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Autore: Karyon    14/10/2010    1 recensioni
«Non ti lascerò la possibilità di sfruttarmi a tuo piacimento, russo» si decise a dire, con poche parole sprezzanti, quando quello era già quasi uscito.
«Vedremo» scandì solo Ivan, con un tono che lo fece rabbrividire: felice, sembrava eccitato e felice come un bambino.

La Grande Guerra del Nord [RussiaxSvezia - IvanxBerwald]
Genere: Guerra, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Russia/Ivan Braginski
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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Prigioniero di guerra
1709
 
 
{La Grande Guerra del Nord – 1701-1721}
 
Alla guerra presero parte la Moscovia di Pietro I il Grande,
la Polonia - Sassonia del grande elettore Augusto II e la Danimarca di Federico IV, contro quello che era – al tempo – il grande Impero Svedese di Carlo XII, considerato il più grande stratega del periodo.
Quest’ultimo si assicurò velocemente l’uscita dall’alleanza della Danimarca, ferocemente sconfitta, infliggendo nel contempo gravi danni alle truppe polacche-sassoni.
La Russia, gigante nordico apparso improvvisamente nel panorama europeo, si dimostrò di gran lunga l’avversario più temibile:
L’8 Luglio1709 a Poltava, Pietro I il Grande distrusse l’esercito svedese e – nonostante la guerra si fosse trascinata stancamente per altri dodici anni – quella vittoria assicurò la rapida ascesa dell’una a discapito dell’altra.
Al termine del trattato di Nystad, la Russia definì se stessa “Grande Impero russo” e Pietro I divenne lo “Zar di tutte le russie”.
L’Impero Svedese, invece, scoprì quella sconfitta irreversibile e la sua scomparsa dal panorama europeo fu praticamente inarrestabile.
                            
 
Quegli occhi azzurro ardesia – limpidi e glaciali come una fredda mattinata invernale – continuavano a fissarlo, senza quasi prendere respiro con un battito di palpebre.
Il silenzio continuava a istillarsi pigramente tra loro, come sangue da una ferita lenta a rimarginarsi.
Ivan portò il bicchiere intarsiato baroccamente alle labbra sottili, lasciando che il liquido trasparente gli si riversasse in gola senza fretta; non aveva nessun problema con il silenzio, di solito erano i suoi avversari a spazientirsi quasi immediatamente, arrischiandosi a pronunciare qualche parola titubante, ringhiata o sputata con disprezzo.
Il silenzio non era fatto per tutti, evidentemente, e lui che viveva solo da tempo immemore ci era ormai abituato, un po’come se il suo stesso sangue vi fosse ormai intriso, contagiando anche la sua casa e tutto ciò che lo circondava.
Ciò nonostante, lui continuava a fissarlo senza muovere un muscolo, chiuso in un silenzio costretto dalla rigida piega delle labbra; se ne stava fermo davanti al suo scranno – cimelio di un’età ancora troppo vicina –, con i polsi strettamente legati alla schiena eretta dall’orgoglio che lo caratterizzava, le ferite della battaglia che gli costellavano la pelle chiara, la divisa lacerata. Nessun singulto, neanche un piccolo cenno di protesta.
Ivan aveva aspettato troppo, la sua Nazione aveva aspettato troppo, perché non si godesse appieno la visione di Svezia ridotta alla sua mercé.
«Continui a fissarmi» gli fece notare, mentre accavallava una gamba e appoggiava il gomito al bracciolo intarsiato.
«Non ho nient’altro di meglio da fare» ironizzò Berwald, con intonazione ferma.
Era stato appena battuto, il suo esercito spazzato e annientato di colpo, inaspettatamente, da una potenza che avrebbe dovuto essere molto più debole – o così aveva ingenuamente creduto.
La verità era che Svezia era stata davvero l’Imperatrice del Nord.
La verità era che non avrebbe mai e poi mai creduto che quella sterminata terra alla sua destra potesse diventare così grande, al punto di minacciarla; aveva abbassato la guardia.
Si era totalmente concentrato a combattere Polonia e Sassonia, da aver completamente ignorato Ivan e i segnali che il suo eccezionale Zar1 gli stavano inviando.
Quando aveva deciso di pensare a lui era stato troppo tardi.
Quel pazzo fanatico aveva persino deciso di incendiare le sue stesse terre, piuttosto che vederle cadere nelle sue mani; aveva amputato i suoi stessi arti, pur di vederlo soccombere.
