Videogiochi > Final Fantasy IX
Segui la storia  |       
Autore: Guardian1    15/10/2010    2 recensioni
[Completa, riveduta e corretta.]
Sono passati tredici anni dagli eventi di Final Fantasy IX, ed ecco che la vita di Eiko Carol viene stravolta di nuovo da un nemico creduto morto da tempo. Che cosa può fare una ragazza sola per cambiare le cose?
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Eiko Carol, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
epilogo
e come vissero poi



lady i swear by all flowers. Don’t cry
-the best gesture of my brain is less than
your eyelids’ flutter which says
we are for each other: then
laugh leaning back in my arms
for life’s not a paragraph
And death i think is no parenthesis


signora, te giuro su tutti i fiori. Non piangere
-la miglior opera del mio cervello non vale
lo sfarfallio delle tue ciglia che dice
siamo fatti l’uno per l’altra: allora
ridi mentre ti posi tra le mie braccia
perché la vita non è un paragrafo
E la morte secondo me non è una parentesi


- ee cummings



Non l’ho rivisto mai più.

Non so come ho fatto a sopravvivere a quel volo in caduta libera. Forse devo ringraziare Madein o Fenice, perché in me non era rimasta abbastanza magia per levitare, avevo a stento l’energia per respirare. Forse si trattò dell’ultimo rallentamento dovuto al nostro enorme strappo al cielo. Forse – forse – avrebbe potuto essere qualsiasi cosa. Comunque sia, il Narciso Blu mi trovò in aria meno di un’ora dopo, in fin di vita, troppo in ritardo per una battaglia a cui non erano riusciti a partecipare.

La vita è una merda e poi si muore.

Non l’ho rivisto mai più.



Cosa si fa, quando finisce tutto?

Non ci fu un “lieto fine.” Però non ci fu neanche un “triste fine” – non era una fine, lui non mi aveva abbandonato a un per sempre. Camminai come una zombie per i due mesi successivi, senza espressione. Non riuscivo a spiccicare parola con nessuno, non riuscivo a ridere, non riuscivo a sorridere. Non riuscivo nemmeno a incontrare gli occhi di Gidan, o quelli di mia madre, o di chiunque altro. E poi, beh, comincia a venirti la pancia tonda ed è ovvio che sei in una condizione delicata che non c’entra niente con un dolce di troppo. Nemmeno ci avevo creduto fino in fondo di essere incinta. E la cosa mi aiutò a uniformarmi agli altri, perché praticamente nessun altro ci credeva, a parte Garnet. Fu lei che mi fece sedere sul suo letto e mi sbottonò il vestito, tastandomi un po’. Mi disse con un fil di voce che non dovevo tenerlo; non sarebbero stati tanto crudeli da farmelo tenere, se non avessi – e lì mi svegliai.

« No » dissi, gli occhi folli. « No. No no no. »

(Perché tutto d’un tratto era la cosa che più volevo al mondo. Io! Io che odiavo i neonati.)

Allora mi fece sdraiare, mi fece poggiare la testa sul suo grembo che profumava di lino fresco, e le raccontai ogni cosa fin quando nella stanza si fece buio e fu costretta ad accendere le candele. Povera Daga, con i lunghi capelli scuri e le lacrime negli occhi per me, senza mai recriminare, che mi accarezzava la fronte calda e piccola mentre uscivano tutte le parole. Che si ingarbugliavano: anticipavo cose, dimenticavo pezzi importanti. Mi teneva stretta.

« Eiko, va tutto bene. Adesso andrà tutto bene. » E io piansi, ma questa volta fu diverso, e quando smisi non ricominciai per mesi.

E così tutti seppero, e mi trattarono come vetro fin quando non pestai con tutte le mie forze e per tre volte il piede a Gidan. Non ce la facevo ancora a tornare a Lindblum e restai al Castello di Alexandria, con mia madre, con Garnet e Gidan, e poi venne Amarant, e facevamo spesso lunghe passeggiate sulle mura del castello. Mi disse che ero una piccola idiota del cazzo, e io finalmente risi, e lui mi abbracciò, goffo e con troppa forza, come se non avesse mai abbracciato nessuno in vita sua. (Quando facemmo la festa per il nascituro, lui mi regalò un elisir, tre pozioni, quattro matite nuove e le babbucce più orribili del mondo, pare lavorate a maglia da Freija. Credo che fosse più che un po’ innamorato di lei. Fu il regalo più bello di tutti.)

