?” mi dice Sano, addentando una patatina.
“Cosa?”
“Abbiamo il permesso della scuola per allenarci anche durante la gita”, mi spiega Sekime con la faccia sporca di senape “e abbiamo intenzione di andare a correre ogni mattina presto”.
“Vieni anche tu?”
“Io?” domando ancora, sempre più stranita ma, allo stesso tempo, contenta.
“Hai detto che hai ricominciato a correre, no?” mi chiede Sano, tranquillo. “Non ti conviene spezzare subito gli allenamenti, proprio ora che sei tornata in pista”.
Il mio sorriso si fa più largo: ci sarà anche Sekime, certo, ma sarà meglio lui che tutta la truppa. E poi mi è sempre piaciuto correre con loro, sebbene non sia riuscita a farlo spesso visto che non ero nel club di atletica, a scuola. Umeda mi avrebbe ucciso se mi fossi esposta con allenamenti e gare interscolastiche. “Certo, mi farebbe molto piacere”.
Accanto a me, Nakatsu borbotta qualcosa, ma non aggiunge altro. Forse le questioni che più avrebbero dovuto preoccuparmi sono proprio quelle che ho messo da parte con più facilità: il mio amico ha sempre detto che si sarebbe comunque comportato come tale, nonostante i suoi sentimenti… Spero che le cose non siano cambiate, nel periodo in cui siamo stati lontani.
Quando abbiamo finito la cena, passiamo per la reception dove è possibile recuperare le chiavi delle proprie stanze e, bagagli al seguito, ci dirigiamo verso gli ascensori.
Dobbiamo aspettare un po’, perché ormai i ragazzi hanno formato una vera e propria coda, e con le valigie occupare lo spazio delle cabine è un attimo.
“Allora, stanza 3014”, leggo dal cartoncino in cui hanno inserito le nostre chiavi magnetiche. Siamo soli, quando riusciamo a prendere un ascensore. Un ascensore tutto per noi.
Sano mi fissa, ma non riesco a capire a cosa sta pensando. Non che ci sia mai riuscita, sia chiaro: conosceva la mia vera identità da un pezzo, eppure me l’ha saputo nascondere per così a lungo…
Non che tu sia poi così perspicace, giapponesina. Julia.
La mia testa ha deciso che la voce della mia migliore amica è la migliore su cui settare la mia coscienza. Fantastico.
Per lo meno so riconoscere l’espressione di Sano-baciatore-killer, e questo non è il caso. Gli sorrido, soddisfatta della serata.
Peccato che tale sensazione non possa durare a lungo, ovviamente: non appena faccio strisciare la chiave nella serratura elettronica e apro la porta, infatti, mi sento morire. “Ma è uno scherzo?” domando sgomenta.
Abbiamo una doppia, certo, ma non la classica doppia da hotel, con i letti gemelli, oh no: un candido, unico, immenso letto king size sembra quasi ridere di noi, al centro della stanza.
Ma perché non una suite matrimoniale con un enorme cuore dalle lenzuola rosse di seta e petali di rosa ovunque, già che ci siamo?
Questa è tutta colpa di Umeda, sono pronta a scommetterci tutto quel poco che ho. Lo ha fatto apposta, il sadico, per torturarci il più possibile nel mantenere il patto: ma mi sentirà, oh se mi sentirà!
Mi fiondo di nuovo in corridoio senza degnare neanche di una parola Sano, che è rimasto immobile sulla soglia, e comincio a premere il pulsante per chiamare l’ascensore con un certo tic isterico.
Scendendo fino al piano terra, cammino in tondo, squadrata male dalla sola altra persona presente, una signora anziana con un cagnolino dal muso un po’ storto, senza trovare pace: così non si può, già condividere uno spazio ristretto con il ragazzo che amo è imbarazzante, ora che io so che lui sa che io sono una ragazza e che lui mi piace e che ci siamo baciati, ma quel letto è veramente una presa in giro!
