Angela guardò le
varie bottiglie di vino allineate in perfetto ordine su uno scaffale di
quell’immenso supermercato. Il suo carrello sostava in mezzo al corridoio e la
gente la inceneriva con lo sguardo ogniqualvolta questo si trovava tra i loro
piedi. Ma lei non considerava nemmeno una di quelle occhiate. Dopo aver spinto
quel carrello pieno fino alla cima di cibi e bevande le braccia le facevano
male. Le signore più anziane erano l’unica eccezione a tutti quegli sguardi
furiosi: le passavano accanto e le bisbigliavano quanto fosse carina,
accarezzandole i capelli castani dai riflessi biondi, lunghi fino a metà
schiena.
Angela aveva
appena compiuto i vent’anni. Era una ragazza di media altezza, a malapena
raggiungeva il metro e settanta, e ben proporzionata. I suoi occhi erano verdi
con sfumature grigie, e cambiavano colore a seconda del suo umore. Ora erano
grigi, e la cosa non poteva essere considerata bella. Per quanto i suoi occhi
fossero affascinanti anche quando erano di quel colore, si vedeva benissimo che
erano furiosi.
Sua madre Sara
era una patita delle feste e nonostante avesse cinquantatre anni abbondanti, si
intestardiva a comportarsi come una quindicenne impazzita. Invitava gente a
destra e a manca, tutti i santi giorni e
in ogni momento libero. E lei finiva per essere una di quei poveracci che
spediva da tutte le parti a procurarle quello che serviva per preparare la sua
ennesima festa e renderla fantastica. Almeno secondo lei. Perché secondo
l’opinione di Angela quelle feste erano una vera noia. Ci partecipavano vecchi
di ogni genere, anche più grandi di sua madre, che volevano atteggiarsi da giovani
con ancora tutta la vita davanti da vivere.
La ragazza prese
una di quelle bottiglie e se la portò sotto il naso per leggerne il nome: Barolo. Questo era il nome che spiccava
a caratteri cubitali sull’etichetta.
Angela sospirò,
constatando di aver sbagliato un’altra volta. Rimise al suo posto la bottiglia
e alzò gli occhi in cerca di un commesso che potesse aiutarla. Ne trovò uno che
stava sistemando una scatola di assorbenti e lo chiamò. – Mi scusi!-
Ma quello non si
girò. Un piccolo esame e Angela si accorse che il ragazzo che aveva appena chiamato
stava ascoltando musica con le cuffie dell’ipod nelle orecchie. E canticchiava
pure.
Angela rimase di
sasso davanti a quella scena. E ora a chi poteva chiedere?
-Scusa- disse
una voce alle sue spalle.
La ragazza si
girò. – Dici a me?-
La voce
apparteneva ad un ragazzo molto carino dall’aria scocciata. Alto, magro e moro.
Tre aggettivi per descriverlo. Gli occhi di Angela incontrarono quelli del
ragazzo: azzurri come il cielo.
-Sì. Il tuo
carrello mi intralcia la strada. Non potresti spostarlo, per favore?-
Angela, senza
saperne il vero motivo, arrossì e si affrettò a chiedere scusa e a spostare il
carrello dal passaggio. Benché il tono di lui fosse tanto sgradevole Angela lo
trovava in qualche modo affascinante. Il ragazzo prese una bottiglia di vino
che lei non conosceva , lo mise nel suo carrello e fece per andarsene.
-S-senti!- riuscì
a balbettare.
Il ragazzo si voltò,
e l’aria scocciata era ancora dipinta sul suo viso. – Che vuoi?- disse scortesemente.
Angela non seppe
subito cosa dire perché presa di sorpresa da quel tono sprezzante.
Quello sospirò e
cominciò a camminare.
-N-no!Aspetta!-
provò di nuovo – Ho bisogno di aiuto. Mi potresti indicare un vino che cerco?-
Il ragazzo
annuì.
-Lo Champagne-
Lui si limitò ad
alzare il dito e indicare una bottiglia elegante nello scaffale più basso. Poi
se ne andò senza dire una parola.
-Grazie … -
sussurrò la ragazza al vento.
Infine, prese la
bottiglia che le era stata indicata e si diresse alla cassa, spingendo il
carrello pieno di cibo e cose varie, e incurante del male che aveva alle
braccia.
-Oh, Sara, che
bella festa!- esclamò una donna con un vestito da sera a dir poco osceno.
Angela, seduta
su l’unica poltrona presente in casa sua, osservava con una smorfia disgustata l’abbraccio
tra sua madre e quella vipera della
loro vicina di casa. Una carogna tutti i giorni, un cucchiaino di zucchero
quando si trattava di mangiare a casa degli altri. Gratis.
Sua madre
sorrise al complimento e la invitò a prendere un bicchiere di Champagne. Quella accettò con sorriso
che avrebbe fatto vomitare anche un cieco e afferrò il bicchiere che le veniva
dato con un gesto deciso. Evidentemente alla strega non piaceva lo Champagne perché sembrò mandarlo giù a
forza.
Sara si avvicinò
alla figlia con passi veloci e scanditi dal tacco delle scarpe. Il vino
all’interno del suo bicchiere ondeggiava leggermente a causa del movimento. Si
sedette sul bracciolo della poltrona e le circondò le spalle con un braccio,
avvicinandola a sé. Angela appoggiò la
testa sulla spalla di sua madre e chiuse gli occhi.