Mia madre si riprese in maniera splendida, e accettò la situazione con facilità. Lo stesso si potrebbe dire per mio padre, che sembrava un po’ più imbarazzato ma continuava a darmi pacche sulla schiena come se potesse servire a qualcosa. Dovette passare un po’ di tempo prima che io e i miei genitori riuscissimo a prenderci di nuovo per mano, prima che loro riuscissero a toccarmi senza innervosirsi, a non guardarmi più come se – quando addirittura – so per certo che Garnet aveva raccontato loro una versione epurata della fiaba.

Mamma, papà, vi voglio bene. Grazie. Perdonatemi.

In sostanza lanciavo roba per aria, grugnivo e camminavo pestando i piedi, facendo rasserenare tutti, e mi sono addirittura sposata – incredibile ma vero – una delle quisquilie sociali a cui doveva sottostare la figlia del Granduca. Era solo sulla carta, perché io persi molto più che le staffe all’idea. Il povero marito prescelto era un ingegnere aeronautico dell’accademia piuttosto allampanato che avevo conosciuto di passaggio, molto gentile e schivo, con gli occhiali spessi. Si chiama Alun. All’inizio ci vedevamo pochissimo – io ero in ansia per il bambino, e completamente avversa al matrimonio – a un secondo matrimonio – io ce l’avevo già un marito, ce l’avevo, ce l’avevo, ce l’avevo. Tango Bianco. Tango Nero. Io ero stata sposata. Ero stata sposata.

Lei nacque in estate, con la faccia rossa, urlante, con la protuberanza degli sciamani e la coda dei jenoma proprio come Cornelia. Garnet fu l’ostetrica. L’ho chiamata Vita, che nonostante le ovvie somiglianze è un nome diverso da Vivi; Vivi faceva pensare alla vivisezione, lei alla vitalità. Aveva i capelli chiari e soffici color lavanda drizzati in ogni direzione possibile e dei grandi occhi verdi. Per un bel pezzo non riuscii nemmeno a guardarla.

Mi riportarono a Lindblum. Mi comprai un nuovo paio di occhiali. Tornai a essere Eiko Fabool, con una figlia, con un marito, e Garnet li aveva avvertiti che sarebbe stato molto meglio evitare, ma mi rituffai nell’ingegneria e mi tagliai i capelli. Alcune cicatrici si scolorirono. Io e Alun avevamo camere da letto separate – pover’uomo, la maggior parte delle cose che lanciavo erano dirette a lui, credo – e io passavo il tempo libero nella mia senza neanche Vita, che aveva la sua balia personale, e guardando il balletto delle aeronavi e la mia città che veniva ricostruita fuori dalla finestra, desideravo la siccità polverosa della Reggia del Deserto. Desideravo arazzi mangiati dalle tarme. Desideravo le grida degli antoleon. Desideravo i Maghi Neri. Avevo perso tutto per sempre.

Madein, dissi una sera tinta di rosso, illuminata dal tramonto e senza più riuscire ad amare niente, Madein, sono impazzita? Sono ancora pazza? Voglio cose non dovrei volere e cazzo, non mi dispiace neanche.

Eiko
, mormorò lui, lascia che ti parli di Madonna, e ci toccammo di nuovo, e lo perdonai, e lui mi perdonò. Madrepadre. Mogu.

Dopo non è successo nulla di che, a parte le piccole cose di ogni giorno che assemblano il tran-tran della vita. Ho costruito aeronavi, ho riparato motori, ho lavorato ai refrigeranti, e di quando in quando mi ricordavo di fare la madre; di quello si è occupato in gran parte Alun, grazie a Dio, ed è a lui che si deve il fatto che Vita sia venuta su solo molto strana e non assolutamente fuori di testa. (Alun aveva un senso dell’umorismo perfidamente asciutto – alla fine mi ci sono affezionata e lo amo, non in quel senso, ma abbastanza da coesistere quanto più pacificamente possibile.)

Lei era taciturna, ed era più grande della sua età, e tanto impaziente. Le piacevano i pantaloni con le balze e i vestiti barocchi, e faceva venire solo dei leggeri infarti a Gidan quando la vedeva svoltare tutta trotterellante gli angoli come una piccola semina-panico in miniatura. Cornelia l’adorava praticamente a morte, e Vita pativa la cosa in silenzio. Le più lontane eravamo proprio io e lei.

Le volevo bene. Solo che non sapevo come toccarla. È stata una maga nera dal giorno in cui è nata, senza neanche bisogno del rivestimento nero, senza doverlo dire a nessuno. Una volta diede fuoco alle tende per sbaglio e accusò le candele, quando aveva sei anni. (L’unica cosa che mi sorprese fu la sua goffaggine. Era intelligente, perspicace, difficilmente la si poteva considerare adorabile. Per me di certo non lo era.) Avevo ventisette anni.