Fissando lo sguardo in quelle iridi venate di un viola così atipico e gelido, il suo sorriso perenne stirarsi morbidamente sul viso disteso, pensò con sgomento che niente avrebbe potuto fermarlo dal conquistare ciò che voleva.
Da un certo punto di vista quel pensiero lo consolava: sarebbe morto per mano di una grande – seppur desolata – Nazione; sarebbe morto per mano di un uomo ferito mille volte e mille volte risolto.
I passi lenti di Ivan, attutiti dalla pelliccia chiara degli stivali che indossava, lo distolsero dai suoi pensieri; quando spostò nuovamente lo sguardo su di lui, ritrovò il suo viso a pochi centimetri.
«Ti ho battuto» gli fece con tono sicuro, nonostante il russo sapesse benissimo che avrebbe dovuto ripeterselo ancora e ancora, prima di crederci per davvero.
Berwald si lasciò sfuggire un verso carico di disprezzo «Se sono ancora vivo, non è del tutto finita».
«Continueresti a combattere?» Domandò Ivan e la voce si colorì, suo malgrado, di un’intonazione sorpresa.
L’altro tornò a guardare di fronte a sé, come se lui fosse ancora seduto su quella specie di trono esageratamente decorato «Sempre».
Pronunciò un’unica parola con la sicurezza di chi aveva ancora infinite possibilità di vittoria, senza che nessuno dei sottili tremiti che gli torturavano i muscoli si estendessero alla voce o allo sguardo; sapeva che una delle grandi soddisfazioni di Ivan sarebbe stata quello di guardarlo gemere o implorare pietà.
Le voci che cominciavano a circolare prepotentemente in Europa circa il suo squilibrio, gli imponevano di mantenere il controllo più possibile.
Eppure, quando una delle sue grandi e pallide mani gli sfiorò un braccio, sussultò involontariamente.
Con un sottile fruscio della lunga sciarpa bianca, Ivan si allontanò di qualche passo, per poterlo osservare interamente «La tua intera flotta, l’orgoglio della tua Nazione, è stata totalmente distrutta. Ora giace sul fondo del Baltico» fece tranquillamente, ignorando la smorfia di rabbia che sfigurava il viso dello svedese.
«Allora avresti dovuto uccidermi, perché questo non mi fermerà!» Ribatté Berwald, scuotendo per un attimo le braccia legate.
Ivan incrociò le braccia al petto, inclinando il capo su un lato con il solito sorriso troppo amabile «A questo si può rimediare» gli fece notare, col tono di chi parlava del tempo.
Un brivido freddo gli si sciolse per la spina dorsale, mentre gli occhi chiari scattavano automaticamente ad abbracciare la sala, rintracciando velocemente possibili vie di fuga o di protezione.
Il russo, che non gli aveva staccato gli occhi di dosso, rise di gusto alla vista di una tale efficienza «Ho la sensazione che non ti faresti uccidere tanto facilmente».
L’altro tornò a riallacciare il suo sguardo «Combatterò fino alla fine» replicò freddo, ma in qualche modo rassegnato a quello che sarebbe successo da lì innanzi. Tuttavia nulla di quello che credeva o aveva vagamente intercettato nei discorsi tra le varie nazioni, lo preparò a quello: lo sguardo di Ivan sembrò accendersi dall’interno, come una piccola fiamma improvvisa in un bianco assoluto, accompagnata da un ghignò lento – lascivo – che fiorì sul visto statico.
Tutto quello, lo percepì senza che nulla si muovesse davvero in lui.
«Mi piace» sentenziò.
Svezia sentì delle dita gelide insinuarsi nel lunghi capelli biondi; quel contatto lo fece rabbrividire: certo, anche lui era freddo, anche la sua pelle manteneva una temperatura molto bassa per tutto il tempo, ma quelle mani... sembravano morte.
«Mi piace vedere la lotta, è più divertente» gli sussurrò con un sibilo.
Un piede si mosse all’indietro involontariamente, come per sottrarsi a quell’espressione apatica, eppure agghiacciante.
Berwald si riprese quasi subito, tornando a fissarlo come per sottolineare che quel movimento non significava niente. Sapeva che non era saggio farlo arrabbiare, sapeva che non era saggio provarci in una terra sconosciuta, con un nemico spuntato dal nulla delle distese siberiane, senza neanche dargli il tempo di studiarlo; però la parola era quello che gli rimaneva, l’unico baluardo di una dignità schiacciata.