-Tesoro, non ti
piace la festa?-
Angela era sul
punto di vomitarle addosso tutto quello che pensava delle sue feste, ma si
trattenne appena in tempo.
-No, mamma, è
tutto perfetto. Come sempre- mormorò contro la stoffa del vestito da sera di
Sara.
La madre
sorrise. – Allora vieni, ti presento un mio amico- disse alzandosi in piedi e
trascinandola con sé.
Angela già si
immaginava il tipo di uomo che si sarebbe, di lì a pochi secondi, trovata
davanti. Vecchio e brutto.
Sara arrestò la
sua camminata veloce quando arrivò davanti ad un uomo.
-Paolo!- lo
chiamò.
L’uomo si girò
subito. – Sara, che bello rivederti!- esclamò, alzandosi e abbracciando
calorosamente la madre di Angela. Da lì i due si profusero in una conversazione
lunghissima, e Angela riuscì a capirci qualcosa in quel groviglio di parole
solo quando sua madre rideva come una ragazzina davanti al suo grande amore.
Poi l’uomo si accorse della sua presenza.
-E questa bella
ragazza chi è?- chiese.
-Lei è Angela -
la presentò – Mia figlia- aggiunse orgogliosa.
L’uomo le scoccò
un’occhiata divertita. – Piacere, Angela. Io sono Paolo- disse porgendole la
mano, che prontamente Angela strinse.
-Certo che tua
figlia è proprio carina, Sara - bisbigliò a bassa voce – Ora capisco il perché della sua
bellezza: è tua figlia-
Sara rise,
imbarazzata. Angela inorridì davanti a quelle parole. Le sembrava di avere
davanti due ragazzini alle prime armi.
Paolo riportò
l’attenzione su di lei e la afferrò per un braccio, allontanandola da sua
madre.
-Non hai l’aria
di chi si sta divertendo molto-
Angela si sentì
braccata e si affrettò a negare. – No, no, mi sto divertendo-
-Sei uguale a
mio figlio-
Angela si bloccò
nel sentire quelle parole. – Ha un figlio, Paolo?-
-Sono stato
giovane anche io, cosa credi?- disse lui ridendo della sua faccia imbarazzata.
Paolo le
accarezzò i capelli e le fece segno di guardare verso un angolo della casa.
Angela si
ritrovò a fissare un ragazzo di spalle che, in piedi davanti alla finestra, si
limitava ad osservare le stelle luccicare nel cielo privo di nuvole di quella
grande città.
Paolo le diede
una gomitata. – Dai, vacci a parlare!-
La ragazza
sospirò e si diresse a passi lenti verso la finestra. Si fermò accanto a lui,
lo guardò dritto in faccia e riconobbe il ragazzo del supermercato. Lui si
voltò e la incenerì con lo sguardo. Angela abbassò subito gli occhi, puntandoli
sul bicchiere ancora pieno che teneva ancora in mano.
-Vuoi un po’ di Champagne?-
-No- rispose
secco.
Angela sentì le
guance in fiamme. Quel ragazzo era maledettamente carino, lo aveva notato anche
al supermercato. Quando lui se n’era andato, aveva preso il carrello e si era
diretta alla cassa come fosse in trance, travolgendo due commessi, che subito
l’avevano riempita di insulti.
-Ehm, come ti
chiami?-
-Daniele-
Angela sentì la
rabbia salire. – Ehi, ma rispondi a monosillabi?- gli sibilò contro.
-Con la gente
che scoccia, sì- rispose.
Con la gente che scoccia. Sentì la frase rimbombarle nella testa e senza che
lo volesse una lacrima solcò il suo viso. Poi altre seguirono la prima.
-Ehi, piangi?-
Singhiozzò piano
e si asciugò velocemente le gocce salate dal viso. – No-
Daniele si chinò
su di lei e le passò il pollice vicino all’occhio. – Questa mi sembra una
lacrima- disse divertito. Allo sguardo di lei cambiò atteggiamento e i suoi
occhi si fecero tristi.
-Scusa- sussurrò
piano – Non volevo farti piangere. A volte non mi accorgo di essere maleducato-
-Ma l’hai fatto.
Nemmeno mi conosci e già mi dici che ti scoccio- sibilò con rabbia.
-Come ti
chiami?-
Non poté evitare
di rispondere. – Angela-
-Quanti anni
hai?-
-Venti-
-Io ne ho ventuno-
detto questo si abbassò sulle sue labbra e le baciò dolcemente.
-Avevi una
lacrima vicino alla bocca, Angela- si giustificò lui, staccandosi dalle sue
labbra, ghignando della sua espressione stupita.
La ragazza fissò
il pavimento, rossa come un pomodoro maturo. La mano di Daniele si appoggiò
sulla sua spalla e lei incontrò di nuovo il suo sguardo azzurro, ancora
lievemente imbarazzata.
-Possiamo essere
amici?- chiese con un filo di voce.
-Solo amici-
disse lui – E’ okay. Proviamo-
Angela sorrise,
ritrovando la sua solita allegria.
Eh, sì. Questa
volta doveva ammetterlo.
Le feste di sua
madre erano davvero fantastiche.