Sono diventata Reggente ai trenta, assumendo il ruolo che non avevo mai voluto, perché i miei genitori volevano avere finalmente la possibilità di ritirarsi. Vita aveva nove anni, ed era più strana che mai, adulta come una donna più grande di me di dieci anni. La principessa Vita. La regina reggente Eiko Fabool. Non sapevo come diamine avessi fatto a incastrarmi in quella situazione, come avesse potuto permettermelo la testa. Una parte di me danzava sulla sabbia e l’avrebbe fatto per sempre, quella parte di me che era morta nell’oscurità dello spazio. Avevo riportato il mondo sul suo asse. Non sarei mai tornata quella di un tempo.

« Madre » mi chiamò Vita una mattina. « madre, stiamo sprecando tempo – dobbiamo andare alla Reggia del Deserto. »

(Descrivere i rumori strozzati che seguirono sarebbe totalmente irrilevante; fate conto che l’abbia fatto e che le descrizioni siano durate dieci pagine, perché mia figlia fu costretta a darmi qualche servizievole botta sulla schiena per smorzarli. Nessuno aveva mai detto a Vita – quello – niente di niente. Forse era stata Garnet. Io no.)

(Solo dopo ho scoperto che uno dei suoi Eidolon era la regina Ashura, cosa che spiegava un paio di cosette, presumo.)

« Per favore, non dire cose noiose come “perché” » continuò mia figlia pazientemente. « Sarebbe stancante. Io devo andare. Tu devi venire. Non posso farlo da sola, non ho le parole per spiegare. È passato abbastanza tempo, madre. »

Io la guardai, lei e i suoi lunghi capelli chiari, la coda che sibilava come quella di un gatto alla luce a gas, calma, paziente, e completamente aliena. L’abbracciai e pensai le ali usciranno presto e partimmo per il luogo dove lei era stata – apparentemente – concepita. Gidan una volta mi aveva proposto di radere tutto al suolo per me. Io avevo pensato agli alberi di una terra senz’alberi, e avevo detto di no.

Era passata da tempo la stagione delle piogge. Pezzi del tetto ormai erano crollati; di questo passo, la sabbia avrebbe consumato il palazzo fino a lasciare solo qualche maceria. Le porte si aprirono fluidamente con un semplice tocco della mano di Vita, come se la stessero accogliendo in casa sua – come se stessero accogliendo me – e percorremmo i lunghi corridoi accanto al punto di attracco e poi quelli all’interno dell’enorme cattedrale afosa dalle scalinate principali. I miei occhi erano pieni di fantasmi; neanche mi accorsi di dove mi portò tant’ero stordita, una perfetta idiota in confronto alla sua sicurezza. Ci dirigemmo a ovest. Guardai la sala da ballo che era stata smantellata. Guardai il bagno con la finestra che non si chiudeva. Lei era in testa, l’incedere risoluto, che seguiva una chiamata, fino al cimitero dei maghi neri.

(Non le ho mai chiesto come ci sia riuscita. Non credo che me lo direbbe. In lei c’è più Kuja di qualunque altra cosa, e detto così sembra crudele ma è vero, con quel suo biancore accecante, fragile, l’atteggiamento leggermente sdegnoso nei confronti di qualunque cosa che non riesca a tenere il passo con i suoi schemi mentali. Di certo non ha un accidenti di niente di mio.)

« Vita » bisbigliai, « perché siamo qui? Hai dieci secondi per dirmi tutto, e non voglio spaccarti un labbro, perciò dammi una buona ragione, mi sono spiegata? »

« Devo adempiere a una promessa » sospirò, seccata. « Avrei dovuto farlo anni fa, ma non sapevo come. Poi ho controllato se il mio corpo è in grado, e in grado lo è. Non ho provato ma ce la può fare, lo so, non sbaglierò. »

« Non so proprio da chi hai preso questo tuo vizio di balbettare e farneticare. Oh, aspetta. Sì, lo so. »

Gli alberi erano carichi dei loro pacchetti preziosi, ancora rigogliosi e bellissimi, fiori tutti intorno alle radici che si nutrivano avidamente del suolo. Piccoli alberi di Iifa. L’aria era densa di qualcosa che forse era nebbia, e c’erano delle luci, delle luci blu, e a Vita bastò alzare le mani. Le sue dita furono come la bacchetta di un direttore di orchestra: le agitò, come se stesse per far risuonare il primo accordo che la terra avesse mai udito, e ci fu una canzone:

Le anime dei maghi neri si schiusero.