«Hai vinto solo perché sei stato abbastanza pazzo da darti fuoco» grugnì brusco e le dite del russo, fino a poco prima impegnate a disegnargli i contorni del viso, si fermarono sulla macella sottile.
Ivan lo guardò con espressione persino curiosa: dopotutto per lui non c’era nulla di strano nel fare terra bruciata per evitare che le provviste e la sua amata terra finissero in mani nemiche; taglia e brucia, era una tradizione consolidata da secoli e secoli di storia. Però poteva capire per quale motivo lo svedese – e gli altri europei – la pensavano così. Loro e le loro manie di conservazione.
Si guardavano indietro giusto il tempo necessario a rivangare vecchie glorie e vecchi orgogli, senza fermarsi neanche un attimo per respirare; per loro fermarsi voleva dire fermarsi per sempre, magari non riuscire più ad alzarsi, essere lasciati indietro.
Se la sua posizione geografica lo aveva escluso dal Mondo per secoli, tagliandolo fuori dai punti nevralgici dell’economia o della politica globale, il suo essere in disparte lo aveva anche salvato dalle inevitabili rivalità, dagli intrecci, dai soffocanti paragoni che inevitabilmente colpivano nazioni tanto vicine da sfiorarsi ogni istante. Si era sentito solo molto spesso, ma quella solitudine lo aveva salvato altrettante volte.
Comunque sentirsi dare del pazzo da un europeo era sempre divertente, soprattutto perché loro ancora non sapevano fino dove poteva spingersi: la sua storia era rimasta ben nascosta, quasi ignorata, tra i terreni aridi e brulli della Siberia e le immense distese della sua patria.
Sorrise di nuovo, quel sorriso che – se un tempo era nato come maschera per nascondere una mente devastata – ora era divenuto parte necessaria della sua espressione; sorrise e la mano rigida e fredda tornò ad accarezzare il viso del suo prigioniero di guerra. I polpastrelli si mossero delicatamente sullo zigomo destro, risalendo una guancia fino a raggiungere la tempia; lentamente ridiscesero verso l’attaccatura del collo, poi alla nuca.
Ivan lo tirò a sé con un solo scatto brusco, facendogli perdere l’equilibrio. Berwald mosse un piede in avanti, per evitare di cadere; quando la voce tranquilla, quasi gentile, del russo gli sfiorò il lobo dell’orecchio, senti la pelle del collo rabbrividire.
«Credi che io sia pazzo? Oh, tu non hai idea di cosa io possa fare».
Gli soffiò quelle parole direttamente nel cervello, senza alcuna traccia di autocompiacimento. Uno come lui, uno che aveva appena compiuto un’impresa tale da scuotere il Mondo, non aveva bisogno di farlo: era la verità, la pura e terribile verità.
Svezia doveva ammettere ancora una volta con se stesso che non sapeva come comportarsi. Non solo quella dannata Russia era arrivata all’improvviso, come una pianta cresciuta di slancio e in una terra in cui mai avresti creduto poterci piantare anche solo un seme; inoltre tutto ciò che aveva sentito, tutto ciò che gli avevano detto, contrastava notevolmente con quello che aveva visto durante quella Guerra: era stato abile, intelligente, astuto, affidabile; dotato della freddezza che non avrebbe creduto possibile in un pazzo squilibrato. Solo quando aveva visto le sue stesse case distrutte, i contadini russi abbandonati nella neve alta, affamati, smagriti, la terra nera e polverizzata tutt’intorno, aveva avuto paura.
E alzando gli occhi si era chiesto chi fosse quel gigante che inglobava e poi sputava i suoi stessi alleati.
Il fatto che fosse così fottutamente instabile non lo aiutava.
Da uno come lui non capiva neanche quale vita aspettarsi, da quel momento in poi; avrebbe preteso che la Svezia diventasse “un tutt’uno con la Russia?”2
Ancora una volta furono le mani di Ivan a distoglierlo dai suoi pensieri: mentre la sinistra continuava a toccargli il collo, l’altra mano gli circondò il polso destro; solo allora, con un certo singulto, Berwald capì che l’altro si era spostato dietro di lui. Non andava bene, era talmente distratto che quasi non aveva percepito il suo movimento.
Lui che era sempre così attento ad ogni più piccolo dettaglio.
Quella considerazione gli fece praticamente sputare fuori le successive parole; senza osare spostarsi, nonostante tutto il corpo fosse in allarme a causa della sua vicinanza e dei suoi continui tocchi, sbottò «Si può sapere cosa vuoi, adesso? Hai vinto la Guerra, mi hai battuto e ora?»