Quando finalmente riesco a tornare nella sala da pranzo, individuare il dottore non è certo un problema: è ancora a tavola, quell’essere crudele, e sta pulendo la coppetta del suo dessert con una pazienza e una cura che hanno un qualcosa di maniacale. Basta dare un’occhiata al tavolo per vedere che non è il primo dolce che mangia. Il sesto, forse.
“Sensei, senta…” m’interrompo, incapace di non chiedere cosa stia facendo “ma quanti bis di dessert ha preso, si può sapere?”
Lui alza le spalle e continua a fare scarpetta, imperturbabile: “Con la linea perfetta che mi ritrovo, posso anche eccedere ogni tanto” risponde pulendosi lentamente la bocca col tovagliolo. “Inoltre, essere tornato su questa sponda, effettivamente, porta un sacco di vantaggi; non essere più obbligato a incarnare un ideale di bellezza è uno di questi, ad esempio”.
Sì, certo, perché quando mai l’avrebbe fatto? Se riuscisse a gonfiarsi ancora un po’ volerebbe via, questo è certo, vanesio com’è…
Umeda mi fissa. “Allora, perché sei qui invece che nella tua stanza a disfare la valigia?”
“In quella stanza?” Replico io, sconvolta. “Non è possibile, non io e Sano, non con quel letto, non insieme, almeno!”
“Prendi fiato, Mizuki, sei diventata bordeaux”, dice lui con un sorrisetto antipatico. “Spiacente, ma alla reception hanno fatto confusione con le stanze e non ci sono altre doppie coi letti gemelli disponibili per noi”.
“Ho capito, ma perché dobbiamo starci noi?”, domando, distrutta.
“Quali altri studenti dividerebbero un letto del genere? Voi avete già dormito insieme, non credere che non lo sappia: fate finta di essere a scuola, nel dormitorio, e ignoratevi. C’è così tanto spazio in quel letto che non dovreste neanche accorgervi della presenza reciproca”.
“Cos’è, uno scherzo? Non potreste prenderla lei e Akiha-san?”
Lo sguardo che mi tocca a quest’ultima domanda è odio. Odio puro. “Cosa ti fa credere che io e quella pazza condividiamo la stanza?”
“Ma da quello che ha scritto Sano… Io credevo che voi foste tornati insieme”, biascico lentamente sentendo una morsa di gelo intorno a me. Il dottore non si ammorbidisce neanche un po’.
“Il che non implica condividere un letto, meno che mai mentre IO sto lavorando”.
Come richiamata da un incantesimo, la sorella della Preside compare alle sue spalle e gli mette le mani sugli occhi, prendendolo in giro. Inutile dire che, nonostante sia tornato su questa sponda, Umeda si lancia in uno scatto degno dei centometristi a livello mondiale.
Ed è inutile dire la questione si chiude qui: lascio che Akiha-san mi scatti un’altra foto, l’ennesima della giornata, quindi decido di tornare in camera.
Il nervosismo di prima ricompare: non ho mai dormito con un ragazzo, almeno non in veste di fidanzata dello stesso. E se Sano…
Sano. Lo stesso che quando rientro in stanza si sta asciugando i capelli col phon, indossando solo i pantaloni della tuta.
“Ma che fai?” chiedo sconvolta.
“Che fai tu, tappetta: avevo bisogno di una doccia, così ho approfittato della tua assenza”, risponde come se fosse totalmente normale. “Perché?”
“Niente”, rispondo sentendomi le guance in fiamme. “Ho provato a convincere Umeda perché parlasse con la reception, così da cambiarci camera, ma non mi ha ascoltato”.
“Nulla di sorprendente”, commenta lui avvicinandosi e scompigliandomi i capelli. “Avanti, smetti di crucciarti in questo modo, ti stai preoccupando senza motivo: fatti un bel bagno caldo e lavati i denti, con questa giornata lunghissima abbiamo entrambi bisogno di dormire”.


   
 
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