(Avevo trent’anni. Credo di essere invecchiata di vent’anni in un battito di cuore durato mezzo minuto.)

(Mi dispiace di essermene dimenticata, Vivi.)

(Mi dispiace.)

Le anime dei maghi neri si schiusero, sbocciarono, diedero frutto, e poi luccicarono e svanirono, e in un attimo gli alberi grondavano gambe, brulicavano di braccia, di suoni, di pulsazioni, mentre una buona centinaia di bambini sui dodici anni allungava le braccia sui rami. La promessa di Tango Nero, la maledizione di Tango Nero. Aprirono la bocca all’unisono; inspirarono. (Per la prima volta in vita sua, Vita Orunitia rise.)

Avevano tutti i capelli neri. Avevano tutti gli occhi d’oro. Erano tutti fatti di carne. Iniziò un chiacchiericcio confuso; sciamarono giù dagli alberi come insetti, come uccelli, come farfalle, l’equilibrio riacquisito dal nero al bianco, tutti nudi che infilavano cappotti e cercavano cappelli. Toccarono terra, un’intera tribù, e ci guardarono, piuttosto timidi. Alcuni erano smilzi. Alcuni erano paffutelli. Erano tutti diversi, come quei semi che pianti in giardino e germogliano fiori di campo, cominciarono a riconoscermi lentamente e mia figlia rideva e-



(Oh, Vivi. Come vorrei che tu avessi potuto vederlo.)



« Madre? »



(Rain mi corse incontro. Sono rinata.)






fine
















Note dell’autrice: finita.

(Ora immaginatevi me che faccio una festa privata con me stessa e mi produco in un balletto triste assai.)

Chiedo scusa per averci messo quattro anni per scrivere questa storia. Per fortuna alcuni di voi si erano evidentemente abituati ai miei ritmi grazie a Sunshine in Winter e mi hanno seguito lo stesso. È stato bellissimo scriverla, ma è stata anche l’impresa più difficile in cui mi sia mai cimentata. Le frasi non venivano. Eiko ha passato tre quarti della storia a piangere come una casalinga che si imbottisce di tranquillanti. Con i dialoghi di Tango siamo arrivati al punto che una mia carissima amica quando parla con me usa quasi esclusivamente puro tanghese. Le arachidi in salamoia mi vivono nelle ossa. Grazie, Gabi. Hai ragione. Eiko avrebbe proprio dovuto evocare la Gameshark.

Grazie al migliore beta-reader del mondo, Drew/Piett, che l’ha rinominata “storia con le violenze domestiche + sindrome di Stoccolma.” Non ce l’avrei mai fatta senza di te. Ancora una volta. (Vuole dare un biscotto premio a tutte le persone che hanno localizzato Aesculapius.)

Grazie a tutti. Se volessi elencarvi tutti non finiremmo più: Tobu, Alexiel, e tutte le disegnatrici schiave del sito che hanno la mia più profonda ammirazione, Riyuen – Gabi, e la tua Rikku psicopatica e il tuo Leviathan seduto a mangiare popcorn sacri davanti alla tv che mi hanno aiutato a proseguire, sei la cosa migliore che mi abbia regalato questa storia – la mia Angie, la mia musa. Demeter. Capperi, grazie a tutti quanti, va bene?

Ai fan di Final Fantasy IX. Ai fan di Vivi. Ai fan di Eiko. A tutti quelli che hanno pensato che fosse una buona idea far diventare cattivo Vivi. Alle mie numerose tazze di caffè. Ai miei recensori. Vi voglio bene. Doveste mai passare dalle parti di casa mia vi preparerò una torta al cioccolato, dico sul serio. Non sarà una torta al cioccolato molto buona, ma torta al cioccolato rimane. (Okay, la torta al cioccolato la facciamo fare a Gabi. Lei la sa fare. Poi Angie prepara gli spaghetti.)

Questa storia è per tutti voi!