Ivan si fermò, entrambe le mani posate sulle sue spalle – era praticamente l’unica Nazione che potesse farlo, visto la loro altezza che svettava su tutte le altre –  poi parlò con voce piatta, ma con una leggera intonazione sorpresa, come se dicesse qualcosa di ovvio «Voglio che la Moscovia diventi un Impero3 e voglio prendere il tuo posto tra le Nazioni».
Svezia sgranò gli occhi per un istante, poi il suo naturale orgoglio prese il sopravvento, così come l’assurdità delle sue parole; la schiena fu scossa da singulti, poi cominciò a ridere.
Ivan abbassò lentamente le mani lungo i fianchi, involontariamente stupito: la sua risata era alta, risaltava fortemente nel silenzio della sua grossa villa – rimbalzando sulle pareti come a voler riempire la stanza; lo svedese era solo in territorio nemico, il suo esercito era stato sterminato e quei pochi che ancora vivevano, giacendo distrutti nella neve del Nord con il loro comandante Carlo XII, sarebbero morti entro la settimana.
Nonostante tutto, Berwald rideva con una tonalità chiara e cristallina, venata da una leggera ma consistente arroganza di fondo.
Il russo tornò lentamente a fronteggiarlo, preso dall’improvviso impulso di vedere se anche i suoi occhi ridevano a quel modo; con disappunto prossimo all’irritazione, dovette ammettere che sembrava illuminato dall’interno, senza che l’ombra della paura lo sfiorasse anche minimamente.
Con eccitazione crescente, cominciò a pensare di voler cancellare quella risata dal suo volto, di volerlo vedere non solo sconfitto, ma piegato – totalmente e completamente – al suo controllo.
Guardare l’Impero di Svezia pregarlo di essere indulgente con lui.
Era conscio che la metà dei suoi impulsi potevano tranquillamente passare per sadici, o quanto meno squilibrati, da parte di metà delle nazioni del Mondo; sapeva che la sua storia continuava ad essere costellata di alti e bassi, di cadute ignominiose e riprese folgoranti, tuttavia poco importava. Lui era abituato a fare tutto da solo, a difendersi fin da bambino dagli attacchi di potenze antiche, a vivere isolato con la sola compagnia di abitanti fratricidi e alleati traditori; era abituato a giocare con le sue regole, senza che nessuno potesse controbattere in qualche modo.
Ora, in quell’istante, sentiva di volere Svezia.
Se anche il corpo cominciò ad essere invaso di sottili brividi di piacere, Ivan riuscì facilmente a controllarli, stringendo lievemente i pugni e sorridendo pacatamente come suo solito; aspettò che gli ultimi accessi di risata sparissero lentamente, risucchiati dalle fredde pareti del Cremlino, poi continuò a sorridere vacuamente.
Lo sguardo di Svezia si era rischiarato, ritornando di quell’azzurro mescolato al grigio che lo contraddistingueva, come se la risata avesse spazzato via le ombre che lo appesantivano; si era assottigliato, mentre il brillio di fierezza, mista di orgoglio e arroganza, ritornava a fare capolino.
Se era possibile, Ivan lo trovava ancora più eccitante.
Berwald, intanto, tornò a guardarlo – la mente lucida di chi aveva ritrovato il senno, vedendolo invece svanire poco a poco negli occhi di chi gli stava di fronte. La sua ormai monotona pretese di asservire qualsiasi nazione alla sua poteva passare, dopotutto aveva ragione di pensare che neanche Russia ci credesse più di tanto, però gli altri progetti da lui confessati con tanta ingenua tranquillità erano... assolutamente folli.
«Tu credi davvero di poter trasformare la tua terra in un Impero?» Fece, con voce sarcastica, senza che l’altro si scomponesse.
Non che se lo fosse aspettato, ovviamente.
Ivan si limitò a inclinare il capo su una spalla, con quel suo sguardo maledettamente inquietante.
Un po’ come se lo avesse esortato ad andare avanti, Svezia continuò «Le altre nazioni non ti riconosceranno mai, questo è sicuro».
Il russo sentì una nota di fastidio farsi largo per le maglie della curiosità che ormai lo avevano imprigionato: Berwald era come un giocattolo nuovo appena comprato; con quella risate spregiudicata, aveva strappato Ivan dalla noia che già lo assaliva dopo la vittoria appena ottenuta e si era guadagnato il diritto di vivere. Almeno per un altro po’.
