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Autore: LittleLiar    13/10/2010    1 recensioni
Una storia triste, piena di sentimenti repressi.
"Il giorno dopo non c'era più, e lì la mia vita era andata in pezzi. Mille pezzi che ancora giacevano in fondo al mio cuore"
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sedici anni, un mese e quache giorno. La mattina di Natale. Un noioso, inutile insignificante Natale. Ripensai ad una discussione con mia madre. Anzi, quella discussione.
"Mamma, hai presente quando si dice che uno ha gli occhi che luccicano...? Io non ho mai visto niente del genere...i miei occhi non luccicano, eppure è il mio quindicesimo compleanno". Piccola, ingenua. Ignorante del mondo
Lei, consapevole, adulta, saggia, perfetta per me...un sorriso, e una risposta "Io sì, l'ho visto...in te, ma non il giorno del tuo compleanno. Ma il giorno del compleanno di qualcun altro. Quando mi venivi a svegliare alle cinque del mattino per aprire i regali di Natale. Era l'unica cosa che mi spingeva ad alzarmi in quell'orario assurdo. E' una cosa che, mio malgrado, negli anni mi è mancata"
Il giorno dopo non c'era più, e lì la mia vita era andata in pezzi. Mille pezzi che ancora giacevano in fondo al mio cuore. Era solo passato un mese, ma a me sembravano dieci anni che non la vedevo, dieci anni che non le parlavo. Ed invece no. Era pochissimo.
Non avevo la minima intenzione di svegliarmi per aprire alcun regalo, quella mattina. Nè io nè mio padre avevamo avuto il tempo o la voglia di comrpare i regali, nè per noi stessi nè per gli altri. Ci salutavamo ogni mattina, mangiavamo assieme, ma per il resto non facevamo niente. Non ero mai andata a piangere da lui, nè lui era mai venuto da me. Due estranei, accomunati dallo stesso dolore. La casa era spenta, e nessuno di noi aveva voglia di accendere la luce. C'era uno strappo, e nessuno di noi voleva ricucirlo.
Ogni mattina, come in un film muto, rivedevo le scene dei giorni neri, come li chiamavo io nella mia testa. La gente che piangeva, io sconvolta, un dolore al di là delle lacrime. 
Abbracci, vuoti, spenti, privi di energia. A volte sembrava che fossi io a dare loro forza.
La messa,  il prete con le condoglianze. Gli occhi addolorati di tutti. E la foto. La foto...quella pelle chiara, bella, i suoi capelli biondi, il suo sorriso, insostituibile.
I miei amici, venuti in tanti. Tutti un abbraccio, e i più intimi un sorriso. Loro sapevano che adoravo i sorrisi nei momenti tristi. Fra le loro braccia mi ero lasciata andare. Non riuscivo a dormire più di cinque ore a notte. E non avevo sonno, nè occhiaie. Semplicemente, le energie che prima sprecavo a sorridere ad essere felice, ora si accumulavano, ed erano inutili.
Mi ero fermata, nell'ingresso di casa mia, a gaurdare una foto. Noi tre. Io al centro. I miei boccoli biondi, che ancora possedevo. Gli occhi grigi miei e di mio padre. Gli occhi celesti di mia madre. Senza riuscire a restare ancora un attimo lì, scrissi un bigliettino a mio padre e lo fissai sul frigorifero.
 
Scendo
 
Una sola parola, e tutto era sistemato. Erano le nove della mattina di Natale, e volevo trascorrerla da sola.
I miei piedi mi portarono fino al Parco delle Ghiande, un mini-insieme di palazzi.
Mi sedetti su una panchina, e iniziai a fissare il vuoto. Faceva freddo, ma non nevicava, nèpioveva, ma il cielo era coperto.
Pensai a come dovevo sembrare triste e spaesata, da sola, alle nove e mezzo, su una panchina, la mattina di Natale.
Non accadde niente per un po'. L'equilibrio era perfetto. Non pensavo, non guardavo, non sentivo, non parlavo. Tutto era perfetto. Troppo. Stavo per alzarmi. Quando tutto era troppo perfetto, succedeva sempre qualcosa di brutto, e decisi di andarmene e distruggere da sola quell'equilibrio prima che lo facesse qualcun altro.
Ma quel qualcun altro, era già arrivato.
"Hey, aspetti qualcuno?"
Mi voltai. Sarebbe bastato un altro secondo e mi avrebbe trovata già in piedi, in procinto di andarmene.
"No, io...stavo andando via"
"Fai bene. Questo posto fa schifo se non c'è nessuno"
Era un ragazzo. Capelli nocciola e occhi verdi. Sorriso gentile, ma incerto. Probabilmente si stava domandando cosa ci facesse, lì, una ragazza, da sola, la mattina di Natale.
"Già...beh, grazie per l'informazione" Chi sa perchè, non mi mossi
"Perchè sei da sola?" domandò, senza riuscire a trattenersi. Aveva all'incirca la mia età. Forse qualcosa in più.
"Perchè sei da solo?" ricambiai la domanda, con voce e sgaurdo inespressivi.
"I miei stanno dormendo, ma io mi annoiavo...e così sto facendo un giro. Poi ho visto una ragazza da sola, e..."
"E hai pensato bene di interrompere la solitudine di entrambi" replicai, senza colore nella voce
"Senti, non so chi tu sia. Ma sembri depressa. Ti conviene tirarti su. Non so cosa tu abbia, un litigio con il ragazzo, con l'amica, con i genitori...ma su, è Natale"
Sbottai. La rabbia, il dolore di quei mesi, si riversarono in quella figura sconosciuta
"Ma che ne sai, tu? Cosa ne sai? Non sai il mio nome, non sai chi io sia, e mi giudichi! Come puoi dire cose così? Un litigio? Magari! Non so cosa darei per avere un litigio, un'emozione, per bloccare tutto ciò che è tristezza...Anche la rabbia sarebbe  meglio! Non sai cosa significa...non lo sai...chi cavolo sei? Vieni qui, dici, fai..."
Mi fissò, tutto il tempo, senza dire nulla
"Tu hai bisogno di una cioccolata. Dai, vieni"
Ero di nuovo vuota, e lo seguii, senza sapere bene il perchè.
Uscimmo dal parco, senza parlare
"Non troveremo nessuno aperto la mattina di Natale...Tranne un mio amico. Lui sì che è il re della cioccolata."
Mi portò in un bar. Bevemmo una cioccolata. Dopo un'ora, mi strappò un sorriso.
"Ecco, così si fa! Alle spalle, ogni cosa..."
Mi stupii. I miei amici, che tanto avevo amato, durante i giorni neri, non erano riusciti a farmi sorridere in varie settimane, mentre questo ragazzo, sconosciuto e affascinante, in poche ore ci era riuscito. Sentii il mio cuore battere, per la prima volta, dopo troppo tempo.
  
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