- Guardian



Note della traduttrice:
innanzitutto, un paio di considerazioni tecniche.
Il capitolo precedente era, come avrete avuto modo di notare, molto complicato. Certi pezzi erano semplicemente folli e incoerenti, a tratti sembrava quasi un flusso di coscienza; spero di averlo tradotto degnamente e di avervi confuso quando dovevate essere confusi e chiarito i punti che invece dovevano essere chiari. Verso la fine, poi, nei frammenti del “presente dell’azione,” la narrazione ogni tanto passa dal presente al passato. Non c’è però molta coesione interna né costanza, perciò nel dubbio ho preferito lasciare tutto al presente o adottare al massimo il passato prossimo. Ho pensato fosse bene precisarlo.
Ho scoperto inoltre che Dylan Thomas, lo stesso autore della poesia utilizzata per il prologo, ha scritto anche una poesia dedicata al padre morente intitolata Do not go gentle into that good night. Potete trovarla in originale e tradotta qui, oltre che recitata da Thomas stesso. In un certo senso racchiude lo spirito della storia, ma a voi le vostre interpretazioni.

E ora…
… L’Eidolon della Gameshark XD
OH EM GEE NON È POSSIBILE È FINITA DAVVERO ;OOOOOOOOOOO; … WHO’S THE QUEEN OF THE WORLD, YOUFFIE IS THE QUEEN OF THE WORLD

No, ma voi lo sapete da quant’è che lavoro su questa storia? SINCE TWO THOUSAND FUCKING SIX. Mica dal 2008 come c’è scritto qui, tzè! Praticamente da quando ho preso in mano i dizionari (all’epoca cartacei omg) e ho cominciato a perdere diottrie (letteralmente). Ci sono passaggi su cui sono tornata e ritornata migliaia di volte. Ci sono capitoli interi che ho praticamente tradotto da capo, anche due volte. Ho avuto per anni un terrore reverenziale dello scorso capitolo, e mi sono detta spesso che non ce l’avrei mai fatta.
In questa storia ci sono quasi tutti gli strati dei miei progressi e dei miei fallimenti. Finirla mi mette quasi tristezza, ma c’è un tempo per tutto.

Go Not Gently mi ha insegnato tantissimo, e mi ha chiarito tante cose su quello che volevo e voglio fare, per chi lo faccio, e perché.
Potrei e vorrei continuare a sproloquiare sulla storia in sé, ma in questa sede lascio a voi tutte le conclusioni. Spero solo di averla resa nel miglior modo possibile per le mie capacità e anche di più, e che vi sia piaciuta almeno la metà di quanto è piaciuta a me.

Ho rivisto rapidamente e per l’ultima volta tutti i capitoli, modificando e snellendo qualche nota. Se volete salvarvela sul pc questo è il momento buono per farlo. Se tornerò su questa storia sarà solo per il piacere di rileggerla; d’ora in poi, eventuali correzioni avverranno solo ed esclusivamente tramite sempre ben accette segnalazioni, che potete inviarmi anche in via privata tramite il mio account personale.

E ora basta. Grazie a tutti coloro che hanno letto, recensito e commentato in qualunque modo nel corso del tempo, a chi l’ha messa tra i preferiti, tra le seguite, e tra le storie da ricordare. Grazie a chi mi ha corretto la grafia di alcuni nomi, alla Wiki di Final Fantasy e ai siti che riportano le guide passo per passo dei videogiochi, YouTube suo malgrado compreso. Grazie a tutti i miei beta (nell’ordine: kar85 lololol per il prologo; Frances dal prologo fino al capitolo quattro; la_vale per tutti quanti, compresi i primi. Ve l’ho detto che ha avuto varie edizioni, no?).

Ero sinceramente convinta che non l’avrebbe letta nessuno ma proprio nessuno, perché il fandom è talmente di nicchia da essere quasi disprezzato, e come se non bastasse la storia tratta di temi pesanti e scorre relativamente lenta, soprattutto nella prima parte; grazie, veramente, per avermi smentita.

Ci vediamo in giro.

youffie

(PS: l’originale è durata quattro anni, questa è finita dopo poco più di due. Poi non dite che non vi vizio.)



Fanart assortite:

Eiko:
• Fade to White
Eiko
• Give me the world on a platter, ispirata ad alcune frasi del capitolo 11.
Vivi:
Black Tango
Black Tango Unmasked
Vivi e Eiko:
Black Mage. White Mage.
Epicenter, con l’aggiunta di Rain.
Scene:
• In My Own True Name, tratta dal capitolo 7.
• Haircut, tratta dal capitolo 8.
• Cloth Dust and Souls, tratta dal capitolo 8.
• Crown Thee, tratta dal capitolo 10.
Queen of the Abyss, concettualmente tratta dal capitolo 12.
• Staring Down Oblivion, tratta dall’ultimo capitolo.

Ora ciao davvero, eh.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy IX / Vai alla pagina dell'autore: Guardian1