In ogni caso lui non permetteva a lungo un comportamento del genere in sua presenza; poteva farsi prendere in giro solo fino a quando si divertiva, fino a quando quel sottile limite tra il sadico divertimento e la seccatura non veniva oltrepassato.
Sperò che Svezia non lo facesse: sarebbe stato un peccato.
«... come pensi di fare?» Gli stava dicendo con disprezzo. «Sei arrivato solo da poco, nessuno ti conosce e quasi tutte le nazioni preferiscono non rischiare».
Berwald fissò gli occhi nel suo sguardo, perfettamente cosciente di aver esagerato, ma assolutamente certo di quello che diceva. Ivan comunque non sembrava seccato, piuttosto... incuriosito.
Aveva già notato come avesse smesso di toccarlo – grazie a Óðinn4 – tuttavia continuava a guardarlo con quegli occhi inquietanti.
Cercando di non perdere coraggio, deglutendo quasi mentalmente, continuò «Tu vuoi rimpiazzarmi. Come?»
Quelle parole risuonarono aspre ma sorde persino a se stesso, tuttavia non poteva farci nulla: con un’indifferenza impressionante, l’altro gli aveva appena rivelato di volerlo totalmente sostituire in Europa;
quello era persino peggio che essere sconfitto sul campo di battaglia, voleva dire guardare il proprio nome sparire tra le carte del Mondo, aspettare mitemente di essere relegato in un angolo del pianeta. Era persino peggio che morire.
Ivan intanto si era illuminato come se avesse aspettato quella precisa domanda «Come hai fatto tu fino ad ora, ha funzionato non è vero?»
Svezia batté le palpebre: se si fosse trovato in un’altra situazione, lo avrebbe persino ammirato per tanto ardire. In realtà, durante i nove anni di trincea in territorio polacco, gli era capitato di pensare a lui, a quel nuovo arrivo che era riuscito a convincere Danimarca a mettersi contro un altro paese del Nord, che aveva convinto persino l’indomito Sadik a fermarsi dal suo intento di conquistare l’intero continente asiatico. Aveva pensato che fosse un pazzo o un audace, in ogni caso che avesse qualcosa che lo scombussolava profondamente. Quando il 30 Novembre di qualche anno prima5 lo aveva sconfitto a Narva, si era ritrovato davanti un gigante grondante sangue sul ghiaccio della pianura, con quegli spaventosi occhi a fissarlo attraverso la neve e un sorrisino di scherno sul viso ferito. Già allora era rimasto colpito da quella visione e intimamente scioccato da tanta sottile, ma presente indifferenza.
Col passar degli anni continuava a dirsi che quella Guerra l’avrebbe vinta, che il gigante russo non aveva alcuna possibilità, che le varie vittorie ottenute giocavano in suo favore, che... ma quel sorriso enigmatico e totalmente fuori luogo lo tormentava spesso; l’eccitazione di combattere contro un nemico così estremamente ostinato, astuto – ma soprattutto imprevedibile come il clima delle sue terre – lo aveva travolto. Si era sempre concentrato su Polonia e il suo grandioso esercito, tuttavia Russia rimaneva la costante di stimolo per il suo operato.
Poi lo aveva affrontato e aveva dovuto ammettere che le sue tecniche ortodosse quanto efficaci lo avevano totalmente destabilizzato, così com’era disabituato a combattere contro qualcuno che era mescolanza assurda di Occidente e Oriente, dall’avanguardia militare dei più forti eserciti europei, alla brutale efficacia delle truppe provenienti dalla steppa.
In ogni caso, sostituirlo avrebbe significato anche distruggere totalmente la sua rete di alleanze matrimoniali, e quindi anche politiche e economiche, che aveva sancito con mezz’Europa: soprattutto Francia, era a lui che mirava Ivan.
Berwald scosse il capo «Non funzionerà con te: sei sconosciuto, sei imprevedibile e poco controllabile in ogni caso. E le mie alleanze sono troppo solide, perché tu possa spezzarle».
Il suo tono lento e pragmatico sembrò propagarsi per la stanza più della risata di poco prima, ottenendo in qualche modo anche un risultato profondamente diverso: dietro quel pacato e inquietante sorriso, Ivan sentì quel sottile fastidio acuirsi, seguendo quelle poche parole che avevano il sapore di una sentenza.
«Sei molto sicuro di te. Forse troppo» si limitò a fargli notare, dopo un po’, lasciandosi persino sfuggire una risatina che lo colpì quasi quanto la considerazione di essere sopravvissuto per un tempo persino eccessivo alle sue più grandi aspettative.
«Se tu sei così sicuro, a cosa ti servo io?» Si decise infine a chiedere Svezia, quando ormai percepiva l’impazienza scorrergli dentro con il sangue e la voglia di fare qualcosa, qualunque cosa, spingerlo alle idee più assurde.
Starsene a discutere con toni tanto composti, sebbene venati da una sorta implicita perversione lievemente accennata in quello sguardo anomalo, mentre tutta la sua gente se ne stava a congelare nel ghiaccio del Nord, rendeva tutta quella situazione quasi… assurda, illogica come sembravano essere anche le teorie e le idee del russo, di quella Nazione così sconosciuta e inviolabile.
«Allora?» Gli scappò, impaziente, nel frattempo che avvertiva costantemente su di sé quello sguardo da brividi.
Ivan tornò a ghignare, lentamente, mentre si avvicinava a lunghe e pigre falcate «Per ora sei come un gioco. Quindi posso fare quello che voglio di te» gli sussurrò in un orecchio, facendolo sussultare internamente.
Berwald si ammutolì, per un attimo sopraffatto dall’idea di essere prigioniero in un enorme palazzo semi-deserto, con la sola compagnia di quel pazzo e della sua corte di fanatici, immerso nel pieno della Russia e senza alcuna possibilità di difendersi.
 «Non ti lascerò la possibilità di sfruttarmi a tuo piacimento, russo» si decise a dire, con poche parole sprezzanti, quando quello era già quasi uscito.
«Vedremo» scandì solo Ivan, con un tono che lo fece rabbrividire: felice, sembrava eccitato e felice come un bambino.
 
Note
1 Pietro I detto “Il Grande” (1682-1725). Qui considerato eccezionale per la sue grandi capacità militari, navali e tattiche. Fu il primo, forse unico, Zar russo a portare la Russia in Europa con la sua grande curiosità per le capacità europee.
2 Espressione di omaggio all’anime, diciamo. In realtà non è ancora l’epoca del grande accorpamento della Russia, il suo scopo è principalmente quello di avere uno sbocco sul mare e visibilità in Europa.
3 Con Ivan III e Basilio III, Mosca si è estesa tanto da diventare “Moscovia”, sottomettendo tutte le altre grandi città che avevano potere indipendente. Solo dopo la Guerra del Nord e Pietro I, la Moscovia diventerà a tutti in effetti un Impero, anche se da molte Nazioni non verrà riconosciuta mai tale.
4  “Odino” in svedese. Divinità dei fulmini comparabile a Zeus e capo del Pantheon nordico.
5 Carlo XII di Svezia ha sconfitto Pietro I nella prima campagna russa, cioè sul fiume Narva il 30 Novembre del 1700. Solo pochi anni dopo, lo Zar russo si prenderà la “rivincita”.

Note autrice

Bon °.°
Non so bene come definire questa cosa, so solo che era nel mio pc da tempi immemori, quindi ho deciso di pubblicarla. Inizialmente doveva essere una One Shot breve e molto da Ivan, per intenderci, quindi più sadica. Invece, ovviamente, mi è uscita una cosa lunga, divisa in due – probabilmente barbosa – e poco ivanesca.
Mi spiace molto.
Le spiegazioni su lasciano intendere che io amo la parte storica di hetalia, ovviamente non senza interazioni umane, quindi ho provato a rendere questi due, possibilmente IC, però nel contesto particolare della Grande Guerra del Nord; spero di esserci riuscita.
Francamente non conosco quasi per niente Svezia, quindi ho provato a renderlo secondo la storia del tempo e il suo capo – Carlo XII: giovane, ma abilissimo condottiero, orgoglioso, instancabile ed energico; si dice fosse anche poco umano, invece spero che il mio Svezia possa essere considerato umano, realistico e tutto il resto.
E’ la seconda cosa, ma la prima non conta, che scrivo su hetalia, quindi spero non faccia troppo troppo schifo; spero che qualcuno lasci un piccolo commento o anche critica (anzi soprattutto, se è male prendetemi a badilate xD).
Detto ciò, c’è una seconda parte, legata sempre a questa Guerra; dovrebbe essere conclusiva e – molto probabilmente – NC17.
Grazie per l’attenzione e buona lettura.
 
                                             
   
 
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